IL PENSIERO DEL DIRETTORE – DA OGGI, PER TUTTE LE DOMENICHE
L’Ultima Resistenza: Il Giornalismo nell’Era dell’Intelligenza Artificiale
Quando le macchine scrivono, chi ancora pensa?
Iersera a cena con amici, davanti ad un’anatra troppo fredda ed un vino troppo caldo, ci si domandava chi utilizzasse l’AI e per quali scopi. ChatGPT, Claude, Leonardo, tutti assistenti personali pronti per fare il lavoro al posto tuo. È l’alba di una rivoluzione silenziosa che sta ridisegnando il panorama del lavoro intellettuale, la promessa di liberarci dalle fatiche del pensiero sostituendo con algoritmi, ciò che per millenni è stato il privilegio esclusivo della mente umana.
“I primi a morire saranno i copywriter” – diceva, dopo un sorso troppo tannico, i redattori (già assenti da decenni dalle scrivanie delle redazioni a lavorar da casa tra la pasta e l’abbacchio) delegano alle macchine la ricerca delle parole giuste, spesso del pensiero giusto, ma la domanda che mi faccio è, io che ho fatto quel che noi Millennial chiamiamo “la gavetta”, in una redazione vera dove c’era l’omino titolista (sì sì, un essere umano penna alla mano che prendeva uno stipendio per scrivere titoli e didascalie): Cosa accadrà quando l’ultimo custode della cultura deporrà la penna?
Il Grande Fraintendimento
L’errore fondamentale dell’epoca contemporanea è confondere l’informazione con la conoscenza, il dato con la sapienza, il fascino con il bisturi, la fama con il numero di like. Le intelligenze artificiali, per quanto raffinate, operano in un universo binario dove tutto è riducibile a pattern statistici e correlazioni matematiche. Possono assemblare frasi eleganti, produrre testi grammaticalmente perfetti, persino imitare stili letterari con precisione sconcertante (Proust si starà ribaltando nella tomba), ma quando un giornalista osserva l'”Allegoria della Pittura” di Vermeer, in quel drappo che cade come un sipario e ci rende tutti vojeuristi, riconosce anche l’anticipazione della fotografia, quella scelta di luce che arriva sempre da sinistra, sempre dalla solita finestra. Intravede, la tessitura degli arazzi e la mappa dettagliata dei Paesi Bassi, un quadro dentro un quadro; questo non è solo spirito di osservazione, è la visione alimentata da decenni di letture, di contemplazione, di anni passati a studiare, di ricerche incessanti, di vita vissuta.
Il giornalista autentico, quello bravo per intenderci e che merita di esser chiamato tale, non si limita a descrivere i fatti: li attraversa con la propria sensibilità, li filtra attraverso un prisma culturale costruito pagina dopo pagina, libro dopo libro, viaggio dopo viaggio, emozione dopo emozione.

L’Architettura Invisibile del Pensiero
Ciò che distingue il vero giornalismo dalla mera cronaca è la capacità di costruire ponti invisibili tra mondi apparentemente distanti. Quando Oriana Fallaci intervistava i potenti della terra (Intervista con la storia, prefazione di Federico Rampini – Best BUR) non si limitava a porre domande: convocava al tavolo dell’interrogatorio secoli di letteratura, filosofia, storia, la storia della sua vita, a fare da staffetta insieme al padre partigiano, appena quattordicenne, durante la Resistenza). Ogni sua domanda era il frutto di una biblioteca personale sedimentata nelle notti insonni passate a decifrare i geroglifici della politica internazionale.
L’intelligenza artificiale può elencare le caratteristiche del neorealismo cinematografico, ma non può intuire la differenza tra la passione virile che Hitchcock prova quando fa sciogliere lo chignon delle sue attrici rigorosamente bionde, rigorosamente glaciali – rispetto al trasporto erotico che Truffaut rivela con grazia ed eleganza estremamente femminile. Questo lo si comprende con la comprensione dell’essere umano, del mondo maschile, osservando, studiando, amando.
La Sindrome della Superficie e l’Arte di raccontare Emozioni
Il pericolo più insidioso non è la sostituzione totale del giornalista con la macchina, bensì l’impoverimento progressivo della professione, la sua riduzione a mero assemblaggio di contenuti preconfezionati (sì ne leggo tutti i giorni).
È il trionfo di una “sindrome della superficie”: notizie tutte uguali, contenuto accessibile, nessun approfondimento, niente collegamenti. Come osservava Umberto Eco ne “Il nome della rosa”, “La conoscenza non è fatta solo di libri, ma anche del silenzio che li circonda“. L’intelligenza artificiale può divorare biblioteche intere in frazioni di secondo, ma non conosce il silenzio, non sa dell’emozione di una prima volta davanti L’isola dei morti (Die Toteninsel) di Arnold Böcklin, quella volta al Moma, e le lacrime trattenute per tutti quegli anni.
La Biblioteca Vivente e La Ricerca Proustiana
Ogni vero giornalista è una biblioteca vivente, è la somma dei libri che ha letto, di quelli che lo hanno formato, di quelli che ha amato e quindi lo hanno plasmato, e quelli detestati, che quindi lo hanno affinato nella ricerca.
Quando Marcel Proust scrive “La Recherche“, sta lasciandovi non solo un romanzo, non la storia della sua vita, sta donandovi la storia del costume, un libro sul design e sulla moda, un catalogo per esperti psicologi con i profili di tutte le specie umane, sta confessandovi del gossip, i retroscena dei più importanti salotti parigini, sta aprendovi il manuale delle infinite emozioni, spiegate in maniera così vera e dettagliata, che non si può che piangere di fronte a tanto talento. Costatogli una vita intera.
Se l’algoritmo può assemblare citazioni appropriate e collegamenti plausibili, manca di “grano della voce“, quella che Roland Barthes descriveva come esperienza vissuta, passione autentica, dolore della conoscenza.
Perché conoscere è anche soffrire.
Il Tempo Della Sedimentazione. Il Tempo
Nell’era della velocità assoluta, della notizia che invecchia nel tempo di un click, il vero giornalismo oppone la resistenza della sedimentazione. Come il vino che acquista corpo negli anni, il pensiero giornalistico di qualità ha bisogno di tempo per maturare, di silenzio per depositarsi, di contemplazione per cristallizzarsi in forma compiuta.
Non chiedete a un giornalista un pezzo in venti minuti, vi prego, l’elaborazione emotiva è fondamentale in questo mestiere; c’è bisogno di attingere dal serbatoio di malinconia e meraviglia che alimenta ogni autentica vocazione intellettuale.
La Resistenza Necessaria – Il Vero Giornalista
Di fronte a questa marea di automi, il giornalista autentico deve rivendicare con orgoglio la propria specificità umana, la propria irriducibilità algoritmica. Non si tratta di opporsi al progresso tecnologico per nostalgia reazionaria (tutt’altro, viva la chirurgia robotica che permette di operare a distanza), ma di preservare quello spazio sacro dove la conoscenza si fa sapienza, dove la comprensione dei fatti della vita diventano poesia.
Il futuro del giornalismo sta nella più naturale capacità di emozionare ed emozionarsi di fronte al bello, di indignare e indignarsi di fronte all’ingiustizia, di commuovere e commuoversi di fronte alla fragilità umana.
Perché quando l’ultimo giornalista avrà ceduto la penna all’algoritmo, quando l’ultima biblioteca sarà stata digitalizzata e indicizzata, quando l’ultimo pensiero sarà stato classificato e archiviato, rimarrà ancora una domanda senza risposta:
Chi si ricorderà di sognare?
(In copertina, Biblioteca Abbazia di Admont, Austria – foto @Pinterest)