La cyberwar di ISIS/2

Quella intrapresa dall’IS – non solo militarmente ma soprattutto in ambito di comunicazione – è una vera e propria guerra per l’egemonia e l’identità: cosa significa essere un musulmano sunnita in tempo di guerra e settarismo? 
Per rispondere a queste domande, lo “Stato islamico” ha assunto un ruolo guida nella produzione di video in lingua principalmente araba per incitare un pubblico arabo globale divulgando i loro combattenti, ideologi e predicatori come modelli finali, di giorno moderni guerrieri islamici, o semplicemente difensori della comunità sunnita in momento di sofferenza. 
IS è un movimento arabo di lotta per l’indipendenza, ma accogliente nei confronti dei combattenti stranieri musulmani non arabi, che vengono utilizzati in modo strategico anche sul piano tattico per i media jihadisti.
I combattenti stranieri non arabi raggiungono il loro target di riferimento nelle rispettive lingue, e spesso sono presenti nei video in arabo o con sottotitoli. Spiegano la visione dell’IS ad inglesi, tedeschi, austriaci, francesi, russi, e così via nella propria lingua, mentre la stragrande maggioranza dei video sono in arabo realizzati con combattenti madrelingua.



Con l’afflusso di combattenti stranieri dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti tra le fila dello Stato Islamico, l’uso dei social media ha raggiunto una dimensione senza precedenti – sia di combattenti stranieri che non arabi in diverse lingue su rispettivi siti di social media. 
Questi combattenti stranieri hanno il potenziale per avere risonanza particolare per le comunità islamiche nei rispettivi paesi d’origine, declinando il concetto di ingiustiza socale e il richiamo a situazioni locali specifiche, dimostrando una conoscenza diretta del contesto locale, mentre l’ideologia è legata al ragionamento religioso arabo come espresso da scritti e veicolato attraverso mezzi audiovisivi. Con l’arabo come è la lingua più importante per l’Islam, come il Corano è scritto in arabo, anche la lingua jihadista è l’arabo. 
Parole chiave arabe del segmento jihadista, di conseguenza, sono diventate un substrato tradizionale in molte lingue non arabe dove l’Islam ha trovato casa, fornendo ai simpatizzanti jihadisti non arabi un gergo quotidiano di identificazione, da usare per riti e codici. 
Ciò è di fondamentale importanza quando si studiano i materiali jihadisti arabi, ma forse ancora più importante per lo studio e l’analisi di ciò che avviene sui social media jihadisti, come le domande e le risposte fornite in questo quadro a fini operativi o chiaramente ideologici.


Simpatizzanti e operatori dei media usano parole chiave strategiche sia con l’obiettivo di ampliare il fascino dell’ideologia jihadista. Derivando dall’originale arabo, le parole chiave sono trascritte in caratteri latini e sono la parte “più integrante” di qualsiasi produzione in lingua non-araba. 
L’uso di queste parole chiave è significativo per comprendere la qualità e l’impatto che l’ideologia dominante araba ha sulla società a maggioranza non araba, espresso sia on- che offline, mentre i combatenti stranieri non arabi organizzano la propria influenza ed egemonia estremista declinando ciò che significa essere un ‘vero’ sunnita trasferendo tali parole chiave al proprio pubblico di riferimento. 
L’interazione su piattaforme di social media invita sostanzialmente i simpatizzanti ad impegnarsi con questi video e modelli, quindi a divulgare parole chiave specifiche e ad avere un potenziale impatto sugli ambienti non arabi locali all’interno delle società non a maggioranza islamica, come i paesi europei.


I video sono il mezzo più importante attraverso il quale viene dimostrata e divulgata la realizzazione del credo jihadista (‘aqida) e delle metodologie (Manhaj) per le quali si afferma di combattere. Rievoca una visione ed interpretazione esclusivamente estremista come il solo autentico del Profeta Muhammad, e quindi sostenendo di essere “nella metodologia profetica” (traslitterando il titolo di uno dei video più famosi in questo senso).