SARAFINE e la Messa dei Millennials 

SARAFINE e la Messa dei Millennials 

Ho ascoltato la vincitrice di XFactor 2023, e l’ho fatta coperta da tutti i possibili pregiudizi di chi fa musica e notoriamente non segue i talent. Mi sono imbattuta in un brano, “Malati di gioia”, che ha spiazzato ogni mia aspettativa, alzando la media di tutti i testi italiani che ho ascoltato nei brani degli ultimi tempi.

Mi ha spiazzata perché notoriamente non sono una fan delle cantanti non cantanti, dei parlanti, degli attori in musica. Preferisco l’arte vocale pura, l’enfatizzazione del timbro, delle dinamiche vocali, il racconto interpretativo attraverso l’emissione del suono. 

Sarafine canta, ma non è questo che di lei colpisce: ha parlato in un brano da 2 soli minuti e 26 secondi, di un’intera generazione. In un brano dal gusto religioso contemporaneo, sofisticato, spinge l’ascoltatore a prendere l’eucaristia (“questo è il vostro show” evoca nella mia testa “questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”). L’accettazione silenziosa di una ripetizione, nel loop, nell’armonia, nella drum & bass ipnotica disco, porta a non pensare, ad accettare che sì, è così che va il mondo, come dice nella canzone. L’ipnosi serve a rassegnare l’ascoltatore ad una realtà lontana dal sogno, e allo stesso tempo spaventa, terrorizza, utilizza una distorsione del timbro appena prima delle 8 battute di silenzio che racconta quanto di più lontano può esserci dalla voce umana. E’ un film horror in musica, che sorprendentemente trova conforto nella parte più intima dell’ascoltatore: tocca il più recondito sentimento del doversi sentire accettati per forza in una società di troppe regole, e poche soluzioni su come rispettarle. 

Il brano stesso non ha regole: non ha ritornelli, non ha strofe, più generalmente non ha una struttura convenzionale pop. E’ un flusso di liberi pensieri, una libertà che nella vita non hai più, ma che sì, puoi averla in un brano così. Un verismo contemporaneo, un colloquio di lavoro a tutti gli effetti, senza i filtri a cui siamo abituati, e assuefatti.  L’arte è raccontata nella sua purezza, sebbene non valorizzi la tradizionale capacità vocale, perché lontana dagli schemi sociali. Allo stesso tempo, questa forma liberissima trova uno spazio commerciale validissimo, non rappresentato dalla trap, né dal pop tradizionale, né dal vintage. E’ una fetta del grafico a torta rimasta in silenzio per troppo tempo, ma che ora può avere una sua rappresentanza. 

Cosa non mi piace? Due cose. 

  1. E’ l’unico pezzo così. E’ l’unico racconto così. Sembra confezionato a tavolino, molto bene per carità, per questo talent. Nella realtà è però un po’ distante da tutto ciò che trovo di lei su Spotify, e un po’ mi preoccupa, mi pone la domanda che possa trattarsi solo di una fiamma momentanea. Spero di no. Spero che questo fuoco di idee, che il racconto chiaro di una generazione, la mia, possa trovare il suo collocamento in versi detti, comprensibili, e non mascherati da effetti inflazionati.  
  2. L’esibizione live è estremamente più d’appeal della versione registrata: ha più rabbia, più interpretazione, più passione. 

Sarafine, attendiamo nuovi brani su questa linea.