“Essenziale, nardo e nasi” – L’odore della Guerra

L’ODORE DELLA GUERRA

Non ricordo i nomi delle strade o delle vie, ma rammento i volti, le tante persone che ho conosciuto.

Kateryna mi sorprese portandomi un fiore, me lo regalò poco prima dell’inizio dell’evento. Fu un gesto di rara semplicità e privo di malizia: si avvicinò a me mentre il suo ragazzo la osservava a pochi metri di distanza, e mi porse una rosa: eretta, timida e profumata.

Ogni tanto una donna si annusava il polso, una, due volte e poi mi abbracciava: “Vuoi essere il mio marito italiano?” mi chiese Irina ridendo con gli occhi pieni di quell’ironia che è il miglior antidoto contro ogni forma di seduzione.

Ero stanco di raccontare i miei profumi ed ero stanco di spruzzare ogni lembo di carne mi mostrassero: gelsomino, fava tonka, pepe rosa, mela rossa, benzoino, cardamomo, magnolia, camomilla romana, sandalo, ylang ylang, fico, alloro, mirra, castoreum…era tutto nell’aria, nebulizzato come gli sguardi pieni di vita.

Avevo perso un paio di partite a scacchi bevendo cioccolata calda, anzi ero stato umiliato, davvero! E la cosa mi faceva ridere, non riuscendo a trovare impeto agonistico in quel che non so fare. Avevo cenato, avevo camminato, avevo bevuto, avevo stretto centinaia di mani e odorato il collo di decine di donne sinuose come cigni, pericolose come gatti che mostrano la pancia. 

Alle tre di notte, avevo mischiato le carte e trovato quella giusta in un mazzo da poker, nella sosta tra una mano e l’altra, presentato come un “grande mago” dal punk sessantenne che gestiva la bisca priva di alcolici. Giochi di prestigio…

Che odore aveva Kiev?

Quello delle donne, dell’azzardo, dell’amicizia spontanea e anche quello dei miei profumi.

Quante narici sotto questo ponte. Ognuno ha le sue due narici. Due di tutto, o quasi. Un signore ha perso la mano destra, ha fasciato il moncone con della stoffa e odora di metallo rosso e fumo. 

Un cane beve da un tubo esploso sotto l’asfalto, ha un collare con una medaglietta a forma di osso, da chi ritornerà? 

Una madre allatta al seno, e mi viene fame. 

Bruciano copertoni, ovunque, sembrano milioni di Narciso Rodriguez in fumo. Il gas è nell’aria come il pericolo di una pentola d’acqua bollente trasbordante che ha spento il fuoco. Non c’è nessuna finestra da poter aprire; spero che il vento non si raffreddi e che non smetta di portare lontano questo sudore di terra e spavento. Non sappiamo chi o cosa stiamo aspettando, ci stringiamo alle nostre coscienze con la certezza di qualche razionale motivo deciso da qualcuno più intelligente di noi: più esperto, più audace. Siamo migliaia sotto al ponte, e ognuno crede di essere l’unico a non conoscerne il motivo: un altro mondo, un altro modo di vivere o sopravvivere. Mi fido dell’intuito delle donne (tante) e quindi anche del mio. 

Restiamo immobili: ferocemente pazienti, da quattro giorni.

Dopo l’oro e i diamanti e il lusso e i profumi ora sono i nostri corpi che pretendono: siamo quello che i russi hanno di più prezioso, noi come gregge loro come lupi che si pensano pastori.

L’acre aroma della polvere da sparo mi ricorda Capodanno, e il sangue che esce dagli occhi di quella donna ha lo stesso impeto di uno spumante: sembra caldo come le sue grida e il suo pianto di sale che “la disinfetta”, dice uno.

Una guerra contro i gay, hanno proclamato una “santa” guerra; e pensare che nei film i gay sono amici di tutti.

Ma sì, distruggete Sodoma e le sue madri e i loro figli! Ipocriti. Immagino che ucciderci sembrava una buona idea sul momento, coprirci con due metri di detriti, nasconderci nell’oblio: “Ehi ragazza ucraina, stai per morire!” 

“Grazie! Me l’aspettavo.”

Forse la morte sarà più bella della vita. Oppure… dovremmo muoverci, dovrei provare a salvarmi, correre. Non riesco.

Ho fatto l’amore a quindici anni, non mi scandalizzo di morire a venti.

In tasca ho uno snack, ma mi vergogno e lo lascio lì, con le sue mandorle, i cinque cereali, le fragole essiccate e le sue settantacinque calorie. 

Un tizio ci raccomanda di non respirare l’aria perché è tossica: “Troppe polveri!”. Cosa dovremmo respirare? Non ho neanche una mascherina con me, nemmeno i documenti. Non ho acqua, non ho cambi, non ho il mio gatto, non ho metri di distanziamento sociale, non ho idee, non ho buonsenso, non ho un reggiseno, ho solo paura… e profuma di brioche, di panna acida e ricotta, di buccia di limone, profuma di desiderio, di sochniki.

Nessuno è riuscito a portare molto con sé, se non il battito del cuore, le vie urinarie, il tunnel carpale, la miopia, la gotta, il diabete, la dentiera, la prostata, il mestruo, il rush cutaneo e i ruttini… Qui sotto, siamo solo anziani, donne e bambini.

Quando la corrente gira sembra di essere in un caseificio: l’olezzo dei corpi e delle ferite e della merda dei meno coraggiosi ci ha trasformato in una massa di potenziali cadaveri, eppure è vetriolo e fiamma a scorrerci nelle vene. 

Una bomba ha acceso il cielo nonostante il giorno. Gli uomini combattono come tigri e muoiono come bambini durante la ricreazione alle elementari: spesso tra le fiamme di un’esplosione, tra i vapori ustionanti che deflagrano i loro corpi, cuocendoli più rapidamente di qualsiasi fast-food.

Ricordi di cheratina bruciata, doppie punte, doppia morale, un indizio, un popolo, unica fine.

Piango anche io, ma in silenzio senza cercare sguardi. 

“Non piangere, o se vuoi piangi per loro che ci stanno ammazzando!” mi consola una signora.

Le lacrime hanno il sapore di Odessa. Sono solo una giovane ucraina con un futuro da inventare, non sono una Dea, non sono Venere… e la spuma del mare. Ho paura, non riesco a smettere.

Vorrei regalare un fiore a qualcuno: una rosa che spezzi l’odore dell’angoscia, dei morti, degli edifici crollati, del cemento, della benzina, delle armi. Ma la rosa è svanita, non esiste più. 

È un peccato puzzare? Non c’è rimedio. Probabilmente serve a compensare questa nefandezza: scacciare il peccato con il peccato. La natura ci riporta a sé, ci pretende: perché questa puzza di vissuto, così terribilmente preistorica, ricapitola l’universo intero. 

E sembra sia questo l’odore della fine, come fu quello dell’inizio: semplicemente un odore umano. 

La morte, dunque, è talmente naturale che il suo odore di martirio e di vita confina con ogni sogno di libertà. Almeno con il mio…

Vuoi sapere di cosa odora la guerra? 

Ecco, la prima nota che sentirai sarà quella di una bellissima rosa.


(foto in copertina di Alfred Eisenstaedt, 14 agosto 1945, Leica IIIa)