De Luca e la classe dirigente del PD

Che De Luca sia un personaggio sui generis ne eravamo tutti consapevoli, anche coloro che spesso hanno confuso il pessimo gusto di certi commenti, assolutamente inappropriati al ruolo istituzionale ricoperto, con un “sagace sarcasmo” che poteva far sorridere.
Che queste battutine (come sovente sono state definite) possano aver fatto sorridere qualcuno, francamente la dice lunga su chi ha sorriso, e hanno sempre qualificato bene chi quelle “battutine” le faceva: non ironia, sarcasmo, ma chiamandola per nome altro non era, e non è, che arroganza, alterigia, e sostanziale ignoranza. Tutte caratteristiche che mal si conciliano con il ruolo che ricopre, soprattutto in questa regione, e che vorrebbe ricoprire al Sud Italia.


Ma queste sono cose che già sapevano quanti lo hanno votato e quanti si sono battuti contro di lui alle primarie, ben coscienti di qualcosa di più profondo che andava assolutamente corretto nel partito democratico. La domanda infatti andrebbe posta oggi, con senno di poi, a quanti – con l’ormai insostenibile leggerezza della buona fede – lo hanno appoggiato e sostenuto: quante ne dobbiamo ancora tollerare perché se ne abbia finalmente e definitivamente abbastanza? Perché se ci limitassimo ad una occasione, allora il beneficio del dubbio potrebbe anche starci. Ma qui la lista, già lunga, cresce e l’imbarazzo (dovrebbe) anche.


Dopo aver vissuto praticamente solo di politica tutta la vita – e lo sentiamo parlarci di “altri” che sarebbero attaccati alle poltrone – De Luca non è mai stato una sola volta in minoranza, appoggiando a seconda di come cambiava il vento questo o quell’altro segretario indistintamente (da ultimo Bersani contro Renzi per poi passare a giovane renziano rottamatore dopo otto mesi). Deve essere stato illuminato (o folgorato) sulla via delle luci d’artista, Salerno novella Damasco.


Dopo che nella sua provincia (in cui è padre padrone indiscusso e indiscutibile) è finanche entrata la DIA con inchieste pesanti sia di tessere false, sia di primarie truccate (che hanno sempre visto protagonisti sui “vicini collaboratori” lasciandolo miracolosamente immacolato), si è candidato alle primarie per la presidenza della Regione. E nonostante De Luca abbia presentato per quella candidatura 13mila firme che sarebbero dovute essere di iscritti al Pd, in una data in cui gli iscritti al Pd erano 10mila, e nonostante i ricorsi regolarmente presentati, il Pd regionale e nazionale non hanno nemmeno vagliato l’ipotesi teorica che potesse quantomeno essere inopportuno proseguire. A De Luca è stato consentito di non partecipare a dibattiti televisivi con altri candidati. A De Luca è stato concesso che fosse “normale” non rispondere ai giornalisti (in quale democrazia occidentale sarebbe stato plausibile?). Del resto De Luca parla per monologhi dalla sua TV da cui tutti poi attingiamo il verbo, da cui fornisce materiale gratuito a Crozza, che, almeno lui, fa ridere.


De Luca se la prese con la commissione antimafia presieduta dalla Bindi che lo definì impresentabile, annunciò querela e di aver presentato ricorso al collegio dei garanti del partito: nulla di tutto ciò. A De Luca è stato consentito per mesi di mantenere l’interim di ben sei assessorati (visto che lui è tuttologo e la Campania è una Regione facile da amministrare, che vuoi che sia).
Nel suo monologo periodico se l’è presa di recente con alcuni parlamentari cinquestelle, e nessuno si è scomposto quando ha affermato “li dovrebbero ammazzare tutti”. Ancora una volta la classe dirigente di questa regione e di questo partito lo ha definito “un modo di dire”, una battutina…


Poi è stata la volta della “proposta shock” offrendo dal palco “200mila posti di lavoro ai giovani nella pubblica amministrazione”, poi declinata a “vi spiego il turn-over” per poi dire “era una provocazione” (ci mancava anche qualche anima bella che dicesse che De Luca “scherzava” sulla disoccupazione giovanile al sud e il quadro era completo).


Oggi, con cotanto curriculum, ci si stupisce che De Luca – cui mai nessuno ha messo un freno – abbia detto della Bindi che “la dovrebbero ammazzare”? Ancora una volta è un modo di dire, derubricabile semmai a “forse stavolta ha esagerato”? La verità è che le presunte battutine di De Luca sono semplicemente la cifra di se stesso, della sua arroganza, presunzione, ignoranza, ciarlataneria, inadeguatezza al ruolo. Ma De Luca e il ruolo che ricopre sono in sé una cifra ben diversa: sono la misura dell’inadeguatezza della classe dirigente di questa regione, dell’incapacità di questa classe dirigente di porre un freno, di scegliere, di opporsi, di fare selezione autentica sui candidati, prona a logiche di tessere e maggioranze che cambiano a seconda del vento. A ben vedere De Luca è la cifra dell’abisso che separa la Campania dall’avere una vera classe dirigente degna di questo nome.

Il lavoro secondo De Luca

De Luca ci aveva abituati a scoop sensazionali. All’indomani della sua elezione affermò “nominerò un vicepresidente che vi farà sognare”. Dal sogno ci siamo risvegliati con la nomina di Fulvio Bonavitacola (suo fedelissimo e di cui la procura di Salerno ha ipotizzato anche che le primarie che lo hanno portato a diventare parlamentare siano state truccate). Stavolta ha promesso “una proposta choch per il lavoro, venite e saprete”. E in effetti è stato scioccante tornare alle soluzioni degli anni settanta: “La mia proposta per il lavoro: è un piano per 200 mila giovani nella pubblica amministrazione per il Sud”. Lo ha detto, testuale, in occasione dell’assemblea nazionale per il Mezzogiorno, organizzata dalla Regione con il Governo e Unioncamere alla mostra d’Oltremare.


Meno male che gli replica Carlo Calenda (non un nobel per l’economia ma almeno Ministro dello Sviluppo Economico) “Non si possono promettere 200 mila posti di lavoro nella pubblica amministrazione. Sono invece d’accordo sulla necessità di interventi pubblici nel Mezzogiorno. Al Sud serve lavoro vero, non misure sociali di questo tipo”.


Il nodo della questione è sin troppo serio per liquidarlo come “la solita battuta provocazione” di De Luca, che va ricordato alla giovane età di 67 anni si riscopre renziano della prima ora all’ultimo congresso, ha sempre fatto politica senza svolgere alcun altro mestiere, e certamente economia se si è preso la briga di studiarla l’ha fatto poco e certamente male. A meno di non essere rimasto col cuore ai favolosi anni settanta, a quelle scelte economiche suicide da cui ereditiamo lo stratosferico debito pubblico che ci ritroviamo, uno sviluppo delle regioni del sud pari a zero, e la disoccupazione giovanile che De Luca vuole risolvere con le cure di Gava e compagnia bella.


Paul Samuelson durante un viaggio di studio nella Cina di Mao venne invitato a vedere una grande opera, migliaia di persone con le pale a rifare argini di fiumi di irrigazione; chiese come mai non adoperassero bulldozer e scavatrici e gli venne spiegato che non era un’opera pensata per l’agricoltura, ma per creare lavoro. Samuelson non si scompose e replicò “allora on dovevate dargli le pale, ma i cucchiaini”. Ecco che più o meno tutto torna, se non fosse che non siamo nella Cina di Mao, non siamo negli anni cinquanta, e se un presidente come Kennedy ebbe la saggezza di affidarsi – capendone poco di economia – alle lezioni di Samuelson (che vinse il Nobel) altrettanta saggezza non l’ha avuta né il governatore della Campania né i suoi consiglieri.


Andrebbe spiegato a De Luca che – soprattutto al sud – abbiamo un problema di sproporzione nel numero di persone impiegate nella pubblica amministrazione. Che dopo l’abolizione delle province e l’accorpamento delle funzioni da noi questo eccesso è diventato complicato anche da gestire. Che il personale pubblico viene pagato con la fiscalità generale, e che se non crei impresa (e quindi sviluppo e lavoro) quel costo diventa debito pubblico. Che in Italia quelli della generazione di De Luca sono abituati che quel debito “è solo sulla carta” e che non lo pagherà nessuno. Andrebbe spiegato che viviamo in città in cui ormai non si produce niente, e questo genera scarsa capacità di spesa, bassa propensione marginale di spesa e di risparmio, percezione di instabilità e precarietà, tutti elementi che accrescono la fragilità economica di un territorio, e ne diminuiscono la propensione all’investimento, e quindi allo sviluppo.
Andrebbe spiegato a De Luca – che pure ha conosciuto sia l’epoca di Mao sia l’ambiente agricolo – che quei tempi non esistono più. In questo poi bisognerebbe spiegargli che con i nuovi processi di organizzazione aziendale e con l’informatizzazione dei servizi, 200mila impiegati di oggi fanno quello che negli anni settanta facevano 2milioni di impiegati.


Ora, a meno che De Luca non ci spieghi esattamente “assunti a fare che cosa”, questi 200mila posti pubblici appaiono come un mercimonio elettorale, sono una promessa che on verrà mantenuta, sono un’illusione che i nostri giovani non meritano, sono un peso per la nostra economia, non creano alcuno sviluppo né crescita. Sono però la boutade che dimostra che chi l’ha sparata da un palco non ha la più pallida idea di che cosa stesse parlando. Al sud, e ai giovani del sud, serve una crescita vera, che passa anche da investimenti pubblici, ma in un sistema trasparente di gare e di appalti che non vadano sempre ai soliti noti. Servono servizi e infrastrutture per attrarre e creare impresa. Serve “tornare a produrre”. E con il gettito fiscale che se ne genera pagare anche – non a debito – gli stipendi pubblici. Anche quello dei De Luca, ormai da tanti anni. Sarebbe il caso andassero in pensione (con i contributi sempre versati dalle pubbliche casse, e col sistema retributivo di quella generazione, mentre a questi giovani tocca il ben diverso sistema contributivo).

Corsi, ricorsi e commissioni di garanzia per il PD in Campania

C’è qualcosa che non funziona nelle primarie PD. E quello che non funziona ha un nome e un luogo. Si chiama “commissione di garanzia” e collegio dei probiviri. Un organo apparentemente politicamente irrilevante, in cui spesso vengono nominate persone quasi come un contentino politico, ma che in realtà dovrebbe e potrebbe avere una funzione fondamentale per un partito politico.


A queste commissioni dovrebbero accedere persone da tutti riconosciute come equibrate e moderate, dalla specchiata esperienza di partito, e anche quando “in rappresentanza delle rispettive componenti”, capaci di andare oltre, e di dare dei paletti invalicabili nel rispetto delle regole condivise da tutti. Ma a queste commissioni compete anche qualcosa di più alto e importante: censurare con forza comportamenti non corretti, allontanare persone che usano il partito come un pullman per essere “accompagnati comodamente” da un seggio ad un altro, e quelle che con il proprio comportamento possono ledere l’immagine collettiva.
Per fare questo, i membri degli organi di garanzia non devono avere favori da chiedere, candidature (per sé e proprio congiunti) da difendere e garantire, e devono avere una capacità di motivazione delle proprie scelte al di sopra di ogni sospetto.
Tutti requisiti che – strano a dirsi – molti, anche nel PD hanno, ma che – stranamente – quei molti, in quelle commissioni, non vengono nominati mai.
E da questo difetto congenito iniziale dipende poi tutto quello che in ogni senso, in ogni regione, in modo più o meno manifesto, abbiamo visto e stiamo vedendo.
Provo a fare una sintesi di questi ultimi anni.


Succede che nel 2011 a Napoli per 44 (contati!) votanti di nazionalità cinese si è creato un caso nazionale che ha portato all’annullamento delle primarie. Roma decise quindi di nominare candidato il prefetto Morcone, che nessuno a Napoli conosceva, facendo scivolare il Pd al 16% e consegnando la città a De Magistris. In quell’occasione venne rimosso il segretario provinciale Tremante, il quale fece causa al partito e venne anche economicamente risarcito (sic!).

Nelle primarie nazionali che videro eletto Matteo Renzi i casi “strani” sono stati numerosissimi,
 spesso imbarazzanti, ed hanno visto coinvolta la magistratura ordinaria e la DDA di Salerno. 
In quel caso la commissione nazionale è stata salomonica (se vogliamo usare un eufemismo): sono stati “sospesi” i risultati delle sezioni sotto indagine, ma non “il risultato” emerso da quelle sezioni (qualcuno più bravo di me riuscirà un giorno a spiegarmi l’escatologia e l’esegesi della decisione).
In pratica “il risultato parziale viene congelato in attesa di verifiche” (che non sono mai state fatte e il verbale di quella consultazione non è mai stato completato) ma “il risultato netto” dei totali delle preferenze dei vari candidati resta invariato e conteggiato (sic!).
Gli episodi di quella consultazione li ho raccontati qui.

C’è poi il caso delle consultazioni in Liguria, dove – a risultato netto invariato – si è scelto di “congelare” il voto di alcune sezioni. Non poche, ben 38. ma su quegli episodi nessuno è entrato nel merito. E qui però va chiarita una cosa. Una commissione di garanzia che riceve segnalazioni documentate, e afferma “non essendo annotate nel verbale non possiamo procedere” in sé nega se stessa. Se infatti c’è stata una irregolarità nel verbale, come si può pensare che quella stessa irregolarità risulti nel verbale?
[ne parlo anche qui]


Finiamo quindi nuovamente in Campania, con le primarie di Napoli.
Su queste riprendo, rispetto a quanto ho già detto e scritto, alcuni commenti che mi sembrano semplicemente di buon senso.
Risulterebbe dal verbale sostanzialmente che:
”1) elemosinare un euro, 10 euro . . per un voto è una pratica “normale”;
2) I video di Fanpage sono una montatura e/o comunque non hanno influenza sul voto, “il fine giustifica i mezzi”;
3) Bassolino doveva presentare entro le 24 ore dalla chiusura dei seggi il ricorso, DOVEVA SAPERLO PRIMA, quindi è irricevibile) come dire se ammazzi qualcuno e il corpo lo scopri dopo, il delitto è prescritto;
4) Che è normale e non ci sono dubbi alcuni che “stranamente” in quei seggi, guarda caso, il Candidato indicato spudoratamente raccoglie più consensi in 5 seggi che in 40 seggi (mah)’!);
5) Che se nel regolamento delle primarie non è indicato il divieto di coercire il voto fuori dai seggi, così come previsto dalle leggi elettorali vigenti, beh allora alle primarie si può fare, anzi più soldi investi meglio è, tanto non è vietato;
6) un candidato, un partito e/o una coalizione che vuole governare non faccia della legalità e della trasparenza una Bandiera irrinunciabile; e va beh che fa…..
7) Che in Liguria per molto meno si sono annullati 14 seggi, è un altro PD;
8) Che nel 2011, per molto meno, si sono annullate le primarie; altri tempi o altri interessi;
9) quindi con 13/14 mila euro ci si può candidare a sindaco di Napoli;
10) che questa “pratica” offende la dignità delle persone, a chi riceve e a chi lo “dona” fa niente, l’importante è “vincere”;”


Polemico? Ci va giù di sarcasmo Enrico Pennella:
“È ingiusto ed ingeneroso non riconoscere alla commissione di garanzia napoletana un ruolo fondamentale per le future Primarie PD. Con grande coraggio e determinazione hanno infatti saputo affermare principi nuovi ed in un certo senso rivoluzionari. Sono dei pionieri. Qualche esempio? Dalla prossima volta a Napoli i candidati ed i loro sostenitori potranno con tranquillità senza alcun rischio ed alla luce del sole offrire l’euro nei seggi agli amici sprovvisti, indicare (solo per maggior sicurezza) pubblicamente ad alta voce il nome di chi votare alle persone meno informate e consapevoli, anche pagare o rifiutarsi di farlo questo benedetto noioso euro,altro ancora. Insomma più libertà per tutti, via odiosi vincoli. Si è deciso in assoluta trasparenza di legittimare definitivamente questi comportamenti. Basta ipocrisie! Siamo pur sempre napoletani, queste cose dobbiamo intenderle, capirle , giustificarle. Siamo fatti così. Inutile fare i puritani, sono normali, quasi inevitabili. Lo dice perfino Orfini, il Presidente del PD, uno ovviamente sopra le parti : è tutto ok. Anzi no, si è corretto, ok ma al 99%, ora non facciamo i pignoli. A questo punto il PD napoletano è riuscito così in una straordinaria impresa che nessuno avrebbe mai creduto possibile : combinare nel 2016 un disastro peggiore rispetto a cinque anni prima. Avrebbe detto Totò…onore al merito.”


Angelo Costa semplicemente propone:
“Ma perché non si rivota in quei due, tre, cinque seggi contestati dove Valeria Valente ha già vinto e quindi rivincerebbe? Finirebbero le polemiche e quindi TUTTI andremmo a sostenere chi LEGITTIMAMENTE è il vincitore delle primarie… ”


Sempre Enrico Pennella, stavolta più sobriamente:
“Sono incomprensibili le critiche che dall’interno del PD vengono rivolte a Bassolino per il ricorso ai garanti nazionali. Una procedura assolutamente legittima, estremo tentativo per un iscritto di vedere riconosciute le proprie ragioni ed una chiara, ulteriore, prova di fiducia nel Partito. A quanti sollevano il tema della opportunità di questi ricorsi andrebbe invece consigliata una più attenta lettura dei recenti sondaggi. Non sono infallibili, tutt’altro, ma inutile fingere di non vederli. Il PD nelle attuali condizioni è fuori da tutto, residuale. Anche se oggi Bassolino decidesse di fermarsi non cambierebbe praticamente nulla. Un dato emerge in modo incontrovertibile, assoluto : a tre mesi dal voto il PD in queste condizioni non è competitivo.”


Ma sul caso dei ricorsi interviene il re dei ricorsi in Campania, il governatore De Luca. 
Colui che è già stato protagonista di numerosi ricorsi in tutte le primarie svoltesi nel suo territorio quando era Sindaco di Salerno.
“Mi auguro che prima o poi qualcuno chieda scusa per questa immagine della politica che stiamo trasmettendo ai cittadini con la vicenda delle primarie” afferma Vincenzo De Luca nel corso della rituale intervista-fiume su Lira Tv, in onda questa sera. “Mi viene la depressione sulle piccole cose della politica italiana – spiega il governatore – Ormai c’è una rissa politica generalizzata che riguarda tutti. Una pena enorme. La mia preoccupazione crescente è che sta arrivando nelle nostre case un’immagine di balcanizzazione generale della politica italiana”. “Quanto alle primarie di Napoli la cosa incredibile è che per la prima volta abbiamo avuto primarie corrette, con tutti i rappresentanti che hanno firmato i verbali la sera stessa. Poi è uscito un video strano dopo 24 ore”.


Inquientante che nessuno abbia rilevato un dettaglio tra le affermazioni di De Luca: ” la cosa incredibile è che per la prima volta abbiamo avuto primarie corrette”.
Nessuno ha chiesto conto di questa affermazione, che implicitamente afferma che tutte le altre primarie corrette non siano state. E se lo dice uno come lui, per vent’anni sindaco, che nelle primarie nazionali e regionali è sempre stato più che determinante… c’è sta stare tutt’altro che sereni.


Alle scorse primarie regionali ne abbiamo viste di tutti i colori, ma per tutti non ci furono problemi.
Le ho ampiamente raccontate qui ma vorrei ricordare un paio di episodi sul come si sono svolte.
Primarie di partito, richieste 1200 firme. Gli iscritti a livello regionale erano 10.800, ma il sindaco di Salerno abbonda e di firme ne presenta 13.000! Il presidente della commissione di garanzia afferma (testualmente) che è tutto regolare, anche se non sono iscritti (e la matematica non è un’opinione) potrebbero sempre farlo entro la fine dell’anno! (sic!)
Le primarie poi diventano di coalizione, ma subito il Pd si appresta a precisare: allarghiamo ma non accettiamo altre candidature del Pd. Più ad personam di così!
Chi lo afferma? Tonino Amato, ex consigliere e assessore comunale, ex pluri consigliere regionale, che – da indipendente presidente della commissione di garanzia! – voleva candidare la figlia (che è anche stata eletta) e dichiaratamente appoggiava De luca.
Di lui si è anche parlato durante queste primarie per il Sindaco di Napoli – in cui appoggiava Valeria Valente – ma questa, è un’altra storia…


Ecco. Finchè non mettiamo seriamente mano a cosa debba essere e come debba comportarsi una commissione di garanzia, le primarie non andranno mai come si deve e conviene.
Non esisterà un organo che sia davvero deterrente rispetto a comportamenti che poi – a parole – tutti censuriamo. E non esisterà quell’autorevolezza necessaria a prendere decisioni davvero libere e autonome dalle componenti.
In fin dei conti le commissioni di garanzia sono state trasformate in organi di ratifica della maggioranza – seppur eterogenea e momentanea – di turno. E quello che dovrebbe essere un organo di controllo e di garanzia, elemento di forza e democrazia nei partiti strutturati, diventa – semplicemente – un elemento di vulnerabilità, risibilità e debolezza.
Basta essere chiari e prenderne atto.

De Luca – primo mese

Che De Luca fosse “uomo del fare” i suoi più stretti collaboratori e sostenitori lo hanno ripetuto per tutta la campagna elettorale. E c’era da crederci anche senza questo tormentone. E che avesse un consenso molto ampio, anche questo lo si sapeva bene. Del resto ha vinto le primarie anche perchè nello stesso Pd non c’erano alternative né forti né innovative, e ha vinto non solo nella sua Salerno dove nel 2006 era il quarto sindaco più popolare d’Italia e nel 2008 aveva un tasso di approvazione del 75 per cento.


Come ha ben spiegato Davide Maria De Luca su Il Post “Tutto questo consenso, però, ha avuto un prezzo molto alto. Salerno è al quindicesimo posto in Italia per le spese per personale sostenute dal comune: quasi il 40 per cento del totale delle spese correnti (cioè il denaro usato per pagare stipendi e far funzionare i servizi essenziali di un comune). Oggi Salerno ha debiti per più di 200 milioni di euro, il 120 per cento della sua spesa corrente. È il venticinquesimo comune più indebitato d’Italia – anche senza considerare un altro centinaio di milioni di euro in debiti fuori bilancio, cioè debiti contratti dalle società partecipate dal comune.” 

Oggi – con corsi e ricorsi tra Tar e tribunale ordinario – da circa un mese si è insediato a Palazzo Santa Lucia nella nuova veste di Presidente della Giunta Regionale. Non solo. Ha tenuto per sè alcune deleghe. Trasporti, Sanità, Cultura e… Agricoltura. Come ricorda Mimmo Panegalli… “In una conferenza stampa a Palazzo Santa Lucia ha detto: ”L’agricoltura è una mia passione personale e mi sono riservato la delega” facendo forse riferimento al periodo in cui era funzionario dell’Alleanza dei Contadini.”
Ed ecco alcuni dei primi atti del neo governatore, su cui comincare a fare un bilancio del primo (abbondante) mese della nuova amministrazione.



Nella veste di Presidente della Giunta e di Assessore ai Trasporti nomina il nuovo cda di EAV – la controllata partecipata regionale che gestisce gran parte dei trasporti pubblici regionali. Alla presidenza, dove dovrebbe andare un tecnico del settore trasporti con una visione “di settore” (coadiuvato da un cda e da un amministratore delegato che “porti avanti la linea e il piano industriale”) viene nominato Umberto De Gregorio.
Ottimo commercialista e persona perbene. Peccato non si sia mai occupato di trasporti. A suo credito essere stato “l’uomo De Luca” a Napoli in campagna elettorale ed aver organizzato “il programma” del neo-governatore. 
Con lui due dirigenti regionali: Maria Teresa Di Mattia già incaricata in Autoservizi Irpini e in Acam (l’Agenzia campana per la mobilità sostenibile), e Ruggero Bartocci, dirigente di staff alla direzione generale per la mobilità della Regione. 
Una nota sulla situazione dell’EAV: ha un credito verso la Regione di circa 500 milioni euro, pari all’incirca ai 500 milioni di debiti complessivi. Quanto possono essere “pressanti” i nuovi vertici dell’EAV verso l’assessore ai trasporti e verso il presidente della giunta (ops, entrambi la stessa persona) nell’esigere queste somme per pagare i debiti e semmai rilanciare il servizio pubblico locale? Diciamo non proprio una situazione di “vera indipendenza” (anche perchè i due dirigenti regionali del cda sono anche dipendenti diretti dell’assessore presidente).



Nella veste di di Presidente della Giunta e di Assessore alla Sanità De Luca ha azzerato anche il cda di Soresa, la centrale acquisti per i prodotti sanitari della Regione, al posto di Francesco D’Ercole, Gennaro Santamaria e Pietro Alfano, vanno il candidato non eletto al consiglio regionale con la lista di Campania Libera, Gianni Porcelli, già sindaco di Mugnano; la non riconfermata consigliere regionale del Pd sannita, Giulia Abbate; e Luigi Giugliano, avvocato irpino. Nomine che – almeno sulla carta – sarebbero incompatibili con riferimento all’articolo 32 della legge regionale dell’11 agosto 2005 che, nello specifico, indica nei «candidati non eletti alle elezioni regionali, per gli otto mesi successivi all’elezione stessa» l’impossibilità di ricevere designazioni e incarichi) e all’articolo 4 della legge Campania Zero del 27 luglio 2012. 
Come a dire: “intanto ti nomino poi si vedrà”. Un poi si vedrà pesante visto che la tanto discussa condanna per abuso d’ufficio da sindaco di Salerno verteva proprio per “una nomina che non poteva fare”.



Nella veste di Presidente della Giunta e di Assessore alla Cultura (forse) De Luca ha poi nominato Patrizia Boldoni consigliere con incarico di Promozione delle Attività Innovative per il rilancio del Turismo attraverso la valorizzazione dei beni culturali.
La “figura di alto profilo” grazie al suo “curriculum vitae e culturale e professionale” a cui è affidato “il compito di studio e consulenza per lo sviluppo del turismo campano… ha almeno tre meriti: essere l’ex moglie dell’ex presidente del Calcio Napoli Corrado Ferlaino, avere una estesa carriera in ambito immobiliare (con qualche ombra professionale e qualche processo, come quello sulle ipotesi di irregolarità nei bilanci della società tenutaria di Palazzo d’Avalos), ma soprattutto essere stata una “intensa” organizzatrice di feste elettorali a sostegno di De Luca tra la Napoli bene.


Ma il colpo forse più eclatante – almeno quanto passato in sordina rispetto al resto – è (nella veste di Presidente della Giunta e di Assessore ai Trasporti) la “cessione” di Caremar a conclusione dell’iter di privatizzazione della compagnia pubblica passata definitivamente nelle mani del gruppo Aponte (attraverso Snav), e del gruppo D’Abundo (ovvero MedMar attraverso la Rifin).
In pratica l’azienda che si occupa di trasporti via mare verso le isole è stata ceduta ai suoi due concorrenti, che la rilevano (e si tolgono quindi l’unico concorrente pubblico capace anche di “calmierare” mercato, tratte, tariffe e di garantire un servizio pubblico essenziale minimo garantito) per sei milioni di euro. Non solo. La Regione si è impegnata a versare ai suoi ex concorrenti privati 10 milioni di euro per nove anni; una cifra apparentemente contenuta se si considera che con la Caremar pubblica sborsava 20 milioni all’anno.
La situazione che avremo è qualcosa del tipo Snav monopolista di fatto del trasporto veloce e MedMar come vettore unico dei traghetti. Caremar significa traghetti e mezzi veloci, significa orari e rotte privilegiate proprio per il ruolo pubblico svolto dalla compagnia. Un patrimonio e una dote finanziaria che valgono benoltre la cifra sborsata o il presunto risparmio, specie se da quei 20 milioni spesi ogni anno togliamo gli incassi di quelle tratte.