Interview: Damir Ivic
Photography: Riccardo Lancia
Stylist: Allegra Palloni
Make-up/Hair: Cotril
Press Office: Andreas Mercante & Edoardo Androni
Certe volte anche conoscendole nel contesto sbagliato– o comunque un po’ artefatto, controllato, patinato – si può capire quanto alcune persone siano profondamente giuste. Con Ema Stokholma è stato così. Già incuriositi in tempi non sospetti dalla sua figura atipica sia in radio che televisione di dj/speaker non ornamentale ma caratteristica, successe che nel 2020 uscì anche un romanzo dirompente, crudo, impietoso, “Per il mio bene” (edito da HarperCollins Italia e vincitore del Premio Bancarella 2021). Non un agile ed allegro volumetto per lucrare sulla propria fama, come da prassi, ma un racconto autobiografico affilato e tagliente. Diventava chiaro che Ema Stokholma (o per usare il suo nome anagrafico, Morwenn Moguerou) non è un personaggio come tanti, ma una rara avis che non ha paura di misurarsi né con la leggerezza né con i temi più gravi e problematici, restando sempre se stessa. Una persona sincera, non artefatta, più preoccupata di non perdere la spontaneità e la propria essenza piuttosto che apparire perfetta. Bello. Raro.

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Ricordi il nostro primo incontro su un set pubblicitario?
Aiuto! Lì il truccatore mi fece delle cose assurde, tipo mettere lo scotch nascosto dietro ai capelli, per tirare la faccia. Alla specchio non mi riconoscevo. Assurdo!
Per lavoro immagino ti capiti spesso di dover essere irreprensibile e perfetta. Eppure ho sempre avuto l’impressione – ed incontrandoti di persona, ancora di più – che tu sia invece vera e senza filtri.
Infatti il mio lato più vero è punk. Mica quello perfettino e ben truccato.
Come si gestiscono questi estremi, davanti e dietro le telecamere?
Vivo tutto questo come una fortuna, trasformarsi in fondo è divertente, no? Interpretare dei ruoli, come quando facevo la dj, dove accentuavo ed enfatizzavo alcuni tratti della mia personalità. Poi a casa ho la musica a palla come fossi sempre in discoteca e in radio faccio spegnere i miei monitor, se parlo di musica con Gino Castaldo, che è sempre una cosa bellissima, che me ne importa di vedere che faccia ho? A casa non ho né ritratti né specchi, non sono fissata sulla mia immagine.
Eppure il mondo dello spettacolo è, di regola, ossessionato dall’immagine.
Ne è ossessionato il mondo intero oggi, non solo quello dello spettacolo. Ma è in sé un mondo curioso, interessante, pieno di spunti. Mi esercito a stare lontana da ciò che è lontano da me, assorbo invece ciò che mi piace come una spugna.
E tra queste cose hai aggiunto anche il cinema, la serie con Carlo Verdone come attrice e “Sanremo Giovani” come presentatrice. A pedinarti su Instragram, scopriamo anche il tuo lato artistico, quanta vita.
Sono una privilegiata, ho la possibilità di ricevere in anteprima copie di libri e di vedere film meravigliosi come l’ultimo di Sorrentino, di far uscire in radio la musica che amo, tutto questo mi diverte, perché da pigra è un bellissimo esercizio mentale. Che poi la cosa più faticosa degli ultimi tempi è stato ristrutturare casa!
Quando si iniziano a fare questi discorsi significa che si sta diventando adulti!
Ma io ho un problema con le case, da sempre. Del resto ho fatto quaranta traslochi, e di anni ne ho quarantuno: rendo l’idea? Negli ultimi tre anni ho comprato e rivenduto due case, la mia commercialista pensa sia matta.
Quindi il luogo dove abiti ha per te un’importanza emotiva.
Per me la casa è tutto. Il luogo dove abitavo da bambina era terribile; quando finalmente me ne sono andata, ed ho iniziato a vivere da sola, ho cercato il mio paradiso, la pace che prima non avevo mai avuto.

Hai lasciato la Francia per l’Italia. Cos’è cambiato da quando sei arrivata?
Tantissimo, a partire dalla musica. Il rap sembrava non esistesse, confinato solo alle nicchie. Nel resto d’Europa, a partire dalla Francia, era già un genere cruciale. Ora nelle classifiche italiane ci sono solo rap e trap, mentre negli altri paesi europei c’è molta più varietà. È un genere che apprezzo parecchio, ma è ancora poco compreso, sembra che la detestino in tantissimi, seppure tra i più ascoltati. Bel paradosso.
A proposito di scene musicali che diventano nemici pubblici, direi che è successo lo stesso al mondo del clubbing, della discoteca. Al mondo della notte, a cui tu sei legata.
A costo di sembrarti noiosa e stucchevole ti dirò che per me è stato un mondo assolutamente meraviglioso, da cui ho imparato tantissimo. La discoteca è fatta di inclusività, di assenza di giudizio, dove tutti vengono accolti. Sarò stata fortunata, ma non mi sono mai ritrovata in spiacevoli situazioni. Appena arrivata in Italia, il Gay Pride: ho capito subito che quella sarebbe diventata la mia storia. Gente che si diverte, si maschera, si ama, è gentile l’un l’altro. Come non amare tutto questo? Sono appena tornata da una serata di techno pesante, al Cieloterra di Roma a sentire i Kernel Panik.
…ah, ma li conosco benissimo, un collettivo molto rigoroso e legato al mondo dei rave duri e puri.
Io arrivo da lì, da quel tipo di situazioni, dove la musica sì era durissima, ma quanto era gentile la gente? Appena qualcuno mi toccava o spingeva per sbaglio era subito uno “Scusa, scusami ”. È stata una delle più belle serate degli ultimi anni. Il rave appartiene ad un’altra fase della mia vita, fatta di correttezze, grandi amicizie, grandi risate, come i viaggi fatti a fine serata, col mio miglior amico e Britney Spears a palla nell’autoradio. Tutto molto adolescenziale, ma molto bello. È importante continuare a coltivare questo lato di sé.
Peraltro proprio il mondo delle discoteche è quello che ti ha proiettato verso la televisione: MTV prima, “Aggratis!” su Rai Due poi…
È tutto merito della mia amica Andrea Delogu, che prima della notorietà continuava a martellarmi: “Tu devi andare in televisione, capito? Devi essere la nuova Claudio Coccoluto, ovvero la persona che parla di musica con cognizione di causa”.
Una figura come Claudio manca un sacco, ora che non c’è più, artisticamente, umanamente ed intellettualmente, per la sua capacità di intervenire nel dibattito pubblico partendo da posizioni scomode. Vi siete mai conosciuti?
Oh sì. Una persona eccezionale.


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E il mondo della televisione come va giudicato?
Il segreto è non considerare solo la superficie, ma vederla come un insieme. Dietro ad un programma televisivo ci sono, oltre a chi va in onda, tutta una serie di tecnici, dai registi ai truccatori, dai producer ai gobbisti, sono loro la tv ed impari a rispettarli, anzi, proprio ad amarli. Poi io sono stata fortunata: ho fatto esperienze intense, da “Ballando” a “Pechino Express”, ero presa benissimo, e credo che chi ha lavorato con me, ha respirato la mia stessa felicità.
Cos’è che ti mette particolarmente di malumore?
Io sono molto emotiva, anche sul lavoro, per cui vivo un progetto come una relazione sentimentale, con la stessa intensità, e può essere un problema. Perché divento esigente, davvero una rompicoglioni. Ma arriva sempre il momento in cui mi rendo conto che la nostra priorità è essere felici e dare il meglio, perché stiamo facendo qualcosa di bellissimo e perché da un giorno all’altro potrebbe succedere che qualcuno arriva e ci dice “Basta, è finita”.
Quando diventi – uso la tua definizione – “rompicoglioni”, c’è qualcuno in grado di farti capire che stai esagerando?
La Delogu.
Quando sei a casa, in relax, che musica ascolti?
A casa mia c’è molto silenzio. Oppure ci sono i podcast, non la televisione. Adoro ascoltare “Elisa True Crime”, ma capita di guardare anche “Un giorno in pretura”.
Sei un’aspirante criminologa.
Non ci capisco nulla, però mi appassiona. Mi interessano i lati oscuri delle situazioni, delle persone. E non a caso, ho vissuto in mezzo alla violenza e, come ho raccontato nel libro parlando della mia infanzia e della mia adolescenza, so che non esiste un limite, che i freni scompaiono, che ci si confronta con l’abisso.
Quanto coraggio ci è voluto per scrivere “Per il mio bene” , che è crudo, impietoso, senza filtri.
Quanto coraggio? Zero. Il vero coraggio sarebbe stato denunciare mia madre mentre stavo subendo le sue violenze e i suoi abusi psicologici. Ho sentito la necessità di scriverne quando una notizia di cronaca riportava di un bambino morto in casa a Napoli. Pensando a lui, ho raccontato la mia storia.


Ci sono mai stati dei momenti in cui ti sei pentita di essere stata così diretta, trasparente e sincera? In fondo, improvvisamente un sacco di persone conoscevano un lato profondamente intimo e personale di te.
Mentre scrivi non ci pensi, poi quando esce il libro ti rendi conto che: “Nooo, aiuto, adesso la gente saprà questo di me”. Ma a mente fredda sai che è giusto così. Prima che uscisse, l’ho fatto leggere ai miei amici più stretti e nessuno di loro mi ha detto “Cosa stai facendo, fermati ”, così come sono sempre stata incoraggiata dalle persone legate alla casa editrice. C’è stato sì un processo di revisione, poteva essere scritto meglio, ma sono felice di averlo fatto.
Ne arriverà un altro?
Sì, e sarà un libro di poesie. Dopo due anni di psicanalisi con una neuropsichiatra freudiana, sono venute fuori tante cose dal mio inconscio. Giuro che non ci saranno poesie sul sesso, questo ci tengo a dirlo, eh!
Quando ti fermerai?
Quando potrò dedicarmi solo all’arte. Dipingere quadri, fare sculture con il gesso, dammi dieci anni e ci arrivo, non vedo l’ora.