ISIS cyberwar

It was the end of February last year when I published the first in depth report in Italy of ISIS communication techniques. Europe really only noticed the Islamic State and how dangerous it was during the Charlie Hebdo attack. It was at that moment that we realized this was a new phenomena and in the very heart of Europe. Apart from the numerous instant books which came out one after the other to satisfy our (presumed) desire to know, in other countries all of this had already been investigated for some time and in a serious scientific way.
That first work owes and owed much to the years of research and analysis undertaken by many people, particularly in northern Europe and North America. I specifically described it as a “collective” work and cited, among others, Oliver Roy, Dietrich Doner, Eben Moglen, Jeff Pietra, J:M: Berger, Scott Sanford, the generous Will McCants and Clint Watts, the extraordinary Nico Prucha, Rudiger Lohlker, Leah Farrall, Aaron Y Zelin and Peter Neumannal.


The report ended with a quotation by Elham Manea, one of the most courageous and brilliant voices of contemporary Islam who wrote, “ The truth that cannot be denied is that ISIS has studied in our schools, prayed in our mosques, heard our media and the sermons of our religious leaders, read our books and our sources and has followed the fatwa that we have produced. It would be easy to continue to insist that ISIS doesn’t follow the correct precepts of Islam. It would be very easy. Yet, I am convinced that Islam is what we humans make it to be. Every religion can be a message of love or a sword of hatred in the hands of the people who believe in it”.
Since that first report research has gone on and while one group of people has worked to keep track of and analyze the mass of constantly growing propaganda materials, others have concentrated on the study of particular aspects which, with last month’s Paris attacks , have become tragically central and relevant.
This e-book begins with four sections updating ISIS online (but not only) communications in the light of the military and geopolitical developments of recent months and many newly revealed and collected documents.


The next question we posed is relatively simple and based on certain facts: the extraordinary network system of activists and supporters, the existence of a real global network, their knowledge of sophisticated cryptographic systems, the know-how of the Syrian Electronic Army(one of the world’s best hacker networks) and the many connected networks we have tried to map.
We wondered how, propaganda apart, this network could be used for specific purposes such as financing overseas cells, moving money and logistical organization.
The enquiry which follows recounts what I discovered and the significant links which exist with counterfeiting and money laundering at a global level.


As I specified, “ in this public version of my enquiry I have deliberately omitted certain passages. The aim of my investigation is to describe and help to explain a phenomena and a method (one of the methods) of financing and above all of transferring money which is difficult to trace. In no sense do I want it to be a manual, or an invitation to “do it yourself”. The other reason for omission is to protect certain information and active contacts and to preserve the investigative work of those responsible for national and international security who have been given full access to the unabridged results.
For these reasons the contacts, email exchanges, accounts and phone numbers are not given, just as they are obscured in the images attached.


First part


The media strategy of the self-styled “Islamic State” is both effective and successful. Their professional use of social media has allowed ISIS to project a coherent image of its world while at the same time resisting “alternative narratives” against the group. Videos are published on an almost daily basis as, in addition to the execution videos, the group produces real films designed to demonstrate the state-like nature of the organization and the reconstruction of its infrastructures.
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Second part


What ISIS is undertaking, not only militarily, but above all from a communication perspective, is a real war for hegemony and identity: what exactly does it mean to be a Sunni Muslim in times of war and sectarianism?
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Third part


In June 2014 the “Islamic State” managed to occupy in a sort of blitzkrieg a large territory and its principle cities in the Sunni Arab strongholds of Syria and Iraq which they renamed the “Caliphate”.
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Fourth part


Although al-Qaeda tried for years to eradicate borders, while ISIS achieved this objective in only a few months, the theoretical framework within which ISIS works was provided by AQ, alongside a regular narrative in its English tabloid ”Dabiq” together with the videos in Arabic, English, Spanish etc.
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La cyberwar di ISIS

Era fine febbraio dell’anno scorso quando pubblicai in Italia il primo lavoro organico sulla comunicazione dell’ISIS. Dello Stato Islamico e della sua pericolosità ci siamo accorti in Europa con la strage di Charlie Hebdo, ed in quel momento ci siamo accorti che era un fenomeno nuovo ed era nel cuore dell’Europa. 
Di tutto questo – al di là degli innumerevoli istant book usciti uno dopo l’altro per riempire la nostra voglia (presunta) di sapere – in altri paesi si stavano occupando da molto tempo. In maniera seria, scientifica, lontani dall’opinionismo dell’ultima ora.
Quel primo lavoro di sintesi deve e doveva molto ad anni di ricerca ed analisi di molte persone, soprattutto in nord europa e nord america. In particolare lo descrissi come un “lavoro collettivo” citando – tra gli altri – Oliver Roy, Dietrich Doner, Eben Moglen, Jeff Pietra, J.M.Berger, Scott Sanford, i generosissimi Will McCants e Clint Watts, lo straordinario Nico Prucha, Rüdiger Lohlker, la brillante Sheera Frenkel, Rainer Hermann, Mehdi Hasan, Elham Manea, Leah Farrall, Aaron Y. Zelin e Peter Neumannal.


Quella ricerca si concludeva con una citazione proprio di Elham Manea, una delle voci più coraggiose e brillanti dell’islam contemporaneo, che ha scritto «La verità che non possiamo negare è che l’Isis ha studiato nelle nostre scuole, ha pregato nelle nostre moschee, ha ascoltato i nostri mezzi di comunicazione e i pulpiti dei nostri religiosi, ha letto i nostri libri e le nostre fonti, e ha seguito le fatwe che abbiamo prodotto». «Sarebbe facile continuare a insistere che l’Isis non rappresenta i corretti precetti dell’islam. Sarebbe molto facile. Ebbene sì, sono convinta che l’islam sia quel che noi, esseri umani, ne facciamo. Ogni religione può essere un messaggio di amore oppure una spada per l’odio nelle mani del popolo che vi crede».
Da quel primo lavoro la ricerca non si è mai interrotta. E mentre un insieme di persone ha lavorato per tenere traccia ed analisi del corposo materiale (costantemente in crescita) di propaganda e diffusione, altri si sono concentrati nella ricerca di alcuni aspetti che – con le stragi di Parigi del mese scorso – sono divenuti tragicamente centrali e attuali.


Questo e-book inizia con un aggiornamento di quattro capitoli sulla comunicazione (non solo) o-line dell’ISIS, alla luce degli sviluppi militari e geopolitici di questi ultimi mesi e dei (molti) documenti nuovi emersi e raccolti.
La domanda successiva che ci siamo posti è abbastanza semplice e partiva da alcuni presupposti: la straordinaria ramificazione di rete degli attivisti e dei supporter, la presenza di un vero e proprio network globale, la conoscenza di sofisticati sistemi di crittografia, il know-how del cd. “esercito elettronico siriano” (una delle migliori reti hacker a livello globale) e di molte reti collegate che abbiamo cercato di mappare. 
Ci siamo chiesti come tutta questa rete, oltre che per la propaganda, potesse essere usata per alcune attività specifiche: il finanziamento delle cellule all’estero e lo spostamento di denaro, e l’organizzazione logistica.


L’inchiesta che segue racconta quello che ho trovato e collegamenti importanti con reti di riciclaggio e contraffazione a livello globale. 
Come ho specificato “in questa versione pubblica di questa parte di ricerca volutamente ometterò alcuni passaggi. Questa vuole essere un’inchiesta con l’obiettivo di descrivere e contribuire a spiegare un fenomeno ed un sistema (uno dei sistemi) di finanziamento e soprattutto di spostamento di denaro in modo molto difficilmente rintracciabile attraverso un’esperienza – in questo caso diretta e personale – e non vuole essere un vademecum per nessuno, né un invito “a fare altrettanto”.
 Altra ragione delle omissioni è evitare che la divulgazione di certe informazioni, di contatti attivi, potesse in qualsiasi modo e forma minare il lavoro di indagine ed investigativo di chi è preposto a tale compito e per questo motivo il materiale integrale è stato messo a disposizione di soggetti istituzionalmente preposti ad indagini di sicurezza nazionale ed internazionale.
Proprio per questo ho evitato di riportare i contatti diretti, lo scambio di mail, gli account e i numeri di telefono – esattamente come gli stessi sono “oscurati” nelle immagini allegate.


Prima parte
La strategia mediatica del sedicente “Stato islamico” è efficace e di successo. 
L’uso professionale dei social media ha permesso all’ISIS sia di proiettare una visione del mondo coerente sia di essere resistente a “narrazioni alternative” contro il gruppo. 

Continua a leggere la prima parte…


Seconda parte
Quella intrapresa dall’IS – non solo militarmente ma soprattutto in ambito di comunicazione – è una vera e propria guerra per l’egemonia e l’identità: cosa significa essere un musulmano sunnita in tempo di guerra e settarismo?
Continua a leggere la seconda parte…


Terza parte
In stile guerra lampo, lo “Stato islamico” è stato in grado di occupare grandi fasce di territorio nelle roccaforti arabe-sunnite di Siria e Iraq nel mese di giugno 2014 e le loro principali città e dichiarare queste aree “califfato”.
Continua a leggere la terza parte…


Quarta parte
L’ideologia di al-Qaeda ha fornito il quadro teorico che IS impiega ed esercita. Mentre AQ è stata impegnata per decenni per erodere i confini, IS è stato in grado di farlo entro pochi mesi con una narrazione puntuale attraverso il proprio tabloid in lingua inglese “Dabiq”, così come attraverso diversi video in arabo, inglese, spagnolo e altre lingue.
Continua a leggere la quarta parte…

English version

ISIS cyberwar/4

Although al-Qaeda tried for years to eradicate borders, while ISIS achieved this objective in only a few months, the theoretical framework within which ISIS works was provided by AQ, alongside a regular narrative in its English tabloid ”Dabiq” together with the videos in Arabic, English, Spanish etc.
ISIS beliefs are basically an evolution of al-Qaeda ideology. In fact, after achieving control of territories in Syria, Iraq, Libya, Yemen and Egypt, local Arab traditions have been forced to adapt to the ISIS “state” ideology which is mainly based on the extensive theological writings of al-Qaeda theorists.
At the same time, ISIS is a group whose revolutionary strategy is professionally and ideologically tied to modern media. It uses internet systematically to spread its messages and storytelling to a multi-lingual worldwide audience in a way that no other terrorist group has ever done before. It has also demonstrated a consistent ability to adapt, react and reorganize.

Thanks to the immense number of videos and “photo shoots” from the “provinces” of the “Caliphate”, ISIS propaganda is a massive presence on social media chanels. The foreign fighters are not only present in video, but are also able to communicate with their family and friends on mobile phones.This non-Arab participation within the heart of the “Caliphate” enriches their productions and allows them to penetrate previously inpenetrable areas of target Western societies.
Today’s visual culture and the quantity of HD videos produce constant repetition and create a doctrinal showcase which denigrates non-believers and justifies the collective punishment of “apostates” (murtaddeen) and Muslim “hypocrits” (munafiqeen). This principle theological discourse can be defined as a “discursive guide” Through the constant repetition of an extremist theological interpretation and its practical application, jihadist consumers and media users are offered a means of active participation in exchange for their commitment to jihadist ideology.


On the first anniversary of the coalition air attacks against the group, launched to vindicate the filmed execution of US citizen James Foley and others, a video showed members of al-Hisba, the ISIS police, talking to passers-by at the Aleppo market and deriding the war against ISIS as essentially useless. Regarding the refugee crisis, according to the English version of the jihadist online magazine Dabiq which maily targets a Western readership, ISIS declared that the drowning of the Iranian three year old Alan Kurdi was divine retribution for leaving their “Islamic home”. In many Arabic videos leaders of the “Islamic State” have announced that any Sunni Muslim who turns their back on the caliphate to escape to Europe or elsewhere is a legitimate target.


These statements have been further supported by local Syrian and Iraqi declarations expressing gratitude for finally being able to live their true Islamic identity and feel protected.
As they target an Arab audience, these films are usually in Arabic so they reach nearby countries, refugee camps all over the world and even enter the heart of nations well outside the region. Such messages form part of a wealth of video materials published on an almost daily basis. Whether watched, shared or simply downloaded, these videos are discussed in a range of languages by users who are committed to the promotion of the “Islamic State” as the only legitimate source and physical representation of “Islam”. In this context, Twitter is undoubtedly the most important ISIS platform. Despite


Twitter’s endless takedowns of accounts, the extremists are spreading their message through a more decentralized network of Arabic hashtags having given up trying to create official accounts.
This adaptation of their marketing strategy has certainly been successful. Since the accounts are easily substituted, the constant use of specific hashtags ensures an uninterrupted stream of content and propaganda which seek to push the audience further towards jihadist ideology.
The Arabic hashtags used are not limited to phrases like “Islamic State” or “ISIS will remain and expand” which was launched during the critical phase of early 2014. The more subtle supporters use current trends like major sporting events and global news to reach a wider audience.
Like ants, ISIS has shown it is able to act as an organized group and reconstruct its networks to continue to influence social media platforms. Even when accounts are eliminated there is a sufficient number of direct converts and a substantial group of supporters who actively promote current content and new “Islamic State” accounts.


By successfully exploiting social media, demonstrating their skill in using typically western multimedia communication and how powerless social media controls are, ISIS appears even more invincible. The result is even greater online support and more converts.
Looking at the sources of about 2,500 published (and re-published) videos, it is clear that without social media sharing, these videos and jihadist propaganda would lose around 95% of their audience with the consequent loss of support, aid and enrolment in countries outside the directly occupied area.
Nico Prucha has estimated that the total content amounts to 830 single videos, 95% of which are available in HD, for a total of 147Gb of data which means a production average of 21 per month or 5,7 per week and a trend towards exponential growth. This shows how incredibly important this battle is for the strategies and survival of the “Islamic State” but also for the West.


There is no doubt that successful action on this battleground would prove more effective and devastating for the jihadist network than any air strike. Depriving ISIS of its external communication network would not only drastically reduce its foreign converts, including the activation of linked terrorist cells, but it would reduce the self-styled “Caliphate” to media inexistence which, in the light of the objectives described above, would mean certain death.

La cyberwar di ISIS/4

L’ideologia di al-Qaeda ha fornito il quadro teorico che IS impiega ed esercita. Mentre AQ è stata impegnata per decenni per erodere i confini, IS è stato in grado di farlo entro pochi mesi con una narrazione puntuale attraverso il proprio tabloid in lingua inglese “Dabiq”, così come attraverso diversi video in arabo, inglese, spagnolo e altre lingue. 
Si può quindi sostenere che l’ideologia di al-Qaeda non può essere separata dall’ISIS, e che quest’ultimo è la recente evoluzione della stessa. Con il consolidamento del territorio tra Siria, Iraq, Egitto, Libia e Yemen, le tradizioni arabe locali sono state sottomesse o costretti ad adattarsi all’applicazione della sua ideologia di “Stato” – basata principalmente su ideologi di al-Qaeda e il loro ricco corpus teologico.


ISIS tuttavia è un gruppo con una strategia rivoluzionaria molto professionalmente e ideologicamente coerente dei media. Fa un uso sistematico di Internet come nessun altro gruppo terroristico nel diffondere i propri messaggi e il suo storytelling a un pubblico globale in più lingue. 
Di volta in volta ha dimostrato di essere abile ad adattarsi, rispondere e riconfigurare. 

Grazie alla immensa quantità di video e “servizi fotografici” dall’interno delle rispettive “province” del “Califfato”, la propaganda ISIS è straordinariamente presente nei canali di social media.
I combattenti stranieri non arabi non solo sono presenti nei video, ma sono in grado di comunicare direttamente con i loro amici e parenti nel paese d’origine con il cellulare. Questo ingresso non arabo all’interno del “Califfato” arricchisce ulteriormente la produzione complessiva e permette ai tattici media di penetrare ambienti che non erano mai stato penetrati prima all’interno di società occidentali bersaglio.


La cultura visiva e la quantità di video HD consentono la ripetizione costante e costituiscono vetrina di dottrine che denigrano i non credenti e sanciscono la punizione collettiva di “apostati” (murtaddin) e “ipocriti” musulmani (munafiqin). 
Questo discorso teologico principale può essere definito come “guida discorsiva”.
Attraverso la ripetizione costante di interpretazione teologica estremista e la sua attuazione pratica, jihadisti consumatori e partecipanti dei media sono dotati di un quadro di attivazione e impegnati nella ideologia jihadista.



Il primo anno anniversario degli attacchi aerei della coalizione contro il gruppo, che era stato lanciato per vendicarsi dell’esecuzione filmata del cittadino statunitense James Foley con altri, è stato deriso dal gruppo in un video che mostra membri di al-Hisba, la polizia dell’IS, che discutono al mercato di Aleppo con il pubblico dei passanti sulla sostanziale inutilità della guerra contro IS. 
Rispondendo alla crisi dei rifugiati, l’IS afferma (nella versione inglese della rivista jihadista online Dabiq – rivolta prevalentemente ad un pubblico occidentale) che l’annegamento del bambino siriano di tre anni Alan Kurdi è stato la punizione di Dio per aver voluto lasciare la “dimora islamica”. 
In diversi video in lingua araba, esponenti di primo piano dello Stato Islamico hanno decretato che qualsiasi musulmano sunnita volti le spalle al califfato per scappare in Europa o altrove è un obiettivo legittimo per il gruppo. 
Queste dichiarazioni sono state arricchite da dichiarazioni di siriani e iracheni locali che esprimono la loro gratitudine per essere finalmente in grado di vivere la vera identità islamica e avere una protezione.


Questi film sono di solito in arabo e indirizzati agli arabi locali – raggiunti direttamente nei paesi vicini, in campi profughi in tutto il mondo e all’interno delle società al di fuori della regione. 
Tali messaggi sono parte della ricca miscela di video pubblicati su base quasi giornaliera. 
Questi video, da condividere guardare o scaricare, sono discussi sui social media in cui gli utenti attraverso una vasta gamma di lingue rispondono e si impegnano personalmente a promuovere lo “Stato islamico” come l’unica fonte legittima e rappresentazione fisica di “Islam”.
A questo proposito, Twitter è la piattaforma più importante per l’ISIS. 
Nonostante i takedown instancabili degli account diretti da parte di Twitter, gli estremisti stanno diffondendo il loro materiale atrraverso una rete più decentrata, basandosi principalmente su hashtag arabi e hanno rinunciato a ricreare un account ufficiale.



Questo adattamento della loro strategia di marketing è di indiscusso successo. 
Gli account sono sostituibili, l’uso costante di hashtags specifici su Twitter assicura un flusso ininterrotto di contenuti e informazioni che cercano di indottrinare e avviare il pubblico verso l’ideologia jihadista. 
Gli hashtag arabi utilizzati non si limitano a “Islamic State” o “IS will remain and expand”, uno slogan lanciato velocemente nella fase critica della prima metà del 2014. I sostenitori furbi usano anche le tendenze attuali, come ad esempio eventi sportivi mondiali o notizie globali nel tentativo di raggiungere un pubblico più vario.
Come le formiche, IS ha dimostrato di agire come un gruppo, uno “sciame”, e riconfigurare le proprie reti per mantenere la capacità di proiettare influenza sulle piattaforme di social media. Anche quando diversi account vengono eliminati, un numero sufficiente di seguaci diretti con un folto gruppo di sostenitori rimangono attivi per promuovere immediatamente sia il contenuto attuale sia i nuovi account dello Stato Islamico.


Questa strategia di diffusione sui social media, il far percepire di giocare sul terreno della diffusione massmediale tipicamente e propriamente occidentale e di rendere impotenti gli stessi gestori dei socialnetwork veicola ulteriormente l’alone di invincibilità dell’ISIS, che ne beneficia anche in termini di ulteriore attivismo e proselitismo online.
Da un’ esame della provenienza di traffico su circa 2500 video pubblicati (e più volte ripubblicati) emerge che senza le condivisioni social i video e la propaganada jihadista perderebbero oltre il 95% del proprio pubblico, con la conseguente proporzionale perdita di sostegno, appoggio, arruolamento in tutti i paesi fuori dall’area di diretta occupazione.
 Nico Prucha ha stimato la presenza di contenuti prodotti in complessivi 830 video singoli, il 95% dei quali disponibili in HD, per complessivi 147Gb di dati (una media di produzione di 21 al mese e di 5,7 a settimana dal 2013 ad oggi, con una tendenza di crescita esponenziale).
 Questo dimostra come questa battaglia debba essere esssenziale e sia strategica e sopravvivenziale sia per lo Stato Islamico che per i paesi occidentali. 
E certamente un contrasto efficace su questo terreno risulta più incisivo e devastante per la rete jihadista di qualsiasi bombardamento sul campo.
Privare l’ISIS della sua rete di comunicazione esterna non solo ridurrebbe drasticamente la capacità di affiliazione estera – e con questa l’attivazione delle collegate cellule terroristiche – ma ridurebbe il sedicente califato alla inesistenza mediatica, che per gli obiettivi che abbiamo visto ed identificato significherebbe la morte definitiva.

ISIS cyberwar/3

In June 2014 the “Islamic State” managed to occupy in a sort of blitzkrieg a large territory and its principle cities in the Sunni Arab strongholds of Syria and Iraq which they renamed the “Caliphate”.
From a media point of view, the valorization of the results is expressed in a youthful and highly visual language. Before the declaration of the Caliphate, when, in a surprise move, the Iraqi and al Sham ISIS succeeded in taking control of vast areas of Iraq, including the cities of Mosul, Tikrit and Samara, jihadist self-esteem grew enormously as did their conviction that they were the chosen few destined to do God’s will according to prophetic conduct.
This was communicated through social platforms and a more modern use of Twitter by their supporters who took up the themes, format and stories of typical Hollywood films in order to describe what, according to them, was happening in the field. Some pro-ISIS Twitter users – part of an English speaking cluster group of supporters- quickly re-designed posters for the film “300” in support of the victorious “800” Mujahedeen of the “Islamic State”. (They even quoted the Guardian as their source)


Not only do these fans and converts create content and share other users’ content, they also have a good understanding of the films and popular codes used within specific social groups. As a result they have created a message expressed through a peculiar link between mainstream Mujahedeen iconography and popular global culture dominated by elements from Westerns and other specific films. This mechanism of broadcasting on and offline worlds together is perhaps the most dangerous modern use of internet by jihadist activists in their aim to develop a movement rooted in the Middle East and North Africa.
At the same time, within the “state” and the “provinces” occupied by ISIS, Internet is the main means of communication with the outside world and is used to muster the support of Muslims everywhere and, in the best case scenario, to convince them to join this endeavor.
The overall picture, therefore, is made up of an ISIS which conquers part of Iraq and declares the Caliphate, integrated media activists on the front line with their global support networks and the media mujahedeen who publicize


their successes in HD videos and posters, images and language in Hollywood style distributed through social networks and social media.
In such a scenario, the diplomatic and cultural organizations which seek to contrast this kind of violent extremism need strategies based on network concepts to do so effectively.
Since jihadist subculture is characterized by a concept of personal participation, user generated content encourages and sustains ISIS propaganda. Consequently, such user generated content must not be underestimated.
While some users have a preference for shocking videos or “front line” films, others are more attracted by the civil side of the “state” where ISIS is presented as a functioning state supplying the population with energy, water, re-opened grocery stores or the fire brigade at Raqqa. Images of this kind allow ISIS to proclaim their superiority to the Sunni population and portray the “soft side” of the terrorist group by appearing to be saviors helping their brothers and sisters in their time of need.

La cyberwar di ISIS/3

In stile guerra lampo, lo “Stato islamico” è stato in grado di occupare grandi fasce di territorio nelle roccaforti arabe-sunnite di Siria e Iraq nel mese di giugno 2014 e le loro principali città e dichiarare queste aree “califfato”.
Da un punto di vista mediatico, la valorizzazione dei risultati si esprime in un linguaggio giovane e altamente visivo. Quando lo Stato Islamico d’Iraq e al-Sham, prima della dichiarazione del “Califfato”, in una mossa a sorpresa è stato in grado di prendere il controllo di vaste zone dell’Iraq, compresi i centri urbani di Mosul, Tikrit e Samara, l’autostima jihadista è accresciuta enormemente nella loro convinzione di essere pochi eletti ad agire per conto di Dio e secondo la condotta profetica. 
Ciò ha trovato la sua massima espressione social in un format più moderno nell’uso di Twitter da parte dei simpatizzanti. Sono stati ripresi temi e format e narrazioni dei film tipicamente hollywoodiani adoperandoli per descrivere ciò che – secondo loro – stava avvenendo sul campo. 
Alcuni utenti Twitter pro-isis – parte di una rete di cluster di sostenitori di lingua inglese – si sono affrettati a rimodellare manifesti del film “300” per i vittoriosi “800” mujahidin dello “Stato islamico” (tra le beffe, citando il Guardian come fonte della notizia).



I fan e simpatizzanti, non solo creano i propri contenuti o rilanciano contenuti generati da altri utenti, ma capiscono e conoscono i film ed i codici popolari all’interno di cerchie sociali specifiche arrivando a concepire un messaggio veicolato in una strana connessione tra l’iconografia centrale mujahidin e la cultura popolare globale, dominata da elementi da film Western e film specifici. Questo meccanismo di trasmissione di mondi on- e offline è forse l’aspetto più pericoloso dell’uso moderno di Internet da parte degli attivisti jihadisti per sviluppare un movimento radicato nella regione del Medio Oriente e Nord Africa. 
Contemporaneamente, all’interno del “stato”, all’interno delle “province” occupate dall’IS Internet è il collegamento principale per la connessione con il mondo esterno, per chiamare a raccolta i musulmani in tutto il mondo per ottenere un sostegno e nella migliore delle ipotesi per partecipare a questo progetto. 

Lo scenario complessivo quindi si presenta con un IS che fa conquiste in Iraq e dichiara un califfato islamico, gli attivisti dei media integrati lungo le linee del fronte e le loro reti di supporto globali, i mujahedin dei media che valorizzano i loro successi in video HD e con poster e immagini e linguaggio in stile di Hollywood distribuiti via social network e social media. 
In questo scenario sia la diplomazia che le organizzazioni incaricate di relazioni culturali con l’obiettivo di contrastare l’estremismo violento richiedono strategie basate su concetti di rete per contrastarli efficacemente.


La sottocultura jihadista è caratterizzata da una cultura di partecipazione individuale, mentre gli user-generated-content arricchiscono la propaganda di IS. Questi contienuti creati dagli utenti non devono essere sottovalutati. 
Mentre alcuni utenti preferiscono video scabrosi o “film da prima linea”, altri sono più attratti dal “lato civile” di “Stato”, dove l’IS si presenta come uno stato funzionante che fornisce alla popolazione l’energia, l’acqua, la riapertura di negozi di alimentari, o con una brigata di vigili del fuoco a Raqqa. Tutto ciò permette all’IS di rivendicare una superiorità e supremazia totale sulla parte sunnita della popolazione civile e promuove l’immagine “del lato morbido” del gruppo terroristico proponendolo come salvatore che distribuisce aiuti ai loro fratelli e sorelle nel momento di bisogno.

La cyberwar di ISIS/2

Quella intrapresa dall’IS – non solo militarmente ma soprattutto in ambito di comunicazione – è una vera e propria guerra per l’egemonia e l’identità: cosa significa essere un musulmano sunnita in tempo di guerra e settarismo? 
Per rispondere a queste domande, lo “Stato islamico” ha assunto un ruolo guida nella produzione di video in lingua principalmente araba per incitare un pubblico arabo globale divulgando i loro combattenti, ideologi e predicatori come modelli finali, di giorno moderni guerrieri islamici, o semplicemente difensori della comunità sunnita in momento di sofferenza. 
IS è un movimento arabo di lotta per l’indipendenza, ma accogliente nei confronti dei combattenti stranieri musulmani non arabi, che vengono utilizzati in modo strategico anche sul piano tattico per i media jihadisti.
I combattenti stranieri non arabi raggiungono il loro target di riferimento nelle rispettive lingue, e spesso sono presenti nei video in arabo o con sottotitoli. Spiegano la visione dell’IS ad inglesi, tedeschi, austriaci, francesi, russi, e così via nella propria lingua, mentre la stragrande maggioranza dei video sono in arabo realizzati con combattenti madrelingua.



Con l’afflusso di combattenti stranieri dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti tra le fila dello Stato Islamico, l’uso dei social media ha raggiunto una dimensione senza precedenti – sia di combattenti stranieri che non arabi in diverse lingue su rispettivi siti di social media. 
Questi combattenti stranieri hanno il potenziale per avere risonanza particolare per le comunità islamiche nei rispettivi paesi d’origine, declinando il concetto di ingiustiza socale e il richiamo a situazioni locali specifiche, dimostrando una conoscenza diretta del contesto locale, mentre l’ideologia è legata al ragionamento religioso arabo come espresso da scritti e veicolato attraverso mezzi audiovisivi. Con l’arabo come è la lingua più importante per l’Islam, come il Corano è scritto in arabo, anche la lingua jihadista è l’arabo. 
Parole chiave arabe del segmento jihadista, di conseguenza, sono diventate un substrato tradizionale in molte lingue non arabe dove l’Islam ha trovato casa, fornendo ai simpatizzanti jihadisti non arabi un gergo quotidiano di identificazione, da usare per riti e codici. 
Ciò è di fondamentale importanza quando si studiano i materiali jihadisti arabi, ma forse ancora più importante per lo studio e l’analisi di ciò che avviene sui social media jihadisti, come le domande e le risposte fornite in questo quadro a fini operativi o chiaramente ideologici.


Simpatizzanti e operatori dei media usano parole chiave strategiche sia con l’obiettivo di ampliare il fascino dell’ideologia jihadista. Derivando dall’originale arabo, le parole chiave sono trascritte in caratteri latini e sono la parte “più integrante” di qualsiasi produzione in lingua non-araba. 
L’uso di queste parole chiave è significativo per comprendere la qualità e l’impatto che l’ideologia dominante araba ha sulla società a maggioranza non araba, espresso sia on- che offline, mentre i combatenti stranieri non arabi organizzano la propria influenza ed egemonia estremista declinando ciò che significa essere un ‘vero’ sunnita trasferendo tali parole chiave al proprio pubblico di riferimento. 
L’interazione su piattaforme di social media invita sostanzialmente i simpatizzanti ad impegnarsi con questi video e modelli, quindi a divulgare parole chiave specifiche e ad avere un potenziale impatto sugli ambienti non arabi locali all’interno delle società non a maggioranza islamica, come i paesi europei.


I video sono il mezzo più importante attraverso il quale viene dimostrata e divulgata la realizzazione del credo jihadista (‘aqida) e delle metodologie (Manhaj) per le quali si afferma di combattere. Rievoca una visione ed interpretazione esclusivamente estremista come il solo autentico del Profeta Muhammad, e quindi sostenendo di essere “nella metodologia profetica” (traslitterando il titolo di uno dei video più famosi in questo senso).

ISIS cyberwar/2

What ISIS is undertaking, not only militarily, but above all from a communication perspective, is a real war for hegemony and identity: what exactly does it mean to be a Sunni Muslim in times of war and sectarianism?
To answer this question the “Islamic State” acts as a guide by producing mainly Arabic videos aimed at inciting their global Arab audience and popularizing their fighters, ideology and preachers as role models who are promoted as modern Islamic warriors or simply as defenders of the Sunni community in a time of sufferance.


ISIS is a movement fighting for Arab independence but it also welcomes foreign non-Arab Muslims who are then used strategically at a tactical level by the jihadist media. These foreign fighters reach their respective language targets and are often present in Arabic videos or with sub-titles. Although the vast majority of videos are made in Arabic by mother tongue fighters, their task is to explain the ISIS vision in English, German, French, Russian and so on.


With the arrival of foreign fighters from the European Union and the USA, the use of social media in a variety of languages has reached unprecedented levels. These foreign fighters have the potential to have a huge impact on the Islamic communities in their home countries as their references to concepts of social injustice and specific local situations demonstrate their direct knowledge of local contexts. At the same time, their ideology is bound to religious Arab thinking as expressed in religious texts and communicated through audio-visual means. Just as Arabic is the most important language for Islam as the Koran is written in Arabic, so the Jihadist language is also Arabic. As a result, many Jihadist Arabic keywords have become part of the traditional vocabulary of many non-Arabic languages where Islam has found a home. This linguistic process provides non-Arab jihadist converts with a common jargon of self-identification which can be used in rituals and codes.


This phenomena is of extreme importance when studying Arab jihadist materials, particularly when analyzing jihadist social media such as the question and answer sessions used for operative or ideological ends.


Converts and media operators use strategic keywords in order to increase the fascination of jihadist ideology. From the original Arabic, these keywords are transcribed into the Latin alphabet and form the core of everything produced in non-Arabic languages. The use of these specific words is highly significant to understand the nature of the dominant Arab ideology and its impact on societies with non-Arab majorities, both on and offline. Moreover, the foreign fighters extend their extremist influence and hegemony, defining what it means to be a true Sunnite, by passing on the keywords to their own audiences.


Interactions on social media platforms basically encourage supporters to study these videos and models and then to spread these keywords throughout the local non-Arab communities within societies without Islamic majorities, such as European countries.
The realization of the jihadist faith (‘aqida) and methodologies (Manhaj) for which they claim to be fighting are demonstrated and communicated principally through their videos which present their extremist vision as the only authentic interpretation of the Prophet Mohammed thereby claiming to use “the prophetic methodology” (to quote the title of one of the most famous videos).

ISIS Cyberwar/1

The media strategy of the self-styled “Islamic State” is both effective and successful. Their professional use of social media has allowed ISIS to project a coherent image of its world while at the same time resisting “alternative narratives” against the group. Videos are published on an almost daily basis as, in addition to the execution videos, the group produces real films designed to demonstrate the state-like nature of the organization and the reconstruction of its infrastructures.
The Islamic State distributes a powerful mix of narratives conveyed through images and bound to a corpus of written texts from various sources which are the result of thirty years of jihadism. By creating a “state” (in Arabic: dawla) and making the borders between Syria and Iraq inexistent, it has achieved something Al-Qaeda had been trying to do for years: to erode borders and set up a “state” based on extremist theological interpretation.


ISIS embodies the “new AQ” by putting into practice the Qaeda ideology within the Sunni Arab stronghold territories of Syria, Iraq and a vast area between Libya, Sinai and Yemen. Consequently, the majority of foreign fighters within ISIS are Arabs and the vast majority of ISIS videos are in Arabic for reasons of propaganda and proselytism, but also because they seek to unify the extremist Arab fringes.
By transmitting videos of a physical “Islamic State”, ISIS presents a positive image of their world which offers a clear, video-recorded vision of a “Sunni Muslim identity” and uses Arab and non-Arab fighters for its multi-media productions to launch the image of this “state”.
In their efforts to achieve an accurate interpretation of this new phenomenon, Western observers have to deal with two fundamental obstacles, not only to understanding and contrasting it from a media perspective (against the propaganda and proselytism) but also regarding decisions on which strategies to use to fight back.


On the one hand ISIS appears to be a “liquid state” without the clearly defined borders, logistical objectives and infrastructures on which to base a precise and traditional military strategy. Up until the war in Afghanistan, the West had always had to face two types of enemy; foreign enemies from clearly identifiable national or regional territories and internal enemies from terrorist groups with a hierarchical structure. This division of the “enemy” has produced


two different methods of defense. In the first case, military intervention typical of national wars with clear bases and clearly identified borders and regions and in the second, intensive undercover intelligence work aimed at identifying the group’s members, tracing their money/arms/supplies/logistics channels and, after mapping the network, doing whatever necessary to destroy it.
However, these two models on which our defenses are based have now been rendered completely obsolete. The absence of borders and the huge extension of the regional areas involved makes traditional military intervention totally impracticable . Moreover, the cell based Qaeda organization which has evolved from thirty years of experience and benefited from technological developments, makes the work of counter-intelligence extremely complex. This is principally because it differs from the terrorist models and methods used in the past, but is also due to the issue of “internal terrorism”.


ISIS, however, is not simply a terrorist organization. Its communications and propaganda do not simply send out a message, create converts or identify an enemy to combat. What ISIS is really proposing, communicating and in some way “selling” to the Muslim community is the realization of a much greater aim; the constitution of a real, enormous nation-state based on extreme Islamism and a precise interpretation of the Koran and Sharia law which, up until Bin Laden, was essentially propaganda manipulated by a minority and limited to a tribal level.


Proof of this aim- should the numerous videos and documentaries on the “life” of the Islamic State not suffice- has recently been provided by two documents supplied by an Arab businessman. As the Guardian has confirmed, they contain the blueprint of the central and regional organization and institutions of ISIS, a sort of starting point on which to base the structure of institutional roles and the workings of the bureaucratic, administrative, fiscal and judicial systems.


The implicit, as well as explicit, message of this organizational plan is as simple as it is devastating; it seeks to offer an alternative model to the so far dominant Western vision of the world. Instead of the proposal for Muslims to live in poor Arab countries, frequently pro-Western if not under the direct control of the West, or to be integrated into westernized secular states, today ISIS proposes territorial independence with the foundation of an extremist religious (or simply “orthodox”) model which is, above all, independent and self-determining.


This new call to arms can no longer simply be defined as a jihad (literally, commitment) to the “fight against” – which has had its importance- but this time it becomes a “fight for” the construction of a dreamed of, longed for and highly desirable model according to ISIS theology.
This breakthrough- as proposal, content, objective and propaganda- is something new and difficult to combat as it affects cultural models. It also gains consensus among Western Muslims in direct proportion to racial hatred , cultural exclusion, the fear of foreigners and the closure of frontiers, the poverty and degradation of poor urban neighborhoods, the lack of social services and the anti-Islamic bias of the media.


This leads to the paradoxical viscious circle whereby an act of terrorism, like the Paris bombings, produces more anti-Islamic feelings which subsequently feed Islamic isolation which, in turn, produces converts to ISIS, not only in the target country, but in all Western nations.
Obviously this reaction is disproportionate and –as always both for internal and external terrorism- the act of terror also elicits the distancing and condemnation of the presumed “target base”. However, the “recruitment” effect cannot be ignored, even if it regards only a few dozen individuals who are the real objective of ISIS communication.
IS

La cyberwar di ISIS/1

La strategia mediatica del sedicente “Stato islamico” è efficace e di successo. 
L’uso professionale dei social media ha permesso all’ISIS sia di proiettare una visione del mondo coerente sia di essere resistente a “narrazioni alternative” contro il gruppo. 
Pubblica video su base quasi giornaliera: oltre ai video di esecuzioni, il gruppo produce veri e propri film che mostrano la “statualità” della sua organizzazione e la ricostruzione delle infrastrutture. 
Lo Stato Islamico distribuisce una ricca miscela di narrazioni che vengono convogliate in immagini e legate a un corpus di scritti di varia estrazione provenienti da trent’anni di jihadismo. Attraverso la creazione di uno “stato” (in arabo: dawla) e rendendo i confini tra Siria e Iraq inesistenti, ha compreso e realizzato qualcosa su cui AlQaida si era impegnata per decenni: a erodere i confini e stabilire uno “stato” su basi teologiche di interpretazione estremista.


IS incarna il “nuovo AQ”, applicando l’ideologia qaidista all’interno dei territori nelle roccaforti sunnite-arabe di Siria, Iraq, e in una vasta area che tra Libia, Penisola del Sinai, Yemen.
 Quindi, la maggior parte dei combattenti stranieri tra le file di IS sono arabi e la stragrande maggioranza di video IS sono in arabo, sia a scopo di propaganda e proselitismo sia alla unificazione delle frange estremiste arabe.
Mandando in onda attraverso i suoi video uno “Stato islamico” fisico, IS incarna una visione del mondo positivo, fornisce una chiara visione videoregistrata di una “identità musulmana sunnita” e utilizza combattenti stranieri arabi e non arabi per le sue produzioni multimediali per rilanciare l’immagine di questo “stato”.

Sorgono quindi almeno due problemi per una corretta intepretazione da parte dell’occidente di questo nuovo fenomeno. Entrambe questioni fondamentali sia per come prenderlo e contrastarlo da un punto di vista della comunicazione (e quindi del contrasto propagandistico ma anche di quello teso al proselitismo) sia da un pinto di vista della scelta strategica per combatterlo.


Da un lato l’IS si presenta come uno “Stato liquido”, privo di quei confini definiti e di obiettivi logistici e infrastrutturali che consentano di immaginare una strategia bellica precisa e tradizionale.
Sino alla guerra in Afghanistan l’occidente si è sempre trovato di fronte a una duplice tipologia di nemici: all’estero individuati e individuabili i confini precisi (siano nazioni o regioni), all’interno con organizzazioni terroristiche organizzate in forma verticale. 
Questa struttura del “nemico” ha consolidato due modelli differenti di contrasto.
Uno sforzo bellico tipico delle guerre nazionali con basi ben precise e confini e regioni ben individuate. Uno sforzo di intelligence ben preciso teso a individuare i mebri delle organizzazioni, i canali di denaro/armi/approvviggionamenti/logistica ed una volta conosciuta e mappata la rete generalmente sgominarla.
Questi due modelli su cui abbiamo costruito la nostra forza di difesa ed attacco e di intelligence sono completamente superati.


L’assenza di confini e la dilatazione enorme delle aree regionali interessate dal fenomeno rende l’opzione bellica tradizionale impraticabile sotto ogni punto di vista.
 L’organizzazione su base qaidista cellulare – evoluta in un trentennio di esperienza ma anche di evoluzione tecnologica – rende l’azione di intelligence estremamente complessa soprattutto perchè differente rispetto ai modelli ed ai metodi sin qui adottati, anche sul capo ad esempio del cd. “terrorismo interno”.


Dall’altro l’IS non è una semplice organizzazione terroristica. 
La sua comunicazione e propaganda non tende semplicemente alla diffusione di un messaggio, a fare proselitismo e a individuare e ecombattere un nemico. 
Quello che l’IS propone, diffonde, comunica, in qualche modo “vende” al mondo musulmano è la concretizzazione di uno scopo “più grande”: la costituzione di un vero e proprio enorme Stato-nazione fondato sull’islamismo più estremo e su una precisa interpretazione del Corano e della Sharia, che sino a Bin Laden era solo strumentale, propagandistica e minoritaria (oltre che fondamentalmente relagata ad una dimensione tribale). 
La prova di questo obiettivo – ove mai non bastassero decine di video e documentari sulla “vita” nello Stato Islamico – è stata di recente fornita da due documenti rinvenuti grazie ad un uomo d’affari arabo. 
Questo – reso noto dal Guardian – è un documento in cui vengono definiti veri e propri organigrammi organizzativi ed istituzionali centrali e periferici dell’IS.


Una sorta di codice-base da cui partire nelle scelte delle cariche istituzionali e del funzionamento della macchina burocratica, amministrativa, fiscale, giuridica.

 Il messaggio – tanto implicito quanto esplicito – di questo lavoro organizzativo è tanto seplice quanto devastante: offrire un modello ed un’alternativa a quanto sino ad oggi conosciuto in una visione sostanzialmente occidentale del mondo.
Se da un lato la proposta al mondo musulmano era di vivere in paesi arabi poveri, spesso filo occidentali quando non direttamente gestiti o occupati dall’occidente, oppure di essere integrati in stati laici e occidentali, oggi la proposta è un’indipendenza territoriale con la costituzione di un modello estremista (venduto come semplicemente ortodosso) e religioso. Ma soprattutto indipendente ed autodeterminato.


Il nuovo richiamo quindi non è più definibile semplicemente come una Jihad (letteralmente “impegno”) di “lotta contro” – che pure ha avuto i suoi momenti topici – ma questa volta di “lotta per” la costruzione di un modello sognato, auspicato, desiderabile (almeno nelle intenzioni dei teologi dell’IS).

Questo salto di qualità – della proposta, del contenuto, dell’obiettivo e della propaganda – è qualcosa sino a ieri non solo ignota, ma soprattutto non tradizionalmente contrastabile, perchè incide sul modello culturale, e lavora e raccoglie consensi tra i musulmani occidentali in modo e quantità direttamente proporzionale all’odio raziale, all’esclusione culturale, all’esterofobia, alla chiusura delle frontiere, al degrado delle periferie, alla mancanza di servizi sociali, al razzismo, alla comunicazione ed informazione islamofobica.


Ci troviamo quindi di fronte ad un paradosso per cui un atto terroristico – come quello di Parigi ad esempio – alimenta in occidente una islamofobia e una ghettizzazione che alimentano le stesse fila dell’IS, sia in quello stesso paese colpito, sia in tutti gli altri paesi occidentali.
 Certo, la misura è tuttaltro che proporzionale, e certamente – come è sempre avvenuto, sia in casi di terrorismo interno che di terrorimo esterno – l’atto di terrore genera anche distanze e condanne da parte della “presunta base”, ma quello che non può essere trascurato è l’effetto “reclutante” che ha anche solo su poche decine di persone – che sono il vero obiettivo della comunicazione dell’IS.