“Deep water”, guai a chiamarlo thriller erotico
È doveroso iniziare citando i numerosi commenti dei numerosi critici cinematografici che molto sanno sulle tecniche di ripresa e poco sull’erotismo.
Cito letteralmente – “Senso di delusione per la mancanza di scene di sesso.” – “Lyne non girava film da 20 anni, i suoi film erotici erano sempre eccitanti, ma qui il sesso è davvero insignificante.” – “Melinda più che un personaggio sembra un insieme di caratteristiche e resta uno stereotipo“.
Qualcuno addirittura arriva a dire “Melinda resta essenzialmente un incubo di castrazione per tutta la durata del film“.
Ebbene, chi ha espresso questi pareri dovrebbe limitarsi a esprimerli sui vari “Mary Poppins” e “La carica dei 101” di cui si saranno occupati finora anziché addentrarsi in scenari a loro ignoti e incomprensibili. Perchè “Deep water” (Acque profonde) film di Adrian Lyne del 2022, è un capolavoro dell’erotismo. Chi non lo comprende, fa probabilmente parte di quel 99% della popolazione che vive una sessualità mediocre. Cioè assente.

Categorizzare “Deep water” come thriller erotico è limitativo. Il film, come tutti quelli di Adrian Lyne inzialmente sottovalutati, è un esame attento e chirurgico sulla sessualità e le sue dinamiche all’interno della coppia.
Qui Lyne ci descrive una donna, la femme fatale che ammalia perchè disturbata (Hitchcock ce lo insegna in “Vertigo” che le nevrosi si fanno seducenti), Melinda, libera (gira nuda in casa anche in presenza della babysitter), frivola e leggera (beve e balla senza curarsi dei giudizi altrui), e ipersessuata (tradisce il marito e seduce in maniera reiterata).
Ma cosa rende particolare questi tradimenti? Non sono taciuti.
Melinda prova eccitazione solo nella gelosia, sia essa indotta che passiva. Lo capiamo quando invita i suoi amanti alle feste in casa di amici di Vic, il marito, che lo intimano ad essere più riservati e discreti, e quando balla con il terzo incomodo sotto i suoi occhi.
Ma quello di Vic, che la osserva “affascinato” (di una fascinazione luciferina), è uno sguardo ambiguo, che parla di una complicità sofferta, dove la rabbia cova e l’eccitazione sale. Capiamo sin da questa prima scena della festa, che siamo di fronte ad una relazione sadomasochistica.
Il regista, per i più gnucchi, regala anche una postilla, la scena in cui Vic, prima dell’uscita, entra nella camera della moglie (dormono separati, sappiamo quindi che stanno attraversando una crisi coniugale) che lo prega di non guardare il disordine (della stanza? dentro se stessa?), ma di “guardare lei” (narcisismo tipico dei nevrotici) e scegliere l’abito per la festa, insieme alle scarpe che vediamo accompagnate dalle mani di Vic in ginocchio, in una sorta di atto da schiavo devoto, un Severin di “Venere in pelliccia“.

Se nella quotidianità e nella noia della routine Melinda non si concede, pur provocando Vic con l’espressività di tutto il suo corpo, ecco che si riaccende quando vede il marito ballare con un’altra, proprio lui che odia stare al centro dell’attenzione, proprio lui che viene incolpato per apatia e mancanza di sentimento e passione. Lo vediamo quando in auto, di rientro verso casa, gli regala una fellatio mentre lo mordicchia in un misto di rabbia, gelosia e piacere.
Un equilibrio disequilibrato, faticoso e pericolosissimo, che però tiene viva la coppia e che fa credere a Melinda, insicura della sua intelligenza, (più volte lei dirà “odio quando sei convinto di essere più intelligente di me“) e terrorizzata all’idea di diventare una donna noiosa (“Se tu stessi con la maggior parte delle donne lì fuori, ti saresti già ammazzato per la noia”) di avere il coltello dalla parte del manico. Un legame a doppia mandata che segue il gioco del gatto e della volpe, ma dove prima o poi qualcuno si fa male.
Non è difficile capire chi, Lyne ce lo svela quasi subito, quando Vic, per spaventare il nuovo amichetto della moglie invitato a casa loro per cena, gli confessa in un ghigno di aver ammazzato l’ex amico di Melinda. E’ in quella sua serafica espressione che percepiamo un certo godimento.

La nevrosi sessuale di Melinda si riassume nella pellicola con una sequenza di atti voyeuristici, Vic spia la moglie mentre flirta in casa sua con il nuovo insegnante di pianoforte o con lo stupido biondo dall’aria da surfista; quando rientra ubriaca in casa il mattino seguente dopo aver passato la notte fuori, quando incontra un nuovo conoscente mentre passeggia noncurante per le strade della città.
E ci mostra soprattutto l’ossessione di Vic nei confronti di Melinda, tra le fotografie che ha scattato durante gli anni della loro lunga relazione: un autoreggente caduto sulle scale di casa, le sue gambe in movimento, calici di vino sulla tavola, il ritratto da sposa, lei distesa sul letto; immagini che lasciano intendere ed immaginare. L’autoreggente è stato sfilato dall’amante o la coppia si era ritrovata su quelle scale a far l’amore? Quei calici portano il segno di quali bocche? Melinda riposa nuda dopo essersi concessa a chi?
C’è tutta la tensione di un erotismo suggerito eppure devastante ed aggressivo come l’ossessione e la malattia. Ferisco per essere amato, scappo per essere preso, se non è erotismo questo, consiglio ai signori critici di fare qualche ripassino, partendo da “Venere in pelliccia” di von Sacher-Masoch; “Les liaisons dangereuses” di de Laclos e La mia droga si chiama Julie (La Sirène du Mississipi) di François Truffaut. Ma è sempre vera la teoria che consta il poter comprendere un’emozione solo quando la si è vissuta, per questo vi auguro di diventare dei nevrotici erotomani.

Ma il colpo da campione ci arriva solo alla fine del film, quando Melinda trova il portafoglio di uno dei suoi numerosi amanti nella stanza dove Vic alleva lumache, scoprendo quindi che è stato il marito ad uccidere Tony, l’ultimo amante.
Vic rientra in bici dopo aver occultato il cadavere in un fiume, lei lo attende fuori casa. Si scambiano un lungo sguardo. E poi il silenzio.
“Che c’è?“
“Niente” (sulle labbra di Melinda una leggere soddisfazione, la stessa che scopriamo in Vic attraverso lo specchietto retrovisore quando aveva ucciso Tony).
Melinda, prima di lasciare la scena ed entrare in casa, incalza:
“Ho visto Tony” – (e qui il regista ci mostra la donna mentre brucia le fototessera e i documenti dell’amante ammazzato.)
Cosa vuole dirci? Che lei, anziché lasciarlo come avevamo dedotto dalle valigie pronte, decide di restare, resta nella violenza (profondamente, la desiderava da tempo, la istigava nei comportamenti e nelle coatte accuse a Vic di passività), sceglie, ancora una volta, la complicità malata, che pare essere l’unica a farla sentire viva.
Acque profonde (Deep Water) film del 2022 diretto da Adrian Lyne
(foto Pinterest)