“Deep water”, storie vere di sadomasochismo

“Deep water”, guai a chiamarlo thriller erotico

È doveroso iniziare citando i numerosi commenti dei numerosi critici cinematografici che molto sanno sulle tecniche di ripresa e poco sull’erotismo.
Cito letteralmente – “Senso di delusione per la mancanza di scene di sesso.” – “Lyne non girava film da 20 anni, i suoi film erotici erano sempre eccitanti, ma qui il sesso è davvero insignificante.” – “Melinda più che un personaggio sembra un insieme di caratteristiche e resta uno stereotipo“.
Qualcuno addirittura arriva a dire “Melinda resta essenzialmente un incubo di castrazione per tutta la durata del film“.

Ebbene, chi ha espresso questi pareri dovrebbe limitarsi a esprimerli sui vari “Mary Poppins” e “La carica dei 101” di cui si saranno occupati finora anziché addentrarsi in scenari a loro ignoti e incomprensibili. Perchè “Deep water” (Acque profonde) film di Adrian Lyne del 2022, è un capolavoro dell’erotismo. Chi non lo comprende, fa probabilmente parte di quel 99% della popolazione che vive una sessualità mediocre. Cioè assente.


Categorizzare “Deep water” come thriller erotico è limitativo. Il film, come tutti quelli di Adrian Lyne inzialmente sottovalutati, è un esame attento e chirurgico sulla sessualità e le sue dinamiche all’interno della coppia.
Qui Lyne ci descrive una donna, la femme fatale che ammalia perchè disturbata (Hitchcock ce lo insegna in “Vertigo” che le nevrosi si fanno seducenti), Melinda, libera (gira nuda in casa anche in presenza della babysitter), frivola e leggera (beve e balla senza curarsi dei giudizi altrui), e ipersessuata (tradisce il marito e seduce in maniera reiterata).

Ma cosa rende particolare questi tradimenti? Non sono taciuti.
Melinda prova eccitazione solo nella gelosia, sia essa indotta che passiva. Lo capiamo quando invita i suoi amanti alle feste in casa di amici di Vic, il marito, che lo intimano ad essere più riservati e discreti, e quando balla con il terzo incomodo sotto i suoi occhi.
Ma quello di Vic, che la osserva “affascinato” (di una fascinazione luciferina), è uno sguardo ambiguo, che parla di una complicità sofferta, dove la rabbia cova e l’eccitazione sale. Capiamo sin da questa prima scena della festa, che siamo di fronte ad una relazione sadomasochistica.
Il regista, per i più gnucchi, regala anche una postilla, la scena in cui Vic, prima dell’uscita, entra nella camera della moglie (dormono separati, sappiamo quindi che stanno attraversando una crisi coniugale) che lo prega di non guardare il disordine (della stanza? dentro se stessa?), ma di “guardare lei” (narcisismo tipico dei nevrotici) e scegliere l’abito per la festa, insieme alle scarpe che vediamo accompagnate dalle mani di Vic in ginocchio, in una sorta di atto da schiavo devoto, un Severin diVenere in pelliccia“.



Se nella quotidianità e nella noia della routine Melinda non si concede, pur provocando Vic con l’espressività di tutto il suo corpo, ecco che si riaccende quando vede il marito ballare con un’altra, proprio lui che odia stare al centro dell’attenzione, proprio lui che viene incolpato per apatia e mancanza di sentimento e passione. Lo vediamo quando in auto, di rientro verso casa, gli regala una fellatio mentre lo mordicchia in un misto di rabbia, gelosia e piacere.

Un equilibrio disequilibrato, faticoso e pericolosissimo, che però tiene viva la coppia e che fa credere a Melinda, insicura della sua intelligenza, (più volte lei dirà “odio quando sei convinto di essere più intelligente di me“) e terrorizzata all’idea di diventare una donna noiosa (“Se tu stessi con la maggior parte delle donne lì fuori, ti saresti già ammazzato per la noia”) di avere il coltello dalla parte del manico. Un legame a doppia mandata che segue il gioco del gatto e della volpe, ma dove prima o poi qualcuno si fa male.

Non è difficile capire chi, Lyne ce lo svela quasi subito, quando Vic, per spaventare il nuovo amichetto della moglie invitato a casa loro per cena, gli confessa in un ghigno di aver ammazzato l’ex amico di Melinda. E’ in quella sua serafica espressione che percepiamo un certo godimento.

La nevrosi sessuale di Melinda si riassume nella pellicola con una sequenza di atti voyeuristici, Vic spia la moglie mentre flirta in casa sua con il nuovo insegnante di pianoforte o con lo stupido biondo dall’aria da surfista; quando rientra ubriaca in casa il mattino seguente dopo aver passato la notte fuori, quando incontra un nuovo conoscente mentre passeggia noncurante per le strade della città.
E ci mostra soprattutto l’ossessione di Vic nei confronti di Melinda, tra le fotografie che ha scattato durante gli anni della loro lunga relazione: un autoreggente caduto sulle scale di casa, le sue gambe in movimento, calici di vino sulla tavola, il ritratto da sposa, lei distesa sul letto; immagini che lasciano intendere ed immaginare. L’autoreggente è stato sfilato dall’amante o la coppia si era ritrovata su quelle scale a far l’amore? Quei calici portano il segno di quali bocche? Melinda riposa nuda dopo essersi concessa a chi?

C’è tutta la tensione di un erotismo suggerito eppure devastante ed aggressivo come l’ossessione e la malattia. Ferisco per essere amato, scappo per essere preso, se non è erotismo questo, consiglio ai signori critici di fare qualche ripassino, partendo da “Venere in pelliccia” di von Sacher-Masoch; “Les liaisons dangereuses” di de Laclos e La mia droga si chiama Julie (La Sirène du Mississipi) di François Truffaut. Ma è sempre vera la teoria che consta il poter comprendere un’emozione solo quando la si è vissuta, per questo vi auguro di diventare dei nevrotici erotomani.



Ma il colpo da campione ci arriva solo alla fine del film, quando Melinda trova il portafoglio di uno dei suoi numerosi amanti nella stanza dove Vic alleva lumache, scoprendo quindi che è stato il marito ad uccidere Tony, l’ultimo amante.
Vic rientra in bici dopo aver occultato il cadavere in un fiume, lei lo attende fuori casa. Si scambiano un lungo sguardo. E poi il silenzio.

Che c’è?
Niente” (sulle labbra di Melinda una leggere soddisfazione, la stessa che scopriamo in Vic attraverso lo specchietto retrovisore quando aveva ucciso Tony).
Melinda, prima di lasciare la scena ed entrare in casa, incalza:
Ho visto Tony” – (e qui il regista ci mostra la donna mentre brucia le fototessera e i documenti dell’amante ammazzato.)

Cosa vuole dirci? Che lei, anziché lasciarlo come avevamo dedotto dalle valigie pronte, decide di restare, resta nella violenza (profondamente, la desiderava da tempo, la istigava nei comportamenti e nelle coatte accuse a Vic di passività), sceglie, ancora una volta, la complicità malata, che pare essere l’unica a farla sentire viva.

Acque profonde (Deep Water) film del 2022 diretto da Adrian Lyne



(foto Pinterest)

Cà Rugate, il vino che nasce dalla cura

Ci sono due modi per far andar bene le cose: con la disciplina, e con l’ossessione.
Ed il primo modo è l’elaborazione del secondo, per cui sono destinati a viaggiare a braccetto.
Per Cà Rugate, azienda agricola che si trova a Montecchia di Crosara, in provincia di Verona, questo è il timbro di famiglia, un albero genealogico antico cento anni e che culla ben quattro generazioni.

A suggello di radici profonde e radicate, come quelle delle piante che amano e coltivano, Cà Rugate ha quale simbolo una casa, il luogo dove tutto ha avuto inizio e dove l’identità della famiglia e dell’azienda hanno preso forma.

750.000 bottiglie per gli oltre 90 ettari tra Soave Classico, Valpolicella e Lessini Durello, dove si coltivano varietà autoctone come Garganega, Trebbiano di Soave e Durella per i bianchi, Corvina, Rondinella e Corvinone per i rossi, ed un percorso importante di agricoltura biologica, salute per la vigna e soprattutto per il consumatore finale.
All’interno dei vigneti ad esempio, si è rivelato strategico l’inserimento di boschetti naturali: offrono rifugio e habitat a insetti utili che, in modo naturale, agiscono come antagonisti dei parassiti indesiderati. Un equilibrio biologico che contribuisce alla salute della vigna.


Museo del Vino – Fattoria Didattica della Regione Veneto – Fattoria Sociale

Il 50% del mercato di Cà Rugate è internazionale, esportando i propri vini in ben 45 paesi, ma l’azienda continua ad investire e credere fortemente nell’enoturismo come motore culturale: il consumatore vuole emozionarsi, essere coinvolto, vivere il vino.

Tutto, dal paesaggio, all’accoglienza in Cà Rugate, partecipa a questa narrazione immersiva, in uno scenario che ospita la Fattoria Didattica della Regione Veneto, con percorsi per istituti scolastici; una Fattoria Sociale, sede di un parco faunistico di oltre 3.000 mq. per la valorizzazione del turismo inclusivo e laboratori creativi per persone con emotività diverse; ed un bellissimo Museo del Vino, sito di interesse regionale dove è stata fedelmente riprodotta l’abitazione di un contadino inizi ‘900, gli attrezzi del mestiere (oltre 150 strumenti), la radio che manda le notizie dell’epoca, la tavola apparecchiata con tovaglia a quadri rossa e bianca e l’immancabile fiasco di vino, un tempo succedaneo alimentare, vera fonte di sostentamento nei momenti di scarsità.
Le foto della famiglia Tessari appese al muro, ricordano la fatica e il duro impegno di chi tutti i giorni combatte con qualcosa che non può controllare: natura e tempo. E allora inizia ad imparare che le cose buone vanno attese, come il buon vino.

Museo del Vino

La Storia del Vin Santo di Brognoligo
Tradizione, cultura e identità di un territori
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Nel cuore di Brognoligo, piccola frazione di Monteforte d’Alpone — il comune più vitato d’Italia — nasce una delle espressioni più autentiche della viticoltura veneta: il Vin Santo. Una tradizione profondamente radicata, tramandata di padre in figlio, che affonda le sue origini nel tardo Settecento, quando la scarsità di uva spinse le famiglie locali a produrre un vino dolce, raro e prezioso.

Prodotto inizialmente per uso medicamentoso e come moneta di scambio, il Vin Santo veniva offerto alle puerpere per rafforzarsi e utilizzato dai fittavoli come dono al proprietario terriero durante il rinnovo dei contratti agrari. Il suo valore simbolico e sociale era altissimo, e ancora oggi è celebrato con fierezza durante la Sagra del Vin Santo, giunta alla 73ª edizione, che si tiene ogni anno la prima domenica di giugno.

Solo cinque famiglie a Brognoligo lo producono ancora, e Cà Rugate non poteva che distinguersi con un metodo rigoroso: vendemmia solo nelle annate eccezionali. Anzitutto vengono appassite le uve nei picai, si vinifica a dicembre, e il vino viene lasciato in botti di rovere sigillate per sette anni senza interventi; ogni barrique è un racconto a sé, chiusa con mosaico e datata – una vera cassaforte gioiello – fino a ottenere una tiratura limitatissima: circa 300 bottiglie da 375 ml per annata.

E poiché la cultura va scritta, tramandata e celebrata, Cà Rugate ha curato tre pubblicazioni sulla storia del Vin Santo, sul Museo di Cà Rugate e su Fulvio Beo Tessari, figura chiave dell’azienda.

Barricaia



Fulvio Beo Metodo Classico

L’espressione del metodo classico firmato Cà Rugate è tutt’altro che convenzionale: si distingue per una notevole acidità, una tensione vibrante e un carattere soave. Esplorando tutto il potenziale della Garganega, vitigno iconico del territorio, e interpretandolo in una veste diversa come base spumante, si ottiene un metodo classico non canonico che nasce da una scelta coraggiosa ed eclettica.

Fulvio Beo Metodo Classico è una bollicina dedicata al padre storico di Cà Rugate, in occasione del suo centenario e celebrato nel 2015; è una Garganega spumantizzata, affinata 24 mesi sui lieviti e proposta in versione extra brut: una cuvée elegante, pensata per raccontare la longevità e la versatilità del vitigno.

San Michele Soave Classico

Accanto a questa etichetta speciale, resta immancabile il grande classico: il San Michele. Un Soave classico, garganega in purezza, vinificato in acciaio, fresco, armonico e perfetto per l’aperitivo. È il vino bandiera di Cà Rugate, esportato in oltre 45 paesi nel mondo, che ha contribuito in maniera decisiva a farne conoscere il nome a livello internazionale.


Il tempo, la cura e il rispetto della materia

Il metodo classico richiede pazienza. E passione. Al dodicesimo mese, mentre i lieviti continuano il loro lavoro silenzioso trasformando zuccheri in bollicine attraverso la fermentazione in bottiglia, il processo che ogni bottiglia segue è totalmente manuale, posizionate, spostate e monitorata a mano, perchè ogni gesto è parte di un rituale collettivo che richiede dedizione e precisione.

In cantina, il tempo è una variabile fondamentale. La geometria delle file, l’ordine, la pulizia visiva e strutturale – tutto a Cà Rugate viene fatto con rigore, non per estetica, ma per convinzione, perchè la precisione è forma di rispetto.
Il loro motto è: “La cura è il principio dell’esistere”: prendersi cura significa riconoscere valore, restituire senso, dare dignità anche alle cose. Qui ogni bottiglia ne è testimone.



Amarone – La forza dell’altitudine

Accanto alle bottiglie, anche le botti raccontano un altro volto del tempo. Amarone, Valpolicella, Recioto e Passito riposano in grandi botti di rovere austriaco da 20 ettolitri. Le botti sono firmate da Franz Stockinger, un maestro bottaio austriaco riconosciuto per la qualità e l’affidabilità delle sue creazioni, botti piegate a vapore e non a fuoco, per evitare la dispersione tipica del legno “affumicato” e lasciare che il vitigno esprima al meglio il frutto e la sua tipicità.
Il legno in questi casi, quando il tempo in cui liquido e contenitore sono a stretto contatto, diviene interlocutore vivo del vino, lo accompagna nell’evoluzione, ne scolpisce l’anima.

Esempio d’eccellenza è il Cima Caponiera, un Amarone della Valpolicella Classico Riserva Docg che riposa per cca 4 anni, i cui 600 metri di altitudine della vigna giocano un ruolo essenziale, accentuando sapidità, eleganza, linearità, e una complessità di beva che sprigiona tutti i richiami dell’uva appassita. Mora, ribes e ciliegia, sentori speziati, un vino evocativo e coerente, un vero e proprio lieu-dit, come direbbero in Borgogna.

Ogni cru di Cà Rugate è segnalato da un cippo evocativo in pietra, dove vengono incisi nome e altitudine del vigneto, ispirandosi ai modelli francesi. È un gesto simbolico, ma potente: valorizza il territorio, l’identità del cru, e conferisce ulteriore prestigio alla denominazione della Valpolicella.

Matteo Calcagno vince la “PiùCinque Competition 2025”

MATTEO CALCAGNO È IL NUOVO “LOCAL TRADITION BARTENDER OF THE YEAR”

Poco tempo fa durante un talk mi è stato chiesto “cosa manca alle aziende che si occupano di beverage, in fatto di comunicazione“. Se avessi vissuto prima l’esperienza alla “PiùCInque Competition“, avrei risposto più esaustivamente. Perchè qui ho trovato ciò che molto spesso manca alle aziende, l’umanità.

PiùCinque di fatto non è solo un gin, ma una famiglia formata da persone che lavorano e si impegnano in maniera corale per un progetto in cui credono fervidamente, dove non c’è solo la volontà di far star bene il cliente finale, ma l’intera filiera che ogni giorno elabora progetti, si ingegna per crescere e insieme (forse a loro insaputa), seminano altri seguaci e sostenitori.

La PiùCinque Competition, alla stessa stregua, non si pone come unico obiettivo quello di eleggere un vincitore, piuttosto risulta un escamotage per fare squadra, per rivedere amici, per ridere insieme, per imparare, per sostenersi.
Per questo motivo ogni finalista è accompagnato da un tutor, che li sostiene, li consiglia, li supporta in quella che ogni tanto fa tremar la voce e le mani, una gara dove ad emergere non è solo il cocktail, ma la personalità del bartender, le sue radici, le fragilità, gli affetti, la memoria.

E quale migliore luogo se non il mare, per accogliere un evento così carico di energia e buoni propositi?
Il mare di Senigallia fa da sfondo alla finale dove Matteo Calcagno, Christian Costantino, Federica Di Lella, Daniele De Angelis e Asia Abballe hanno raccontato la loro storia in un bicchiere.

I finalisti



GIURIA TECNICA 2025

A giudicare i 5 finalisti, una giuria tecnica di cui faccio parte e che mi permette di ringraziare il team PiùCinque per questa esperienza speciale, esempio per chi vuole tornare ad una comunicazione fatta di persone e non solo di numeri.
Nel dettaglio:

LUCA BRUNI (Presidente di giuria)
Tra i volti più premiati della miscelazione italiana, è vincitore di titoli come Altos Bartender dell’Anno ai Barawards, Best Bartender Under 35 ai Food & Wine Italia Awards, e campione italiano e globale di World Class 2024. Conquista anche la scena narrativa, vincendo la finale italiana di The Vero Bartender by Amaro Montenegro.
Giudice tecnico e severo, Luca Bruni ha messo il pepe alla gara con richieste “out of the box“.

GIULIA CASTELLUCCI (Rem Trastevere, Dude Pigneto, Led Dragon – Roma)
Imprenditrice e bar manager, guida progetti di successo nella capitale ed è volto televisivo Gambero Rosso / La7.
Esperienza davanti e dietro il bancone, Giulia è stata lo spirito empatico della giuria, sottolineando che un professionista deve sì essere preparato, ma senza mai dimenticare che dietro quella station ci sono uomini e donne che stanno lavorando anche sulle proprie emotività.

MIRIAM DE NICOLÒ
Fondatore e Direttore di SNOB Magazine, Marketing Director, sommelier AIS, Formatrice in Art Direction ed Editoria.
La mia è volutamente stata una visione da “cliente”, perchè alla fine è il cliente che sceglie, il cliente che torna. E quando torna vuol dire che si è lavorato bene.
Convinta che gli italiani siano i numeri uno in fatto di ospitalità, sono felice di aver ascoltato storie di nonne e madeleine proustiane, che mi hanno permesso di fare un viaggio nelle terre di questi ragazzi così pieni di sogni e speranze, nella Sicilia più vera e nei riti scaramantici del Sud Italia, tutto nel sorso di un bicchiere.

GIUSEPPE CAMUNCOLI
Fumettista Marvel/DC (Batman, Spider-Man, Darth Vader), co-fondatore di Foodmetti, festival che unisce fumetto e F&B.
La conoscenza di chi oltre, ai cocktail, ama la compagnia più vera, quella fatta ancora di “Come stai” “Ci vediamo per un drink?

PAOLO GORI
Chef della storica Trattoria Da Burde (Firenze), custode della cucina popolare toscana e sostenitore delle filiere locali.
Poche parole, molta conoscenza. Uno chef che riconosce nella mixology, una cucina liquida.

La Giuria

TUTOR

Nella grande community, i tutor che hanno animato la due giorni tra le colline di Mondavio, in una serata distensiva pre-gara che ha aiutato a stemperare le tensioni e a radicare amicizie e conoscenze:
Umberto Oliva (Bartender e Consulente freelance), l’anima della festa e simpatizzante di tutti i concorrenti; Francesco Bonazzi (Farmily Group — Milano), che si è cimentato in un’apparizione déshabillé come spalla di Calcagno; Antonio Tittoni (Depero — Rieti) con Costantino; Nicolas Di Maria (Move On — Firenze), tutor di De Angelis; Leonardo Scorza (Serre Torrigiani — Firenze), braccio di Asia Abballe del MAG La Pusterla, ed in primis Giorgio Lupi, ideatore, voce, animatore, moderatore, leader e trascinatore di questa grande festa, inflessibile e rigoroso durante la gara, ma capace di dosare grande generosità nei momenti conviviali. Giorgio Lupi è il Brand Development Manager PiùCinque.

Finalisti e Tutor

LA FINALE

A giocarsi la finale Matteo Calcagno (Cogo. Drink Food & Burger — Cogoleto GE) con il drink manifesto “Essenza Genovese”, uno scrigno di rosa e tradizioni della Valle Scrivia; e Christian Costantino (Marina del Nettuno Lounge Bar — Messina) con “Briscola in Cinque (E PIÙ)“, tutta la grinta e la simpatia dell’Isola dei mori; una Speed Challenge con 5 classici eseguiti in sequenza (di cui uno alla cieca) e una Mystery Box con foglie di olivo, fico, pomodoro, alloro, finocchietto e rosmarino da utilizzare tutti in miscelazione o come garnish.

Matteo Calcagno ha convinto tutti con “Adamo ed Eva +3”, un cocktail che racchiude un ingrediente preso dalle preparazioni dei 3 finalisti non più in gara, aggiudicandosi il titolo di LOCAL TRADITION BARTENDER OF THE YEAR 2025. Calcagno volerà ora per una guest night internazionale, a scelta tra New York, Dubai o Hong Kong, omaggiati da Gin PiùCinque.

Il risultato è un cordiale ricco e stratificato, vegetale e intenso, che accoglie foglie, erbe, spezie e note inedite con base Gin PiùCinque, accompagnato da succo di lime e un olio extravergine d’oliva infuso con polvere di rosmarino e rametto d’olivo bruciato. Tocco finale, una soda alle foglie di alloro e basilico, per chiudere con un accento erbaceo e luminoso, l’unione di tutte le regioni della nostra amata Penisola.

PiùCinque segna quest’anno un’ulteriore punto a favore dell’ospitalità, la Competition è un segnale forte che vuole ricordarci l’importanza di un mestiere volto a farci star bene, a far sorridere chi entra in un bar perchè ha avuto una giornata storta, a regalarci una parola gentile, un consiglio a tornare ai contatti umani, al ritrovarsi intorno a un tavolo per chiacchierare. Il drink è da accompagnamento, che ora si fa eccelso, si imbelletta, si veste a festa, vero, ma quel che conta non è solo il suo contenuto, ma quel che ci sta intorno.


Matteo Calcagno, il vincitore

SALI, il nuovo izakaya nel centro di Milano

Dove c’è il suo nome c’è personalità.
E salendo da SALI (sì il nome è proprio un invito), il nuovo izakaya sito al settimo piano del Radisson Collection Hotel Santa Sofia, si capisce che Alessandro Mario Cesario ha fatto centro. Anche questa volta.

Ma chi è Alessandro Mario Cesario?
Ex proprietario e ideatore di The Yard poi Doping Club, oggi a Casa Tobago che ripercorre lo stesso concept ma rinnovandosi, ed ora con SALI, ha ideato e timbrato a fuoco uno stile unico dei cocktail bar milanesi. Maximalisti con un gusto estremo ed una capacità di mixare arredo vintage con pezzi di design, stili esotici con l’essenzialismo Japan. Tant’è che qui da SALI ci si aspettava di “ritrovarlo”, invece ci stupisce per il “less is more“, seguendo lo stile “iki“, e aprendosi ad un pubblico internazionale.

Caldi gli ambienti nell’illuminazione che ricordano lanterne rosse e atmosfere alla Wong Kar-wai
, statuette souvenir di qualche viaggio nel Sol Levante, ritratti dove l’arte del tatuaggio prende forma su volti giapponesi con l’horimono.

E a spiazzarci, dei balconcini stile parigino che si fanno spazio tra i tetti, con una vista sulla città meneghina, un pot-pourri di richiami alle città più stylish del mondo.
A firmarlo insieme a lui, Christian Brigliadoro, socio del gruppo Sequoia, un passato nel settore della moda, un segno importante di riscrittura dello stile e dell’accoglienza, e la progettazione realizzata in
collaborazione con l’architetto Luca Piccinno di MaisonP, studio di interior design.

A capitanare SALI per la scelta F&B, Daniel Jonathan Selby (Operation Beverage Manager, già The Connaught di Londra) e la visione mixologica di Alessia Bellafante e Dario Baturi (Bar Manager).

I sapori sono umami, fermentati, con ritorno costante di cereali e sakè, tra i signature:

  • Hokkaido, in stile Old Fashion con Hibiki Japanese Harmony, sesamo,
    shiromiso, dal sapore Umami e accompagnato con cioccolato fondente;
  • Kansai, un punch con Casamigos Blanco, Bulleit Bourbon, Tè Matcha, yuzu e
    cocco, servito con Mochi a sorpresa;
  • Aomori, a base di Amazake, Sakura Bancha Cordial, profumo di cardamomo,
    per un drink dalle note maltate, in grado di riprodurre il rituale del Sakè
    giapponese.

La proposta gastronomica è guidata da Chiara di Salvo, giovane talentuosa Chef formatasi alla corte di Gordon Ramsey, e coadiuvata da Ulisses Sangalli (già Polpo Milano), seguendo il vero stile izakaya che vede il cibo in “sharing“:

  • Sando di Wagyu (Koji e yuzu e coleslaw di cavolo cinese) per esaltare la
    pregiatissima carne Wagyu, reinterpretandola in una forma moderna e
    accattivante, come un sandwich gourmet che esalta la tenerezza e il sapore
    unico della carne;
  • Yakitori (nelle versioni con pollo e cipollotto, friggitelli, mazzancolle e
    Wagyu), non semplici spiedini, ma un’esperienza scenografica;
  • Chirachi Crispy Rice, ovvero “bocconi bite” di tartare di tonno e salmone su
    riso croccante.

SALI è un piccolo viaggio in Giappone pur rimanendo in città, ma soprattutto un cocktail bar raccolto, intimo, dove “accoglienza” e “ospitalità” fanno da padroni, e un nuovo modo di vivere l’appuntamento del drink.


DOVE SI TROVA SALI
Settimo piano presso Radisson Collection Hotel Santa Sofia Milano
Ingresso da Corso Italia 29, Milano
M4 Santa Sofia
Mercoledì e giovedì, dalle 18.00 all’1.00
Venerdì e sabato, dalle 18.00 alle 2.00
Domenica, dalle 18.00 alle 0.00

Addio a Sebastião Salgado, il fotografo umanista che amava la Terra

L’ultimo suo grande progetto è stato “Amazônia”, allestito presso Fabbrica del Vapore a Milano nel 2023, immagini testimonianza di ciò che sopravvive prima di un’ulteriore progressiva scomparsa.

“Il mio desiderio, con tutto il cuore, con tutta la mia energia, con tutta la passione che possiedo, è che tra 50 anni questa mostra non assomigli a una testimonianza di un mondo perduto” affermava Sebastião Salgado, che oggi ci lascia all’età di 81 anni.
A darne l’annuncio l’Académie des Beaux-Arts di Parigi di cui era membro, la cause sono ancora ignote.

Ci lascia non solo il più grande fotografo umanista dei nostri tempi, ma un uomo che ha dedicato la sua vita ad una missione, quella di cambiare la visione delle cose e del mondo. Con la sua sensibilità e quel modo gentile di guardare attraverso l’obiettivo, Salgado è riuscito a riportare per immagini i cambiamenti climatici, sociali, economici del Pianeta. Il fine ultimo è sempre stato quello di porre l’accento sulle condizioni dei più deboli, sulla deforestazione, sulla miseria, sugli effetti devastanti delle disparità sociali.

Con “La mano dell’uomo“, il suo reportage più noto, il colossale progetto sulle condizioni dei lavoratori nelle miniere d’oro del Brasile, nei pozzi di petrolio del Golfo Persico, nelle miniere di zolfo Indonesiane, Salgado ci racconta una missione prima di una rappresentazione. La fotografia per lui è stata uno stile di vita, una vocazione.

Con “Genesi” ci ha fatto innamorare degli abitanti della Terra, un omaggio alla Grande Madre e ai suoi figli, pinguini, elefanti, balene vissuti nei luoghi più incontaminati, la meravigliosa biodiversità del Madagascar, della Papua Nuova Guinea e dell’ Emisfero Nord.

Ed è attraverso i video e le testimonianze degli amazzoni e dei loro ritratti in “Amazônia“, che Salgado ci invita ad “ascoltare” e a riflettere sulla situazione degli abitanti della foresta. La foresta, l’ecosistema fragile che le comunità indigene, che la vivono, rispettano e amano. Ma il riflettore, anche se sono loro i fotografati, è su di noi, su tutta l’umanità che ha la responsabilità di occuparsene, partendo dalle piccole cose.

Salgado lascia un vuoto immenso, ma ci lascia anche un grande insegnamento, amare e ripettare la Terra che viviamo. Facciamone buon uso.



(foto Ansa)

Bentley Home – Il futuro del lusso è lifestyle.

Intervista ad Andrea Gentilini, Ceo di Luxury Living Group

Luxury Living Group nasce da una visione d’insieme e dall’esigenza di soddisfare una clientela legata ad un particolare brand, per offrire l’esperienza di vivere la propria casa, immersi nello stile di quel marchio.
Versace, Dolce&Gabbana, Trussardi, Bentley Motors e Bugatti, sono solo alcuni dei brand con cui il gruppo collabora, diventando così leader nel settore dell’arredamento di lusso, con focus sulla progettazione e produzione di mobili e accessori esclusivi di particolare prestigio.

Bentley Home porta nell’ambito dell’interior design la stessa eleganza e la stessa attenzione al dettaglio che caratterizzano le auto Bentley. I prodotti, realizzati da noti designer in collaborazione con l’Ufficio Stile Bentley Home ed il team di design Bentley Motors, si distinguono per le linee accattivanti, per i materiali pregiati utilizzati, per le particolarità e il carattere che contraddistinguono il grande marchio inglese.

La collezione Bentley Home non è una semplice proposta di arredo lusso per clientela esigente, è oltremodo uno stile di vita, la conferma di una grande passione e la voglia di viverla in ogni momento della giornata, a partire dalla propria casa.

Andrea Gentilini, Ceo Luxury Living Group

Luxury Living Group è produttore e distributore da 30 anni dei più grandi brand internazionali del lusso, come si legano moda, design e automotive?

Il ragionamento non va ristretto alle categorie merceologiche, è principalmente una questione legata alla dimensione del brand. Per dimensione non intendo la grandezza o la riconoscibilità, intendo la capacità di quel marchio di interpretare un percorso lifestyle. Quando può farlo? Quando la sua storia è solida, credibile ed affidabile.

Il vostro legame con questi brand, i contratti di licenza, in cosa consistono?

Si trasporta la natura del brand con codici e linguaggi, nella categoria merceologica della licenza e poi si elabora un concetto più ampio di appartenenza. Il nostro macrocosmo è l’arredo, dove proponiamo il prodotto attraverso un marchio di design e lusso, che ha precedenti collaborazioni con volti noti, nomi di designer blasonati, grandi intellettuali, uomini che hanno cambiato la storia. Questo insieme fa dell’oggetto, un pezzo d’arredo sofisticato.

Come scegliete il brand con cui collaborare?

Valutiamo anzitutto la forza, la credibilità del marchio e la possibilità di traghettarlo nell’high-style. Il primo caso è stato con Fendi, poi Versace, Dolce&Gabbana, e il mondo dell’automotive.

Cos’è il lusso?

Il lusso ha attraversato una profonda evoluzione nel periodo del Covid. Si è spostato dall’oggetto al senso di appartenenza, alla condivisione di valori. Se acquisto un prodotto di Hermès, il brand con il posizionamento lusso più interessante al mondo, non sto acquistando una borsa, una Birkin, sto fondamentalmente condividendo dei valori, sto dichiarando che voglio far parte di quella storia e di quei canoni.
Molto spesso queste maison sono guidate da famiglie illuminate, da imprenditori visionari, perché non basta un manager per arrivare al successo, serve tenacia e coerenza, e soprattutto tempo, utile a consolidarsi e confermare la propria identità. Queste sono storie centenarie che si basano su regole inamovibili, che passano anche e soprattutto dalla comunicazione e dal marketing.

Cosa fa Luxury Living Group per aumentare la visibilità del brand?

Cerchiamo anzitutto di non creare delle situazioni che potrebbero essere distoniche rispetto al loro racconto, diamo tutte le garanzie condividendo ogni passaggio (dal layout alla cartella stampa), creiamo condizioni organizzative molto complesse. Ma soprattutto ascoltiamo, perchè la creazione è un bene strumentale durevole. Per quanto prezioso sia il materiale di un nostro tavolo, deve essere in grado di accogliere più persone, le sedie devono rispettare dei carichi di ergonomicità, deve esserci attenzione al dettaglio, deve avere la massima qualità artigianale e Made in Italy. Il risultato è un prodotto capace di emozionare, un gioco da equilibristi.

A quale di questi oggetti si sente più legato?

La scrivania del mondo Bentley Home, tutte le volte che ci passo davanti, mi fermo ad osservarla.

Che prezzo ha sul mercato una scrivania Bentley Home?

Dipende dalla configurazione, in media 70.000 euro la versione base.

Come giustificare questa cifra?

Se compro un abito posso anche accettare che lo indosserò due o tre volte ad una festa, l’abito è un bene intercambiabile. Se compro un divano, devo pensare che quel divano mi ospiterà quando mia moglie mi darà una bella notizia, quando mio figlio mi farà arrabbiare, quando il lavoro andrà male… quel divano sarà il mio migliore amico per tanti anni a venire.

Qual è il messaggio di Bentley Home?

La nostra è una rappresentazione scenografica di un concetto. In questi ambienti il cliente può vedere e vivere come interpretiamo il marchio Bentley all’interno di una casa.
Il nostro atelier è come un hotel di lusso: oggetti, boiserie, decori, tutto è pensato per vivere il film Bentley Home, una scena teatrale dove ogni prodotto suona in maniera armonica.

Com’è cambiato, se è cambiato, il mondo del lusso oggi?

È cambiato geograficamente e culturalmente, approdando ad una dimensione sempre più intima. Un tempo il lusso era solo concetto di appartenenza, l’essere presente a quella determinata lista elitaria, consolidandosi uno status, era ostentazione e possedimenti. Un dato importante ce lo dà il Medio Oriente, per cui l’esclusività identifica la preziosità del prodotto, la scarsità dell’articolo, il numero di pezzi ridotto, meglio ancora il pezzo unico. Per l’Europa, e soprattutto per l’Italia, un articolo diviene prezioso quando è customizzabile e pregiato il materiale, come un marmo Bianco Thassos Extra.
La pandemia ha trasformato un poco questi codici e ha spostato il consumatore verso una ricerca di benessere personale, ha maturato che gli oggetti di casa e l’atmosfera che creano, sono indispensabili per uno stile di vita sano e confortevole. La casa non è solo luogo di passaggio, dove dormire, ma un nido dove vivere ed emozionarsi.

“Quale bellezza salverà il mondo”? A rivolgere questo quesito al principe Myškin è il giovane tormentato Ippolit de “L’idiota” di Fëdor Dostoevskij. Come si pone nei confronti di questa affermazione?

Il mondo salverà la bellezza, perchè è una bellezza lontana dagli stereotipi e lontana dal concetto classico, si parla piuttosto di una sacrale profondità etica, dove grazia e moralità sono indisgiungibili. Io credo che il mondo potrà essere salvato da ciascuno di noi, laddove il singolo individuo si impegni ad essere migliore. La mia visione è più zen che russa, credo nel contributo dell’essere umano attraverso la dedizione, la passione, l’impegno e soprattutto la volontà di fare quel passo in avanti, quel piccolo gesto, verso la gestione di ogni aspetto della vita, sia essa relazionale, lavorativa, sentimentale.

C’è una sorta di oggettività nella bellezza?

Leonardo da Vinci diceva che aveva a che fare con l’equilibrio e l’armonia. Io quando parlo con i ragazzi del nostro team parlo di “intonazione”.

Marilyn Monroe diceva “Se devo piangere preferisco farlosul sedile posteriore di una Rolls Royce piuttosto che su quello di un vagone del Metrò”.

Il lusso non è necessariamente legato al denaro, il lusso concede la possibilità di vivere con libertà alcune scelte. Ho conosciuto gente libera con patrimoni inesistenti. Il denaro regala qualche chance, non la forza di scegliere.

Oggi il lettore vuole sempre più sapere chi c’è dietro un’azienda, lei come si descriverebbe?

I ruoli come il mio sono necessariamente rappresentati da uomini votati. In assenza di passione, ogni impegno diventerebbe eccessivo, a qualunque retribuzione, per qualsiasi visibilità, per qualsiasi scelta egoica. Quando faccio selezione chiedo sempre: “Ma tu sei veramente disponibile a questo?
La mia priorità è il lavoro, pur amando la mia famiglia, se così non fosse, non funzionerei, non raggiungerei i risultati prefissatimi. Sento diversi manager parlare di nuovi metodi di gestione del tempo, io sono meno bravo di loro evidentemente, perchè “ho bisogno di stare sul pezzo”, più degli altri.

(tutte le foto sono state concesse da Luxury Living Group)

Alberto Rossi, “Il Gattopardo” è solo l’inizio

Alberto Rossi è il volto della serie Netflix più discussa del momento “Il Gattopardo”, l’adattamento del capolavoro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, girato fra Catania, Siracusa e Palermo e prodotto da Indiana Production e Moonage Pictures, dopo ben 62 anni dal noto cult di Visconti.

Alberto Rossi, siciliano, 27 anni, interpreta Paolo Corbera di Salina, il figlio maggiore di Don Fabrizio. Un giovane attore di cui sentiremo ancora parlare perchè “Il Gattopardo” è solo l’inizio…

Talent: Alberto Rossi
Photographer: Luca D’Amelio
Stylist: Luigi D’Elia
Stylist Ass.: Paulos Bubbico
Grooming: Barbara Bertuzzi
represented by@production_link @wkgpcrew
Make-Up: Eleonora Juglair
Publicist: MPunto Comunicazione

Total look: Missoni
Mocassino: Santoni

L’abbiamo vista nella serie tv Netflix “Il Gattopardo” – Come ci si prepara ad un ruolo così importante, di un’epoca che non si è mai vissuta?

Credo sia molto importante entrare in relazione con il personaggio, io ho avuto la fortuna di amare Paolo fin da subito, mi sono trovato molto in sintonia perché ho rivisto molto di me in lui. È stato divertente soprattutto perché ci divide qualche secolo, mi sono sentito in una macchina del tempo.

Ha dichiarato in una intervista di aver fatto ricorso alla psicanalisi per addentrarsi meglio in un ruolo, è così? In che modo l’ha aiutata?

In realtà è da qualche anno che ho la fortuna di aver trovato un percorso psicologico che mi aiuta ad essere più centrato, a capire meglio chi sono. Paolo è però stato centrale durante molte sedute in cui ho capito, e fatto pace, con aspetti fino ad allora ancora non compresi, sia su me stesso che su di lui. Con questo non voglio dire che sia necessaria la terapia psicologica per affrontare un progetto, ma a mio parere tramite quella lo si fa con più consapevolezza; sarebbe bello se passasse il messaggio, soprattutto tra i ragazzi, che parlare con qualcuno professionalmente competente, è il regalo più bello che ci si possa fare.

Total look: Missoni
Mocassino: Santoni

Cos’ha scoperto di sé e del suo carattere, che prima di fare l’attore non sapeva?

Di avere molto coraggio, non che prima non lo fossi, coraggioso, ma forse non ne ero molto consapevole.

Cosa/Chi sognava di diventare da bambino?

Sognavo e sogno ancora di diventare tante cose, spesso da bambino ero convinto di essere già un veterinario e mi prendevo cura di tutti gli animali che trovavo, pero’ la mia ambizione era quella di esprimermi artisticamente, credo di essere nella giusta direzione.

Total look: Pence
Mocassino: Douclas

Cosa porta del suo dna siciliano, sullo schermo?

Io spero di portare tutto quello che amo, la forza, la passione, la fame e anche quella timida emotività che custodiamo noi siciliani per mostrarci forti. Soprattutto il coraggio di affrontare il mondo, lo stesso che mi ha insegnato questa magnifica terra.

Ha la passione del canto, ha progetti in questo campo?

Sono molto legato alla musica, è il mio sfogo giornaliero ed il mio nido sicuro, sto continuando a studiare e prometto di presentare presto qualcosa, adesso però sento l’esigenza di volermi dedicare al cinema.

Si riconosce nei nuovi cantautori suoi coetanei?

In alcuni sì, soprattutto coloro che non hanno paura di parlare di quello che amano, non curandosi di vendere o diventare popolari, bensì trasmettere emozioni.

Che si fa insieme ai colleghi dopo una giornata sul set?

Di solito ci ritroviamo per bere qualcosa o mangiare tutti assieme, parlare della giornata di lavoro o provare le scene del giorno dopo. Noi per esempio durante le riprese del Gattopardo ci incontravamo sempre al mare o al ristorante, abbiamo ancora un gruppo che si chiama “Gruppo Ristorante e basta“ oggi ancora attivo.

Ha stretto dei legami intimi e amicali con qualcuno di loro?

Si, siamo tutti molto legati, devo ammettere che mi piacerebbe ripetere tutto il set perché è stato quasi magico, caldo a parte. Con alcuni ho stretto di più è normale, ma tutti siamo rimasti amici dopo questo progetto e la sensazione è bellissima.

La città del cuore e perchè.

Sembrerà scontato ma Catania è la mia città del cuore, viaggio molto, vivo a Roma ed ho provato anche a cambiare città, ma la mia terra offre tutto quello di cui ho bisogno. Forse cambierei qualcosa, ma ne sarò sempre innamorato.

Concreta srl, tutti i sogni realizzati chiavi in mano

Livigno si appresta ad ospitare un evento importante, i Giochi Olimpici 2026 come sede delle gare di Freestyle e Snowboard. Scelta come meta per appassionati di tutte le età per la perfetta combinazione di strutture, posizione geografica e altitudine, Livigno si vestirà a nuovo, a partire dalle piste della società di impianti sciistici Mottolino, che ha riprogettato tutta la sede con biglietteria interna, zona shopping guidata, acquisti attrezzature second hand ed un prezioso ristorante fine dining, la Téa del Kosmo. Una proposta gourmet sotto la consulenza dello chef tristellato Norbert Niederkofler ed oggi guidato dallo chef Michele Talarico; un progetto sviluppato dall’architetto Anselmo Fontana dello studio LPS, l’interior design opera di Progetto CMR con la guida dell’architetto Massimo Roj e la realizzazione di arredi su misura a cura di Concreta Srl, l’ interior contractor che opera sul mercato nazionale ed internazionale specializzato nella realizzazione, produzione e fornitura di arredamento totalmente customizzato e con oltre 30 anni di esperienza.

Concreta Srl è stata guida di diversi altri progetti per la città che ospiterà le Olimpiadi, per le strutture alberghiere che hanno compreso l’importanza di un evento internazionale, e che si preparano al meglio per poter accogliere operatori, professionisti, appassionati da tutto il mondo.


PARADISE LODGE

ll Paradise Lodge è una di queste mete, il 4 stelle superior riaperto a Marzo di quest’anno con una nuova veste, la seconda generazione rappresentata dalla proprietà Riccardo Canepari, ha scelto un ambiente che al meglio possa confondersi e fondersi con la natura, prediligendo il legno come materiale predominante, dando spazio al salotto nella hall totalmente vetrato per godere al meglio della migliore vista di Livigno e delle sue montagne innevate. Un’area comune totalmente insonorizzata grazie all’applicazione di controsoffitti microforati che hanno un supporto fonoassorbente, favorendo così un ambiente confortevole e silenzioso, perfetto per il relax.


Fiore all’occhiello la Spa Soaria, 600 mq di benessere dove concedersi una sauna finlandese con rituali Aufguss, una biosauna o un bagno turco, la cascata di ghiaccio, docce emozionali, una piscina riscaldata, che prosegue fino all’esterno, per vivere l’esperienza in mezzo alla natura incontaminata di Livigno.


Il Paradise Lodge è davvero il paradiso verde della città, nei 6.000 mq di giardino sarà possibile vivere esperienze di benessere come sessioni di yoga, meditazione, su un palcoscenico boschivo incantevole, lo spazio aperto e la bellezza alpina che cerca chi sceglie la montagna.

Al rientro dalle attività sportive, al cocktail bar potrete farvi coccolare con un tagliere fatto di prodotti locali, come la slinzega e il culatello, e a tarda sera con un Taneda, il liquore digestivo preparato con erba Achillea Moscata dopo una degustazione di sigari nella cigar room dedicata.

Stile sobrio e moderno per le 39 camere totali del Paradise Lodge, bagno turco privato o vasca idromassaggio esterna per le family suite, per chi desidera soggiornare più a lungo e non pensare al tempo che passa.
La perfetta armonia del design e dei materiali di ricerca, sono frutto di un progetto dello studio di interior design Art Domus di Ortisei, nella figura dell’Arch. Daniele Bonato, e della realizzazione di Concreta, la società che riesce sempre a soddisfare ogni sorta di richiesta del cliente.


MO.HE BOUTIQUE HOTEL

Importante realtà sempre realizzata da Concreta per le aree comuni e per le 12 camere e suites, dietro progetto disegnato dallo studio di architettura Silvestri nella figura dell’Architetto Massimo Silvestri e Edoardo Silvestri Interior Design, il Boutique Hotel Mo.He.

Qui l’effetto “Wow “è assicurato, all’entrata vi darà il benvenuto un laghetto naturale che scorre come quelli di montagna, partendo dalla suite Dream, la speciale camera di 117mq con vista sul laghetto e sulle cascate del Diorama, spa in camera, angoli verdi circostanti, sauna, bagno turco, mini-piscina, cascata di ghiaccio, ed un maxi letto girevole che segue il panorama che preferite.


All’interno, pareti materiche ed un lounge bar che riprende le pareti rocciose, con un materiale bronzato totalmente martellato e modellato a mano. Design, originalità e coesione perfetta tra passato e futuro nella scelta di portare in struttura uno storico mulino ancora funzionante: potrete vederlo girare nell’area Experience, il cui passaggio è un’enorme botte di legno; il mulino macina ancora il grano che potrete apprezzare al ristorante dell’albergo, sotto forma di tagliatelle o polenta.
Nella stessa area, una grande sala wine tasting attorniata da prodotti del territorio; e per i clienti più esigenti una DIY cooking con erbe aromatiche a cui attingere per profumare i propri piatti, ed una Baita Federia, una casetta di legno accogliente ed intima, per una cena in perfetto stile montano.



Questa la filosofia di Mo.He, stupire, ed offrire un servizio attento e presente, per le 12 suites sui tre piani totali, ma soprattutto diversificato rispetto alle altre strutture ricettive, ricco di esperienze direttamente in loco, per regalarsi una vacanza di riposo ma con una vasta gamma di attività sportive, culinarie, esperenziali.

Con il supporto operativo di Concreta Srl, la società che realizza chiavi in mano ogni necessità di catene alberghiere, investitori privati o studi di architettura, i sogni si possono davvero realizzare.
Concreta si avvale di uno staff manageriale competente ed esperto, garantendo accuratezza per l’intero processo di realizzazione, ascoltando anzitutto il cliente in un primo briefing iniziale, fino alla produzione e posa in opera con la massima flessibilità. Ma l’esperienza trentennale dell’azienda, permette di assicurare due importanti punti che spingono l’ago della bilancia verso la fiducia e fidelizzazione di questa società: il rispetto delle tempistiche e dei budget. Punti fondamentali, parole chiave che gli hanno permesso la creazione di centinaia di progetti sul territorio nazionale ed internazionale, quale punto di riferimento per chi desidera customizzare la propria opera ad immagine e somiglianza.



(tutte le immagini sono state concesse dall’Ufficio Stampa OGS Communication)

Bianca Relais, il boutique hotel 5 stelle a misura di coppia

Il Bianca Relais entra ufficialmente a far parte dell’esclusivo portfolio di strutture del Gruppo R Collection Hotels, il gruppo alberghiero italiano guidato dalla Famiglia Rocchi. 

Nel Como Lake District, nasce un progetto romantico, il Bianca Relais, il boutique hotel cinque stelle che affaccia sul lago di Annone, ad Oggiono.

Un tempo fu l’Osteria Ca’ Bianca, dove si riunivano gli industriali della zona, il ritrovo tra amici del pallone, i discorsi sulla squadra del cuore, in un contesto che ha poco da aggiungere dato che in primavera sembra un quadro di Monet.

Come tutte le belle favole anche questa ha avuto una fine e l’Osteria è stata venduta, ma ricomprata subito dalla famiglia Spreafico, molto legata all’ex proprietà, un gesto di amicizia che oggi si rinnova con una realtà esclusiva che ha dato nuova vita a questo piccolo gioiellino sul lago.
Un lago attraversabile solo in barca a remi, proprio come nei dipinti impressionisti, un hotel di sole 10 camere dotate dei comfort più esclusivi e della privacy che tutte le coppie cercano.



ll Bianca Relais è immerso nella natura incontaminata delle colline lombarde, tra Como e Lecco, in un contesto di naturale bellezza attraversato da un bosco percorribile su un sentiero tracciato di circa un’ora e mezza. Costeggiando il lago, si possono scoprire le innumerevoli specie di uccelli che abitano il luogo, gli stessi che il Bianca Relais ha omaggiato, dando il loro nome a ciascuna camera.

L’hotel è il luogo ideale per chi cerca pace e silenzio, per chi ha bisogno di rigenerarsi godendo della Spa prenotabile ad uso esclusivo per la coppia, con trattamenti specializzati, o fare yoga nel giardino degli ulivi.

Un relais elegante, ristrutturato in stile moderno con dettagli di arredo di design, dei pezzi di collezionismo in stili mixati tra culture asiatiche ed esotiche, un servizio attento pronto ad esaudire ogni desiderio del cliente.



Le tipologie di camere vanno dalla Classic vista giardino, alla Suite vista lago dotata di una Private Spa e jacuzzi panoramica sul terrazzo privato.
La ERRE SPA dell’hotel invece è dotata di Hamman, Sauna e doccia emozionale per percorsi di rigenerazione completa di mente e corpo; offre massaggi su misura e trattamenti beauty personalizzati oltre ad attività immersive e a diretto contatto con la natura come passeggiate rigeneranti nel giardino, workout panoramici, sessioni di mindfulness e yoga sotto gli ulivi, e a completare l’offerta una palestra vista lago.



Ma le esperienze da vivere fuori porta sono infinite, dalle escursioni in bicicletta alle uscite in kayak per i più avventurosi, dall’hiking in montagna alle passeggiate a cavallo o sessioni di golf tra i pittoreschi borghi di Como e Lecco.

Fiore all’occhiello il ristorante Bianca sul Lago, il fine dining capitanato dallo chef Andrea Cannalire.
Sangue pugliese, un passato nella ristorazione stellata, oggi Cannalire propone al Bianca Relais una cucina creativa ispirata ai prodotti del territorio, seguendo sempre la stagionalità del prodotto.
Alcuni ingredienti scelti sono raccolti dall’orto del relais, per piatti dai sapori autentici e sostenibili, in perfetto stile Bianca Relais.

Per un dopocena in dolce compagnia, lasciatevi guidare dalla proposta del Drop, il lounge bar con la grande vetrata sul lago, dove poter ordinare un French 75 come Rick Blaine (un elegantissimo Humphrey Bogart) e Ilsa Lund (l’ammaliante Ingrid Bergman) in “Casablanca”.

Amaracmand, l’originale grinta dei vini da agricoltura biologica

Quante volte capita di innamorarci di una storia, di un aneddoto, prima del prodotto? Succede in quasi tutti i grandi successi commerciali, ma questa storia ha del tenero, delle motivazioni profonde, e sono legate ad una storica nevicata, quella del 2012 in un paese vicino Cesenatico.

Quattro metri di neve, i vigneti romagnoli soffocati, le cantine chiuse e sommerse, ed un contadino in serie difficoltà finanziarie. Fino a quando Marco Vianello accende una proposta e permette al contadino di salvare almeno la sua casa, mentre lui inizierà una nuova grande avventura nel mondo del vino, dal nome Amaracmand.

Sei ettari tra le mani, ma nessuna esperienza, solo una grande passione ed un gesto che nessuno dei due scorderà per tutta la vita. Insieme al cugino e allo zio cercano di dare un valore a questo gesto, di renderlo autentico, unico, originale. Riuscendoci.
Amaracmand diviene così, dopo successive acquisizioni di terreni, altri 7 ettari nel 2027, un progetto di vini di agricoltura biologica, senza solfiti aggiunti, senza allergeni, una selezione attenta della carta d’etichetta, senza polimeri, la stampa al vetro monocolore della bottiglia per limitare l’impatto ambientale; un’attenzione che si allarga alle numerose scelte fatte in cantina.

Ultimata nell’agosto 2020, dopo l’acquisto di particolari attrezzature per la conservazione dei vini e la collaborazione preziosa con l’enologo Maurilio Chioccia, con gli uffici di ricerca delle Università di Perugia e Bologna che stanno catalogando i lieviti autoctoni, la cantina oggi produce delle 60 alle 80mila bottiglie l’anno, totalmente assorbite dal mercato, per un totale di 14 ettari di vigneto.

Vini diversi, senza ombra di dubbio, come Madame Titì, lo spumante Brut Nature bio, un’alternativa brillante alla solita bollicina, metodo Charmat, 85% mombino bianco, il resto grechetto gentile, albana, trebbiano della fiamma, una bollicina complessa, perlage fine e persistente, sentori agrumati, una surmaturazione delle uve ed una spumantizzazione di cca un mese senza l’uso di saccarosio, e tra i 4 e i 6 mesi di affinamento in bottiglia.

Madame Titì è un omaggio a Tiziana, consorte del co-proprietario Marco Vianello; l’etichetta rappresenta una elegante donna con cappellino, disegnata a mano da una pittrice bolognese ora trapiantata a Parigi. Si beve a tutto pasto, anche se è perfetto per l’aperitivo.

Perimea è 100% sangiovese, cru di un vigneto di 1 ettaro e mezzo, il più vecchio con un terreno argilloso blu o detto anche “creta azzurra”, con scaglie in estate e colloso in inverno. Molto balsamico, dal tannino sincero ma fresco e morbido, che lasciato ossigenare regala sentori di caffè.
La prima raccolta della bacca rossa avviene a fine agosto/inizio settembre, le uve vengono selezionate 2 volte, una in campagna in cassetta, una in cantina dove viene sgranata e riselezionato il chicco.
L’affinamento avviene 6 mesi in acciaio e poi bottiglia, con una evoluzione veloce ed un tannino smussato.

Imperfetto (annata 2022) è stato il primo progetto del 2012/13, chiamato così perchè “è il difetto che crea lo stile.” – dice Vianello. Sangiovese bio 85%, per il resto Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Syrah, Alicante, frutta rossa succosa e fresca.
Vinificato prima in acciaio e poi legno di rovere francese, una parte tonneau, una parte in botte grande per massimo sei mesi, dal tannino gallico.

E per tornare al senso della storia e alla genuinità dei protagonisti, Amaracmand significa in dialetto romagnolo “Mi raccomando“, in ricordo della nonna di Vianello che, nelle estati più bollenti, quelle mitiche della riviera romagnola, quando la musica invadeva le spiagge con le sue belle turiste tedesche, si preoccupava del nipote e delle sue infinite passioni, e non smetteva mai di ricordargli “Amaracmand!


Mare Fuori 5, Pia Lanciotti svela la nuova Donna Wanda

Mare Fuori 5 ha totalizzato più visualizzazioni streaming nella storia di Rai Play. Un successo che è diventato internazionale, ma quando una serie diventa successo di massa, è difficile replicare.
Quali sono quindi gli escamotage delle nuove puntate? Cosa succederà ai personaggi e come si evolverà la storia?

Donna Wanda, Mare Fuori 5 foto Sabrina Cirillo

Dai primi appuntamenti abbiamo scoperto che le new entry nel carcere minorile di Nisida sono tante, a partire dal duo “i milanesi“, gratuitamente violenti; da Simone, che è entrato in contatto con Donna Wanda per capire i movimenti di Rosa Ricci, la quale ha scoperto le bugie del padre sulla presunta morte di sua madre. Mentre Carmela, moglie di Edoardo Conte scomparso e ucciso, veste i panni della nuova boss della camorra a fianco di Rosa, nel carcere i tumulti aumentano e Donna Wanda, accusata da Mimmo per aver comandato lo stupro sulla moglie del comandante, sta ritirando le energie dal mondo. Le manca terribilmente il figlio Carmine e la nipote Futura, che accudiva lontana dal suo mondo camorrista. Sostituisce il rapporto filiale con Simone, nell’illusione di tornare ad essere madre. Ma capiamo insieme a Pia Lanciotti, la protagonista, quale strada sta percorrendo la storia del suo personaggio.



Foto ANGELA PASSANNANTI
make up RITA VERZA
styling FEDERICA FUMO
Abito FEDERICA FUSCO
Gioielli TABANA JEWELS

  • Ludovico Di Martino, classe ’92, è il nuovo regista di Mare Fuori 5. Qual è il suo approccio alla serie?
    Ludovico Di Martino è un regista audace ed anche irriverente. Sono qualità pregevoli in un artista, anche rare purtroppo. Pur essendo giovanissimo ha molta forza, una carnalità che rende il suo stile misterioso, anche nelle scene più crude e più oscure.
    Ivan Silvestrini, da buon acquario, cercava e donava armonia al set e alla storia. Carmine era il pericolo costante dietro l’angolo. Ludovico sceglie invece di tornare all’origine e firma un dark violento e senza sconti.

  • Una violenza che si sente anche nel tuo personaggio, Donna Wanda?
    La zampata, la graffiata, ce l’ha sempre. Ma l’energia percepita è di resa.
    Questo lo spettatore attento e sensibile lo capirà, come succede con i cani che aiutano i pazienti epilettici e li avvertono prima che il fatto accada, intercettando il campo elettromagnetico, così chi ha un intuito più forte sentirà che qualcosa in Donna Wanda sta cambiando.

  • Questa dimensione invisibile l’attore come può interpretarla?
    Connettendosi profondamente a ciò che vuole raccontare.
    La natura umana abita tante dimensioni, pensiamo al sonno, al sogno, all’immaginazione, alla memoria. Gli attori hanno lì la capacità, se allenata, di accedere a particolari zone dell’anima e un’immaginazione che può offrire autenticità di sentimento. Quello dell’attore è un mestiere meraviglioso.

  • Wanda Di Salvo è uno dei personaggi più amati di tutta la serie. I ragazzi ti fermano per strada chiamandoti Donna Wanda?
    Tre anni fa ero vicino Napoli, sono andata a trovare un’amica e chiacchieravamo al bar, i ragazzi di Napoli mi hanno seguito fino al binario del treno di ritorno!
    Trovo tutto molto divertente, certo dovevo calcolare venti minuti in più sulla tabella di marcia per fare qualsiasi cosa.
    Durante la Milano Fashion Week, in via Montenapoleone, addirittura qualcuno recitava le mie battute. I personaggi risuonano e dialogano con il pubblico, in qualche modo quelli che più amano o odiano gli somigliano. Succede la stessa cosa agli attori: ogni volta è il tuo sangue a parlare. Anche quello che ancora non conosci.

  • Cosa succederà a Donna Wanda?
    Forse troverà quel che cerca.
    Il nostro dna ha un’impronta, una luce, quando nasciamo. Il personaggio di Wanda Di Salvo ha svelato molti lati, anche quello materno carnale e protettivo, anche una madre camorrista ama il proprio figlio. Ma Carmine è lontano e quest’assenza la sta uccidendo. In fondo quel che cerchiamo, energicamente, lo attiriamo a noi.




(foto di copertina Sabrina Cirillo, dal set Mare Fuori 5, su gentile concessione)