Tra Pop Art ed etnografia, l’Arte di Roy Lichtenstein in mostra a Milano

Un grande maestro della Cultura figurativa mondiale è il protagonista della nuova mostra del MUDEC di Milano: Roy Lichtenstein.

Dal 1 maggio all’8 settembre 2019, la mostra, intitolata Roy Lichtenstein. Multiple Visions omaggia il maestro statunitense nella completezza della sua opera. Curata da Gianni Mercurio, studioso di Lichtenstein, l’esposizione è promossa da Comune di Milano e 24Ore Cultura, e conta circa cento opere dell’artista, provenienti sia da note collezioni americane che da altre private.

Roy Lichtenstein, Head Profile, 1988
Roy Lichtenstein, Head Profile, 1988


Quella del MUDEC non è una mostra sulla Pop Art, perché Lichtenstein è stato, sì, folgorato tra gli anni ’50 e ’60, dal fenomeno artistico di Warhol, ma non si è mai limitato a quel periodo. Anzi, ha continuato ad affinare le sue tecniche e ad approfondire nuovi temi, che lo hanno condotto lontano dagli esiti del genio di Pittsburgh. Lichtenstein ha creato una forma artistica figlia di quella che Benjamin chiamava “riproducibilità tecnica” dell’opera, e non a caso la Pop Art era una riproduzione “a stampino” di un modello base, però orientandola verso mille direzioni tematiche, ovvero quelle Multiple Visions a cui accenna il titolo. La sua Arte fu sempre orientata all’etnografia, come testimonia il suo interesse giovanile per le culture e le rappresentazioni dei Pellerossa, così come seppe essere attenta all’evoluzione dell’iconografia pubblicitaria frutto del boom degli anni ’60 e alla sempre maggiore centralità del ruolo delle donne nella società, specie negli anni ’70, mostrando grande interesse per tutti quei movimenti femministi che stavano scuotendo gli States. Dagli anni ’80, iniziò a tornare all’Arte in senso lato, lavorando, nei suoi ultimi anni, a opere astrattiste o a ricordi delle avanguardie storiche, soprattutto del Cubismo e di Picasso. Sono queste le Multiple Visions che riassumono perfettamente la sua opera e che lasciano stupito il visitatore medio, che conosce Lichtenstein esclusivamente come artista Pop. E queste mille direzioni influenzarono generazioni successive di creativi, specie nell’ambito della Moda e della Pubblicità, in virtù del suo lavoro in prevalenza eseguito a stampa.

Roy Lichtenstein, I love Liberty, 1982
Roy Lichtenstein, I love Liberty, 1982


Occorre tracciare qualche cenno biografico dell’artista. Roy Lichtenstein nacque a New York nel 1923, da una famiglia ebraica della “middle class”. Nel 1940 iniziò a frequentare il corso di Belle Arti all’Università dell’Ohio, ma, ben presto, dovette interrompere gli studi in quanto venne chiamato alle armi e inviato in Francia al fronte. Rientrato dall’esperienza bellica nel 1949, terminò gli studi e sposò la prima amata moglie, Isabel, da cui ebbe due figli. La sua prima mostra, nel 1951, lasciava presagire il debito verso le avanguardie che Lichtenstein espresse nei suoi ultimi anni: un’esposizione di opere che oscillavano tra Cubismo ed Espressionismo. Con l’inizio degli anni ’60, l’artista lasciò la Pittura per iniziare a lavorare a stampa, con una tecnica creata da un reticolato di linee e puntini, chiamato Ben-Day Dots, applicata a immagini dei cartoni animati e dei fumetti: nacque così, insieme alla famosa Zuppa Campbell’s di Warhol, la Pop Art. Con la stessa tecnica, lavorò a opere, soprattutto nature morte, ma anche ritratti, in cui stravolse o sovrappose repertori iconografici tratti da Picasso, Braque, Mondrian e altri, fondendo il fascino dell’Avanguardia e il dinamismo della scomposizione cubista e astrattista con lo stile pubblicitario della neonata Pop Art. Le mostre che gli dedicarono le grandi gallerie newyorkesi furono un successo, che presto divenne non solo americano, ma mondiale. Con gli anni ’70, si dedicò anche alla scultura, con la serie Mermaid, in cui si ispirò fortemente a Giacometti e a Calder. Una grande mostra itinerante nel 1981 lo consacrò definitivamente a livello mondiale, mentre, nei suoi ultimi anni, ritornò a guardare all’Astrattismo e all’Informale. Roy Lichtenstein morì nella sua New York, la città che sempre amò e che sempre venerò nei suoi quadri, nel 1997, all’apice di una fama incredibile.

Roy Lichtenstein, American Indian Theme VI, 1980
Roy Lichtenstein, American Indian Theme VI, 1980


La mostra si sviluppa in alcune sezioni tematiche, non cronologiche, dedicate, ognuna alle molteplici visioni, o punti di vista, che Lichtenstein seppe applicare alla sua Arte. La prima prende le mosse dalle prove litografiche giovanili dell’artista, ispirate a temi letterari con uno stile astratto derivato da Paul Klee e da artisti di area tedesca, ma anche dalle sue incisioni giovanili dedicate ai Nativi d’America, tema che sempre lo interessò e che, a partire dagli anni ’70, in linea con un suo sempre maggiore appoggio all’attivismo dei movimenti come Red Power, riprese in chiave Pop come denuncia delle condizioni di vita delle riserve indiane, in grandiosi arazzi che paiono usciti da una tenda del grande capo di una tribù. La prova migliore è The Chief, incisione che ritrae un capo indiano con uno stile che si avvicina al Cubismo. Lichtenstein, in questa fase, fece deliberatamente uso di stilemi tratti dalle culture figurative pellerossa, mescolati a elementi dell’Arte occidentale e a elementi primitivi, a creare un modello “di protesta” di Arte americana alternativa a quella ufficiale.

Roy Lichtenstein, The Chief, 1956
Roy Lichtenstein, The Chief, 1956


A seguire, la mostra inizia ad analizzare l’utilizzo massiccio della forma stampata da parte dell’artista, che ne fece un marchio di fabbrica. Fondamentali, in questa fase, furono gli oggetti d’uso quotidiano, che caratterizzano la seconda sezione. Come il barattolo di zuppa per Warhol, Lichtenstein utilizzò un hot dog o un pollo arrosto per creare un’immagine iconica, riproducibile e, sicuramente, pubblicitaria, ma “no logo”, per usare le parole di Naomi Klein, una figura simbolo di un’epoca, gli anni ’60 del boom economico, ma che è anche denuncia della cultura di massa da cui prende le mosse la Pop Art. In questa fase, fondamentale è la tecnica a puntini, che trasforma oggetti quotidiani in opere d’Arte, ma lo è anche l’uso del colore, forte, shocking, ma diretto all’osservatore, e in questo Lichtenstein è un vero grafico pubblicitario. Nella serie delle Still Lifes, i colori sono quelli fondamentali, ed evitano le gradazioni tonali, a delineare l’oggetto perno dell’opera e a evidenziarne il carattere percettivo: in questo, l’artista fu un predecessore dell’interior design.

Roy Lichtenstein, Hot Dog, 1964
Roy Lichtenstein, Hot Dog, 1964


Segue una sezione dedicata alle serie di raffigurazioni d’Interni, realizzate da Lichtenstein tra il 1972 e il ’74 e riprese, poi, nel 1990, con frequenti autocitazioni da parte dell’artista. Si tratta di opere eseguite con tecniche miste, serigrafia, litografia e xilografia, in cui Lichtenstein si affermò, ancor più, come pioniere del Design d’interni. Queste opere, però, sono un’evoluzione della sua fase Pop, come prova l’inserimento degli oggetti d’uso negli interni raffigurati, oltre a un curioso gioco in cui l’artista arriva a riprodurre in miniatura alcune sue opere precedenti appese alle pareti, come provato da The Oval Office. Gli interni di Lichtenstein, raffigurati dall’artista con una tecnica che privilegia la percezione, sono ambienti non certo d’abitazione quotidiana, ma inanimati e quasi metafisici, oppure espressione di una satira nei confronti del potere politico americano.

Roy Lichtenstein, The Oval Office, 1992
Roy Lichtenstein, The Oval Office, 1992


La figura femminile fu sempre di grande interesse per Lichtenstein. La sezione successiva è dedicata proprio alle donne, su cui l’artista realizzò alcuni dei suoi capolavori. Lichtenstein seguì, da vicino, il processo di emancipazione femminile, dagli anni ’60 ai ’90. Partì da opere di inizio anni ’60, in cui la donna è ancora casalinga felice, angelo del focolare, per arrivare, in pochi anni, con l’inizio dei ’70, a una raffigurazione femminile ispirata ai cartoni animati, in cui la protagonista, spesso piangente, sembra lamentarsi della sua condizione e pronta a emanciparsi. Nascono così capolavori come Reverie e Crying girl, figure idealizzate ma “con i piedi per terra”, in preda ad angosce personali ed esistenziali ma quasi eroine quotidiane. Lichtenstein riprese, poi, il tema femminile a partire dal 1977, in linea con i movimenti femministi dell’epoca, con sculture raffiguranti profili sinuosi e sensuali, per concludere il processo a inizio anni ’90, con la serie dei nudi, che hanno come protagoniste ragazze moderne colte nella loro sfera intima, dietro a cortine sfumate ottenute con la tecnica a puntini.

Roy Lichtenstein, Reverie, 1965
Roy Lichtenstein, Reverie, 1965


 

Roy Lichtenstein, Crying Girl, 1963
Roy Lichtenstein, Crying Girl, 1963


A seguire, una sezione dedicata a un altro tema molto amato da Lichtenstein, i cartoni animati e i fumetti. Sin dall’inizio della sua esperienza Pop, con la Ben-Day Dots, i cartoons furono campo d’indagine per l’artista. Ora, sembra quasi di calarci all’interno dell’universo Marvel, ma con un intento più formale che narrativo, mirante a valorizzare la tecnica a puntini sperimentata da Lichtenstein, e a evidenziare l’impatto nella percezione dell’immagine. Nascono così opere come la serie delle Reflections, in cui l’artista lavorò su fotogrammi tratti da Superman e Wonder Woman, studiando l’effetto visivo di uno scontro tra oggetti o la reazione dell’eroina, chiamata, nell’opera, Minerva. In questa serie, trionfa l’immaginario guerresco e dinamico, contrapposto al sentimentalismo femminile statico di opere come Reverie, concepito, però, come denuncia di una società, quella americana, che vive sul culto delle armi e che, spesso, ha preteso, con la guerra, di esportare la democrazia.

Roy Lichtenstein, Reflections on Crash, 1900
Roy Lichtenstein, Reflections on Crash, 1990


 

Roy Lichtenstein, Reflections on Minerva, 1990
Roy Lichtenstein, Reflections on Minerva, 1990


I cartoons, in parte, tornano anche nella sezione successiva, quella dedicata ai paesaggi. Su questo tema, Lichtenstein riprese moltissimo le vedute giapponesi di Hiroshige e Hokusai, come prova il bellissimo paesaggio con sole, che sembra tratto dalla grafica nipponica, ma fu influenzato anche dall’Impressionismo. I paesaggi di Lichtenstein sono frutto dell’osservazione non di un dato naturale, ma di uno sfondo, ancora Pop, dei cartoni e dei fumetti. Rivoluzionario si rivela, in questa fase, l’utilizzo del Rowlux, un tipo di plastica lenticolare che, applicata alla superficie stampata, rende l’effetto del dinamismo sull’osservatore. Con i paesaggi degli anni ’80, Lichtenstein inizia a mescolare i colori tipici dei cartoons a quelli reali, creando un effetto fortemente gestuale e scenografico, mentre, con quelli cinesi del 1996, l’artista lavorò sia sul modello giapponese che sulle prove di Degas, ottenendo uno dei migliori risultati della tecnica Ben-Day dots, con un’atmosfera rarefatta e quasi fiabesca.

Roy Lichtenstein, Sunrise, 1965
Roy Lichtenstein, Sunrise, 1965


L’ultima parte della mostra è dedicata al Lichtenstein interessato all’Astrattismo e alle Avanguardie storiche. Dopo la fase Pop, l’artista tornò a interessarsi al fenomeno astratto ma solo in chiave parodistica, più che estetica, come provano le serie dei Brushstrokes, del 1965, in cui la pennellata è concepita come gesto archetipico, ma anche ironico e dissacrante. Lichtenstein vi ritornò negli anni ’80, con una pennellata che diventa segno grafico autonomo, con colori smaglianti, oppure reinterpretazione di repertori classici, dal ritratto alla natura morta, con omaggi a Van Gogh e a De Kooning. Concludono la mostra una serie di opere a stampa in cui l’artista riprende temi e repertori iconografici tipici delle Avanguardie. Non si tratta di citazionismo, ma di una volontà di scomporre, smontare queste figure e ricostruirle in una dimensione contemporanea, esattamente come avevano fatto i Cubisti cinquant’anni prima. Si tratta di ricostruzioni stilistiche, e non tematiche, miranti a trasformare la figura in uno strumento per un gioco linguistico e creativo totalmente nuovo, sempre un po’ irrisorio e ironico, come tutta l’opera del maestro, che diventerà una delle chiavi del Post-Moderno, di cui, forse, a sua insaputa, Roy Lichtenstein è uno dei padri.

Roy Lichtenstein, Brushstroke, 1965
Roy Lichtenstein, Brushstroke, 1965


Roy Lichtenstein, Landscape with boats, 1996
Roy Lichtenstein, Landscape with boats, 1996


Roy Lichtenstein, The Couple, 1980
Roy Lichtenstein, The Couple, 1980


Roy Lichtenstein. Multiple Visions
MUDEC, Via Tortona 56, Milano
Orari: lunedì 14.30-19.30
martedì-mercoledì-venerdì-domenica 9.30-19.30
giovedì-sabato 9.30-22.30
Ingresso: 14,00 € intero, 12,00 € ridotto
Info: www.mudec.it