Star Wars: Lord Fener, il Padre Oscuro

Durante la sua prima comparsa, Darth Fener appare come l’antagonista per eccellenza. Ne ha tutti i connotati: un vestito nero, con una corazza a cui è attaccato un respiratore; un elmo che ricorda quelli dei samurai e dei toni minacciosi, prima nei confronti dell’equipaggio dell’astronave in cui le truppe imperiali si sono insediate, e poi quando incontra Leila Organa. Darth Fener vuole i piani della Morte Nera, la terribile arma che l’Impero utilizzerebbe per disintegrare un intero pianeta. E lui sa che Leila fa parte della cospirazione ribelle e che sa dove sono quei piani. Ma Leila si rifiuta di parlare, nega, e lui ordina alle sue truppe di portarla via. È questo l’inizio di Guerre Stellari, il primo tassello di quella che sarebbe diventata una delle saghe cinematografiche più famose in assoluto, Star Wars, opera colossale firmata da George Lucas. Il quale, con un certo spirito di protezione, avrebbe difeso il suo prodotto rifiutando l’Universo Espanso (ora sotto l’etichetta Star Wars Legends) e tutto ciò che da esso ne è stato derivato: libri, fumetti, videogiochi. Perché i sei film di Star Wars non sarebbero sufficienti per raccontare una storia che si propaga lungo diversi millenni.


Darth Fener è il vero, grande protagonista di Star Wars, insieme a suo figlio Luke: «Star Wars è la storia di Anakin e Luke Skywalker», ha detto George Lucas, «quando Luke salva la Galassia e redime suo padre, la storia è finita: qualunque cosa sia stata scritta dopo, non riguarda il cuore di Star Wars.» Una storia di ascesa, caduta e redenzione attraverso i figli (Luke e Leila), dovuta a un amore impossibile (quello per Padme Amidala, sviluppato però nella Nuova Trilogia) e al lento avvicinamento al cuore del male, il Lato Oscuro, per mano del Cancelliere Palpatine, diventato poi il Signore dei Sith, l’Imperatore Darth Sidious. Ma l’incipit di Guerre Stellari sembra portare da tutt’altra parte. Non a caso, dopo la fuga dei due droni, C1-P8 (o R2-D2) e C-3PO, verso il pianeta di Tatooine – dove incontreranno prima Obi-Wan Kenobi e poi Luke Skywalker –, Darth Fener non compare più, finché non lo ritroviamo in una riunione con i capi dell’esercito imperiale, in cui si dice che l’imperatore ha sciolto il consiglio definitivamente e che della vecchia Repubblica non è rimasto più niente. I sistemi locali sono tenuti in pugno dalla paura, la paura per la grande arma dell’Impero, la Morte Nera. Ma Darth Fener – o Lord Fener – crede che la Forza sia ancora più letale: «L’abilità di distruggere un pianeta è insignificante di fronte alla potenza della Forza», dice.


È necessario comunque scoprire l’ubicazione della base ribelle segreta. E per farlo bisogna interrogare Leila, prigioniera dell’Impero. Darth Fener cerca allora di convincerla a parlare utilizzando una sonda mentale. Ma di fronte al mutismo della principessa, le truppe imperiali decidono di fare rotta per Alderaan, il pianeta natale di Leila, minacciando di distruggerlo. Ad Alderaan si erano diretti anche Luke Skywalker e il vecchio Obi-Wan Kenobi, che avevano scoperto nel pianeta Tatooine il messaggio lasciato da Leila nel drone R2-D2 e si erano diretti lì per far apprendere a Luke la dottrina Jedi. Luke aveva deciso di seguire Obi-Wan anche dopo che questi gli aveva rivelato la tragica scomparsa di suo padre, Anakin Skywalker, uno Jedi esemplare ucciso proprio da Darth Fener. È inevitabile che le vicende parallele di Luke e di Darth Fener finiscano per intersecarsi, ma non prima dell’epico scontro tra Obi-Wan, l’ultimo Jedi, e il malvagio Sith. «Quando ti ho lasciato non ero che un discepolo», dice Darth Fener a Obi-Wan, che ha già pronta la mitica spada laser Jedi. «Ora sono io il maestro.» «Solo il maestro del Male» risponde Obi-Wan. Lo scontro si conclude a favore del Sith, ma Obi-Wan si è sacrificato soltanto per permettere a Luke e Leila di fuggire.


Il primo episodio – in ordine di apparizione nelle sale – apre solo qualche squarcio sul passato di Darth Fener. Quel tanto che basta per lasciar intendere un tradimento ai danni degli Jedi per sposare la causa dei Sith. Non si spiega come né perché. Ma tutto diventa più chiaro nel film successivo, L’impero colpisce ancora, in cui più di una volta Darth Fener si lascia tentare dal Bene, proprio come in passato si era lasciato tentare dal Male. È qui che facciamo conoscenza di un altro personaggio fondamentale, l’Imperatore Darth Sidious, l’unico da cui Darth Fener prende ordini. L’Imperatore ha percepito la presenza di un’interferenza nella Forza, provocata dalla crescita di Luke, che sta per essere addestrato dal Maestro Yoda. «Abbiamo un nuovo nemico» dice l’Imperatore. «Il giovane ribelle che ha distrutto la Morte Nera. E io sono assolutamente convinto che questo ragazzo è figlio di Anakin Skywalker.»


«Come è possibile?» domanda Darth Fener. Lui sa qualcosa che riguarda la nascita di Luke. Qualcosa che, in teoria, avrebbe dovuto impedirne la nascita. L’Imperatore prosegue: «Cerca dentro di te, Lord Fener. Cerca e saprai che è vero. Egli può distruggerci.» A questo punto Darth Fener diventa diplomatico, e così, invece di accettare l’ordine implicito dell’Imperatore e di uccidere Luke, risponde: «È solo un ragazzo. Obi-Wan non può più aiutarlo», per poi proporre all’Imperatore di convertire l’apprendista Jedi alla religione del Male. Darth Fener lo definisce «un potente alleato», l’Imperatore «una grande risorsa.» La prospettiva di incontrare Luke provoca in Darth Fener qualcosa, un nuovo stimolo, una nuova luce. È l’idea di diventare ancora più potente, di ritrovarselo come alleato, di non avere più alcun rivale. È chiaro che prima del momento più eclatante di tutta la Trilogia Originaria, la rivelazione dell’alter-ego di Darth Fener, tutto rimane in sospeso e le prospettive che anche Luke ceda alla seduzione del Lato Oscuro sono tutt’altro che da escludere. Ma soprattutto, c’è un’altra prospettiva che giunge nella mente di Darth Fener: non doversi più inchinare all’Imperatore ma essere il numero uno di tutta la Galassia.


È questa la proposta che fa a Luke: governare la Galassia in due, padre e figlio. E quando Luke si mostra incredulo, di fronte all’agnizione («Io sono tuo padre»), Darth Fener usa quasi le stesse parole dell’Imperatore: «Cerca dentro di te. Tu sai che è vero.» Cercare dentro se stessi vuol dire guardare nel proprio inconscio. Secondo le teorie freudiane, la personalità è frammentata in tre livelli, Es, Io e Super-Io e l’Es comprende l’istinto all’eros e al thanatos, l’amore e la morte. Applicando questa definizione in Star Wars, tutto è chiaro: l’amore impossibile per Padme aveva condotto Anakin Skywalker verso la perdizione, verso il Lato Oscuro, ovvero verso una predominanza dell’Es. Ma nel caso di Luke, non essendoci la seduzione di eros, non può esserci nemmeno thanatos. La conseguenza è la ribellione a quel padre oscuro (Darth Vader richiama infatti “dark father”) che Luke vorrebbe rinnegare. Eppure, nel Ritorno dello Jedi, dopo aver rivelato a Leila ciò che lo lega davvero a Darth Fener, Luke dice: «C’è del buono in lui.»


Altro richiamo: Yin e Yang, due opposti che non si possono separare. Tradotti alla lettera, “yin” è “il lato in ombra della collina” (Lato Oscuro, rappresentato dai Sith) e “yang” è “il lato soleggiato della collina” (Lato Chiaro, rappresentato dai Jedi). È per questo che, nonostante la vocazione al Male, in Darth Fener, nel padre oscuro, esiste ancora un po’ di buono, proprio come al momento della sua ascesa a signore dei Sith il Lato Oscuro, all’opposto, tendeva a emergere grazie alla rabbia, la violenza e la paura. Luke si consegna quindi a Darth Fener e per la prima volta lo chiama “padre”.


«Allora, hai accettato la verità?» gli chiede Darth Fener.
«Ho accettato la verità che tu una volta eri Anakin Skywalker, mio padre.»
«Quel nome non ha più alcun significato per me.»
«Quello è il nome del tuo vero Io, l’hai solo dimenticato. So che c’è del buono in te: l’Imperatore non è riuscito del tutto a privartene.»


Questi scambi di battute si ricollegano alle teorie freudiane succitate (l’Es che ha prevalso sull’Io) nonché al concetto di Yin e Yang. Ma quando l’Imperatore, che ha cercato invano di convincere Luke a convertirsi al Lato Oscuro, sta per uccidere il giovane Jedi, ecco che l’Io originario e il Lato Chiaro della Forza tornano a prevalere sull’Es: la vista del figlio e la sua distruzione sono una prospettiva che Darth Fener non può accettare, di qui la sua ribellione e il conseguente tirannicidio. L’alter-ego di Darth Fener è tornato a brillare e Anakin Skywalker è di nuovo vivo. E quando gli toglie la maschera che lo aveva trasformato da uomo in cyborg, Luke vorrebbe salvarlo, ma lui risponde soltanto: «Lo hai già fatto, Luke. Avevi ragione nei miei riguardi. Di’ a tua sorella che avevi ragione.» Spira dopo aver ritrovato il proprio Io, oltre che il figlio perduto, e queste saranno le sue ultime parole. Nella scena conclusiva del Ritorno dello Jedi, Luke dà fuoco alle spoglie di colui che un tempo era il padre oscuro e che, prima di morire, si è liberato: le fiamme avvolgono il corpo di Anakin Skywalker proprio come secondo l’usanza greca. Ma durante i festeggiamenti degli Ewok per la liberazione dall’Imperatore, Luke vede le tre anime che lo hanno aiutato a ristabilire l’equilibrio nella Forza: Obi-Wan Kenobi, che gli aveva dato la spada Jedi di suo padre; il Maestro Yoda, che lo aveva fatto diventare un cavaliere Jedi; e infine rivede il giovane Anakin Skywalker, suo padre, anche lui di nuovo in pace con la Forza ma soprattutto con il proprio vero Io.


FONTE: http://www.guerrestellari.net/athenaeum/pers_menututti_menuanakin_tenta.html

Mad Max, l’anti-eroe del deserto

In un’Australia senza regole, la sola legge che conta è la legge della strada, dominata da bande di delinquenti in moto che scatenano l’anarchia e la violenza. La Main Force Patrol, una squadra speciale composta da poliziotti senza scrupoli, cerca di opporsi al ritorno delle barbarie medievali, in un mondo in cui le risorse energetiche stanno per terminare e l’unico vero tesoro è la benzina. La Main Force Patrol può contare su Max Rockatansky, soprannominato Mad Max, un uomo che agisce per istinto e per un innato senso di giustizia. In seguito a uno scontro mortale con una banda di motociclisti, Max si ritrova, poco alla volta, da solo contro tutti, perdendo prima un collega e poi la sua famiglia, uccisa brutalmente dalla banda di Toecutter. Così, a bordo della sua V8 Interceptor, Max intravede come unica ragione di vita la vendetta, scatenando però dentro di sé una rabbia incontrollabile, frutto della sofferenza e della disperazione per una realtà senza futuro.


In Interceptor (1979), George Miller recupera gli scenari dei western di John Ford per contestualizzarli in un universo post-apocalittico in cui i cavalli, da un lato, e gli indiani e i banditi, dall’altro, sono rimpiazzati rispettivamente da moto e motociclisti senza legge. A questo si aggiunge un tema tanto caro al cinema: la vendetta, scatenata da un profondo senso di rivalsa e di angoscia e nutrita dal male e dall’odio che il protagonista prova verso chi lo ha ferito o gli ha sottratto gli affetti. In tal senso, Mad Max è vittima e carnefice allo stesso tempo, divenuto, dopo il torto subito, ignaro delle regole e del senso di giustizia proprio come lo sono i delinquenti che hanno ucciso la sua famiglia. Il successo del film, costato circa 300mila dollari australiani e capace di incassare oltre 100 milioni di dollari e di lanciare un giovanissimo Mel Gibson, risiede quindi non tanto nel soggetto, quanto piuttosto nello scenario, un deserto selvaggio e indomabile da cui non si può fuggire, reso affascinante dagli spazi maestosi senza traccia di civiltà.


Se nel primo capitolo la trilogia riesce a far esordire il filone post-apocalittico – il cui grande riscontro si deve, negli anni Ottanta, anche alla serie Ken il Guerriero, fortemente debitrice del mondo plasmato da George Miller – è però con il secondo e il terzo film che il deserto si trasforma in una nuova Terra di Mezzo senza frontiere, in cui il potere non lo detiene il portatore dell’Anello ma chi ha più benzina. In Interceptor – Il guerriero della strada (1981), chiarito l’antefatto – che riassume anche il primo film – riecco Max, da solo, che vaga senza meta nel deserto. Il suo unico obiettivo è avere un po’ di benzina. Ora però non è più un tutore della legge ma si è adeguato a quella realtà ed è diventato un eroe solitario al di là del bene e del male, uno che agisce soltanto in cambio di un tornaconto personale. E la raffineria della Tribù del Nord capita a proposito: lì c’è la benzina e lui ne ha un grande bisogno. Ma anche la banda degli Humungus la vogliono e sono disposti a tutto pur di appropriarsene. Lo scontro tra Max e gli Humungus non è molto diverso da quello di Joe/Clint Eastwood con i Baxter e i Rojo in Per un pugno di dollari: l’esito è lo stesso, così come la sequenza narrativa, che prevede prima una bruciante sconfitta da parte dell’eroe e poi una vendetta senza pietà.




Nel terzo e ultimo film, Mad Max – Oltre la Sfera del Tuono (1985), non c’è più traccia di civiltà e il nuovo Medioevo annunciato in Interceptor si è concretizzato. Max giunge nella città di Bartertown per recuperare i dromedari che gli sono stati appena rubati. In cambio di benzina e di cibo dovrà uccidere il gigantesco Blaster, che insieme a Master controlla l’energia di Bartertown attraverso lo sterco dei maiali. Questa è la proposta della regina della città, Aunty Entity. Ma Max, ricordandosi, forse, dei suoi trascorsi da tutore della legge e della civiltà a cui apparteneva, risparmia Blaster e viene abbandonato nel deserto (pena che la gente di Bartertown chiama “gulag”), per essere poi salvato da una tribù di bambini selvaggi che lo scambia per il Capitano Walker e che cercano la Città del domani domani. A differenza del secondo film, un barlume di speranza c’è ancora: i bambini, le nuove generazioni, un mondo che potrà rinascere, ripopolarsi e ricostruirsi. Se anche qui Max agisce solo in funzione di esigenze prettamente personali, non si può trascurare il saluto finale datogli proprio da Aunty Entity («Addio, eroe!»), che si collega, in qualche modo, con la frase del collega poi ucciso in Interceptor: «La gente non crede più negli eroi!». E non a caso, nella colonna sonora, Tina Turner/Aunty Entity canterà We don’t need another hero, in cui i bambini diranno che non è più necessario un eroe che li salvi e nemmeno una strada per tornare a casa ma tutto ciò che c’è al di là dell’arena («All the children say/We don’t need another hero/We don’t need to know the way home/All we want is life beyond/Thunderdome).


Thunderdome non è soltanto l’arena in cui avviene lo scontro tra Max e Blaster, ripresa nel titolo originale del film (Mad Max Beyond Thunderdome, tradotto ala lettera come “sfera del tuono”): in una società senza più alcuna autorità e senza nessuno in grado di giudicare le controversie, l’arena diventa il luogo ideale nonché il solo luogo in cui risolvere i conflitti. In tal senso va inteso il Thunderdome, un’arena non molto distante da quelle dei gladiatori romani: “Due combattono, uno vive” è il motto che incita la folla, per la quale nessuno può essere risparmiato. Ma l’arena diventa anche il simbolo nell’anarchia più totale: le uniche regole riconosciute sono quelle dello scontro a corpo a corpo, o meglio della legge darwiniana della sopravvivenza, per cui il più forte è quello che rimane in vita. La saga di Mad Max, al di là di ogni giudizio critico, ha avuto il merito di avviare, quasi per caso, la lunga carriera di Mel Gibson, diventato poi un cultore dei ruoli da protagonista nei film d’azione, mentre Interceptor, insieme a The Blair Witch Project, uscito vent’anni dopo, detiene il record di maggiore incasso con budget ridotto. Con Mad Max – Fury Road i sentieri selvaggi percorsi trent’anni fa da Mel Gibson diventeranno ancora più violenti e anarchici ma George Miller, che dirige il quarto capitolo della serie, non tradirà le attese per un viaggio nel deserto che si preannuncia carico di adrenalina.

Star Wars, le guerre intergalattiche di George Lucas nel segno della Forza

Forse nemmeno George Lucas avrebbe mai scommesso sulla sua storia breve intitolata The Journal of the Whills, incentrata su C.J. Thorpe, allievo del Jedi-Bendu Mace Windy. Ma è proprio da un’idea semplice che nascono grandi intuizioni. E così, da quella storia scritta nel 1973, Lucas trasse una sceneggiatura, basata su La fortezza nascosta di Kurosawa. Un anno dopo, quel soggetto sarebbe stato ampliato con elementi fondamentali come i Sith, la Morte Nera e un certo Annikin Starkiller. Nel 1976, dopo il rifiuto della Universal e della United Artists, il film ricavato si intitolava Le avventure di Luke Starkiller, come narrate nel Giornale dei Whills, Saga I: Le Guerre stellari. Un titolo da romanzo d’appendice, tanto da essere semplificato in Guerre Stellari, mentre l’eroe non si sarebbe chiamato più Annikin Starkiller ma Luke Skywalker (Annikin sarebbe diventato Anakin, suo padre).


Fu così che nacque Star Wars, la leggendaria saga fantascientifica di George Lucas, che fino ad allora si era fatto apprezzare soprattutto per American Graffiti e che grazie all’incasso travolgente di Guerre Stellari (1977) avrebbe poi fondato la LucasFilm e prodotto un altro grande successo degli anni Ottanta, la saga di Indiana Jones, con l’amico Steven Spielberg. Un grande spettacolo di intrattenimento, un nuovo modo di fare cinema; una colonna sonora, firmata da John Williams, dal forte impatto emotivo; personaggi indimenticabili, citazioni, costumi, armi; epica, fiaba, filosofia orientale, ironia… Sono questi i tanti ingredienti che hanno consentito a Star Wars di diventare uno dei simboli della cultura di massa, tanto da generare un enorme apparato di spin-off, romanzi, videogiochi e fumetti basati sull’universo fantascientifico di George Lucas. Un prodotto senza tempo che non ha mai smesso di incantare e di affascinare, nonostante siano trascorsi quasi quarant’anni dalla comparsa sul grande schermo del primo capitolo della saga. In occasione dell’uscita della “Nuova trilogia”, Guerre Stellari fu rinominato Star Wars: Episodio IV – Una nuova speranza, dando così un senso anche al secondo e al terzo film della Trilogia Originale: L’impero colpisce ancora (1980) e Il Ritorno dello Jedi (1983), quinto e sesto episodio. Dal 1999 è uscita anche la Nuova Trilogia, che costituisce un prequel: Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma (1999), Star Wars: Episodio II – L’attacco dei cloni (2002) e Star Wars: Episodio III – La vendetta dei Sith (2005).


In una galassia lontana, l’Imperatore Palpatine e il suo allievo, il terribile tiranno Darth Fener, cercano di abbattere le ultime resistenze dei ribelli nella Galassia per poter definire il proprio potere una volta per tutte. Intanto l’Alleanza Ribelle, di cui fa parte la principessa Leila Organa, cerca di unirsi con chi è ancora rimasto fedele alla vecchia Repubblica. Proprio Leila, prima di essere catturata dalle forze imperiali, affida a due droidi un messaggio per Ben Kenobi, un anziano cavaliere Jedi che vive nel pianeta desertico Tatooine. A raccogliere il messaggio è però il giovane Luke Skywalker, che, trovato Kenobi e unitosi poi anche a Ian Solo, pilota del Millennium Falcon, e al suo copilota Chewbecca, parte alla ricerca della principessa Leila, deciso a fermare Darth Fener e la sua Morte Nera, una micidiale base spaziale in grado di disintegrare un intero pianeta.  I buoni contro i cattivi, il bene contro il male. Niente di più semplice: si tratta di un binomio tipico della narrativa popolare, direbbe Umberto Eco. Eppure i due film successivi, ma soprattutto la Nuova Trilogia, evidenzieranno nei personaggi molte più sfumature – e significati – di quanto si possa immaginare. A proposito del significato dei nomi, nulla è lasciato al caso. È fin troppo chiaro che Darth Vader (conosciuto in Italia come Darth Fener) sia un’assonanza dell’inglese “Dark Father”, il padre oscuro, laddove d’altronde l’allusione al complesso edipico è evidenziata anche dall’amore – poi solo fraterno – di Luke per Leila, prima che questa, nella scena conclusiva del Ritorno dello Jedi, si congiunga con Ian Solo. Un “padre oscuro” che è anche il Lato Oscuro della Forza per antonomasia, e che, un po’ come il dottor Faust, nel terzo episodio, La vendetta dei Sith, quando era ancora Anakin Skywalker, aveva tentato di salvare l’amata Padme cedendo al vile ricatto del Cancelliere Palpatine (che diventerà Darth Sidious) e unendosi ai malvagi Sith.


Star Wars


Per Luke non c’è nemmeno bisogno di interpretazioni: Skywalker va inteso come “Colui che cammina nei cieli”, mentre Han Solo/Ian Solo può intendersi come Mano Solitaria (“Han” deriverebbe dall’inglese hand). E così anche Yoda può derivare dal sanscrito yudh, “guerriero”, ma assomiglia anche alla parola “yoga”, tipica caratteristica meditativa dei Cavalieri Jedi. I nomi, insomma, non sono una casualità, ma non lo sono nemmeno le citazioni e le influenze – più o meno dichiarate – di George Lucas: i film di Kurosawa, l’Impero Galattico di Isaac Asimov, il ciclo di Dune di Frank Herbert; ma anche i singoli personaggi, come il droide C-3PO, che rievoca il robot femminile di Metropolis di Fritz Lang nonché l’Uomo di Latta del Mago di Oz, mentre l’elmo di Darth Fener assomiglia a quello dei samurai e i Cavalieri Jedi sono membri di un ordine religioso guerriero (possibile è il richiamo ai Cavalieri Templari, soprattutto per la fine analoga nel terzo episodio, quando i Jedi sono sterminati dai Sith). Star Wars è una summa di tante culture, di tante letterature ma soprattutto una vera e propria mitologia. George Lucas non ha mai nascosto la profonda influenza dello storico delle religioni Joseph Campbell, che nel suo saggio L’uomo dai mille volti (che richiama, non a caso, il polytropos omerico, Odisseo/Ulisse, “l’uomo dal multiforme ingegno”, e per estensione di significato “dai mille volti”), individua una serie di tappe fondamentali che costituirebbero una trama-archetipo, chiamata Viaggio dell’Eroe. Si tratta di un viaggio soprattutto interiore, un viaggio verso la conquista definitiva della Forza: e se la Trilogia Originale è il viaggio verso il Lato Chiaro della Forza, che rappresenta la bontà, la benevolenza e la salute e tutti gli stati d’animo positivi, all’opposto la Nuova Trilogia, al cui centro c’è invece la mutazione di Anakin Skywalker in Darth Vader/Darth Fener, è il viaggio verso il Lato Oscuro della Forza, rappresentato dai Sith ed espressione massima di sentimenti negativi come rabbia, violenza, odio e paura.


L’operazione di George Lucas è stata simile a quella di J.R.R. Tolkien: entrambi hanno costruito una cosmogonia e hanno creato un universo che appare distante da quello reale solo superficialmente. La letteratura fantasy, dopo Tolkien, ha conosciuto molto spesso solo autori che cercavano, il più delle volte fallendo, di imitare Il Signore degli Anelli, mentre il cinema di fantascienza, dopo Guerre Stellari, si è aperto a un pubblico di massa, ridisegnando i canoni del genere. Tuttavia, è chiaro che la classificazione in generi è puramente convenzionale e si potrebbe benissimo intendere la Terra di Mezzo come un pianeta di un’altra galassia in un futuro remoto, così come Star Wars una saga fantasy-fantascientifica. Le analogie, però, non riguardano soltanto il genere ma anche le dinamiche interne, e in particolare i personaggi: per esempio George Lucas ha ammesso che Obi-Wan Kenobi doveva essere un incrocio tra Mago Merlino, un samurai giapponese e Gandalf il Grigio. Sia lo Jedi sia lo stregone rappresentano la Sapienza e tendono più a incitare e a incoraggiare che agire in prima persona; e inoltre sono stati tutti e due traditi da qualcuno che si è alleato con il nemico: Gandalf da Saruman e Obi-Wan da Anakin/Darth Fener.


Nell’Impero colpisce ancora, Luke vive alcune avventure da solo, accompagnato solo da R2-D2, proprio come Frodo, da solo in compagnia del fido Sam. E quando il Maestro Yoda addestra Luke, questi vede i suoi amici lontani e in pericolo: è la stessa cosa che accade a Frodo con lo specchio di Galadriel. E dopo l’agnizione («Io sono tuo padre»), la presenza di Luke nel cuore dell’Impero permette la distruzione del Male (l’Imperatore) proprio da parte di chi si era convertito al Male (Dart Fener). Così accade anche a Frodo nel Monte Fato, quando Gollum, annebbiato dal potere dell’Anello, non soltanto distrugge Sauron ma si autodistrugge. La critica ha bollato Star Wars come un prodotto dai contenuti estremamente semplificati. Un prodotto leggero, spensierato, molto distante dall’epopea fantascientifica di 2001: Odissea nello spazio, dai contenuti e dal ritmo molto differenti. Ma se dalla saga di George Lucas sono stati ricavati fumetti, serie animate, videogiochi, raduni di appassionati e fan fiction, lo si deve soprattutto alla reinterpretazione di un mondo che di fantascientifico ha ben poco e che, pur permettendo al pubblico di sorvolare i cieli dell’immaginazione per un paio d’ore, gli permette allo stesso tempo di restare con i piedi ben ancorati a quelli che sono i temi e i dilemmi quotidiani, presenti, passati e – sicuramente – futuri.


FONTE: http://www.guerrestellari.net/athenaeum/mappasito.html