Tra Pop Art ed etnografia, l’Arte di Roy Lichtenstein in mostra a Milano

Un grande maestro della Cultura figurativa mondiale è il protagonista della nuova mostra del MUDEC di Milano: Roy Lichtenstein.

Dal 1 maggio all’8 settembre 2019, la mostra, intitolata Roy Lichtenstein. Multiple Visions omaggia il maestro statunitense nella completezza della sua opera. Curata da Gianni Mercurio, studioso di Lichtenstein, l’esposizione è promossa da Comune di Milano e 24Ore Cultura, e conta circa cento opere dell’artista, provenienti sia da note collezioni americane che da altre private.

Roy Lichtenstein, Head Profile, 1988
Roy Lichtenstein, Head Profile, 1988


Quella del MUDEC non è una mostra sulla Pop Art, perché Lichtenstein è stato, sì, folgorato tra gli anni ’50 e ’60, dal fenomeno artistico di Warhol, ma non si è mai limitato a quel periodo. Anzi, ha continuato ad affinare le sue tecniche e ad approfondire nuovi temi, che lo hanno condotto lontano dagli esiti del genio di Pittsburgh. Lichtenstein ha creato una forma artistica figlia di quella che Benjamin chiamava “riproducibilità tecnica” dell’opera, e non a caso la Pop Art era una riproduzione “a stampino” di un modello base, però orientandola verso mille direzioni tematiche, ovvero quelle Multiple Visions a cui accenna il titolo. La sua Arte fu sempre orientata all’etnografia, come testimonia il suo interesse giovanile per le culture e le rappresentazioni dei Pellerossa, così come seppe essere attenta all’evoluzione dell’iconografia pubblicitaria frutto del boom degli anni ’60 e alla sempre maggiore centralità del ruolo delle donne nella società, specie negli anni ’70, mostrando grande interesse per tutti quei movimenti femministi che stavano scuotendo gli States. Dagli anni ’80, iniziò a tornare all’Arte in senso lato, lavorando, nei suoi ultimi anni, a opere astrattiste o a ricordi delle avanguardie storiche, soprattutto del Cubismo e di Picasso. Sono queste le Multiple Visions che riassumono perfettamente la sua opera e che lasciano stupito il visitatore medio, che conosce Lichtenstein esclusivamente come artista Pop. E queste mille direzioni influenzarono generazioni successive di creativi, specie nell’ambito della Moda e della Pubblicità, in virtù del suo lavoro in prevalenza eseguito a stampa.

Roy Lichtenstein, I love Liberty, 1982
Roy Lichtenstein, I love Liberty, 1982


Occorre tracciare qualche cenno biografico dell’artista. Roy Lichtenstein nacque a New York nel 1923, da una famiglia ebraica della “middle class”. Nel 1940 iniziò a frequentare il corso di Belle Arti all’Università dell’Ohio, ma, ben presto, dovette interrompere gli studi in quanto venne chiamato alle armi e inviato in Francia al fronte. Rientrato dall’esperienza bellica nel 1949, terminò gli studi e sposò la prima amata moglie, Isabel, da cui ebbe due figli. La sua prima mostra, nel 1951, lasciava presagire il debito verso le avanguardie che Lichtenstein espresse nei suoi ultimi anni: un’esposizione di opere che oscillavano tra Cubismo ed Espressionismo. Con l’inizio degli anni ’60, l’artista lasciò la Pittura per iniziare a lavorare a stampa, con una tecnica creata da un reticolato di linee e puntini, chiamato Ben-Day Dots, applicata a immagini dei cartoni animati e dei fumetti: nacque così, insieme alla famosa Zuppa Campbell’s di Warhol, la Pop Art. Con la stessa tecnica, lavorò a opere, soprattutto nature morte, ma anche ritratti, in cui stravolse o sovrappose repertori iconografici tratti da Picasso, Braque, Mondrian e altri, fondendo il fascino dell’Avanguardia e il dinamismo della scomposizione cubista e astrattista con lo stile pubblicitario della neonata Pop Art. Le mostre che gli dedicarono le grandi gallerie newyorkesi furono un successo, che presto divenne non solo americano, ma mondiale. Con gli anni ’70, si dedicò anche alla scultura, con la serie Mermaid, in cui si ispirò fortemente a Giacometti e a Calder. Una grande mostra itinerante nel 1981 lo consacrò definitivamente a livello mondiale, mentre, nei suoi ultimi anni, ritornò a guardare all’Astrattismo e all’Informale. Roy Lichtenstein morì nella sua New York, la città che sempre amò e che sempre venerò nei suoi quadri, nel 1997, all’apice di una fama incredibile.

Roy Lichtenstein, American Indian Theme VI, 1980
Roy Lichtenstein, American Indian Theme VI, 1980


La mostra si sviluppa in alcune sezioni tematiche, non cronologiche, dedicate, ognuna alle molteplici visioni, o punti di vista, che Lichtenstein seppe applicare alla sua Arte. La prima prende le mosse dalle prove litografiche giovanili dell’artista, ispirate a temi letterari con uno stile astratto derivato da Paul Klee e da artisti di area tedesca, ma anche dalle sue incisioni giovanili dedicate ai Nativi d’America, tema che sempre lo interessò e che, a partire dagli anni ’70, in linea con un suo sempre maggiore appoggio all’attivismo dei movimenti come Red Power, riprese in chiave Pop come denuncia delle condizioni di vita delle riserve indiane, in grandiosi arazzi che paiono usciti da una tenda del grande capo di una tribù. La prova migliore è The Chief, incisione che ritrae un capo indiano con uno stile che si avvicina al Cubismo. Lichtenstein, in questa fase, fece deliberatamente uso di stilemi tratti dalle culture figurative pellerossa, mescolati a elementi dell’Arte occidentale e a elementi primitivi, a creare un modello “di protesta” di Arte americana alternativa a quella ufficiale.

Roy Lichtenstein, The Chief, 1956
Roy Lichtenstein, The Chief, 1956


A seguire, la mostra inizia ad analizzare l’utilizzo massiccio della forma stampata da parte dell’artista, che ne fece un marchio di fabbrica. Fondamentali, in questa fase, furono gli oggetti d’uso quotidiano, che caratterizzano la seconda sezione. Come il barattolo di zuppa per Warhol, Lichtenstein utilizzò un hot dog o un pollo arrosto per creare un’immagine iconica, riproducibile e, sicuramente, pubblicitaria, ma “no logo”, per usare le parole di Naomi Klein, una figura simbolo di un’epoca, gli anni ’60 del boom economico, ma che è anche denuncia della cultura di massa da cui prende le mosse la Pop Art. In questa fase, fondamentale è la tecnica a puntini, che trasforma oggetti quotidiani in opere d’Arte, ma lo è anche l’uso del colore, forte, shocking, ma diretto all’osservatore, e in questo Lichtenstein è un vero grafico pubblicitario. Nella serie delle Still Lifes, i colori sono quelli fondamentali, ed evitano le gradazioni tonali, a delineare l’oggetto perno dell’opera e a evidenziarne il carattere percettivo: in questo, l’artista fu un predecessore dell’interior design.

Roy Lichtenstein, Hot Dog, 1964
Roy Lichtenstein, Hot Dog, 1964


Segue una sezione dedicata alle serie di raffigurazioni d’Interni, realizzate da Lichtenstein tra il 1972 e il ’74 e riprese, poi, nel 1990, con frequenti autocitazioni da parte dell’artista. Si tratta di opere eseguite con tecniche miste, serigrafia, litografia e xilografia, in cui Lichtenstein si affermò, ancor più, come pioniere del Design d’interni. Queste opere, però, sono un’evoluzione della sua fase Pop, come prova l’inserimento degli oggetti d’uso negli interni raffigurati, oltre a un curioso gioco in cui l’artista arriva a riprodurre in miniatura alcune sue opere precedenti appese alle pareti, come provato da The Oval Office. Gli interni di Lichtenstein, raffigurati dall’artista con una tecnica che privilegia la percezione, sono ambienti non certo d’abitazione quotidiana, ma inanimati e quasi metafisici, oppure espressione di una satira nei confronti del potere politico americano.

Roy Lichtenstein, The Oval Office, 1992
Roy Lichtenstein, The Oval Office, 1992


La figura femminile fu sempre di grande interesse per Lichtenstein. La sezione successiva è dedicata proprio alle donne, su cui l’artista realizzò alcuni dei suoi capolavori. Lichtenstein seguì, da vicino, il processo di emancipazione femminile, dagli anni ’60 ai ’90. Partì da opere di inizio anni ’60, in cui la donna è ancora casalinga felice, angelo del focolare, per arrivare, in pochi anni, con l’inizio dei ’70, a una raffigurazione femminile ispirata ai cartoni animati, in cui la protagonista, spesso piangente, sembra lamentarsi della sua condizione e pronta a emanciparsi. Nascono così capolavori come Reverie e Crying girl, figure idealizzate ma “con i piedi per terra”, in preda ad angosce personali ed esistenziali ma quasi eroine quotidiane. Lichtenstein riprese, poi, il tema femminile a partire dal 1977, in linea con i movimenti femministi dell’epoca, con sculture raffiguranti profili sinuosi e sensuali, per concludere il processo a inizio anni ’90, con la serie dei nudi, che hanno come protagoniste ragazze moderne colte nella loro sfera intima, dietro a cortine sfumate ottenute con la tecnica a puntini.

Roy Lichtenstein, Reverie, 1965
Roy Lichtenstein, Reverie, 1965


 

Roy Lichtenstein, Crying Girl, 1963
Roy Lichtenstein, Crying Girl, 1963


A seguire, una sezione dedicata a un altro tema molto amato da Lichtenstein, i cartoni animati e i fumetti. Sin dall’inizio della sua esperienza Pop, con la Ben-Day Dots, i cartoons furono campo d’indagine per l’artista. Ora, sembra quasi di calarci all’interno dell’universo Marvel, ma con un intento più formale che narrativo, mirante a valorizzare la tecnica a puntini sperimentata da Lichtenstein, e a evidenziare l’impatto nella percezione dell’immagine. Nascono così opere come la serie delle Reflections, in cui l’artista lavorò su fotogrammi tratti da Superman e Wonder Woman, studiando l’effetto visivo di uno scontro tra oggetti o la reazione dell’eroina, chiamata, nell’opera, Minerva. In questa serie, trionfa l’immaginario guerresco e dinamico, contrapposto al sentimentalismo femminile statico di opere come Reverie, concepito, però, come denuncia di una società, quella americana, che vive sul culto delle armi e che, spesso, ha preteso, con la guerra, di esportare la democrazia.

Roy Lichtenstein, Reflections on Crash, 1900
Roy Lichtenstein, Reflections on Crash, 1990


 

Roy Lichtenstein, Reflections on Minerva, 1990
Roy Lichtenstein, Reflections on Minerva, 1990


I cartoons, in parte, tornano anche nella sezione successiva, quella dedicata ai paesaggi. Su questo tema, Lichtenstein riprese moltissimo le vedute giapponesi di Hiroshige e Hokusai, come prova il bellissimo paesaggio con sole, che sembra tratto dalla grafica nipponica, ma fu influenzato anche dall’Impressionismo. I paesaggi di Lichtenstein sono frutto dell’osservazione non di un dato naturale, ma di uno sfondo, ancora Pop, dei cartoni e dei fumetti. Rivoluzionario si rivela, in questa fase, l’utilizzo del Rowlux, un tipo di plastica lenticolare che, applicata alla superficie stampata, rende l’effetto del dinamismo sull’osservatore. Con i paesaggi degli anni ’80, Lichtenstein inizia a mescolare i colori tipici dei cartoons a quelli reali, creando un effetto fortemente gestuale e scenografico, mentre, con quelli cinesi del 1996, l’artista lavorò sia sul modello giapponese che sulle prove di Degas, ottenendo uno dei migliori risultati della tecnica Ben-Day dots, con un’atmosfera rarefatta e quasi fiabesca.

Roy Lichtenstein, Sunrise, 1965
Roy Lichtenstein, Sunrise, 1965


L’ultima parte della mostra è dedicata al Lichtenstein interessato all’Astrattismo e alle Avanguardie storiche. Dopo la fase Pop, l’artista tornò a interessarsi al fenomeno astratto ma solo in chiave parodistica, più che estetica, come provano le serie dei Brushstrokes, del 1965, in cui la pennellata è concepita come gesto archetipico, ma anche ironico e dissacrante. Lichtenstein vi ritornò negli anni ’80, con una pennellata che diventa segno grafico autonomo, con colori smaglianti, oppure reinterpretazione di repertori classici, dal ritratto alla natura morta, con omaggi a Van Gogh e a De Kooning. Concludono la mostra una serie di opere a stampa in cui l’artista riprende temi e repertori iconografici tipici delle Avanguardie. Non si tratta di citazionismo, ma di una volontà di scomporre, smontare queste figure e ricostruirle in una dimensione contemporanea, esattamente come avevano fatto i Cubisti cinquant’anni prima. Si tratta di ricostruzioni stilistiche, e non tematiche, miranti a trasformare la figura in uno strumento per un gioco linguistico e creativo totalmente nuovo, sempre un po’ irrisorio e ironico, come tutta l’opera del maestro, che diventerà una delle chiavi del Post-Moderno, di cui, forse, a sua insaputa, Roy Lichtenstein è uno dei padri.

Roy Lichtenstein, Brushstroke, 1965
Roy Lichtenstein, Brushstroke, 1965


Roy Lichtenstein, Landscape with boats, 1996
Roy Lichtenstein, Landscape with boats, 1996


Roy Lichtenstein, The Couple, 1980
Roy Lichtenstein, The Couple, 1980


Roy Lichtenstein. Multiple Visions
MUDEC, Via Tortona 56, Milano
Orari: lunedì 14.30-19.30
martedì-mercoledì-venerdì-domenica 9.30-19.30
giovedì-sabato 9.30-22.30
Ingresso: 14,00 € intero, 12,00 € ridotto
Info: www.mudec.it

Le origini dell’Arte di Paul Klee in mostra a Milano

I rapporti tra Arte contemporanea e le sue origini sono sempre stati oggetto delle mostre del MUDEC.

Dopo la mostra dedicata a Kandinskij e al suo repertorio folklorico russo, argomento della nuova esposizione di Via Tortona sono le origini della Pittura di un altro grande dell’Arte del ‘900, Paul Klee.

Composizione con occhi, 1916, Fondazione Marguerite Arp, Locarno
Composizione con occhi, 1916, Fondazione Marguerite Arp, Locarno


L'Occhio, Zentrum Paul Klee, Berna
L’Occhio, Zentrum Paul Klee, Berna


La grande mostra dedicata al pittore svizzero, curata da Michele Datini e Raffaella Resch, dal 31 ottobre 2018 al 3 marzo 2019, intende essere un percorso filologico all’interno della Pittura di Klee, una specie di parallelismo con l’esposizione di Palazzo Reale dedicata a Picasso e alle sue fonti antiche. Sì, perché di fonti si tratta, visto che la mostra intende farci scoprire le radici dell’Arte di Klee, anche attraverso la sua, meno nota, produzione figurativa e il suo rapporto con il Rinascimento tedesco e svizzero. Klee fu un grande conoscitore dell’Arte antica, tanto da recarsi in viaggio a Roma tra il 1901 e il 1902, dove ebbe modo di scoprire la grandiosità delle basiliche paleocristiane ma anche le grandi decorazioni rinascimentali. Klee guardò anche al modello dell’Arte dei popoli preistorici ed extraeuropei, ma il suo primitivismo non fu mai evasione dalla quotidianità, come lo visse Gauguin, per esempio, bensì riscoperta delle origini, tanto che Klee si interessò anche alle manifestazioni artistiche degli antichi Elvezi, i primi abitanti della sua amata Svizzera.

Con il serpente, 1924, Fondazione Musei Civici, Venezia
Con il serpente, 1924, Fondazione Musei Civici, Venezia


Roccia artificiale, 1927, Kunstmuseum, Thun
Roccia artificiale, 1927, Kunstmuseum, Thun


La mostra, promossa da Comune di Milano e 24Ore Cultura, intende essere un percorso “a rebours”, a ritroso, partendo dall’opera compiuta per risalire alle fonti dell’Arte di Paul Klee. Tracciare una biografia di Paul Klee sarebbe superfluo, perché distrarrebbe il visitatore dall’attenzione sulla traccia filologica dell’esposizione. In mostra il visitatore si sente come un pesce che risale il fiume del turbinio creativo di Klee partendo dalla foce, l’opera compiuta, fino alla sorgente, la fonte antica o primitiva. Nelle sale di Via Tortona sono ospitate un centinaio di opere, per lo più provenienti dal Zentrum Klee di Berna, la città vicino cui Paul nacque nel 1879, accanto ad altre di Arte antica e primitiva delle collezioni del Comune di Milano. Klee fu sempre ostile a qualsiasi scuola e a qualsiasi movimento. La critica lo ha sempre considerato un astrattista, visto anche il suo legame umano con Kandinskij, ma la sua Arte è sempre andata oltre, è sempre stata ricerca delle origini. I Surrealisti lo acclamarono a Parigi, i suoi studenti al Bauhaus lo considerarono un maestro, ma Klee non fu mai un capocorrente, bensì un genio creativo libero da qualsiasi vincolo. Le Origini, per lui, furono le testimonianze artistiche dell’Alto Medioevo e del Rinascimento, ma anche le Culture africane e precolombiane, ma tali fonti non vennero mai mescolate, evitando, quindi, di cadere nel rischio revivalistico ed eclettico, tanto in voga negli anni in cui Paul operò.

Con la lampada a gas, 1915, Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma
Con la lampada a gas, 1915, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma


Senza titolo, 1939, Zentrum Paul Klee, Berna
Senza titolo, 1939, Zentrum Paul Klee, Berna


La mostra si presenta suddivisa in cinque sezioni tematiche, ognuna legata alle fonti cui traggono ispirazione. La prima è dedicata alla più originale e recondita della produzione di Klee, quella delle caricature che realizzò nei suoi anni giovanili e anche in quelli di permanenza a Monaco, dove conobbe Kandinskij, Macke e Marc, e a Weimar, con il Bauhaus. La sua radice è ancora simbolista, come evidente dai tratti grafici dedotti dall’Arte di Stück, ma con intento totalmente irrisorio. Lo stile è mediato dall’Arte rinascimentale tedesca e mitteleuropea: basti confrontare la Vergine e L’Eroe con l’ala, entrambi del 1903-4, con le incisioni di Dürer, come la Melancolia della Raccolta Bertarelli, per capire come la fonte privilegiata siano proprio gli artisti della Scuola di Norimberga, Altdorfer o l’alsaziano Schongauer. Le sue caricature, che lui chiamava Inventionen, sono esercizio stilistico, basato su forme grottesche ispirate allo Jugendstil viennese,  e pura ironia sul suo tempo, senza mai cadere nella mera cronaca o nella militanza ideologica, nonostante la sua ferma opposizione al nascente regime nazista che, giunto al potere, lo allontanò dall’insegnamento al Bauhaus, costringendolo al ritorno in Svizzera, dove sarebbe morto nel 1940.

Vergine sognante, 1903, Zentrum Paul Klee, Berna
Vergine sognante, 1903, Zentrum Paul Klee, Berna


La casa rossa, 1913, Museo Comunale d'Arte Moderna, Ascona
La casa rossa, 1913, Museo Comunale d’Arte Moderna, Ascona


La seconda sezione è dedicata prevalentemente agli anni a ridosso della Grande Guerra, quando Klee, al fronte con l’esercito tedesco, visti gli orrori bellici e perso l’amico Marc, decise di allontanarsi dall’illustrazione satirica per dedicarsi a un tipo di Arte eremitica e solitaria. Divenne, quindi, nella sua fase espressionista, “Illustratore cosmico”, con disegni e acquerelli pensosi, trasognati e spesso onirici, influenzati nella sfera tematica dalla Pittura di un altro grande svizzero come Heinrich Fuessli e frutto di una volontà di spiegare, in immagini già astratte, le leggi universali del Cosmo e dell’Universo. Per ottenere tali risultati, a Monaco, Klee si ispirò ad antichi Evangeliari miniati e ai mosaici bizantini: con formati piccolissimi, spesso lavorati con penne e matite, ottenne risultati che prefiguravano il misticismo del Blaue Reiter, come prova il Piccolo Mondo del 1924.

Costruzione di una foresta, 1919, Museo del Novecento, Milano
Costruzione di una foresta, 1919, Museo del Novecento, Milano


Sommo guardiano, 1940, Zentrum Paul Klee, Berna
Sommo guardiano, 1940, Zentrum Paul Klee, Berna


La terza sezione è imperniata sulla sua costante passione per gli alfabeti antichi, da quelli mesopotamici ai geroglifici egizi, alle grafie islamiche e alle rune celtiche. Klee si esercitò costantemente su queste testimonianze di scrittura in quanto segno, più che mai tangibile, delle Origini dell’Uomo. Furono più che altro i geroglifici egizi ad attrarlo, in quanto ideogrammi che contenevano, insieme, un seme di parola ma anche una raffigurazione oggettuale del suo significato, e ciò compare in varie sue opere, in cui pseudo-grafemi prendono vita, divenendo elemento umano, zoomorfo o fitomorfo. Più o meno lo stesso intento che animava l’Arte applicata agli inizi del ‘900 e che diede vita al fenomeno Art Nouveau, ma in direzione opposta, visto che Klee, anche grazie al contatto con l’amico Kandinskij e ai suoi scritti, si diede all’astratto, come provano alcune delle opere della sezione, come il bellissimo Angelo in divenire del 1934 o l’ironico Artico immobiliato del 1935, così come la tavola Turbato, del 1935, elabora uno stile personale, frutto dell’essenzialità creativa infantile unita alla grande passione per i geroglifici egizi, e anche il formato su tavola è frutto di un’elaborata analisi delle fonti antiche, dagli stessi egizi ai lavori dei maestri medievali attivi nelle chiese bavaresi e svizzere.

Paul Klee, Angelo in divenire, 1934, Zentrum Paul Klee, Berna
Paul Klee, Angelo in divenire, 1934, Zentrum Paul Klee, Berna


La quarta sezione mette in rapporto gli oggetti di Arte africana e precolombiana del MUDEC con il ritorno all’infanzia di Klee. La sua semplicità formale si abbinò a un notevole interesse per le silhouette ovali delle maschere africane, ma, soprattutto, a un rinnovato interesse, frutto anche di un lavoro psicanalitico, per l’infanzia e per i suoi segni creativi. Il frutto migliore di questa fase è il Teatro delle Marionette, capolavoro di Klee, realizzato tra il 1916 e il 1925 per realizzare un desiderio del figlio Felix: si tratta di una cinquantina di pupazzi, realizzati con i più disparati materiali che trovò nella sua abitazione, secondo la tradizione del teatro popolare del Nord Europa, in cui ritrasse, satiricamente, amici e colleghi o personaggi del suo tempo.

Kraftwetter, 1933, Zentrum Paul Klee, Berna
Kraftwetter, 1933, Zentrum Paul Klee, Berna


L’ultima sezione è dedicata al risultato finale della sua Arte, l’Astrazione, che, attraverso tutte le fonti esaminate, si manifesta in tutta la sua potenza, in quello che, per Klee, era uno stile di vita, un comportamento, frutto di un volersi allontanare dalla realtà seguendo un’esperienza metafisica e trascendente, ma non in senso religioso, in quanto il suo vero credo era l’Arte, la Pittura in particolare. Successivamente, negli anni del Bauhaus, Klee aderì a un tipo di Arte più formale, con geometrie semplici e dirette, più adatte a esigenze didattiche, come provano la bellissima Chiocciola, del 1924 o il Paesaggio urbano rosso-verde del 1923. In questo periodo, Klee arricchì le sue geometrie di colori sgargianti: fu lui stesso a cominciare a parlare di “policromie”, ispirate ad artisti svizzeri di nascita o di adozione, dell’800 o contemporanei, da Segantini a Hodler, da Itten a Giacometti. Sono nati in questo modo corpus di opere, degli anni ’30, in cui l’astrazione si accompagnò a un ricordo, quasi ossimoro, naturalistico, per poi volgersi a rappresentazioni più architettoniche, inserite in disegni geometrici semplici, ma che, come un ciclo che si chiude, ritornano alle origini della sua Pittura, alla verve ironica delle sue caricature e al misticismo cosmico della sua fase intorno alla Grande Guerra.

Paesaggio urbano rosso-verde, 1923, Zentrum Paul Klee
Paesaggio urbano rosso-verde, 1923, Zentrum Paul Klee


Paul Klee. Alle origini dell’Arte
MUDEC, Via Tortona 56, Milano
Orari: Lun 14.30 ‐19.30 | Mar, Mer, Ven, Dom 09.30 ‐ 19.30 | Gio, Sab 9.30‐22.30
Biglietti: Intero € 14,00 | Ridotto € 12,00
Info: www.ticket24ore.it | Tel. +39 0254917

Tra strada e protesta: l’Arte di Banksy in mostra a Milano

Street Art. Una parola che divide tra detrattori, spesso caricati di pregiudizi anche ideologici, e sostenitori di una forma creativa nuova in grado di riqualificare spazi urbani.

Anche in Italia questo fenomeno è recentemente esploso, tanto che le nostre città sono diventate campo di sperimentazione per nuove forme di comunicazione visiva su muro, specie nelle periferie. Ne sono prova i lavori eseguiti nel quartiere romano di San Basilio oppure i piloni della Sopraelevata, nel cuore di Genova, ma anche opere comparse in cittadine di provincia trasformate in musei a cielo aperto. La vera capitale della Street Art italiana è, però, Milano che, specie negli ultimi anni, ha visto fiorire moltissimi progetti di decorazione di muri liberi altrimenti in preda al degrado o addirittura di centraline dei semafori che hanno dato un tocco di vita e di colore a incroci apparentemente anonimi.

Milano non poteva essere la sede migliore per ospitare una mostra dedicata a uno dei padri della Street Art mondiale, Banksy. Dal 21 novembre 2018 al 14 aprile 2019, il MUDEC di Milano ospita questa grande esposizione, curata da Gianni Mercurio, che intende presentarsi come un percorso per immagini all’interno del pensiero artistico dell’artista: sono, infatti, esposte circa ottanta opere, tra dipinti e prints numerati, insieme a circa sessanta copertine di vinili e CD, oltre a una quarantina di memorabilia dell’artista.

Donut, 2009, Milano, Collezione Privata
Donut, 2009, Milano, Collezione Privata


Di Banksy si sa pochissimo, o meglio, quasi nulla, visto che nessuno è mai riuscito a svelare la sua vera identità. Potrebbe essere un artista, potrebbe trattarsi di un collettivo o di una crew, ma nessuno sa dire chi, in realtà, sia Banksy. Di certo esiste la sua fama mondiale, accresciuta, sicuramente, da questo volersi nascondere e dal non voler rivelare la propria identità, ma ciò fa parte del suo gioco artistico e della sua filosofia creativa, mirante a far prevalere il concetto sulla personalizzazione, il “cosa faccio” e il “come lo comunico” sul “chi sono” e “quanto sono quotato dal mercato”. Banksy è uno Street Artist, uno dei padri di questa forma creativa contemporanea, ma il suo raggio d’azione va oltre l’Arte. Con le immagini, si rivela un filosofo contemporaneo, un saggio che parte dalla strada per farci capire tante cose sul Mondo di oggi, ma anche un politologo che non parla nei talk show televisivi urlati, ma che comunica per immagini semplici e iconiche. Del resto, la sua massima più significativa è “A wall is a very big weapon” (Un muro è una grandissima arma), che testimonia come il suo modo di fare Arte sia, più che pura prassi creativa, protesta visuale, un tumulto iconografico mirante a farci scoprire le contraddizioni della nostra epoca e i cambiamenti del Mondo. Questa protesta parte dal graffitisimo di New York degli anni ’80 e ’90 e dall’Arte di Jean-Michel Basquiat, che l’artista ignoto ammira per la semplicità comunicativa, per i colori sgargianti e per il primitivismo. Banksy, però, va oltre. Arricchisce qualcosa di puramente fine a se stesso, seppur di rottura, con una voglia di denuncia e di critica sociale che esca dal solito circuito delle gallerie e dei collezionisti, rendendo questo intento visibile a tutta la cittadinanza e trasformandola in pura democrazia visuale. La tecnica scelta è stata quella dello stencil, ovvero l’uso di immagini stampate su carta adesiva, da attaccare su muri liberi. In questo modo, Banksy si è rivelato come il più illusionistico e scenografico tra gli Street Artists, proponendo veri e propri effetti ottici tipici del trompe-l-oeil.

Love is in the air (Flower Thrower), 2003, Butterfly Art News Collection
Love is in the air (Flower Thrower), 2003, Butterfly Art News Collection


Per Banksy, l’opera acquisisce significato se ha una valenza di critica politica e sociale. In primis se critica e combatte senza armi le ingiustizie del Mondo, affrontandole in maniera diretta. Migrazioni, Terzo Mondo e guerre sono suo argomento privilegiato. Notorio è il pacifismo dell’artista, che ha sempre realizzato opere con cui ha manifestato la propria opposizione a qualsiasi conflitto, da lui sempre ritenuto ingiusto. Sul tema bellico, Banksy ha realizzato uno dei suoi capolavori sul muro che separa Israele dai Territori Palestinesi, con l’obiettivo di denunciare le difficili condizioni degli abitanti della Cisgiordania in seguito alla creazione della barriera da parte dello Stato ebraico. Da sagace osservatore della realtà e suo feroce critico, Banksy ha arricchito lo spunto politico con quello, forse, più significativo: la satira. Bansky è un comico che non fa ridere con le battute da cabaret ma con curiosi stencil che raffigurano episodi al limite del surreale e, proprio sul muro arabo-israeliano, abbiamo prova di tutto ciò, con giocosi effetti ottici che aprono, oltre la barriera, panorami marini o montani o con una bambina palestinese che, con ironico rovesciamento, perquisisce un militare di Gerusalemme. La sua opera più suggestiva in terra palestinese, però, è la fantastica bambina che, attaccandosi al filo di un palloncino che si staglia verso il cielo, si libra in volo a superare quell’orribile barriera tra due popoli e due Stati, mandando un messaggio molto chiaro: la Politica divide e costruisce muri, l’Arte unisce e li abbatte. In mostra c’è un’intera sezione dedicata alle opere di Betlemme e al Walled Off Hotel, l’albergo aperto da lui stesso a Betlemme, davanti al muro, per attirare l’attenzione sulle sue opere e sulla situazione del conflitto tra Israele e Palestina.

Rude Copper, 2003, Butterfly Art News Collection
Rude Copper, 2003, Butterfly Art News Collection


 

Flying Copper, 2003, Butterfly Art News Collection
Flying Copper, 2003, Butterfly Art News Collection


Bansky ha sempre assimilato gli uomini a topi e scimmie, animali vittime di cupidigia, potere e consumismo, disposti a farsi la guerra pur di affermarsi l’uno sull’altro: la prova sono le sue immagini, in mostra, di topi che disegnano cuori o scimmie che denunciano, con cartelli ironici, i cambiamenti climatici. Non manca nemmeno il senso di oppressione che caratterizza la realtà di oggi, ossessionata dalla sicurezza e dalla paura: la prova migliore è l’opera raffigurante, tramite stencil, Judy Garland, nel Mago di Oz, affiancata da un poliziotto antisommossa che le controlla la borsa, ma anche il tipico bobby londinese che mostra il dito medio allude a questa situazione di disagio umano, da cui Bansky ne esce sempre con l’arma comica dell’ironia. E’ ancora la guerra, però, a farla da padrona: l’artista è rimasto impressionato dalle manifestazioni che invasero il centro di Londra contro la Seconda Guerra del Golfo e la politica bellica di Tony Blair, tanto da realizzare, in questa occasione, i famosissimi Smiley copper, immagini di poliziotti dei reparti antisommossa, con casco e fucile per lacrimogeni, ma con curiose ali e, al posto del volto, uno smiley simile a quello che tutti noi ci scambiamo su Whatsapp e Messenger. Allo stesso evento fa riferimento anche il famoso Flower Thrower, manifestante col volto coperto che, al posto di gettare una molotov, lancia un mazzo di fiori: una versione contemporanea di quel motto delle manifestazioni degli anni ’60 in cui si cantava “metteremo fiori nei vostri cannoni”. Attraverso l’ironia, Bansky entra nel mondo del punk e della sua cultura, simbolo, totally British, di rottura con il sistema: Winston Churchill con la cresta verde sembra Johnny Rotten dei Sex Pistols, così come la denuncia dell’alcolismo a Londra è condotta attraverso le parole dei Clash, “I fought the Law, and the Law won” (Ho combattuto la Legge, e la Legge ha vinto”). Ovviamente sono irrisi i simboli della monarchia inglese, con la regina Elisabetta trasformata in scimmia che ride beffarda davanti all’entrata in guerra dell’Inghilterra a fianco degli Stati Uniti contro l’Iraq di Saddam Hussein e Queen Victoria, simbolo da sempre di pruderie moraleggiante (e moralista), che diviene, con un simpatico fotomontaggio, icona hard mentre ha un rapporto saffico con una ragazza e siede, in autoreggenti e reggicalze, sul suo volto.

GIrl with red Balloon, 2004, Butterfly Art News Collection
GIrl with red Balloon, 2004, Butterfly Art News Collection


La logica conclusione è la vena pop di Bansky, con Kate Moss ritratta come la Marilyn di Warhol, accanto alla scena comica di John Travolta in Pulp Fiction, mentre spara con una banana al posto della pistola, insieme alla sua vena creativa come autore di copertine di album musicali, come Think Tank dei Blur.

Mosquito, 2002, Anversa, Artificial Gallery
Mosquito, 2002, Anversa, Artificial Gallery


Appendice alla mostra, secondo lo stile tipico delle mostre del MUDEC, è una sala immersiva in cui sono proiettate le immagini in video delle sue opere su muro, da quelle in Palestina a quelle che ha realizzato in Inghilterra, tra cui spicca il recente murale di Dover in cui, sul muro di un palazzo popolare, un uomo su una scala stacca una stella dalla bandiera dell’Unione Europea, con palese riferimento alla Brexit e alla disaffezione verso l’Europa in un Vecchio Continente su cui, ormai, soffiano i venti del sovranismo e del nazionalismo.

Rat, 2015, Anversa, Artificial Gallery
Rat, 2015, Anversa, Artificial Gallery


A visual protest. The Art of Banksy
MUDEC, Via Tortona 56, 20144 Milano
Orari: lunedì 14.30 – 19.30; martedì – mercoledì – venerdì – 09.30 – 19.30; giovedì – sabato – domenica – 09.30 – 22.30
Biglietti: Intero  € 14,00, ridotto  € 12,00
Informazioni: www.ticket24ore.itwww.mudec.it | Tel. +39 0254917


 

“Crafting the Future”: la mostra dedicata all’artigianato italiano

Crafting the Future è una mostra di Camera Nazionale della Moda Italiana con il supporto del Ministero dello Sviluppo Economico e ICE Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionaliz­zazione delle imprese italiane.

Il progetto, curato dal direttore di Vogue Italia, Franca Sozzani con l’ausilio di Sara Maino e diretto da Luca Stoppini con il coordinamento di Federico Poletti, intende mettere in mostra tutta l’eccellenza dell’artigianato italiano.

Una serie di progetti sono stati affidati a professionisti del settore che hanno elaborato creazioni in grado di dialogare tra loro.

Per l’esposizione che si tiene a Milano al MUDEC dal 21 settembre al 13 ottobre 2016 sono stati interpellati: Lineapiù (per le capacità di lavorare la maglia con effetti 3D sorprendenti), Candiani e Canepa (per i tessuti sostenibili), Bonotto Editions (intervenuti con installazioni di tessuti artistici), Bottonificio Padano e Fondazione Arte della Seta Bisio.

Ad incrementare il parterre di eccellenze sono intervenuti, peraltro: Aurora Pettinari (celebre per l’arte del ricamo), Rosso Venezia, Mazzanti Piume, Sciarada e figure artigianali come la talentuosa Benedetta Bruzziches e Claudio Cutuli, il virtuoso delle stampe e della tintoria di genere.

Per maggiori informazioni visitate il sit www.mudec.it

 

 

Fonte cover mudec.it

I selvaggi paradisi franco tahitiani di Gauguin: la mostra più attesa dopo la fine dell’Expo

Fino al 21 febbraio è possibile ammirare presso il nuovo Museo delle Culture una delle collezioni più complete al mondo dedicate a Paul Gauguin


Autoportrait au Christ jaune Paul Gauguin (1848-1903)
Autoportrait au Christ jaune Paul Gauguin (1848-1903)



La Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen ospita la più grande raccolta dei lavori di Paul Gauguin e, per la prima volta, un’ampia sezione viene esposta al di fuori di essa scegliendo come prestigiosa location espositiva il nuovo Mudec di Milano.
35 i lavori dell’artista, provenienti da 12 musei e altrettante collezioni private, accompagnati da quelli di Cézanne, Pissarro e Van Gogh, atti a illustrare le influenze e le sinergie di cui l’artista si circondava. Tra le perle esposte anche “Vahine no te tiare” (Donna col fiore), una delle prime testimonianze del suo filone polinesiano. L’approccio peculiare e originale al primitivismo e al selvaggio, costante fondamentale della produzione artistica di Gauguin, introduce il visitatore nel percorso, che si snoda in cinque sezioni e la cui ultima tappa l’arte della Polinesia, passando da quella popolare della Bretagna francese, a quella dell’antico Egitto, da quella peruviana delle culture Inca a quella cambogiana e javanese.


Gauguin Paesaggio Francese
Gauguin Paesaggio Francese



Un moderno globe trotter che, attraverso i suoi viaggi, onirici e reali, aprì gli occhi del mondo sugli universi paralleli, lontani nello spazio e nel tempo, fondendoli alla sua variegata produzione di matrice impressionistica francese.
Nella prima sezione espositiva viene presentato l’artista attraverso il suo autoritratto, introducendo il contesto storico e culturale francese del tempo, nella seconda, “Le visioni di Gauguin e il concetto di primitivo”, si ripercorre il suo lavoro dal 1876 al 1892, quando viene colto dal fascino della cultura incontaminata, fil rouge della sua produzione fino alla morte. La terza sezione, invece, “I viaggi di Gauguin, reali e immaginari”, racconta le sue esplorazioni fino al 1889 attraverso l’esposizione di alcuni lavori chiave e un video del poliedrico artista contemporaneo Filippo Timi. Nella quarta sezione, infine, “I dipinti di Gauguin: tecnica e visione”, si esplorano gli anni della maturità artistica fino a chiudere il racconto con la concretizzazione del suo credo. Mito, fantasia, sogno e realtà le chiavi di lettura dell’identità gaugainiana il cui omaggio alla figura della vahine polinesiana è il chiaro riconoscimento da parte della collettività.


Gauguin Donne Sdraiate
Gauguin Donne Sdraiate



Lo stesso incubatore espositivo riapproderà alla base la prossima Primavera, quando, un’ampliamento dell’esposizione sancirà il connubio tra il patrimonio artistico danese e l’ospitalità sopraggiunta dallo spazio italiano.