Van Gogh tra il grano e il cielo

E’ uscito nelle sale dei cinema italiani, in anteprima mondiale lo scorso aprile, “Van Gogh tra il grano e il cielo“, un docufilm che ripercorre la storia del grande pittore olandese, attraverso le opere raccolte dalla sua più grande collezionista, Helene Kröller-Müller.

Dato il successo al box office (420.000 euro di incassi e 50mila spettatori in soli tre giorni), 3D Produzioni e Nexo Digital (specializzata nella produzione di film su arte e musica) propongono la replica per le date 22 e 23 maggio 2018.

Helene Kröller Müller era una mecenate olandese dei primi ‘900. Affascinata dall’opera di Vincent van Gogh, acquistò circa 300 pezzi tra dipinti e disegni, convinta che un giorno avrebbero scritto la storia dell’arte:

La gente parlerà di van Gogh per molto tempo e ci saranno due correnti principali nell’arte: una basata su di lui e una che segue la tradizione“.

La donna, sposata a un uomo che non amava per volere della famiglia e per ragioni di interesse (Anton Kröller era socio di suo padre), era di natura malinconica,  ricercava “altrove” la felicità che le era stata negata. Scriverà in una delle innumerevoli lettere inviate a Sam van Deventer, amore platonico di vent’anni più giovane, che nei quadri di Vincent van Gogh ritrovava una serenità e una calma mai avute in vita. Ringrazierà van Gogh di questo regalo, costruendo il museo Kröller-Müller di Otterlo che ospita alcuni dei quadri più importanti dell’artista, come “Terrazza del caffè la sera”, “Seminatore al tramonto” e i disegni di inizio carriera. L’edificio dista un’ora da Amsterdam ed è costruito nel cuore di una riserva naturale, che il regista pesarese Giovanni Piscaglia  ha illustrato attraverso le corse dei cervi tra le distese dei campi verdi bagnati dalla luce del sole, un modo per accompagnarci nei luoghi del pittore, coi suoi stessi occhi.

Vincent van Gogh, Terrazza del caffè la sera, Place du Forum, Arles, 1888,  Kröller-Müller Museum, Otterlo


Quella che riusciamo a vedere, così da vicino, attraverso questo docufilm è la pennellata di van Gogh. Sono immagini tridimensionali, riusciamo quasi a toccare la pastosità dei colori ad olio e a riconoscere la profondità del tratto. Come sei riuscito, perché ci sei riuscito, a commuovere il pubblico?

“Credo che il rapporto tra cinema e spettatore si giochi principalmente in un territorio di comunicazione non verbale: quelle dell’immedesimazione, della suggestione, dei sentimenti. Nel girare il film ho pensato che non avrei potuto emozionare senza emozionarmi io stesso e non sarei mai riuscito a restituire un sentimento senza sentirmi coinvolto in esso proprio nel momento della ripresa. Cercavo quindi di rendermi aperto rispetto ai contesti in cui giravo, le città, i luoghi di Van Gogh, chiedevo alla troupe di comunicare piano, mantenere il silenzio, mi concentravo per cercare di catturare nell’inquadratura il mio stato emotivo del momento.

Accadeva questo anche quando filmavo i dipinti, il movimento ravvicinato sopra di essi è stato per me un mezzo di indagine, una sorta di analisi autoptica – eppure emotiva – alle radici di Vincent, del suo tratto, del suo pensiero, della sua interiorità, abbattendo ogni filtro per cercare il minimo comun denominatore del genio.

Il cinema è un mondo che racchiude tanti livelli complessi in cui nulla è lasciato al caso. Nel mio approccio alla regia passa anche da una forte idea delle strutture profonde della narrazione, per questo durante il lavoro è stato molto importante la collaborazione con Matteo Moneta assieme al quale decidevamo di volta in volta quali temi (dei tantissimi possibili) trattare più nello specifico e quali trascurare, la divisione dei blocchi narrativi.

Per ogni scelta mi faccio guidare dal mio gusto. Mi preparo molto per tutto il tempo prima delle riprese, salvo poi abbandonarmi all’improvvisazione nel momento delle riprese. Il bello è che quando a fine giornata torno a casa e riguardo gli storyboard mi accorgo di aver girato le stesse inquadrature che avevo immaginato anche se in maniera inconsapevole. Ne deduco che lo strumento più affidabile che ho a disposizione è il mio gusto, fatto di pensieri stratificati, che nei miei lavori creano unità a più livelli: discorsiva, visiva, narrativa, ritmica.”



Helene Kröller Müller era così ossessionata dalla persona di Van Gogh, che emulò  il suo stile di vita, scegliendo di dormire in un letto molto più piccolo del normale o andando al fronte durante la Grande Guerra a curare i feriti, spinta dallo stesso spirito umanitario che ebbe van Gogh quando fu predicatore laico tra i minatori della regione belga del Borinage.
Entrambi cercarono nella religione una consolazione al senso di fallimento, tu che rapporto hai con la fede?



“Credo nella trascendenza, qualcosa di ineffabile che possiamo solo percepire e che domina l’andamento dell’universo in qualche arcana, lontana maniera. Credo nella validità dei principi di Cristo come esempi di moralità e solidarietà. Credo nel senso del sacro che accomuna culture diverse attraverso la storia e che è stato per tutte un impulso insostituibile per la filosofia, per l’arte, per l’evoluzione del pensiero sotto tanti aspetti. Ma credo anche nella finitezza dell’uomo e che sia nella conoscenza dei propri limiti che risiede la chiave per arrivare al proprio Dio.”


“I mangiatori di patate” rappresentano una sintesi di molti temi cari a  van Gogh: la dignità della vita povera, l’oscurità, l’umiltà, attraverso l’uso dei colori della terra, così come Tolstoij la trascrisse tramite Lèvin, il personaggio legato alla vita rurale in “Anna Karenina”. Quale invece, la tua opera preferita?



“Oltre ai tanti capolavori impossibili da non amare, nel corso delle riprese ho avuto occasione di fermarmi spesso davanti ai “Quattro girasoli appassiti”. Lo trovo un dipinto atipico per Van Gogh sia per il formato che per il trattamento differente di un soggetto così iconico per l’immaginario di Van Gogh. Sono girasoli morenti riprodotti su scala gigantesca, lo sfondo è piatto, astratto, fuso col soggetto, guardarlo da vicino è come sorvolare una città bombardata, è impressionante come ad una tale febbrile stesura corrispondano accostamenti cromatici così precisi, tratti immaginifici e realistici allo stesso tempo. Ma più che il dato visivo mi colpisce quello simbolico, legato al periodo che Vincent sta vivendo in quel momento, a Parigi nel 1887. In quei due anni parigini vive la massima esposizione alla vitalità del mondo, alla mondanità, al fermento artistico: è qui che diviene il pittore geniale che conosciamo e scopre il suo tratto inconfondibile, eppure in questo quadro percepisco chiaramente il lato oscuro della sua esistenza in una città che da una parte lo inebria e dall’altra lo avvilisce: i “Quattro girasoli appassiti” sono un memento mori in cui Van Gogh dimostra il suo autentico interesse per un mondo interiore al quale solo lui poteva accedere.”

 

Bresson comincia spesso le scene dei suoi film inquadrando porte e fibbie di cinture. La tua prima inquadratura è sì il soggetto del film, ma hai scelto di utilizzare una statua rappresentante van Gogh in mezzo alla natura, natura che egli stesso ci rappresenta con sembianze miracolose. Quanta importanza ha la bellezza e il rapporto con la natura nella tua vita?



“Sono una persona totalmente votata all’osservazione e la bellezza ha un ruolo cruciale nella mia vita. Talvolta mi trovo ad utilizzare il mio gusto estetico come una bussola, applicandolo anche in cose apparentemente marginali della vita quotidiana. La natura mi interessa in quanto alter ego ideale dell’essere umano, mi attrae e mi inquieta allo stesso tempo.

La prima inquadratura del film riunisce proprio queste idee, c’è la natura e c’è l’uomo, c’è il divenire del vento e il tempo del movimento di macchina, infine ci sono la cultura e la storia cristallizzate nella statua che ritrae Van Gogh e che lo proietta su un piano intermedio di presenza e assenza, umanità e santità.”

 


Truffaut scriveva che “tutti i registi girano film che gli assomigliano, perché esprimono allo stesso tempo le loro idee sulla vita e la loro idea del cinema”. In che modo questo film parla di te?



“In questo film sento di avere espresso diversi aspetti di me che convivono e a volte confliggono. Da una parte mi piace spiegare e raccontare storie, dall’altra mi piace abbandonarmi al sogno ed esprimere l’inspiegabile.”

 


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Seminatore al tramonto, Vincent van Gogh, 1888, Museo Kröller-Müller di Otterlo




Quando si cammina per ore e ore attraverso questa campagna, davvero non si sente che esiste altro se non quella infinita distesa di terra, le verde muffa del grano e dell’erica, e quel cielo infinito




Conosciamo Vincent van Gogh grazie alle 900 missive spedite al fratello Theo, suo interlocutore privilegiato, dopo un’amicizia con Gauguin finita in tragedia, con il taglio del lobo dell’orecchio e l’inizio della malattia mentale. Un sentimento, quello che lo legava all’amico Gauguin, su cui aveva puntato molto e che condusse il pittore a un punto di non ritorno.
Il suo dolore lo ascoltiamo in queste lettere, lette nel docufilm da Valeria Bruni Tedeschi, un grido di disperazione che torna sulla tela con paesaggi di una natura maligna, dove alle verdi distese dei campi si sostituiscono le ombre della notte.





Quello che voglio esprimere non è una malinconia sentimentale, ma il dolore vero.



Il docufilm “van Gogh tra il grano e il cielo“, è la testimonianza di un amore tra due persone che non si sono mai incontrate: Helene Kroller Muller riuscì a dare a Van Gogh quello che non aveva avuto da vivo: rispetto (lo consideravano un pazzo), amore (rifiutato da sua cugina, aveva avuto una sola relazione con una prostituta), riconoscimento (ha venduto una sola opera in vita). I due personaggi hanno condiviso gli stessi tormenti interiori e la stessa visione di Dio e della fede. Attraverso i suoi quadri, che Helene portava con sé nei suoi lunghi viaggi, Vincent riuscì a darle la serenità mancata, un dono universale per tutti noi. E lui già lo sapeva.

Vincent van Gogh taciterà quella tristezza all’età di 37 anni, con un colpo di pistola alla tempia.


Van Gogh tra il grano e il cielo” sarà in cartellone in 50 paesi dopo l’anteprima italiana, che replica nelle sale i giorni 22 e 23 maggio. Diretto da Giovanni Piscaglia, sceneggiatura di Matteo Moneta, colonna sonora di Remo Anzovino, consulenza scientifica di Marco Goldin, e l’insostituibile voce narrante dell’attrice Valeria Bruni Tedeschi, che ha regalato enfasi, forza e personalità alla narrazione filmica.
Produzione: 3D Produzioni e Nexo Digital.


“L’umanità è ciò che ci tiene tutti legati…”


Moda. L’Italia fa scuola – tutto sulla formazione di Moda in Italia

Si è tenuto in data 8 maggio l’incontro internazionale che il Centro di Firenze per la Moda Italiana organizza sul tema della Formazione di Moda: “Moda. L’Italia fa scuola“.

Un convegno che ha messo il tema della Formazione Moda al centro del dibattito, in cui figure istituzionali si sono confrontate con alunni e addetti al settore. L’obiettivo è quello di creare trasparenza sui problemi e sulle potenzialità che il settore Moda ha nel nostro paese, un settore in crescita del 9% negli ultimi 4 anni.
Il centro di Firenze per la Moda Italiana, dopo due anni di lavoro come coordinatore della Commissione Formazione del Tavolo Moda e Accessorio, ha posto all’attenzione del Governo e dell’opinione pubblica una serie di punti, che sono stati riportati in questa sede:

1. la necessità di costituire un organismo permanente di osservazione, consultazione, indirizzo e proposta operativa sulle tematiche dell’Alta Formazione Moda in Italia

2. stabilire un budget specifico per un programma di promozione dedicato alla Formazione di Moda, destinato alla realizzazione di eventi nazionali ed internazionali, incontri annuali di confronto e di lavoro, progettazione di un sistema di valutazione europeo per l’offerta nel campo moda

3. sviluppare e valorizzare la Formazione di Moda nei molteplici ruoli professionali, al fine di garantire l’effettiva qualità dell’offerta formativa e del corpo docente

4. migliorare un sistema legislativo rigido e complesso, che rende laboriosa l’accettazione e la permanenza nelle Scuole e nelle Università  in Italia di studenti provenienti da paesi extra-europei (permessi di soggiorni etc.), limitando e penalizzando la loro permanenza con conseguenza di reprimere lo sviluppo e la partnership internazionale della nostra industria.

Ma qual è il punto che mette tutti d’accordo? Qual è la forza indiscutibile della nostra Italia?
Senza ombra di dubbio risulta essere l’artigianalità, punto di forza su cui bisogna far leva spingendo i giovani talenti all’approfondimento di certe discipline e mestieri. Artigianalità che unita all’industria crea prodotti di qualità.

Siamo il paese del saper fare e del saper fare bene” dice Carlo Capasa (Presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana) “ed è importante rafforzare le nostre peculiarità“.

Ma quali sono i cambiamenti dell’Industria italiana ad oggi?


La manifattura ha sentito l’influenza del digitale, le tecnologie di produzione non sono più le stesse, alcune aziende trovano difficile abbandonare modelli che in passato hanno sempre portato risultati , si sente una certa nostalgia dei disegnatori (oggi i tessuti vengono prodotti e stampati con tecnologie digitali), tutta l’organizzazione industriale in campo manifatturiero sta cambiando. Oggi le aziende sono sempre più produttori di contenuti, con figure professionali nuove in aumento e sempre meno figure leader (punto debole del nostro repertorio italiano, che ci vede quarti nel campo manageriale, dopo gli inglesi, gli americani e i francesi al terzo posto).”

Andrea Cavicchi, Presidente CFMI
Andrea Cavicchi, Presidente CFMI


Di cosa necessita la Formazione di Moda in Italia?
Lo sintetizza molto chiaramente in pochi punti Andrea Cavicchi, Presidente del CFMI:

Manca un referente nazionale che relazioni e metta a contatto il Ministero dello Sviluppo Economico con quello Statale, le scuole locali fanno ognuno per sé, è bene quindi creare degli eventi che mettano in relazione questi Istituti, promuovere le nostre scuole nel mondo è uno dei punti fondamentali, aumentare i corsi di moda, selezionare docenti di livello, istituire programmi di qualità, rilanciare gli eventi moda su Milano, creare pochi progetti ma buoni, con criterio e giudizio, semplificare l’attività burocratica che rende difficoltosa la permanenza in Italia di studenti extra-europei“.

Il libroWhite Book. Imparare la moda in Italia” (Marsilio, 2017) racchiude tutte queste problematiche e i cambiamenti strutturali in ambito moda. Il libro nasce dal lavoro che la Commissione Formazione coordinata dal Centro di Firenze per la Moda Italiana ha svolto all’interno del Tavolo Moda e Accessorio.

A discutere di questi temi sono intervenuti, oltre ai sopra citati, Sara Kozlowski (Director of Education and Professional Development del CFDA), Martyn Roberts (Managing & Creative Director della Graduate Fashion Week – UK), Maria Luisa Frisa (direttore del corso di laurea in design della moda e arti multimediali dell’Università Iuav di Venezia e curatrice del White Book), Marco Ricchetti (consulente di Blumine srl), Laura Lusuardi (Max Mara) e Giovanni Battista Vacchi (consulente di Ernst Young).

In Inghilterra la regina Elisabetta è in prima fila ad assistere ad una sfilata di moda durante la London Fashion Week, accanto ai maxi occhiali sempre presenti di Anna Wintour, a Parigi i coniugi Macron ricevono tutti i designer a Palazzo dell’Eliseo, selfie e foto di gruppo compresi, insomma passi avanti se ne sono fatti, la moda è stata umanizzata, democraticizzata in qualche modo, ma questo è successo all’estero. Cosa ci riserverà la nostra amata Italia, che ha in Milano il centro della moda, del buon gusto e dello stile? Attendiamo fiduciosi.

la regina Elisabetta per la prima volta ad una sfilata di moda, accanto ad Anna Wintour (foto @Voilà magazine)
la regina Elisabetta per la prima volta ad una sfilata di moda, accanto ad Anna Wintour (foto @Voilà magazine)

Il malinconico mondo del circo nella collezione SS 18 Salvatore Vignola

SALVATORE VIGNOLA COLLEZIONE SS18

Dove vanno i clown a fine spettacolo? Li immagino tornare soli nella loro casetta di cartone, fatta di nulla, malinconici e tristi senza nessuno da divertire, nessuna risata che li faccia sentire vivi.
E i trapezisti? Percorrono la strada verso casa con un piede solo in bilico sul marciapiede?
E i giocolieri, fuori dal circo, mentre fanno la spesa, avranno bisogno del carrello oppure faranno passare gli yogurt in aria, lanciandoli da una mano all’altra?

Com’è la vita di queste figure enigmatiche una volta usciti dal magico tendone? Da quel luogo magico che affascina grandi e piccini, che ci tieni incollati al prossimo show, che traccia in noi ricordi indelebili, personaggi strambi che possono attrarre o turbare, divertire o intristire…

Nella collezione Primavera Estate 2018 di Salvatore Vignola qualcosa ci viene svelato. Un grande occhio puntato sulle figure circensi, attraverso il gusto estetico della moda, un tuffo nelle macro identità frammentate attraverso l’uso dei colori, il verde della terra, il rosa glitter, il cipria e l’azzurro zucchero filato, e attraverso l’uso dei tessuti, le piume, che riportano alla leggerezza apparente, quella che il pubblico percepisce negli spettacoli e i tessuti militari, che raccontano la forza e il rigore di una vita fatta di sacrifici e rinunce.

CAPITELLO, questo il nome della collezione disegnata da Salvatore Vignola, vede la sua nascita nel paese omonimo, affacciato sul golfo di Policastro, in provincia di Salerno.
Qui viene scattata la collezione, nel luogo dal sapore nostalgico e dagli indimenticabili colori.

Qui la collezione SS18:



 

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16 R FIRENZE COLLEZIONE AUTUNNO INVERNO 2018/19 

Diane Arbus, quando decise di conoscere il mondo dei nudisti spinta dalla sua infinita curiosità, si reco’ in uno dei loro luoghi esclusivi, riservati ai soli adepti, regalandoci poi un servizio fotografico che fu la scoperta di un mondo nuovo, raccontato attraverso la sua estrema sensibilità.

Oggi ci è dato sapere come vivono, perché scelgono di girare per casa completamente nudi o prendere un cocktail col vicino, nel loro giardino, con sandali e tette al vento, abbiamo compreso la loro filosofia.
Mondo analogo, ma ancora pervaso da mistero, è quello del circo e dei suoi personaggi. Molto spesso inquietanti, resi cattivi nei film horror, o ingentiliti nei giocattoli per bambini, ma qualunque qualità si provi ad affibbiargli, le figure circensi rimarranno sempre enigmatiche.

Lo sa bene Federico Fellini che in “The clown” ci racconta il suo viaggio infantile sotto il tendone, pellicola cinematografica a cui la designer di 16 R Firenze, Romina Caponi, si ispira.

La collezione autunno inverno 18/19 è un album d’infanzia, i giochi di bambina, le scene oniriche che dai film si mescolano ai ricordi.

E’ il circo con i suoi colori a fare da padrone, nei filati stoppino e mini pull fatti con intrecci di lana rigenerata, sono lavorazioni a mano di proporzioni volutamente enfatizzate, maglioni oversize con maxi righe e mini culotte a trecce in alpaca lurex.

Protagoniste le lunghe sciarpe rigate con e senza tasche che si trasformano in abito, e le culotte a trecce o a jacquard pois in tutti i filati e colori della collezione, dove ritornano i rossi, l’orange, il bianco e il nero.

Guarda qui la collezione autunno-inverno 2018/19 di 16R Firenze:



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Un po’ Charlotte Rampling in “Il portiere di notte“, un po’ Julia Roberts in “Pretty woman“, un po’ Alicia Silverstone in “The crush“, la donna Daizy Shely ha il sex appeal della giovane maliziosa “ragazza della porta accanto” interpretata dalla Silverstone e la dolcezza inaspettata della ribelle Vivian.

Partendo dalle multisfaccettate personalità femminili, la designer Daizy Shely ci regala una collezione autunno inverno 2018/19 davvero unica; gli abiti da cocktail drappeggiati fasciano il corpo scoprendo le spalle, e lasciando brillare alti colletti di swarovski. Vengono abbinati a lunghi guanti tono su tono oppure a contrasto per un effetto rock. Ci ricordano il momento magico in cui Vivian, seduta al bancone di un bar, si volta verso Edward e rivela la sua prima trasformazione, da ragazza di strada a donna glamour ed elegante.


ai lati abiti dalla collezione FW 18/19 Daizy Shely, al centro Julia Roberts in Pretty Woman


Gli abiti da sera sono in velluto arancio intenso o in satin blu elettrico.

Declinati per il giorno, senza calze, o per la notte, con calze a rete rigorosamente rosse, i completi top e gonna in tessuto scozzese, in stile college, ci trasportano nell’America dei primi ’90, ragazzine con gonne plissettate che scorrazzano per le strade sui Rollerblade, come faceva la sedicenne Cher Horowitz in “Ragazze a Beverly Hills“, tra pool party e shopping sfrenato.

sx una scena dal film “Ragazze a Beverly Hills” – dx collezione Daizy Shely FW18/19


Omaggio al capolavoro della regista italiana Liliana CavaniIl portiere di notte“, il berretto militare Daizy Shely rivisitato con veletta, un simbolo rigoroso e severo che racconta di un amore sadomasochista tra una vittima, la ragazzina ebrea sopravvissuta al campo di concentramento interpretata da una misteriosa e impassibile Charlotte Rampling, e il suo aguzzino, che lavora in un albergo di notte nella città di Vienna.

Accessori abbinati a stampe create in collaborazione con l’artista Umberto Chiodi, sono rose rosse che si fanno strada su una superficie rosso sangue. E non hanno bisogno di spiegazioni.

E’ una pagina di diario questa collezione Daizy Shely, che forse ha voluto raccontarci di una sofferenza passata e di una trasformazione, una nuova vita, così come succede a quel bruco che diventa splendida farfalla.



Sfoglia qui l’intera collezione autunno inverno 2018/19 Daizy Shely:



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Il Best of dal Salone del Mobile 2018

Allestimenti teatrali, prosceni domestici, la fotografia della “casa che tutti vorremmo”, i set d’arredo di questo Salone del Mobile 2018 hanno lasciato il segno.

Non a caso il risultato è più che positivo, arrivato alla sua 57a edizione, conta 434.509 presenze provenienti da 188 paesi, con un incremento del 17% rispetto all’edizione 2016.

Il Salone del Mobile si riconferma quindi leader di attrattiva commerciale e di rappresentanza dei valori e delle esigenze del mercato.

Qui abbiamo voluto raccogliere una parte delle aziende che hanno esposto al Salone del Mobile 2018, ecco il nostro BEST OF:


BADGLEY MISCHKA HOME

Madonna, Jennifer Lopez, Rihanna, Sharon Stone, Julia Roberts, Kate Winslet, Taylor Swift e Sara Jessica Parker hanno indossato i loro abiti nelle serate di gala e durante occasioni mondane, oggi il brand di moda Badgley Mischka veste le stanze di casa.

Dopo il grande successo che li ha visti nominati tra i 10 migliori designer americani da Vogue America, la coppia artistica Mark Badgley e James Mischka, si cimenta nelle loro passione dell’interior design, con una collezione presentata per la prima volta nel febbraio 2017 durante la New York Fashion Week ed ora all’evento di design che raccoglie addetti al settore di tutto il mondo: Il Salone del Mobile di Milano.




L’ispirazione è quella della Hollywood anni ’40, con 200 pezzi fatti a mano e destinati all’arredo di sale da pranzo, soggiorno e camere da letto, con oggetti decorativi quali sculture, candele, cornici di metallo lavorato, dalle forme essenziali e pulite.

Per la collezione Bagdley Mischka Home, i tessuti utilizzati vengono prodotti in America, per gli accessori invece è nata una partnership con PTM Images di Los Angeles, produttore leader di carte da parati e mobili, un matrimonio nato per consentire un livello qualitativo molto alto e soddisfare così i clienti più esigenti.



CITCO

Per il Salone del Mobile CITCO Privè ci porta in viaggio verso Cina, Cambogia, Indonesia, dove troviamo animali selvaggi e maestosi dragoni, intagliati rigorosamente su pregiati pezzi di marmo.

I colori sono vivi come quelli delle foreste, verdi accesi come le foglie e arancio brillanti come l’uccello del paradiso.

Nella serie “Saigon” CITCO omaggia le tradizioni dell’antica Cina, dove il dragone è simbolo di potere, di forza e buona fortuna. Dietro l’intaglio del drago, sono state apposte strisce di colore verde bianco e nero, linee accurate che lasciano spazi vuoti per far meglio risaltare la figura dell’animale.



All’India è dedicato il prestigioso pezzo del rinoceronte, animale spesso associato al mitologico unicorno per via del corno che sorge tra i suoi occhi. Questa gloriosa testa di rinoceronte è un incredibile esempio delle più avanzate tecniche di progettazione digitale. Progettato con un so ware parametrico e realizzato esclusivamente con macchinari a controllo numerico, questo pezzo vanta un design molto dettagliato.



SMANIA:

Smania riconferma la sua presenza al Salone del Mobile con uno spazio dedicato al lusso senza tempo e presenta un ampio ventaglio di nuove proposte raffinate ed eleganti che interpretano al meglio la cultura artigianale aziendale. Per quest’anno l’architetto Massimo Iosa Ghini si fa portavoce SMANIA con una collezione completa e ricercata, espressione di passione e dedizione, l’unione tra tradizione e contemporaneità.


Nel caleidoscopico catalogo di Smania troviamo

BELMOND, un divano modulare componibile in pelle e tessuto, con cuscini di grande formato riposizionabili;

EMBASSY, un’originale seduta dinamica ed accogliente, dalle superfici e dalla scocca interamente imbottite e dai braccioli con forma arcuata;

GRAND SOHO, un letto matrimoniale impreziosito dalla testiera imbottita in pelle, che coniuga il comfort quotidiano ad un aspetto morbido e avvolgente;

DALTON, un pouf imbottito dalle linee essenziali e dalle forme arrotondate, pensato come accessorio da abbinare al letto Grand Soho.


A completamento, la volontà di dare spazio a un’estetica accogliente e ricercata, con la collezione SMANIA outdoor firmata  Alessandro La Spada,  forme organiche, linee morbide e curve sinuose, ispirate ai profumi e alle sensazioni di meravigliosi giardini in fiore.




ALTAMODA ITALIA IN TOSCANA

Sono le meraviglie delle terre toscane, luogo di nascita del brand, che fanno capolino nella collezione ALTAMODA in questo Salone del Mobile 2018. Dalla camera da letto alla zona living, tutto il profumo dei fiori e degli aromi di una terra magica, i colori che ci regala, la sinuosità delle sue colline.

Arredare la casa a 360 gradi si può con ALTAMODA, che produce tendaggi con preziosi tessuti made in Italy, complementi d’arredo, lampadari, ma anche essenze e fragranze.

Allo stand E29 fino al 22 aprile, ALTAMODA sfoggia un kimono, simbolo di stile eleganza e grazia, come pezzo iconico della nuova collezione 2018.



VG CONCEPT & DESIGN BY LEA CHEN

Uno spazio le cui creazioni sono collocate come nelle tradizionali case cinesi, patria dell’architetto e interior designer Lea Chen.

Auspicio Dresser è una reinterpretazione di una cassettiera larga e bassa, tradizionalmente collocata al centro delle zone living posta di fronte al bang riscaldato, un tradizionale letto matrimoniale fatto di mattoni. Cassettiere che contenevano oggetti di uso quotidiano e talvolta includevano scomparti segreti per riporre oggetti di valore, lo abbiamo visto fare anche dalla nonna, che nascondeva soldi e gioielli all’interno di qualche mobile antico. Può essere utilizzato come mobile contenitore all’interno di un grande armadio o essere collocato in camera da letto; grazie alla sua dimensione può anche fungere da credenza in sale da pranzo o zone giorno.



Esiste un armadio che pare abbia mille occhi, compare spesso nelle scene dei film provenienti dal Sol Levante, sono ex mobili da farmacia, contenitori per centinaia di scatolette e prende il nome di Yaochu. Tutti i cassetti sono estraibili per porvi dentro in tutta comodità erbe ed ingredienti della medicina cinese. Oggi reinterpretato Royal Medicinal Cabine, ha uno stile raffinato e contemporaneo, i cassetti sono incorniciati da un top ed un supporto arrotondato in finitura oro lucido 24k, mentre i dettagli dei cassetti includono una finitura bicolore che separa l’esterno e l’interno, con pomelli in finitura oro lucido 24k che conferiscono eleganza all’intera struttura.


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La musa Piccione Piccione Autunno Inverno 18/19 è una femme fatale

PICCIONE PICCIONE AUTUNNO-INVERNO 2018-2019


Un giovane cavaliere incontra una fanciulla dagli occhi selvaggi che dice d’esser figlia di una fata e lo conduce alla Grotta degli elfi portandolo alla perdizione, come fece Circe con Ulisse.

La donna fatale è argomento prediletto per i preraffaeliti e per il poeta inglese John Keats autore della ballata “La belle dame sans merci“, da cui prende ispirazione il dipinto di Frank Cadogan Cowper.

Un lungo abito rosso che poggia su un prato di papaveri, così come i lunghi capelli ramati della protagonista, il fascino di chi domina la scena senza richiederne l’attenzione, la dama non ci guarda, ma siamo noi ad esserne catturati, il grazioso gesto di acconciarsi i capelli, l’incavo delle braccia tese, la nuca verso il basso di chi ammette la propria “innocenza”. Colori e atmosfere che vanno in scena alla sfilata Piccione Piccione per la collezione Autunno Inverno 2018/19.

Sx abito Piccione Piccione – dx dipinto di Frank Cadogan Cowper


La musa di Salvatore Piccione, designer del brand, è femminile e morbida, è leggera come i fiori di ciliegio che colorano la primavera, come le pennellate di un paesaggio giapponese. Le preziose decorazioni floreali le troviamo sulle camicette in velo, sulle gonne a tulipano, sulle lunghe mantelle imperiali.



La donna Piccione Piccione conserva il suo romanticismo, ma si emancipa.
Veste in libertà le ore della sera, in paillettes rosso fuoco e diamante, sotto le giacche taglio uomo lascia intravedere la lingerie; la palette colori va dal giallo acceso all’azzurro pastello e dal rosa tenue al blu elettrico.



Guarda l’intera collezione Piccione Piccione Autunno Inverno 2018-19:


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L’Art Deco’ nella collezione jewels Mi-ja 2018

Chi non ha mai letto “The Great Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald o ha per lo meno visto l’ultima interpretazione del talentuoso Leonardo DiCaprio nel film di Baz Luhrmann?!

L’opulenza, lo sfarzo,  il raffinato mondo delle socialitè nei ruggenti anni ’20, soprattutto quelli parigini, che coltivano la ricerca del lusso e la piacevolezza del vivere quale primario scopo della vita. Lo stesso periodo artistico dell’Art Deco’, sintesi dalla dizione Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes, (Esposizione internazionale delle arti decorative e industriali moderne) del ’25 che  interessò il secondo e il terzo decennio del secolo XX a riguardo delle arti decorative, dell’architettura, della moda e delle arti visive.

A questo movimento si ispira l’elegante collezione 2018 di Mi-ja, jewelry brand nato dall’unione di una designer e di un fotografo, Camilla e Andrea, classe ’88 e ’90.

lampadario stile art deco’ con foglie in oro – dx orecchini collezione Mi-ja 2018


Il gusto Art deco’ fu lo stile che si dipano’ tra i teatri, nelle residenze borghesi, nelle sale cinematografiche, nelle stazioni ferroviarie, importanti esempi sono l’auditorium del Radio City Music Hall e la guglia del Chrysler Building.


Uno stile sintetico, aerodinamico, ricco, a cui successe un certo interesse  per le culture primitive dell’Egitto, dell’Africa e del Messico azteco. Linee che tornano anche nella new collection Mi-ja, dove i giovani artisti reinterpretano il gusto della gioielleria con l’utilizzo di bronzo dorato galvanizzato, le geometrie sono nette, i tagli perpendicolari, con possibilità di varie colorazioni per gli smalti, che vanno dal verde acqua al blu klein, dal bianco al nero petrolio.

anello collezione 2018 Mi-ja – dx guglia del Chrysler Building


Contaminazioni barocche per la collezione “Mad-Ame”, presentata al White di Milano di questo anno, in cui il tema “foliage” torna su orecchini, ciondoli, decorazioni di anelli.

L’accessorio diventa così elemento interpretativo del look e della persona, una forma di riconoscimento, una firma, la risposta di un gusto, una scelta di stile.

Mi-ja è la gioielleria per la donna che ama il gusto, conosce le tendenze e riconosce il valore di un oggetto che non passa, come le mode, ma diviene parte di un rito quotidiano, come quello di indossare un anello prima di uscire di casa.


Puoi sfogliare qui la collezione Mi-ja 2018:




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Leda di Marti collezione primavera estate 2018

Se cercate un brand che rappresenti la vostra veracità, Leda di Marti fa al caso vostro, la fotografia di chi alla propria terra ha radici ben ancorate, di chi l’ama e non può fare a meno di raccontarla, anche attraverso la passione della moda. Questa è la storia di Martina Grisolia, designer del brand, che alla sua amata Calabria dedica la collezione primavera estate 2018.

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I gialli accesi dei limoni, gli azzurri dei mari del sud, i rossi dei piccanti peperoncini, ogni elemento legato alla terre calabresi, diventano oggetto protagonista del capo, dai mini dress alle camicie in chiffon, dalle t-shirt alle longuette in cotone.

Le stampe sono la perfetta riproduzione dei disegni fatti a mano da Martina Grisolia, una connessione arte-moda che ha portato la designer alla realizzazione di un sogno.
Un sogno cui ha dato il nome di una dea, Leda, musa di pittori e scultori, che in lei raccontano la passione, la fertilità, la femminilità.



Guarda la collezione Primavera Estate 2018 Leda di Marti:



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COLLEZIONE AUTUNNO INVERNO 2018/19 DI ANTEPRIMA 

“Less is more”, essenzialità, linearità e semplicità, nessuna opulenza, nessuno sfarzo, nessun orpello, questo il motto di Anteprima per la collezione Autunno Inverno 2018/19.

Long dress dalla linea fluida e morbida, abiti con il punto vita segnato da una cintura sottile, maglioni formato maxi, maxi anche le pellicce senza collo e i coat con sciarpa che avvolgono dolcemente il collo in un caldo fiocco.

info@imaxtree.com

La collezione Anteprima per la stagione autunno-inverno 18/19, chiede in prestito i colori alla natura: caldi i marroni con i punti luce degli accessori quali orecchini e scarpe, verdi in diverse tonalità e sfumature per le gonne plissettate, a portafoglio, i trench e i capispalla formato over.

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Una collezione esempio di come l’eleganza passi attraverso la qualità dei capi, l’armonia degli accostamenti, l’equilibrio delle forme.

Per gli accessori slingback o Mary Jane, secchielli con dettagli gold, borse rigide color cuoio, amaranto e bordeaux, orecchini oro che sembrano piccole sculture.
Per la sera la donna Anteprima rimane fedele alla sostanza ma impreziosisce le borse, le scollature si fanno più profonde e gli abiti paillettati e lucenti.



Guarda la collezione Anteprima Autunno Inverno 2018/19:


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Dalle più impensabili pagine di letteratura, tra le note di una sconosciuta canzone, nelle rime di una poesia, la moda prende le sue ispirazioni. L’insieme di tutte le arti è moda, una composizione armoniosa di forme, che sono matematiche, di formule, che sono chimiche, quello che noi indossiamo è il frutto della fantasia, della ricerca, del sogno di un designer che si fa abito.

E dall’arte pittorica e fotografica, arriva l’eco della collezione Autunno/Inverno 2018/19 di Cristiano Burani. Dal graffitismo di Keith Haring e dal suo linguaggio universale che arriva dalla strada, fatto di segni netti, distinti, popolato da personaggi stilizzati e bidimensionali, ma che veicolano messaggi universali quali l’amore, il sesso, il razzismo, il capitalismo, la droga, il riarmo nucleare…



Mix and match è il filo conduttore Cristiano Burani Fall Winter 18/19 che abbina i tessuti in vinile e lattice a maglie in lana, a lavorazioni a mano dall’effetto tridimensionale. Il vecchio si allea col nuovo creando un contrasto di tendenza, il rock si sposa con il romantico e gli omini di Keith Haring sembrano prendere forma dalle maglie con lavorazioni ton sur ton.



Un sottile erotismo si svela tra le stoffe di questa collezione, stampe in bianco e nero di donne, bocche, corpi, pose osé, ma è necessario vederle da vicino, come se l’abito fosse un invito ad avvicinarsi a questo così tanto criticato mondo della moda, ma forse poco compreso.

Più esplicita la provocazione tutta femminile dell’uso di latex, vernice, vinile, per  jumpsuits, trench, guanti, stivali, tessuti che catturano luce e sguardo, tanto amati anche da Bettina Rheims, il cui ritratto di Monica Bellucci è qualcosa di indimenticabile.





Guarda qui l’intera collezione Cristiano Burani Autunno Inverno 2018/19:



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