BENVENUTO CLUB SCEGLIE METRADAMO E SFILA PER LE DONNE

BENVENUTO CLUB SCEGLIE METRADAMO E SFILA PER LE DONNE 

Benvenuto Club, l’Associazione Internazionale fondata nel 1967, senza fini di lucro, apolitica e aconfessionale e che riunisce diverse donne arrivate a Milano da tutti i paesi del Mondo, ha scelto Metradamo Maison Moda Chic, per organizzare la sfilata di moda in cui sfileranno direttamente le socie del Club. 

L’evento si svolgerà all’interno della prestigiosa cornice di Palazzo Turati di Milano il 13 Ottobre 2020 alle ore 11:00. Modelle d’eccezione le socie stesse dell’Associazione che arricchiranno l’evento con un mix di nazionalità, esperienze lavorative, età e taglie differenti. L’idea nasce dalla volontà di riunire due realtà, entrambe milanesi che, in questo periodo così particolare, hanno deciso di non fermarsi e di credere nelle donne e nella moda.

METRADAMO nasce nel 1979 in un elegante cortile di via Rugabella 8, a pochi passi dal Duomo di Milano. Il marchio si specializza in breve tempo in un solo capo, il pantalone da donna, che per la prima volta viene realizzato in tessuto elasticizzato. Il prodotto diventa subito un classico dello stile femminile milanese e non solo, grazie al perfetto connubio di sobrietà ed eleganza, cura dei dettagli e artigianalità.

Dato l’interesse che ha riscontrato fin da subito la collezione METRADAMO, per chiunque fosse interessato, sarà possibile acquistare i capi presso lo show room fin da subito su appuntamento. Lo showroom è aperto dal Lunedi al Sabato, dalle 10:30 alle 14:00 e dalle 15:00 alle 18:30 telefonando al numero 334/1683847 (anche tramite WhatsApp).

L’ingresso della sfilata è su invito e sarà organizzato nel pieno rispetto delle norme igienico-sanitario anti-Covid 19.

www.metradamo.com 

Maison Celestino e il lusso della qualità

Maison Celestino e il lusso della qualità

Riscoprire il genius loci e le eccellenze regionali è la nuova partita che si gioca oggi nello scacchiere della moda italiana. Fra gli alfieri del bello e ben fatto tricolore, e soprattutto della moda sostenibile per antonomasia, svettano in Calabria Caterina Celestino e Francesco Mercogliano che, insieme, guidano oggi la maison Celestino. Entrambi avvocati, giovani e affiatati sul lavoro e nella vita, Caterina e Francesco sono fra coloro che ancora credono nei sani valori etici su cui poggia un ricco patrimonio artigianale tutto italiano, tramandato in Calabria dall’età paleocristiana e purtroppo in via di estinzione. La loro azienda, basata a Rossano Corigliano, a pochi chilometri da Cosenza, nella culla della ridente Magna Grecia, è il ‘WWF della qualità’. Parliamo di un fecondo laboratorio di idee che, partendo dalle trame e dalle armature tessili più ricercate, elabora creazioni di grande impatto e di squisita eleganza mai fine a sé stessa, resa possibile da maestranze più uniche che rare alle prese ogni giorno con antichi telai manuali.

Quella dei Celestino è una bella storia italiana che affonda le radici nell’epica genealogia dell’Italian Style. Quando a Roma la Hollywood sul Tevere furoreggiava con i suoi inossidabili miti nelle vie più chic della città eterna, eleggendo Via Veneto come il fulcro della ‘Dolce vita’ di felliniana memoria, Eugenio Celestino, nonno di Caterina, già creava favolosi tessuti finemente ricamati per le Sorelle Fontana che li utilizzavano per celebrare le forme sinuose di un’irresistibile Ava Gardner, all’epoca legata a Walter Chiari. Erano anni eroici di entusiasmo e di palingenesi artistica e culturale. Anni in cui perfino le teste coronate si affacciavano nei grandi atelier per promuovere il ‘genio nazionale’: è il caso di Maria José di Savoia, regina d’Italia, che spesso si rivolgeva al Cavaliere Eugenio, grande patriarca della maison, per i tessuti più belli e preziosi che si possa immaginare, abbelliti da motivi stilizzati mutuati dalla tradizione tessile calabrese. Lo stesso Alcide De Gasperi, fine statista e artefice della Repubblica Democratica, rimase sbigottito visitando gli operosi laboratori dei Celestino in Calabria. Senza contare Madame Fernanda Gattinoni, pioniera della haute couture tricolore e signora di stile, che spesso ricorreva alla collaborazione di don Eugenio per sperimentare creazioni sempre più innovative e fantasiose. Ma la maestria di questi tessitori arriva da lontano.

Il bisnonno dell’attuale titolare infatti era proprietario di un’azienda che lavorava la ginestra, in quanto la coltura di questa pianta è localizzata sulla Sila. Oggi Caterina, dolce ma risoluta, continua con determinazione il retaggio familiare avvalendosi della complicità e del supporto del marito, giovane gentleman latinista, figlio di un famoso critico letterario espertissimo di Leopardi, e amante del pianoforte che sa suonare con la stessa eleganza che lo definisce nel foro e nella vita. Dopo aver sfilato sulle prestigiose passerelle di Roma e Milano durante le fashion week internazionali, i Celestino hanno deciso di tornare alle loro radici sfruttando la rigogliosa e a tratti selvaggia bellezza dei loro paesaggi, inondati dal sole e brulicanti di uliveti, per presentare nella loro Calabria a un pubblico selezionato, la collezione di alta moda per la primavera-estate 2021 che ha sfilato nel lussureggiante giardino della Vaccheria Foti, amena magione rustica ristrutturata con gusto moderno. Tema del défilé è l’inconscio freudiano, perché come spiega Caterina, “l’abito estrinseca la nostra anima; inoltre abbiamo scelto il Bolero come colonna sonora perché Maurice Ravel è stato l’interprete in musica della visione di Freud.

La fine della sfilata l’abbiamo affidata alla nostra ambasciatrice Alina che indossa una redingote di lino ricamato accompagnandosi a un magnifico barboncino col pedigree. Un quadro che è soprattutto la sublimazione dell’Eros”. Forme lineari e fluide silhouette, condensate in modelli di ieratica ricercatezza, esaltano la preziosa complessità delle lavorazioni tessili della maison, che ha scelto come suo emblema la cicogna, epitome di grazia e femminilità. Nell’effigie prescelta da Celestino questo uccello, che nidifica solo in Australia e in Calabria, pare quasi spiccare un balzo verso il futuro. Perché chez Celestino la tradizione è solo la testa di ponte per affrontare un orizzonte modernista per essenza, e talora futuribile. “Quando sento parlare di sostenibilità, oggi invocata spesso a sproposito da vari brand, mi viene da sorridere perché penso che in realtà per noi non si tratta di una novità o di una sfida, ma di una innata vocazione che coltiviamo da sempre perché il nostro è un upcicling naturale in quanto radicato nel nostro DNA-spiega Caterina-i nostri tessuti, assolutamente italiani, sono naturali effortless perché sono le materie più nobili e più pure che si possa immaginare: lino, canapa, cotone e fibra di ginestra. Per uno dei corpetti che avete visto sfilare nell’eveningwear, sono occorsi 20 giorni di lavoro, e spesso per nobilitare ulteriormente i nostri blend di cachemire e seta, impieghiamo fili di oro zecchino: questo è il senso dell’alta moda oggi.

La sapienza manifatturiera delle nostre sarte, che crea un valore inestimabile nel territorio, appare evidente in ogni dettaglio delle creazioni che escono dai nostri laboratori. Qui le nostre 15 lavoranti tutte altamente qualificate, sulla base dei disegni del nostro ufficio stile, spesso riprendono i motivi decorativi dell’iconografia greco-bizantina tipici dello heritage locale. Penso al tema del ‘krités’, il giudice antico, oppure al cosiddetto ‘toro cozzante di Sibari’ o al tema della favola di La Fontaine sulla cicogna e il lupo, icone originali e stilizzate che vengono poi trasposti con perizia in abiti e accessori essenziali, volutamente privi di orpelli, che forse, come mi piace pensare, il mio mito, Coco Chanel, avrebbe approvato”. Il linguaggio minimalista della maison, vicina al teatro e al mondo della danza- dato che il direttore artistico dell’azienda è Giovanni Scura, talentuoso ballerino- si traduce in un mondo di lifestyle completo che spazia dal menswear agli accappatoi, dalla biancheria pregiata per la tavola fino ai corposi e sontuosi plaid, ai teli mare e al beachwear dove sono utilizzati solo sete e e altri tessuti pregiatissimi. “Detesto la spugna perché è quanto di meno ecologico possa esistere; difatti è scientificamente provato che è una fonte perenne di batteri. Le nostre stoffe invece sono assolutamente sostenibili. Come il lino, certificato dal Linificio Nazionale, che è essenzialmente antibatterico. Infatti un asciugamano in lino è un peeling naturale”, tiene a sottolineare Caterina. L’ovattato store di Rossano è un piccolo scrigno di tesori. Qui trovano spazio tutti i prodotti della maison, comprese le mascherine realizzate con fili dorati e trame delicate e femminili. E a coronamento di un percorso che è ancora tutto da scrivere, l’azienda è stata insignita anche del ‘Premio alla legalità’ conseguito anche da Nicola Gratteri che è impegnato in Calabria nella lotta alla N’Drangheta. Perché non c’è mai bellezza senza virtù.

La dipendenza da Paola Bonacina

PAOLA BONACINA – COLLEZIONE SPRING SUMMER 2021

Se esistesse un vocabolario della moda dedicato alle bag, alla parola femminilità ci sarebbe Paola Bonacina, brand di borse dalla produzione Made in Italy.

Ad ogni collezione rinnova quel tocco vezzoso e insieme elegante che è il suo tratto distintivo; le linee per questa stagione, la Primavera Estate 2021, sono essenziali ma arricchite da tessuti preziosi: abbiamo la seta cangiante, declinata in verde menta, pink, giallo, black e verde smeraldo. La fibbia è circolare e ricca di strass, una perfetta forma media adatta per una serata speciale o per regalare un tocco glamour al più semplice dei look.

Il successo della chiusura ad orologio con combinazione delle precedenti collezioni, torna anche quest’anno, sulle forme classiche e sempre moderne, con tracolle a catena gold.

I pellami sono il punto di forza del brand Paola Bonacina, che inserisce la novità della biscia d’acqua nella linea Black and White, dove la clutch fa da padrona. Forza e carattere per questo bianco e nero evergreen, seducente e grintosa e adatta a tutte le ore del giorno.



Ma la bellezza non finisce qui, dentro, come un goloso dolce che da’ soddisfazioni nel cuore del cioccolato, le borse Paola Bonacina sono completamente foderate e presentano l’etichetta gold del marchio. Ogni dettaglio è pensato ed è rifinito sartorialmente, nulla è lasciato al caso, tutti gli accessori diventano importanti e unici.

Una volta indossata una bag Paola Bonacina si avrà la sensazione di aver trovato finalmente un capo must have, come succede per una bella camicia, quella giacca che vi calza a pennello o per quel vostro jeans preferito. E non vorrete più farne a meno!



Andrea Turchi e Ange Biamba: le stelle di domani del New Pop

Un metissage musicale: l’urban francese Francia incontra il cantautorato italiano, e immediatamente dopo si è proiettati nelle sonorità dell’Africa. Sono queste le sensazioni che trasmette la musica dei giovani e promettenti musicisti selezionati da D-Art per voi: Andrea Turchi e Ange Biamba, che si raccontano per la prima volta in esclusiva senza filtri alla stampa italiana. Andrea è toscano, Ange francese: si incontrano ad Amiens e da lì nasce una grande amicizia, una fratellanza. All’epoca stanno entrambi esplorando diversi generi musicali: di lì a poco la volontà di suonare insieme. Siamo rimasti colpiti dalla profondità dei testi di canzoni come “Il marinaio” che riflettono su temi d’attualità scottanti come la condizione degli immigrati clandestini del Mediterraneo, oppure dal romanticismo del singolo “Le Chat de Gouttière” in cui Andrea Turchi parla della sua esperienza francese.

“Panda No Bamba” è il prossimo singolo del duo musicale, un inno alla gioventù animato da sonorità raggae/funk. Due artisti figli dell’Europa che piace a noi, quella unita e multirazziale.

Andrea Turchi.

Come il tuo luogo d’origine (la Maremma toscana) influenza la tua musica?

La Maremma e la Toscana influenzano sicuramente il mio modo di scrivere e altrettanto il mio modo di parlare e vedere il mondo. Lo stile di vita che si conduce qua ti permette di avere lo spazio e il tempo per avvicinarti a te stesso e ritrovarti. È un luogo mistico da cui traggo sempre ispirazione. C’è una mia canzone, “La Strada”, composta  sul Monte Amiata (una località di montagna in provincia di Grosseto, Toscana, ndr) in occasione del compleanno di un mio amico, che rispecchia il nostro stile di vita… Suonare nel bosco, dormire sotto le stelle, stare a contatto con la natura, ma soprattutto vivere con semplicità. 

Esiste qualche altro luogo che la influenza? 

Sicuramente! Un altro luogo centrale per capire il mio universo è l’Africa. L’ho scoperta grazie a mio padre, grande viaggiatore e avventuriero che ha esplorato l’Africa tramite la sua passione : la motocicletta. Già dai miei sette anni mi ha fatto scoprire questo incredibile continente, un mondo nuovo e fantastico, dove lo spazio e il tempo si disegnano in un modo totalmente diverso da quello occidentale. Ho fatto miei i suoi ritmi, i cibi, i paesaggi, le persone, le diverse culture, le difficoltà e le emozioni che hanno profondamente marcato la mia vita e la mia musica.

Nel repertorio infatti c’è una canzone, “L’Africa”, che esprime la mia inquietudine sulle opinioni attuali rispetto alle persone che ci abitano. Per conoscere l’Africa bisogna toccare con mano la sua terra e la sua gente, ma gli innumerevoli pregiudizi sulla questione, ahimè, creano paura nel cuore delle persone.

In merito c’è un progetto in cantiere : fare una traversata fino a Dakar per registrare una inedita versione della canzone “L’Africa” con dei musicisti locali.

Inoltre la Francia ha influenzato ugualmente il mio universo musicale, grazie ai grandi cantautori come Brassens, Barbara, Brel (originario del confinante Belgio), che mi sono serviti come grandi  punti di riferimento.

Il mio repertorio si spartisce fra la lingua italiana e francese (ormai la mia seconda lingua), e questa apertura mi ha permesso di sviluppare nuovi temi, come l’amore che ho scoperto proprio in Francia. E anche nuovi modi di cantare e giocare con la lingua.

Inoltre grazie ai miei due anni di conservatorio ad Amiens ho scoperto il Jazz e ho avuto l’occasione di cantare e suonare la chitarra elettrica insieme ad un’orchestra.

Sempre al conservatorio ho letteralmente scoperto la chitarra elettrica (prima mi accompagnavo con la chitarra classica) e i sound più Rock e Funky che mi hanno fatto uscire dalla mia condizione di “menestrello”, aprendomi a nuovi orizzonti.

La tua formazione?

La mia formazione comincia a 14 anni con due anni di corsi di batteria e varie esperienze in gruppi locali qui a Grosseto : il ritmo rappresenta da sempre la mia predilezione nella musica e si ripercuote sul mio modo di suonare ogni strumento come nel canto.

La chitarra l’ho imparata con gli amici musicisti, alle jam, in strada spinto dalla mia solita voglia di superare i miei limiti.

Il canto è uscito fuori insieme al mio primo testo, come un bisogno impellente di tirare fuori  le mie emozioni al resto del mondo.

Le percussioni sono il mio strumento di predilezione, il più basico e intuitivo dove posso esprimere a pieno le mie vibrazioni e la mia comunione profonda con il ritmo.

Mi capita di suonare anche il piano ma resta un gioco per me.

Per quanto concerne la mia formazione in senso umano e accademico ho fatto esperienza all’università di Sociologia. Questo credo abbia accentuato le mie capacità a maneggiare idee e concetti astratti, ad acuire lo sguardo critico sulla realtà che mi circonda e la possibilità di esprimerli con un vocabolario chiaro, diciamo scientifico. Tutto ciò ha fatto ordine nei miei pensieri e mi ha permesso di sviluppare la faccetta più letteraria del cantautorato, con dei testi che hanno una ricerca ben precisa sia nella complessità, che nella semplicità. La sociologia mi ha dato coscienza e un occhio critico sulle informazioni, la politica, la condizione femminile, la storia della nostra civiltà, le dinamiche costruite intorno al potere, la colonizzazione etc. Mi ha dato una minima base culturale che ha forgiato e nutre i miei testi.

Insieme alla laurea in Sociologia iniziata a Padova, e ottenuta in Francia, un’esperienza fondamentale nel mio percorso artistico sono stati i due anni di formazione professionale a l’École du Cirque Jules Verne (scuola di circo). Dopo aver passato le audizioni (che mi sono costate tanto sudore), il planning prevedeva trentacinque ore a settimana fra acrobazie, danza Jazz, teatro, pesi, equilibri sulle mani, clown, trampolino etc.

Questa esperienza mi ha permesso di solcare diversi palchi in tutta la Francia e di capire cos’è realmente il mestiere d’artista, con i suoi obblighi, il suo linguaggio e le sue gioie.

Un evento marcante in questo percorso è stata la richiesta, da parte del direttore della scuola, di mettere su una fanfara con i musicisti della scuola per accompagnare un incontro regionale nel grande Circo in muratura ad Amiens : avevamo violino, clarinetto, fisarmonica, sax, chitarra, percussioni, cori, e io ero al rullante nelle vesti di chef d’orchestra. Questo evento ha messo alla prova e rivelato le mie doti nel campo degli arrangiamenti e della direzione artistica di un’équipe : era il mio ruolo di predilezione, dove potevo esistere nella mia forma più integrale. Quindi lasciandomi alle spalle il mio passato di acrobata e clown ho deciso di mettere in luce le mie doti, mettendo da parte la paura di sbagliare e di non averne abbastanza, per lanciare il mio progetto musicale. Del Circo mi è rimasto il corpo, la disciplina, il metodo, la capacità di ballare e recitare davanti ai riflettori, tanta voglia di mangiarmi più palco possibile, come di partecipare a set cinematografici o fotografici : ho assaporato il senso e le sfaccettature della vita da artista. Adesso sento di avere le basi per cogliere le diverse proposte che offrirà questo percorso, avendo la cognizione di causa che serve per addentrarsi nella giungla del mondo dello spettacolo.

Quindi concludendo, la mia formazione è largamente autodidatta, solo in Francia, grazie ai due anni di conservatorio ho fatto il salto di qualità alla voce e alla chitarra.

Progetti in cantiere?

In cantiere c’è un nuovo singolo: “Panda No Bamba”, una canzone irriverente che serve a smorzare la profondità di altri temi che tratto.

Il singolo come i miei due precedenti prevede la realizzazione di un clip.

Inoltre qui in maremma, Ange e io abbiamo la situazione ottimale per arrangiare e registrare le bozze di altri pezzi, in una sala dedicata direttamente a casa nostra. Viste le vicissitudini attuali legate  al mondo dello spettacolo, dedicheremo i prossimi mesi all’arrangiamento a quattro mani del nostro primo disco, affiancati da musicisti local alla batteria ed alla seconda chitarra. Avremo materiale da presentare alle etichette, perché si, cerchiamo il supporto giusto per poter sviluppare il progetto nel modo più professionale possibile. Infatti questa settimana torniamo in studio a registrare “Ne Parlo Io”, pezzo che presenteremo insieme ad altri, alle preselezioni del Rock Contest nazionale organizzato da Controradio ( una delle più celebri radio underground di Firenze, ndr). 

Per quanto riguarda il 2021, c’è il progetto di Dakar e quello – che sta già prendendo forma intorno alla realizzazione del disco – di unirmi ad altri musicisti come Ange per una tournée Italiana (per il momento), europea in futuro e perché no, anche africana.

Cosa ascoltavi da piccolo e crescendo?

Da piccolo ascoltavo tanta musica classica con mia madre, poi alle elementari ho ascoltato tanto i Police che sono ancora oggi uno dei miei gruppi modello. Anche i LimpBizkit, Articolo 31, e tutto ciò che passavano all’epoca su MTV.

Ho avuto il mio periodo Hip-Hop alle medie con Notorius BIG, Snoop Dogg, Dr.Dre, Eminem, ma soprattutto Fabri Fibra, Neffa etc.

E da quando ho cominciato a suonare la batteria ascolto Rock: Led Zeppelin, Who, il reggae, musica rock-elettronica come i Prodigy, che insieme ai Police sono i miei modelli.

Mi rimane molto difficile rispondere a questa domanda perché ho la  tendenza ad assimilare tutto ciò che mi stupisce a livello ritmico e melodico, senza distinzione di genere o epoca.

Comunque le mie influenze musicali sono un grande calderone di tutto ciò che mi ha fatto “tendere” le orecchie nel corso della mia vita.

Regista, attore e attrice preferiti?

Per il regista dico Hitchcock, una passione che mi ha passato mia sorella Martina, grande cinefila, al contrario di me.

Trovo la sua sottilità d’espressione molto ammaliante, mi piace quando un regista fa questo sforzo, esprimendo con leggerezza anche le cose più pesanti ed intrigate.

Attore? Sicuramente Totò, è comunque l’attore che conosco di più: mia Mamma si è guardata tutti i suoi film mente mi aveva in grembo. Forse ho assorbito un po’ di quelle risate! É l’ultima maschera della commedia dell’arte, rappresenta la tradizione teatrale italiana, basica, fondata sulla ripetizione e l’esagerazione di un gesto, una frase, che poi è la stessa tecnica usata dai Clown. Con irriverenza e leggerezza, affronta le difficoltà imposte dai copioni dell’epoca sempre usciti dalla tradizione teatrale della commedia italiana, in cui le difficoltà si accumulano, si moltiplicano, si intrecciano per poi sbrigliasti in modi sorprendenti. Un attore all’antica che ha saputo innovare e incarnare le difficoltà sociali della sua epoca con semplicità, Totò è un pezzo di cuore e di storia italiana.

Come attrice direi Audrey Hepburn, innocente, leggiadra ed estremamente affascinante. Un suo poster mi ha tenuto compagnia per i 5 anni passati in Francia, anche lei la considero come un piccolo mito, capace di rappresentare la figura della donna con carattere e senza volgarità.

Pittore, scultore, architetto preferito?

Pittore sicuramente Amedeo Modigliani, figura misteriosa, anche lui trovò nella Francia il suo terreno di esordio.

Trovo il suo stile onirico, quasi improbabile : riesce a trasformare la semplicità di un viso, o di un corpo in un viaggio sensoriale.

Riguardo la scultura dico Auguste Rodin, da quando andai a vedere le Musée Rodin a Parigi, rimasi stupito dal legame che c’era fra la sua scultura e la riflessione filosofica, emblematicamente rappresentata dal Pensatore.

Come architetto Frank Lloyd Wright, con il suo concetto di architettura organica, mi corrisponde in modo particolare.

La sua riflessione sul rapporto fra uomo e natura va al di là della mera ricerca estetica e rispecchia il mio spirito pragmatico, dove ciò che si crea deve avere un senso pratico, dando strumenti concreti all’essere umano per poter far evolvere la propria concezione della realtà.

Descrivi il tuo sound.

Molto Afro, Reggae/Rock, mi piacciono i suoni asciutti e i ritmi incalzanti, dove il contro tempo fa da padrone e il groove è una costante quasi obbligatoria. La mia evoluzione comincia dall’arrangiamento dei miei singoli, in cui ho potuto dare forma a canzoni nate dal connubio di canto e chitarra classica.

L’obiettivo è di dare forma al calderone di influenze che sento ribollire (passatemi il termine) dentro di me, sintetizzandole in modo diverso per ogni pezzo. L’idea è di esplorare e mescolare, non avrò mai un sound puro, sarà sempre ‘sporcato’ da ritmiche e strumenti usciti da tradizioni musicali diverse. La mia forza sta lì, nel maneggiare generi diversi e farli esistere nello stesso pezzo, trovando i ponti, i punti d’incontro che offre da sempre la musica. La mia musica è un melting pot.

Perché fai musica?

La musica è il mezzo per potermi sentire un tutt’uno con gli altri, un modo per rompere le barriere tra i cuori della gente, per costruire ponti, anche solo il tempo di una canzone.

La musica ti entra dentro, ti invade e punta dritta al cuore, viene a te con la leggerezza e il potere di una magia. Questa cosa mi ha sempre affascinato e mi ha permesso di trasmettere ciò che nella vita di tutti i giorni non ci insegnano a trasmettere.

Riguardo al messaggio che voglio trasmettere con i miei testi, voglio lasciarlo in sospeso e anche lasciare al mio pubblico la libertà di interpretarlo, ma c’è tanta voglia di andare al di là dei luoghi comuni, voglia di far riflettere e scuotere gli animi delle persone.

Un artista con cui sogni di collaborare?

Mi piacerebbe tanto lavorare con Jovanotti, la sua energia mi piace molto, e mi sembra una persona molto alla mano.

Senza contare che ha saputo segnare la musica italiana dagli anni 90 ad oggi, reinventandosi con estrema leggerezza. 

Mi inspira simpatia, credo potremo farci delle belle risate insieme, prima e dopo aver fatto musica.

Dedica un tuo verso ai nostri lettori.

« Dall’Egitto, dalla Libia e dal Marocco,

Bevo vino e vendo pesce, in ogni porto, 

Sono amico di pirati e marinai,

Gioco a carte, amo donne,

Che non rivedrò mai…»  

Ange Biamba.

Come il tuo luogo di origine (la provincia parigina) influenza la tua musica? 

Sono cresciuto dove la multiculturalità è all’ordine del giorno, sin da piccolo ho ascoltato generi musicali diversissimi tra loro. Insomma sì, sono cresciuto a pane e musica e per me è stata una scelta alquanto naturale intraprendere questo percorso anche dal punto di vista professionale.

Da dove vengo io, vicino Parigi, si è nel nido della musica urbana. La musica è ovunque. E non posso prescindere da questo: da qua nasce l’interesse per diversi generi musicali.

Esiste qualche altro luogo che la influenza? 

Sicuramente Amiens, la città dove ho iniziato a suonare la musica più hardcore (metal, punk  e tanti altri generi). Ho sempre vissuto in Francia, prima a Parigi e dopo il liceo ad Amiens appunto. Adesso vivo in Italia, in Toscana, per spingere il progetto qua con Andrea. E certamente questa regione mi sta influenzando in qualche modo.

La tua formazione?

Sono uscito dal liceo artistico a 15 anni, dopo ho fatto 2 anni di formazione sportiva di alto livello nel football americano e nel frattempo frequentavo l’Università di arte e spettacolo (cinema e teatro).

Ho suonato con un gruppo di punk-hardcore (Bill The Dog) per 2 anni come bassista e cantautore, abbiamo fatto due album, due EP e concerti nel nord della Francia e a Parigi.

Con i due ragazzi del gruppo abbiamo creato un podcast radiofonico(Gueule de Metal) per presentare gruppi della scena locale e parlare della storia dei differenti sottogeneri del metal. 

Ho creato un progetto di musica esperimental/noise che si chiama Billy Records per sviluppare le mie attività parallele alla band. 

Progetti in cantiere?

Abbiamo registrato con Andrea il pezzo «Panda no Bamba » ad agosto, adesso stiamo lavorando alla realizzazione del videoclip.

Cosa ascoltavi da piccolo e crescendo?

Ho sempre ascoltato molta musica diversa: già a casa quando ero piccolo con i miei genitori c’era sempre musica… Le canzoni francesi, il soul, la  musica dei Caraibi, reggae, rock. 

Da sempre il rap mi ha accompagnato  crescendo insieme alla musica più estrema,il rock alternativo e tanti altri sottogeneri che sento più affini a me.

Regista, attore preferiti?

Mi piace il lavoro di Benoit Porlvoorde (attore belga) e Tim Burton soprattutto come animatore.

Pittore, scultore, architetto preferito?

Amo le sculture di Niels Hansen Jacobsen (scultore danese) sono incredibili; ma anche i quadri di Kandinsky,

Marcel Duchamp, gli artisti dell’avant-garde francese mi hanno fatto capire tante cose sull’arte (tra le passioni del musicista Ange anche la pittura, ndr).

Descrivi il tuo sound. La sua Evoluzione stilistica e verso dove stai andando?

Ho iniziato a suonare dal vivo il punk, quindi io cerco prima il ritmo ragionando come bassista. Adesso con Andrea siamo anche nella ricerca di un groove con sonorità reggae e rock alternativo. 

Perché fai musica?

Io faccio musica perché è il medium di espressione artistica che mi permette di viaggiare e di esprimere me stesso nella maniera più intensa. 

Un artista con cui sogni di collaborare?

Collaborare con Michel Polnareff sarebbe un sogno.

Ho composto questo verso per Bill The Dog, la canzone parla del movimento punk in Francia ma anche nel mondo. Prima c’erano molte più persone che aderivano a questo stile di vita, musicale e politico.

“Que sont devenu ces punks dont on m’a tant parlé

Que je n’ai jamais connu que je n’ai jamais rencontré

Toujours prêt à se battre pour leur liberté

Ces rebelles dans l’âme, prêt à se révolter, d’une injustice faisaient un drame le poing en l’air et criaient”

Photo: Edoardo Lenzi (www.edoardolenzi.com)

Location: Giardino dei Tarocchi, Capalbio (Gr)

MOS design punta tutto sull’artigianalità

Il panorama della produzione del design italiano  si arricchisce di  un nuovo brand,  MOS design che punta tutto sull’artigianalità.

L’elemento  fondamentale è  la lavorazione artigianale. MOS design si distingue per la produzione interamente realizzata a mano nello studio di Roma. 

I fondatori sono Sara Chiarugi e Michele Morandi che creano e realizzano soluzioni funzionali per interni come tavoli, tavolini sedute, librerie ed elementi decorativi. Dall’incontro delle personalità e professionalità dei fondatori nascono progetti volti a sperimentare la fusione tra decoro e architettura d’interni. 

La qualità delle materie prime utilizzate sono  alla base del processo produttivo e partano  dalla scelta degli  elementi più pregiati. L’attività dello studio è rivolta al design, che utilizza antiche   tecniche manuali per produrre superfici tridimensionali. La ricerca ha dato frutto ad una ricetta di stucco personalizzato con caratteristiche di alta resistenza e di plasmabilità.   

La qualità nei materiali si ritrova all’interno dell’intera filiera produttiva, dalle basi metalliche, alla ferramenta, ai pellami in svariate gamme di colori che sono in grado di creare nuove  rivoluzionarie superfici.  

Il tratto riconoscibile di ogni articolo  MOS trae origine dalla scelta produttiva, caratterizzata da una meticolosa cura del dettaglio, il cui processo viene sviluppato internamente all’azienda. Dall’idea al prodotto finito, attraverso le varie fasi di lavorazione, dallo stucco modellato a mano per le superfici, la pressione a caldo su pelle, al legno tornito a mano e la patinatura dei metalli. L’abilità artigianale si fonde con la forza della materia, portando il singolo pezzo ad essere un oggetto unico. 

Gli elementi decorativi più classici vengono reinterpretati in chiave moderna per realizzare pannelli decorativi, trasformando semplici superfici in ambienti dalla forte personalità. 

La lavorazione che rende ogni pezzo unico e la possibilità di creare soluzioni customizzate, hanno fatto apprezzare MOS design in Italia e all’estero. 

Il marchio è presente in tutta Europa, in Nord America e in Israele. Lo stile MOS design si esprime non solo in tavoli e sedute ma anche nella produzione pittorica di elementi e pannelli decorativi della propria collezione di arredi. Rueverte in Danimarca, Claude-Cartier in Francia, Habitat in Israele e Slettvoll in Norvegia sono alcuni degli store dove sono presenti le  collezioni Mos Design .

MOS design partecipa a Maison & Objet Parigi e al Salone Internazionale del Mobile Milano con una selezione di complementi d’arredo, interamente realizzati a mano nello studio di Roma.   Michele Morandi, nato ad Arco (Trento), dopo gli studi di design, progetta e realizza arredi per alberghi, uffici, negozi ed abitazioni in collaborazione con alcune tra le maggiori aziende Italiane.

Il suo lavoro e la sua ricerca spaziano dalla grafica al design. Sara Chiarugi, nata a Roma, dopo la laurea all’Accademia di Belle Arti, si dedica al fashion design , tanto da farne oggetto di docenza presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Negli anni collabora con stilisti come Tom Ford, Romeo Gigli e Saverio Palatella.

FOREO UFO2, LA SPA A CASA TUA

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UFO2 si collega all’App che vi seguirà passo passo dandovi consigli di utilizzo; le maschere apposite riportano sulla confezione la scritta Power Activated Mask, e si diversificano per esigenze di pelle e di giornata (night and day).

Con movimenti circolari che attraversano tutto il viso, UFO2 inizierà a scaldarsi grazie all’effetto termoterapico, le pulsazioni T-Sonic aiuteranno il prodotto all’assorbimento in profondità regalandovi un leggero massaggio facciale.
Per le più esigenti FOREO ha lanciato una linea di ingredienti luxury e nutrienti, la Farm To Face Collection e la Caviar Fusion, l’unione del caviale all’oro 24 carati per un effetto antiaging.

A sottolineare il successo di UFO2, Victoria Beckam che in passerella decide di preparare la pelle delle modelle in backstage con il dispositivo FOREO, nella Fashion Week di Londra e New York; così come la guru del make up Huda Kattan con i suoi 47 milioni di follower.

La spa a portata di mano oggi non è più utopia, FOREO UFO2 è ergonomico e sta in un palmo, permettendo così con facilità l’applicazione delle maschere; prima di un evento speciale o dopo la pulizia al viso quotidiana, una maschera per la notte sarà una piccola coccola a cui non vorrete più rinunciare; la pelle risulterà più morbida e subito più sana dopo soli 90 secondi!

Lamazuna, il brand di cosmesi eco-solidale

Si può cambiare il mondo? Lamazuna dice di sì, e si impegna con piccoli grandi passi come quelli fatti da chi inizia a dar voce a quello che è grido di sofferenza della natura, che giorno dopo giorno ci sta chiedendo “aiuto”.


Lamazuna è il brand che vuole educare le persone a rispettare l’ambiente, gli animali, la società di produzione cosmetica che quotidianamente lotta contro lo spreco e lo sfruttamento animale e che offre prodotti vegani dalla lista “green”.



Deodorante, dentifricio, burro corpo, shampoo e balsamo solidi, Lamazuna utilizza ingredienti naturali al 100% ed è leader della cosmetica solida in Francia.
Il marchio nasce da un’idea di Laëtitia Van de Walle, nel 2010, speranzosa di portare un esempio nobile e coltivare un piccolo seme che avrebbe dato grandi frutti. Riesce certamente nell’intento dato che ad oggi la società conta ben 50 dipendenti impegnati nella lotta etica a favore dell’ambiente; da Parigi la sede si è spostata a Marchese, nel Drome, dove lavora in un edificio eco-sostenibile. Da quello che fu il prodotto numero uno di Lamazuna, e cioè delle salviette in microfibra molto soffici per rimuovere il trucco al posto dei dischetti di cotone, oggi vanta una vasta gamma di cosmetici zero waste tra cui deodoranti e dentifrici solidi, balsamo solido organico certificato dall’etichetta COSMOS Organic, burri corpo solidi che si sciolgono al contatto con il calore, non testati su animali e certificati Cruelty Free e Vegan da PETA.



Aiutare la natura significa aiutare noi stessi a vivere in un mondo migliore, un mondo che non soffre e una natura che non si ribella, e se possiamo iniziare dalla nostra quotidianità, ciascuno di noi, ciascuna piccola goccia può diventare un oceano. Lamazuna ci invita a fare questo piccolo grande passo attraverso l’acquisto di prodotti specializzati nella soluzione zero spreco.
Sono green, sono belli, sono naturali e profumatissimi, e soprattutto sono un grande segno di generosità che voi fate anzitutto a voi stessi.



Love Lamazuna.



La svolta bipolare di Prada

La svolta bipolare di Prada

Due menti, una svolta: per la prima volta nella sua storia Prada sceglie di essere retta da una diarchia creativa. Miuccia stilista ironica, dadaista, intelligente ed elegantemente spregiudicata, ha lavorato gomito a gomito con il radicale e iconoclasta Raf Simons, demiurgo dell’estetica maschile anni’90, per forgiare un’identità stilistica nuova, resiliente e semplificata che fa del nitore cocooning la sua cifra distintiva, il segno della sua palingenesi artistica. Simons, che ha disegnato le collezioni di Jil Sander quando era ancora controllata dal gruppo milanese quotato alla Borsa di Hong Kong, ha una certa dimestichezza con il linguaggio della femminilità dal momento che si è distinto come direttore creativo della maison Dior tanto che al suo debutto chez Dior è stato dedicato anche un bel docu film. E per questo storico esordio da Prada Raf Simons, che con ‘Il quarto sesso’ ha ideato la narrazione genderless in notevole anticipo rispetto a Michele da Gucci, è partito da una riflessione sul concetto di uniforme, come fulcro della filosofia aristo-bourgeois di Prada ma anche come elemento insieme standardizzante e individualistico, perché è proprio con la divisa che riusciamo, come singoli, a esprimere la nostra peculiarità estetica. Uniforme: ordine e disordine, disciplina e caos. Si affaccia in pedana una donna nuova, più pensosa, essenziale ma elegantissima, solo apparentemente borghese che si interroga sulla relazione fra uomo e tecnologia. E’ ammantata da cappe cocooning che il duo ha definito ‘The wrap’, bozzoli leggiadri e quasi preraffaeliti nati per esprimere un desiderio di protezione evocato dal gesto pudibondo e femminilissimo del chiudersi sul cuore la stola-cappa camaleontica, è infilata in minuti ed eleganti completi pantaloni vagamente esotici che citano il pijiama palazzo ma in una chiave concettuale, adotta top sleeveless.

Il Dolce Stil Novo di Miuccia e Raf passa per outfit in felpa, piccoli origami 3D sulle sete crude, moiré, renylon nobilitati, duchesse croccanti e brillanti sdrammatizzate da un’allure funzionalista, iconiche e romantiche gonne a ruota accostate a briosi mini cache coeur in maglia sottile cosparsi di cut out circolari, accostamenti inconsueti di grigio e arancio, scarpine appuntite da Cinderella in tinte shock, stampe d’archivio riprese dalla dissacrante e leggendaria collezione ‘ugly chic’ del 1995. Miuccia, così come Raf, non cerca il consenso ma di fatto lo ottiene innegabilmente grazie a una visione estetica alternativa intessuta di cultura e intelligenza illuminista e progressista. La sigla, inconfondibile, un triangolo simbolo della vocazione grafica e intellettuale della griffe, diventa quasi una spilla da appuntare orgogliosamente sul petto, vessillo di personalità, individualità, carisma. Così è la nuova ‘Pradaness’. 

L’Eden marino di Versace

L’Eden marino di Versace

Utopia ecologica griffata Versace. A Milano Donatella Versace si immerge negli abissi del magico mondo di Atlantide trasfigurato in ‘Versaceopolis’, fra flessuose sirene, divinità epiche come la dea Calipso e tritoni redivivi convertiti in aitanti surfisti digitali, svelando un mondo decorativo ricco e immaginifico fatto di stelle marine ricamate di strass, abiti plissettati finemente, e stampati a motivi di fauna marina, maglie sottili con i giochi grafici di Vasarely e fourreau spagnoleggianti zampillanti rouches e volants stile Flamenco. La palette é come di consueto esplosiva, in linea con l’edonismo vibrante che da sempre definisce lo spirito della maison: verde menta brillante, arancio, rosa, azzurro intenso, blu oltremare accostati e giustapposti con un’energia incontenibile e un inarrestabile vitalismo che nel menswear ricordano la primavera-estate 1993.

Il nero inappuntabile ma sexy dei gessati da executive hot che aprono lo show é illuminato da imprimé esuberanti che rifanno il verso alle collezioni di Gianni Versace del 1992 e a quella del 1994 con i barré adrenalinici verticali dai toni carioca, con i pants zampa d’elefante. Le tunichette succinte terminano con rouches scultoree mentre i doviziosi ricami esprimono l’amore per il mondo ittico con coralli e stelle marine. Bello il coat maschile di nappa finemente pieghettata, fascinoso il suit rosa pastello e quello verde menta pensati per un uomo che non ha bisogno di sentirsi macho per esibire la sua virilità. Il tema marino è declinato dal formalwear alle mises balneari con una vena glamour e originale. Le maglie da surfista hanno una attitude rilassata. Il seno é incorniciato da reggiseni e top sovrapposti che fasciano ed enfatizzano l’ubertosa bellezza delle modelle in omaggio al mantra bodyconscious di Versace.

Chiude lo show, ambientato in un setting onirico che coniuga le atmosfere di De Chirico e le scenografie dei film peplum con tanto di Ercole Farnese e torso del Belvedere in primo piano, la bellissima top russa Irina Shaik con un favoloso abito celeste in cadì con il corpino gioiello rosso corallo, un abbinamento cromatico che Gianni Versace propose in passerella per la prima volta su Claudia Schiffer nel 1996. La collezione é molto green: la bionda stilista paladina dell’epowerment femminile fa sapere che per questa collezione, presentata davanti a un pubblico composto solo dai dipendenti della maison tutti rigorosamente negativi al Covid, ha utilizzato cotoni organici e poliammide riciclato proprio con l’intento di preservare l’ecosistema.

La nuova linea di borse Medusa, lanciata questa stagione, prende il nome dalla firma iconica del brand. Il volto di Medusa decora le porte del bellissimo palazzo Rizzoli di Via Gesù, headquarter milanese di Versace, e fa parte della storia del brand fin dalle sue origini. La Medusa è una borsa comoda e sofisticata creata in pelle pregiata con una silhouette morbida e giovanile. Questa linea di borse si declina in una serie di colori pop ma in tutti i modelli la fodera è lilla. La tracolla Greca, realizzata in un caleidoscopio di colori, accentua il carattere ludico che caratterizza questo nuovo modello. Versace si riorganizza anche a livello di home collection e di linee young. Dalla maison fanno sapere che l’azienda, oggi controllata da Capri Holdings, ha siglato un accordo di licenza con Lifestyle Design, la divisione tricolore della compagnia americana Haworth Group, per lo sviluppo, la produzione e la distribuzione dell’arredo Versace Home. Inoltre oggi la maison continua a diversificare sempre nel segno dell’eccellenza firmando una riuscita linea di accessori connotati dal logo reinventato della V decorata da foglie di acanto, e anche Versace Jeans Couture che ha ingaggiato una serie di artisti multimediali con il compito di esplorare, attraverso uno strumento espressivo a loro scelta, la loro personale visione per il futuro. Il brand ha scelto la nuova generazione di creativi per creare contenuti social, esplorando temi come l’amore, l’unità e la solidarietà in modo ludico e ottimista. I video legati a questo progetto ad alto tasso di sostenibilità sono già visibili sul portale della maison, www.versace.com

Eccellenza pura anche per la linea Atelier che per l’autunno-inverno 2020-21riedita nel segno dell’esclusività, il meglio dello heritage della maison attraverso un sapiente e seducente impiego di pizzo e maglia metallica, ma anche charmeuse e sete preziose che accarezzano il corpo senza mai strizzarlo, in un tripudio di sinuosi drappeggi, conturbanti asimmetrie, panneggi da dea greca, finissime pieghettature e soluzioni decorative di grande malia e suggestione che riecheggiano la sensualità delle sirene impreziosendo le toilette di gala con scintillanti ricami in stile via lattea. Il tutto tradotto in nuance estremamente delicate e suadenti, dal rosa peonia al verde chartreuse, dal glicine all’oro rosé fino al turchese squillante, al color pepita, all’arancio carioca, al magenta e al nero sublime, attraverso forme scultoree, riflessi iridescenti e vertiginosi virtuosismi sartoriali che da sempre definiscono l’identità sperimentale e body conscious della maison della medusa.