L’epopea dei rimborsi 5 stelle

Cominciamo dall’ultima bufala.
Secondo il cittadino-deputato Toninelli il Partito Democratico vorrebbe far multare il Movimento 5 Stelle per aver rifiutato i rimborsi elettorali. Il deputato lancia l’allarme su Facebook con preghiera di «massima diffusione».
Secondo la sintesi di Toninelli l’emendamento al milleproroghe direbbe che «chi non si iscrive al Registro dei partiti per avere i finanziamenti pubblici, subisce una multa di 200.000 euro». Ma a rileggere il testo si scopre che l’emendamento dice tutt’altro: «Ai partiti e ai movimenti politici che non ottemperano all’obbligo di trasmissione degli atti di cui al secondo e al terzo periodo del presente comma, nei termini ivi previsti, o in quelli eventualmente prorogati da norme di legge, la Commissione applica la sanzione amministrativa di euro 200.000». e cosa dice il testo di legge emendato? L’articolo 9 comma 4 della legge 69/2012 afferma che i partiti sono tenuti a presentare i documenti relativi alla loro rendicontazione, tra cui «la relazione contenente il giudizio espresso sul rendiconto dalla società di revisione». Obbligo inserito non per ottenere i rimborsi elettorali ma per «garantire la trasparenza e la correttezza nella propria gestione contabile e finanziaria».E scopriamo quindi che il Movimento 5 stelle non è obbligato a chiedere i rimborsi elettorali e non rischia una multa perché non vuole usufruirne ma la rischia semmai perché – caso unico in tutto il parlamento – non presenta un bilancio consolidato.
Mica male per il partito di quel Beppe Grillo che avrebbe “aperto il parlamento come una scatoletta di tonno” e che lo avrebbe reso una casa trasparente.


Beppe Grillo aveva annunciato il politometro per misurare redditi e patrimonio dei politici prima durante e dopo l’attività politica. Nel 2013 Luigi Di Maio dichiarava zero euro, e nell’ultimo anno ha dichiarato 98.471 euro. E così anche i vari Fico (che viveva di rendita a spese di mamma e papà) o Di Battista. Tutti poco distanti dai 100mila euro annui.
Il partito nato nel giorno di San Francesco, e che al Santo avrebbe dovuto ispirarsi (cit. Casaleggio) aveva anche promesso che i propri eletti non avrebbero percepito più di 2500 euro al mese. Poi passati a 3.000, poi ” a discrezione”, ma da rendicontare sul famoso sito. Peccato che da oltre un anno quel sito non sia aggiornato.
Peccato anche dei soldi delle spese di funzionamento dei gruppi parlamentari – cifre spese a discrezione dei gruppi stessi – on si abbia rendicontazione: parliamo di poco meno di 50mila euro a parlamentare all’anno, che assommano nel caso specifico a circa 6 milioni, che per cinque anni di legislatura fanno 30milioni di euro, cui il M5S non ha di certo rinunciato.


Come detto altre volte, il Movimento 5 Stelle afferma in continuazione di aver rinunciato a 45milioni di euro di rimborsi elettorali. E come detto altre volte la cosa sarebbe vera se il M5S rispettasse la legge e avesse davvero diritto a quei soldi. Violando la legge, non presentando i propri bilanci, non può nemmeno fare istanza, figuriamoci ottenere quelle cifre.


Ma c’è un escamotage tutto loro fa rientrare dalla finestra quello cui non si ha diritto che entri dalla porta.
I parlamentari pentastellati richiedono mensilmente circa il doppio, in rimborsi, di un “normale” parlamentare di altri partiti.
Facciamo qualche esempio. Mario Giarrusso a novembre 2015 ha incassato 3.362 euro di quota fissa di indennità (restituendo 1.662 euro) cui ha aggiunto 10.066 euro di “rimborsi e spese varie”: alloggio (francescano) 1.880 euro, 1.182 euro di trasporti (nonostante le agevolazioni!)); vitto, 1.149 euro (ha mangiato il triplo di una famiglia media italiana messa assieme); attività sul territorio, 713; collaboratori, 4.678. Non si allegano ricevute, scontrini, dettagli.
Carlo Sibilia a ottobre ha incassato 3.245 euro di indennità, più rimborsi per 10.516 euro.
Luigi Di Maio, a ottobre ha incassato 3.246 euro, restituendo 1.694 euro ma aggiungendo 10.516 euro di rimborsi, di cui 9.710 euro per «attività ed eventi sul territorio». Nessuna fattura, ricevuta, scontrino.


Normalmente, un parlamentare può legittimamente richiedere questi rimborsi per lo svolgimento della sua attività, ed altrettanto normalmente, questi rimborsi sono mediamente la metà di quelli richiesti dai 5 stelle. Altrettanto normalmente le spese per i collaboratori “regolari” sono pagate direttamente dalla camera di appartenenza, e quindi non figurano in questi rimborsi.
Sia chiaro, è tutto legale, si può fare, la legge lo consente.
Ma la domanda è, ha senso restituire 1.600euro per poi goffamente gonfiare un rimborso spese senza alcuna pezza d’appoggio, per usare semmai quei soldi per finanziare l’attività politica? Non è più lineare mantenere i rimborsi nella misura corretta e reale, e usare i soldi dei rimborsi elettorali per finanziare le attività sul territorio?
Perché alla fine, a ben vedere, il rischio è duplice.
Da un lato 10mila euro per 12 mesi per cinque anni per 120 parlamentari fa circa 72milioni.
Ovvero il doppio di quelli cui il M5S francescano, ha francescanamente rinunciato.
Dall’altro il rischio concreto è che essendo soldi che non vanno al partito ma usati dal singolo parlamentare, questi soldi servano e vengano adoperati per costruire ed alimentare il proprio piccolo orticello personale – e non attività collettive di tutto il partito/movimento (come sedi, sezioni, attività generali).