GIANMARCO SAURINO

INTERVIEW BY ALESSANDRO MANNUCCI
PHOTOGRAPHY MARCO ONOFRI
STYLING NICK CERIONI
GROOMING COTRIL
PRESS OFFICE ANDREAS MERCANTE
LOCATION THE DOPING BAR, MILANO
STYLING ASSISTANTS NOEMI MANAGÒ,
NIKO PRETE, MARCO SPAGNUOLO, ILARIA TACCINI

Confesso con un certo senso di colpevolezza di non avere dato recentemente molte chances al cinema italiano. A maggior ragione tenendo conto che non mi ritengo particolarmente schiavo dell’egemonia cinematografica statunitense: guardo molti film coreani, giapponesi, qualcuno indiano (fenomenale), tedeschi, francesi, scandinavi, italiani però pochi, al netto dei grandi autori celebrati internazionalmente, il solito Sorrentino, di cui ultimamente amo ogni intervista molto di più dei film, Garrone, Guadagnino. Sicuramente è colpa del mio preconcetto sull’industria nostrana contemporanea che in passato è stata in grado di imporsi con uno stile e una visione assolutamente peculiare, vitale e iconoclasta mentre oggi mi sembra spesso paludata negli stilemi ben delineati dal meme “Cinema Italiano Starter Pack”: il solito impeccabile Favino, attrici ansiose che strillano, scene girate in interni, ragazzi giovani che parlano romano indipendentemente dal periodo storico o dalla connotazione geografica, qualche faccione televisivo a impreziosire come cameo. Di Gianmarco Saurino ammetto candidamente di non aver mai visto un film o una serie che lo annoveri nel cast, ma basta uno sguardo superficiale e poco esperto (il mio, per esempio) per capire che non si farà perchè si è fatto già, grazie a commedie di successo come “Maschile Singolare,” la miniserie Rai “Per Elisa – Il caso Claps” , la serie storica targata Netflix La Legge di Lidia Poët 2“ e ovviamente “Doc – Nelle tue mani”, la fiction che gli ha regalato una certa riconoscibilità presso il grande pubblico. E l’impressione generale è che Saurino finora abbia solo scaldato i motori e, come diceva un navigato musicista emiliano amante del lambrusco “il meglio deve ancora venire”.

Total look Etro



Ciao Gianmarco, sei nato lo stesso giorno del mio secondo figlio, il 12 dicembre, quindi partirei da qui. Se lui mi dicesse in futuro “papà, voglio fare l’attore” io gli risponderei “ma certo, se è quello che vuoi”. Poi mi chiuderei nel mio studiolo e inizierei a piangere sommessamente senza farmi vedere. Ecco, i tuoi genitori come reagirono?

Ahhaha. Io vengo da Foggia, un paesone di 170mila abitanti, di cui spesso si parla molto male perchè finisce quasi sempre in fondo a quelle classifiche delle “città con la migliore qualità della vita”. Io ci sono affezionato, ci ho vissuto 18 anni della mia vita ed è il posto dal quale vengo, e come dice una canzone molto bella (1984 di Salmo, N.d.A.) “dove cazzo vai se non sai da dove vieni?”. La mia era una famiglia di ceto medio basso: mio padre faceva il ferroviere, mia madre la casalinga ma laureata in psicologia. Dire a Foggia che volevi fare l’attore era come dire “vorrei fare l’astronauta”.

Ti rispondono: “ma non potevi nascere gay come tutti gli altri?

Ahahha, si sarebbe stato forse meglio. Ma ho avuto la fortuna di avere due genitori stupendi e mio padre (che ora nega perché non si ricorda) mi disse “sappi che noi possiamo sostenerti nel tuo trasferimento a Roma, ma se non dovessi farcela potrebbe non essere completamente una tua responsabilità”. Non è una perla detta da un uomo pragmatico che non aveva nessun legame col mondo dello spettacolo.

Tuo padre come il mio, appartiene alla generazione del posto fisso, educata a una cultura del lavoro, giusto?

Sì, a volte non aveva gli strumenti emotivi per gestire la visione artistica del mestiere. Tutta la mia carriera, soprattutto ora, dipende da scelte. E spiegare questo a mio padre che si è sempre spaccato la schiena tirando su tre figli, è molto difficile. Ma sono stato indubbiamente molto fortunato.

Total look MSGM

Ti confesso che ho dei pregiudizi nei confronti del cinema italiano contemporaneo. Come diceva Cobain, “so che è sbagliato ma che posso farci?” Magari posso chiedere a te che ci lavori, in che stato è il cinema italiano oggi? A me pare ci siano da un lato piccoli film cotti e mangiati girati in luminosi appartamenti di Prati, dall’altro i grandi autori innamorati delle loro metafore visive. In tutto questo mi sembra che il nostro cinema fatichi a trovare un pubblico.

Il fatto che nel nostro paese ci sia una donna come Alice Rohrwacher, mi lascia ben sperare. Per me la cosa più importante è raccontare una storia. Ed il modo in cui scegli di raccontarla definisce chi sei.

La mia era un pò un’iperbole, mi piace esagerare. Come scegli i progetti ai quali lavorare?

Ho le idee chiare su quello che non mi va più di fare. Scelgo un progetto sulla base della trama; d’altronde da piccolo volevo fare il cantastorie. Il lavoro non è il fine, è il mezzo.

E cosa non ti va più di fare?

Le cose facili. Sembra una risposta del cazzo ma ha senso. Quando trovo facile una sceneggiatura, perdo interesse. Mi piacciono le sfide, le cose complesse: non intendo i ruoli per i quali devi ingrassare 60 kg, camminare su una gamba sola, usare accenti particolari, ha più a che fare con la complessità del bagaglio emotivo da portare in scena.

Total look Ferrari

Tu ci credi all’esistenza del “cinema italiano starter pack”? Parlo di Savino, Germano, un po’ di attori romani che parlano con forte accento e una storia di papà per caso ambientata in una periferia romana che non esiste veramente?

In questo paese non esiste lo star system. Abbiamo però le nostre star, che sono i cinquantenni Favino, gli Accorsi, Michele Riondino che c’è arrivato tardissimo, e lo stesso vale per le donne. È molto difficile che sui trentenni si riesca a fare un lavoro di marketing importante; sei bello, puoi fare l’amante; sei brutto, puoi fare il caratterista; sei bionda puoi fare la svampita. Non puoi essere cool e allo stesso tempo popolare, e questo è limitante. Josh O’Connor, Paul Mescal, trentenni con una grande responsabilità, mentre noi combattiamo le etichette.

Il tuo aspetto ti ha in qualche modo penalizzato nell’attribuzione dei ruoli?

I no che dici sono dei segnali che mandi al mercato. Ho fatto delle commedie brillanti e sapevo che a un certo punto avrei dovuto togliere la maglietta, Chissà, magari fra due mesi mi vedi fare un cinepanettone, ma in verità la direzione che mi piacerebbe prendere è quella del sociale, che oggi forse hanno solo cinema e servizio pubblico.

Total look Versace

Ti è mai capitato di essere associato dal pubblico a un personaggio che hai interpretato?

Succede continuamente! Nella serie Per Elisa il ragazzo che interpreta Danilo Restivo, l’assassino, mi ha raccontato di aver perso delle possibilità lavorative perché pare che in Italia, sulla tv generalista, il ruolo che ti viene affibbiato diviene quasi un tutt’uno con la tua persona. Nella serie tv su Totti, Gianmarco Tognazzi che interpretava Spalletti, a Roma fu trattato di merda. Eppure sono due persone diverse! Forse dovremmo fare come dice Ricky Gervais: togliere dalla candeggina la scritta “non si beve” e rifare le elezioni.

Tu hai fatto il teatro, il cinema, la grande fiction, le serie sulle piattaforme, qual è il lavoro che ti ha dato il bagaglio esperienziale più grande?

Professionalmente tutte, per essere democristiano, ma la grande fiction, che rappresenta il 65/70% dell’industria di questo paese, è forse la più grande palestra per un attore. Quando ho recitato in “Che Dio ci aiuti”, la nota serie con Elena Sofia Ricci, stavo sul set tutti i giorni a girare una quantità notevole di scene, è un lavoro durissimo di cesellatura e credibilità del personaggio. Se a dirigerti è Scorsese, immagino che il copione sia già perfetto.

Non lo immaginavo. Tutti parlano del teatro come della tana delle tigri di ogni attore capace. Invece è “Gli occhi del cuore” ad essere il vero incubatore e vivaio. Quando ti hanno fatto fuori in “Doc – Nelle tue mani” sei andato dagli sceneggiatori come Martellone a dire “io non posso morire, ho un dono speciale, sono l’unico che può comunicare con la piccola Natalia” ? (Il riferimento ovviamente è a Boris, se non sapete di cosa stiamo parlando non possiamo essere amici).

Hahahahah. Dopo aver palesato agli sceneggiatori la mia volontà di uscire dalla grande fiction (“Io gradirei morire”, disse il compianto Herlitzka a Pannofino), sono stati molto bravi perché hanno evitato l’escamotage “è partito per l’America, chissà se tornerà” . Hanno fatto morire il mio personaggio di Covid.

Hai fatto anche un video con Giancane! C’è un esperienza professionale che ti manca?

Quest’anno ho fatto il mio primo lavoro per una piattaforma americana, una serie francese. Mi piacerebbe però essere diretto da un grandissimo, un regista che amo, Martin Scorsese. Temo sia difficile anche solo per la sua età.

Eh si, bisogna muoversi. Credo sia anche il mio regista preferito. Ricordo, quando uscirono gli ultimi suoi due film, “The Irishman” e “Killers Of The Flower Moon”, la critica si spaccò. Non è più contemplato lo spazio per il dibattito, è tutto polarizzato tra “capolavoro, non lo capite perchè siete idioti!” e “è una merda assoluta, io lo avrei fatto meglio!”

Totalmente d’accordo. Ma poi: come fai a criticare quei film? Il finale di Killers of The Flower Moon è incredibile e Al Pacino da solo in The Irishman è devastante. Io li ho amati incondizionatamente. Ormai la critica mi sembra stia scivolando in questa trappola, curva nord o curva sud.

Jacket Golden Goose
Shirt Etro
Trousers leather Leonardo Valentini

Qual è il più grande pregiudizio sul tuo lavoro?

Se fai l’attore hai i soldi. Non è necessariamente vero. Questo succede perché il pubblico non vede quello che facciamo per i 264 giorni l’anno escluse le paillettes delle Mostre e delle presentazioni, alle quali siamo spesso costretti ad andare. Dietro c’è un enorme lavoro psicologico per tenere insieme la tua struttura mentale e cercare di essere sempre all’altezza.
In una meravigliosa intervista a Tom Hanks, lui dice: “Va tutto male, non ti chiama nessuno, sbagli tutti i provini, ti senti un incapace. Passerà. Sei il numero uno, tutti ti vogliono, sei in cima, hai vinto tutti i premi. Passerà”. È un flusso, è la meraviglia di questo lavoro. La cosa importante per me è cercare di fare qualcosa di rilevante ed essere credibile.

Se passassi dietro la macchina da presa, come tanti tuoi blasonati colleghi, che storia vorresti raccontare?

Bella domanda! Da qualche giorno sto scrivendo una commedia romantica perché tutte quelle che arrivano non mi piacciono. Io voglio parlare delle cose reali, e le relazioni sono le sceneggiature perfette. Vorrei mettere in scena i trentenni perché sono la fascia meno raccontata in Italia, sempre così poco cool per il cinema. Niente effetti speciali, niente americanate. Un esempio? Aftersun di Charlotte Wells. Perchè in Italia non si può fare un film così?

Questo numero di Snob è incentrato sul rapporto Giorno/Notte. Tu che sei giovane, figo, senza figli, insomma il contrario di me, come vivi la notte?

La amo molto, ma la vivo con il senso di colpa perché mi costringe a svegliarmi tardi il mattino. Forse sto invecchiando.

Domanda di rito, quanto sei SNOB?

Se snob significa non temere il giudizio degli altri ma emergere con il proprio pensiero critico, essere se stessi fino in fondo, allora forse qualche volta snob lo sono stato.

Gianmà, com’è andata questa intervista? Ho la sensazione che sia la prima e l’ultima volta che mi chiamano per farne una.

Guarda, ad oggi è la migliore che mi abbiano fatto! Puoi scriverlo!