La Psicologia e la Psicopatologia dell’odio: la parola al Profiler

La Psicologia e la Psicopatologia dell’odio: la parola al Profiler

Di Roberta Bruzzone, Criminologa e Psicologa Forense 

Chi, come me, lavora da oltre 20 anni in campo criminologico, deve confrontarsi su base quotidiana con un sentimento che alberga nella mente della maggior parte degli esseri umani e che, in alcuni, diventa il detonatore psichico di fantasie di vendetta e distruzione difficilmente arginabili. Questa condizione ci accompagna dalla notte dei tempi ed è figlia della paura, dell’angoscia e della rabbia. Sia chiaro, esistono molti modi e gradi di odiare. E, purtroppo, oggi più ce mai, tale scenario interiore trova ampio modo di alimentarsi attraverso l’ignoranza e il clima di profonda insicurezza che caratterizza la nostra quotidianità. Questo mix letale di ingredienti porta assai velocemente e facilmente a individuare potenziali nemici ovunque. Mi riferisco all’odio in tutte le sue molteplici, e malevoli, manifestazioni. Prima ancora di coltelli, armi da fuoco, veleni, mezzi per strangolare, la mente di chi uccide è armata di odio, un sentimento che si spinge ben al di là della semplice (si fa per dire) inimicizia, disistima o antipatia. Chi odia profondamente impiega gran parte della sua energia psichica a immaginare che l’oggetto del suo odio venga umiliato, svalutato, devastato, ucciso, eliminato sotto ogni profilo. E queste fantasie sono il rifugio preferito dell’odiatore perché permette al suo Io di riorganizzarsi velocemente intorno a temi di vendetta quando sperimenta l’angoscia che gli/le deriva dall’immaginare il volto sorridente del target di tanta rabbia distruttiva. Questo meccanismo difensivo altamente disfunzionale lo vediamo soprattutto in soggetti con tratti narcisistici, paranoici e borderline. Si tratta di soggetti incapaci di elaborare la frustrazione e l’angoscia che deriva dallo sperimentare invidia (che porta con sé un profondo ed difficilmente elaborabile vissuto di inadeguatezza) e dalla percezione (reale o solo ipotizzata) di essere considerati inferiori, di essere stati umiliati o smascherati, di essere stati respinti o abbandonati. E dall’odio alla violenza agita il passo può essere davvero molto breve. La Psicologia e la Sociologia, fortunatamente, ci forniscono importanti strumenti per comprendere i meccanismi profondi che alimentano tale condizione. Secondo la cosiddetta «teoria della struttura triangolare dellodio» di Sternberg, per parlare di odio vero e proprio occorre che vi siano almeno tre fattori indispensabili: negazione dell’intimità, passione (odio espresso), impegno. In un certo senso, proprio per la presenza di questi tre elementi fondamentali (gli stessi che entrano in campo quando amiamo qualcuno profondamente) possiamo considerare l’odio l’altra faccia della medaglia dell’amore. E dell’amore l’odio condivide anche la persistenza che, molto spesso, sfocia nella vera e propria ossessione. Perché chi odia pensa costantemente al suo target e non riesce a smettere di farlo. La sua mente è dominata da una fantasia di vendetta o competizione che diviene, giorno dopo giorno, sempre più invasiva e incoercibile. 

La “negazione dell’intimità” è quella componente dell’odio che porta a tenere le distanze da chi viene ritenuto inferiore, indegno, malato, debole, disgustoso ecc.. Poi c’è la seconda caratteristica dell’odio, la passione, quella più ribollente di rabbia e/o paura, quella che attinge all’angoscia più profonda che alberga nella mente dell’odiatore e che con maggiore probabilità porta a mettere in campo condotte aggressive improvvide e imprevedibili anche verso soggetti del tutto sconosciuti (le aggressioni per liti stradali ne sono una chiara dimostrazione). Arriviamo poi alla terza ed ultima componente, quella dell’impegno, che porta l’odiatore a manifestare apertamente disprezzo verso diverse categorie di persone soprattutto quando il soggetto sperimenta invidia e deve aggredire e svalutare i risultati raggiunti dal proprio target per sedare quel vissuto di profonda inadeguatezza che gli deriva dal timore di essere percepito come inferiore. E le Neuroscienze oggi ci hanno dimostrato che quando odiamo profondamente qualcuno anche il nostro funzionamento cerebrale cambia e in maniera molto evidente. Insomma, l’odio ci trasforma e rende molto più agevole il passaggio all’atto delle nostre fantasie distruttive. In particolare, Semir Zeki e John Romaya, neurologi e ricercatori del University College of London (studio, pubblicato sulla rivista PLoS One) sono riusciti letteralmente a mappare i circuiti neurobiologici dell’odio e a renderli riconoscibili. Tale scoperta ha importanti risvolti anche sotto il profilo giudiziario e investigativo, soprattutto in sede di interrogatorio di sospettati dal momento che lo studio dimostra che quando odiamo o proviamo un forte risentimento per qualcuno ad attivarsi particolarmente sono le aree del “putamen” e dell’“insula”. E questa attivazione anomala è individuabile attraverso esami specifici, magari proprio mentre mostriamo la foto della vittima al nostro sospettato. Ma non possiamo certo perdere di vista che l’odio attinge copiosamente dalla parte più oscura e remota di noi stessi, quella che non vogliamo riconoscere e preferiamo proiettare all’esterno per non ammettere che anche noi siamo in grado di fare del male, persino di uccidere. Certo, per motivi diversi e sulla scorta degli scenari emotivi più eterogenei, ognuno di noi possiede una serie di “grilletti interiori” (i profiler li chiamano emotional triggers) pronti a scattare, quando e se si verificano le condizioni scatenanti. Ed è facile immaginarlo se si pensa per un solo istante, ipoteticamente, che cosa saremmo in grado di fare se qualcuno facesse del male deliberatamente ai nostri figli, ai nostri genitori, al nostro partner, insomma alle persone che abbiamo più care. Se entriamo in questa prospettiva, non è poi così difficile considerare la manifestazione comportamentale dell’odio come una via percorribile per alleviare il dolore che ci sta spezzando il cuore. “Occhio per occhio” è ancora, dunque, un meccanismo psichico tragicamente attuale.