Il PD e il munaciello

Mancava solo la ciliegina finale su una torta che sempre più si mostra come un vero e proprio pasticcio, e nemmeno tanto dolce. Le accuse, i dubbi e le indagini di voto di scambio sono ciò che mancava ad una campagna brutta, demotivante, personalistica, che ha caratterizzato questa tornata elettorale in casa Pd da ben prima delle primarie. In una sorta di continuazione della lunga bagarre interna in cerca di posizionamento delle varie bande (non chiamiamole correnti) in cui si è lacerato il Pd.


Da cinque anni, da quelle primarie Cozzolino-Ranieri consumatesi nel fango e nel sangue, dall’imposizione di Morcone come candidato e dal non accesso nemmeno al ballottaggio. Cinque anni in cui non solo non si è costruita un’alternativa se non credibile almeno possibile. Una guerriglia interna per piccoli interessi di parte che si è protratta per due congressi nazionali in cui chiunque almeno una volta ha cambiato casacca. Per finire alla resa dei conti della resa dei conti in occasione delle primarie per la Regione. Al tentativo di rivincita (di chi? su chi? per fare cosa?) in queste primarie finite nel ridicolo.


“La cosa incredibile è che per la prima volta abbiamo avuto primarie corrette, con tutti i rappresentanti che hanno firmato i verbali la sera stessa. Poi è uscito un video strano dopo 24 ore” sono state le parole di Vincenzo De Luca a Lira TV. Inquietante che nessuno ha chiesto conto di questa affermazione, che implicitamente afferma che tutte le altre primarie corrette non siano state. E se lo dice uno come lui, per vent’anni sindaco, che nelle primarie nazionali e regionali è sempre stato più che determinante c’era da stare tutt’altro che sereni. Già perché a Salerno ne abbiamo viste di tutte i colori: dalla Dia che sequestra 2000 tessere false alle primarie nazionali, alle parlamentarie “tarocche” che hanno visto favorire Bonavitacola.


E un Pd attaccato a livello nazionale sulla questione morale che pensa bene di fare? Nell’ordine: non accoglie un solo ricorso, non fa una sola verifica, non annulla un solo voto, non fa rivotare in una sola sezione, e ricandida quel consigliere che distribuisce monetine visto da tutta Italia, e che ha dichiarato (anche questa notizia passata in sordina) “se vengo sanzionato dico tutto”. E nessuno che si sia nemmeno posto il problema “dice tutto cosa?”.


Poi è stata la volta di ministri in vera e propria processione partenopea, mentre contemporaneamente nessuno vedeva che non si riusciva a fare mezzo accordo nemmeno sui presidenti di municipalità, rischiando sino all’ultimo che il pd non presentasse le liste a Barra e Fuorigrotta. E poi è stata la volta di accordi con Ala e qualche nome in più in lista, che non si capisce le sia stato deciso dal Pd napoletano, regionale, nazionale, dalla candidata sindaco o da qualche alieno in visita notturna. A Napoli per tradizione parleremo della “manella del munaciello”.


Ripercorrere queste tappe è importante. Perché non vorrei si facesse l’errore di pensare che oggi si attacca una dirigenza regionale e cittadina impeccabile come capro espiatorio della sconfitta elettorale. Perché qui non si tratta né di cercare agnelli sacrificali, né di dare la caccia a munacielli in giro per i corridoi di Napoli sotterranea. 
Si tratta di dire con chiarezza che chi fa il dirigente ha responsabilità per azioni, ma anche per omissioni, mette la firma sui compromessi, ne risponde personalmente. Questo fa un partito serio. E dato che noi di commissariamenti ne sappiamo qualcosa a Napoli, corriamo il serio rischio che ci fu quando un altro esterno venne qui, e in due anni Andrea Orlando – ottima persona – ci ha messo solo la faccia, lasciando che crescesse non una nuova classe dirigente, ma un sottobosco di bande che in questi due anni hanno mostrato il meglio del peggio. Risultati e inchieste alla mano.


Siamo a Napoli, e con la tradizione del munaciello noi abbiamo secoli di storia di “conquistatori esterni” che partono con le migliori intenzioni di “cambiare tutto” per poi venire fagocitati a che “nulla cambi davvero”. È la forza di Napoli, che oggi si manifesta come la sua più grande debolezza. Se ne guardi il nuovo commissario, soprattutto da chi si circonderà, da chi lo consiglierà, e da organi di garanzia che ancora una volta non saranno efficaci, perché espressioni di componente, e non certo di persone specchiate e indipendenti capaci di un rigore morale di cui questo partito e questo momento storico hanno davvero tanto bisogno.

Corsi, ricorsi e commissioni di garanzia per il PD in Campania

C’è qualcosa che non funziona nelle primarie PD. E quello che non funziona ha un nome e un luogo. Si chiama “commissione di garanzia” e collegio dei probiviri. Un organo apparentemente politicamente irrilevante, in cui spesso vengono nominate persone quasi come un contentino politico, ma che in realtà dovrebbe e potrebbe avere una funzione fondamentale per un partito politico.


A queste commissioni dovrebbero accedere persone da tutti riconosciute come equibrate e moderate, dalla specchiata esperienza di partito, e anche quando “in rappresentanza delle rispettive componenti”, capaci di andare oltre, e di dare dei paletti invalicabili nel rispetto delle regole condivise da tutti. Ma a queste commissioni compete anche qualcosa di più alto e importante: censurare con forza comportamenti non corretti, allontanare persone che usano il partito come un pullman per essere “accompagnati comodamente” da un seggio ad un altro, e quelle che con il proprio comportamento possono ledere l’immagine collettiva.
Per fare questo, i membri degli organi di garanzia non devono avere favori da chiedere, candidature (per sé e proprio congiunti) da difendere e garantire, e devono avere una capacità di motivazione delle proprie scelte al di sopra di ogni sospetto.
Tutti requisiti che – strano a dirsi – molti, anche nel PD hanno, ma che – stranamente – quei molti, in quelle commissioni, non vengono nominati mai.
E da questo difetto congenito iniziale dipende poi tutto quello che in ogni senso, in ogni regione, in modo più o meno manifesto, abbiamo visto e stiamo vedendo.
Provo a fare una sintesi di questi ultimi anni.


Succede che nel 2011 a Napoli per 44 (contati!) votanti di nazionalità cinese si è creato un caso nazionale che ha portato all’annullamento delle primarie. Roma decise quindi di nominare candidato il prefetto Morcone, che nessuno a Napoli conosceva, facendo scivolare il Pd al 16% e consegnando la città a De Magistris. In quell’occasione venne rimosso il segretario provinciale Tremante, il quale fece causa al partito e venne anche economicamente risarcito (sic!).

Nelle primarie nazionali che videro eletto Matteo Renzi i casi “strani” sono stati numerosissimi,
 spesso imbarazzanti, ed hanno visto coinvolta la magistratura ordinaria e la DDA di Salerno. 
In quel caso la commissione nazionale è stata salomonica (se vogliamo usare un eufemismo): sono stati “sospesi” i risultati delle sezioni sotto indagine, ma non “il risultato” emerso da quelle sezioni (qualcuno più bravo di me riuscirà un giorno a spiegarmi l’escatologia e l’esegesi della decisione).
In pratica “il risultato parziale viene congelato in attesa di verifiche” (che non sono mai state fatte e il verbale di quella consultazione non è mai stato completato) ma “il risultato netto” dei totali delle preferenze dei vari candidati resta invariato e conteggiato (sic!).
Gli episodi di quella consultazione li ho raccontati qui.

C’è poi il caso delle consultazioni in Liguria, dove – a risultato netto invariato – si è scelto di “congelare” il voto di alcune sezioni. Non poche, ben 38. ma su quegli episodi nessuno è entrato nel merito. E qui però va chiarita una cosa. Una commissione di garanzia che riceve segnalazioni documentate, e afferma “non essendo annotate nel verbale non possiamo procedere” in sé nega se stessa. Se infatti c’è stata una irregolarità nel verbale, come si può pensare che quella stessa irregolarità risulti nel verbale?
[ne parlo anche qui]


Finiamo quindi nuovamente in Campania, con le primarie di Napoli.
Su queste riprendo, rispetto a quanto ho già detto e scritto, alcuni commenti che mi sembrano semplicemente di buon senso.
Risulterebbe dal verbale sostanzialmente che:
”1) elemosinare un euro, 10 euro . . per un voto è una pratica “normale”;
2) I video di Fanpage sono una montatura e/o comunque non hanno influenza sul voto, “il fine giustifica i mezzi”;
3) Bassolino doveva presentare entro le 24 ore dalla chiusura dei seggi il ricorso, DOVEVA SAPERLO PRIMA, quindi è irricevibile) come dire se ammazzi qualcuno e il corpo lo scopri dopo, il delitto è prescritto;
4) Che è normale e non ci sono dubbi alcuni che “stranamente” in quei seggi, guarda caso, il Candidato indicato spudoratamente raccoglie più consensi in 5 seggi che in 40 seggi (mah)’!);
5) Che se nel regolamento delle primarie non è indicato il divieto di coercire il voto fuori dai seggi, così come previsto dalle leggi elettorali vigenti, beh allora alle primarie si può fare, anzi più soldi investi meglio è, tanto non è vietato;
6) un candidato, un partito e/o una coalizione che vuole governare non faccia della legalità e della trasparenza una Bandiera irrinunciabile; e va beh che fa…..
7) Che in Liguria per molto meno si sono annullati 14 seggi, è un altro PD;
8) Che nel 2011, per molto meno, si sono annullate le primarie; altri tempi o altri interessi;
9) quindi con 13/14 mila euro ci si può candidare a sindaco di Napoli;
10) che questa “pratica” offende la dignità delle persone, a chi riceve e a chi lo “dona” fa niente, l’importante è “vincere”;”


Polemico? Ci va giù di sarcasmo Enrico Pennella:
“È ingiusto ed ingeneroso non riconoscere alla commissione di garanzia napoletana un ruolo fondamentale per le future Primarie PD. Con grande coraggio e determinazione hanno infatti saputo affermare principi nuovi ed in un certo senso rivoluzionari. Sono dei pionieri. Qualche esempio? Dalla prossima volta a Napoli i candidati ed i loro sostenitori potranno con tranquillità senza alcun rischio ed alla luce del sole offrire l’euro nei seggi agli amici sprovvisti, indicare (solo per maggior sicurezza) pubblicamente ad alta voce il nome di chi votare alle persone meno informate e consapevoli, anche pagare o rifiutarsi di farlo questo benedetto noioso euro,altro ancora. Insomma più libertà per tutti, via odiosi vincoli. Si è deciso in assoluta trasparenza di legittimare definitivamente questi comportamenti. Basta ipocrisie! Siamo pur sempre napoletani, queste cose dobbiamo intenderle, capirle , giustificarle. Siamo fatti così. Inutile fare i puritani, sono normali, quasi inevitabili. Lo dice perfino Orfini, il Presidente del PD, uno ovviamente sopra le parti : è tutto ok. Anzi no, si è corretto, ok ma al 99%, ora non facciamo i pignoli. A questo punto il PD napoletano è riuscito così in una straordinaria impresa che nessuno avrebbe mai creduto possibile : combinare nel 2016 un disastro peggiore rispetto a cinque anni prima. Avrebbe detto Totò…onore al merito.”


Angelo Costa semplicemente propone:
“Ma perché non si rivota in quei due, tre, cinque seggi contestati dove Valeria Valente ha già vinto e quindi rivincerebbe? Finirebbero le polemiche e quindi TUTTI andremmo a sostenere chi LEGITTIMAMENTE è il vincitore delle primarie… ”


Sempre Enrico Pennella, stavolta più sobriamente:
“Sono incomprensibili le critiche che dall’interno del PD vengono rivolte a Bassolino per il ricorso ai garanti nazionali. Una procedura assolutamente legittima, estremo tentativo per un iscritto di vedere riconosciute le proprie ragioni ed una chiara, ulteriore, prova di fiducia nel Partito. A quanti sollevano il tema della opportunità di questi ricorsi andrebbe invece consigliata una più attenta lettura dei recenti sondaggi. Non sono infallibili, tutt’altro, ma inutile fingere di non vederli. Il PD nelle attuali condizioni è fuori da tutto, residuale. Anche se oggi Bassolino decidesse di fermarsi non cambierebbe praticamente nulla. Un dato emerge in modo incontrovertibile, assoluto : a tre mesi dal voto il PD in queste condizioni non è competitivo.”


Ma sul caso dei ricorsi interviene il re dei ricorsi in Campania, il governatore De Luca. 
Colui che è già stato protagonista di numerosi ricorsi in tutte le primarie svoltesi nel suo territorio quando era Sindaco di Salerno.
“Mi auguro che prima o poi qualcuno chieda scusa per questa immagine della politica che stiamo trasmettendo ai cittadini con la vicenda delle primarie” afferma Vincenzo De Luca nel corso della rituale intervista-fiume su Lira Tv, in onda questa sera. “Mi viene la depressione sulle piccole cose della politica italiana – spiega il governatore – Ormai c’è una rissa politica generalizzata che riguarda tutti. Una pena enorme. La mia preoccupazione crescente è che sta arrivando nelle nostre case un’immagine di balcanizzazione generale della politica italiana”. “Quanto alle primarie di Napoli la cosa incredibile è che per la prima volta abbiamo avuto primarie corrette, con tutti i rappresentanti che hanno firmato i verbali la sera stessa. Poi è uscito un video strano dopo 24 ore”.


Inquientante che nessuno abbia rilevato un dettaglio tra le affermazioni di De Luca: ” la cosa incredibile è che per la prima volta abbiamo avuto primarie corrette”.
Nessuno ha chiesto conto di questa affermazione, che implicitamente afferma che tutte le altre primarie corrette non siano state. E se lo dice uno come lui, per vent’anni sindaco, che nelle primarie nazionali e regionali è sempre stato più che determinante… c’è sta stare tutt’altro che sereni.


Alle scorse primarie regionali ne abbiamo viste di tutti i colori, ma per tutti non ci furono problemi.
Le ho ampiamente raccontate qui ma vorrei ricordare un paio di episodi sul come si sono svolte.
Primarie di partito, richieste 1200 firme. Gli iscritti a livello regionale erano 10.800, ma il sindaco di Salerno abbonda e di firme ne presenta 13.000! Il presidente della commissione di garanzia afferma (testualmente) che è tutto regolare, anche se non sono iscritti (e la matematica non è un’opinione) potrebbero sempre farlo entro la fine dell’anno! (sic!)
Le primarie poi diventano di coalizione, ma subito il Pd si appresta a precisare: allarghiamo ma non accettiamo altre candidature del Pd. Più ad personam di così!
Chi lo afferma? Tonino Amato, ex consigliere e assessore comunale, ex pluri consigliere regionale, che – da indipendente presidente della commissione di garanzia! – voleva candidare la figlia (che è anche stata eletta) e dichiaratamente appoggiava De luca.
Di lui si è anche parlato durante queste primarie per il Sindaco di Napoli – in cui appoggiava Valeria Valente – ma questa, è un’altra storia…


Ecco. Finchè non mettiamo seriamente mano a cosa debba essere e come debba comportarsi una commissione di garanzia, le primarie non andranno mai come si deve e conviene.
Non esisterà un organo che sia davvero deterrente rispetto a comportamenti che poi – a parole – tutti censuriamo. E non esisterà quell’autorevolezza necessaria a prendere decisioni davvero libere e autonome dalle componenti.
In fin dei conti le commissioni di garanzia sono state trasformate in organi di ratifica della maggioranza – seppur eterogenea e momentanea – di turno. E quello che dovrebbe essere un organo di controllo e di garanzia, elemento di forza e democrazia nei partiti strutturati, diventa – semplicemente – un elemento di vulnerabilità, risibilità e debolezza.
Basta essere chiari e prenderne atto.

Bassolino e la sua candidatura

Mi candido. Due semplice parole che su Facebook – il luogo da cui l’ex sindaco ed ex governatore sceglie da qualche tempo di parlare al popolo napoletano e del PD – raccolgono mille “mi piace” e quattrocento condivisioni in meno di due ore.

Lo fa dopo aver il giorno prima condiviso l’articolo che annunciava che la stazione di Via Toledo (di una metropolitana simbolo delle sue amministrazioni e di una tenacia estrema nel realizzarla) vinceva l’oscar delle opere pubbliche sotterranee.

Lo fa dopo che una segreteria regionale travolta dalla inefficienza con cui ha gestito le primarie regionali e dal caso De Luca – Mastursi è stata azzerata, ed in cui sono entrati – in cerca di visibilità e di ruoli di rilievo – i vari big della Regione in rappresentanza delle varie componenti di un PD in cui, Bassolino, ricorda che non è più “nemmeno dirigente di una sezione”.

Con un semplice “mi candido” Antonio Bassolino gela le ambizioni di improvvisati e improvvisabili quanto improbabili candidati mediocri in cerca di visibilità. Chi domani vorrà candidarsi – e c’è tempo sino al 7 febbraio – dovrà “sfidare lui”, dovrà avere la capacità che solo lui ha avuto in passato di tenere insieme le varie anime di un partito disunito e disomogeneo, dovrà avere credibilità programmatica ed amministrativa, e dovrà aver chiarito tutte le eventuali posizioni giudiziarie, come ha fatto lui stando lontano da cariche pubbliche.

Per qualcuno ha significato averlo messo all’angolo, ed i primi a tremare sono proprio tutti quelli che lui ha creato politicamente e che gli hanno prontamente voltato le spalle, semplici consiglieri comunali, ex parlamentari, assessori ed esponenti di primo piano, in una fase in cui – è bene ricordarlo – per fare il governo serviva avere dentro lui, Sindaco di Napoli ed ad interim Ministro del Lavoro.

Da quel tweet “state sereni” all’attuale “mi candido” è la sentenza decisiva su una classe dirigente che ha dichiarato rottamazione e rinnovamento, ha in realtà consolidato una “guerra tra bande” tra capibastone, e che oggi deve alzare le mani nella mancanza assoluta di una proposta altrettanto forte e credibile capace di mettere insieme più di lui, e di sfidarlo realmente. 
Una candidatura virtuale che lancia un segnale forte che va letto come un “Napoli merita di più e di meglio di essere vetrina per qualcuno per assicurarsi una posizione domani”. Napoli merita una proposta forte, dinanzi alla quale sono certo che per primo Antonio Bassolino farà un passo, non indietro ma affianco, per il bene di Napoli.

Perchè – ed anche questa è storia – Napoli da sempre è stata laboratorio politico non solo di alleanze ma anche di creazione politica, di coraggio per il bene comune che ha salvato questa città, se rileggiamo la storia, anche dalle peggiori amministrazioni possibili nei periodi più bui della prima repubblica.

Quel “mi candido” è il coraggio di chi si mette in gioco e pone una sfida politica, programmatica, di presenza fisica, nella latitanza delle scelte della deputata classe dirigente. È il coraggio che ci manca e che ci viene ricordato essere necessario per la nostra comunità.

In questa sfida Antonio Bassolino ha già vinto. E non solo per sé e contro chi lo voleva messo definitivamente all’angolo, ma soprattutto per Napoli. E sia De Magistris che il M5S che il centrodestra – oltre al partito democratico – da oggi sono chiamati ad “alzare l’asticella” del proprio livello di proposta politica. 
Ecco, da un leader politico dovremmo esattamente esigere questo: essere capace, oltre se stesso, di elevare il livello per il bene comune e di non accontentarsi della mediocrità opportunistica contingente, di stimolare il coraggio e di metterci la faccia. Chi pensa di poter accogliere queste sfide ha tempo fino al 7 febbraio. Il resto resta cronaca gossip che scema in un giorno tra i trafiletti.

Bassolino e le primarie in Campania

Che il PD nelle regioni meridionali abbia vocazioni masochiste è noto. Perseverare dopo lo show poco edificante delle primarie per la regione Campania diventa però patologico. Il leitmotiv è sempre lo stesso: cercare un presunto candidato unitario per evitare le primarie. E ogni volta i discorsi sono sempre inesorabilmente gli stessi. Stavolta la questione traccia un solco che va oltre le questioni di partito. Pisapia (che non si ripresenta) da Milano sentenzia “Le primarie si faranno e tutti i partiti e le liste hanno sottoscritto una carta di intenti”. Nel pragmatismo milanese la data c’è, ed è il 7 gennaio. Chi vuole si candidi in quei termini, partita e discussione chiuse. Da noi le eterne discussioni su date, regole e fantomatiche ricerche di unitarietà (laddove unità non c’è) sono il sintomo di quella eterna lenta melma politicante che serve solo al sottobosco di accordi di potere, di comparsate sui giornali pur di esistere “ancora, un giorno almeno…”. 
Lo spessore di questa presunta nuova classe dirigente è tutta in un hastag di un Antonio Bassolino, sindaco venticinque anni fa, e ostracizzato dal partito che ha fondato e diretto e riportato alla vittoria, l’unico che è stato autenticamente capace di unirlo e tenerlo insieme. Basta che twitti #statesereni, o che decida di andare da spettatore alla festa de l’Unità che coloro che sono la nuova classe dirigente fuggano via e si terrorizzino. Eppure quell’Antonio Bassolino è lo stesso che tutta questa classe dirigente l’ha tenuta a battesimo, tra ex consiglieri comunali, ex assessori, ex dirigenti.


La querelle sull’ipotesi della sua candidatura per me è semplicemente qualcosa che non esiste: un uomo dalla lunga storia politica, che dalla politica ha avuto tutto, cui tutti riconosciamo quantomeno intelligenza politica e conoscenza delle cose elettorali, non credo affatto metterebbe a repentaglio il proprio capitale – non solo politico ma anche storico ed umano – rischiando la sconfitta con un partito ridotto a Napoli a meno del 18%. A meno che non creda nel miracolo, che solo lui potrebbe fare. 
Ma la generosità di Bassolino, e l’amore per il suo partito, forse ancora non sono stati compresi fino in fondo. Certo, c’è una componente di ego che tutti gli rinosciamo (e quale politico apicale non ne ha una gran dose), ma c’è dell’altro. Bassolino non è stato messo alla porta, si è messo da solo in disparte come solo i grandi sanno fare per concludere le vicende giudiziarie al termine di vent’anni di comando assoluto e indiscusso. E mentre gli amici di un tempo, che a lui devono tutto, gli hanno voltato le spalle, oggi lui a testa alta può dire – ancora – di essere una risorsa enorme, autorevole, pulita, scevra da processi e condanne. E che – alla faccia del presunto cambiamento e rinnovamento – basta un suo cinguettio, una sua “uscita fuori porta” (semmai ad Ercolano per visitare la festa del suo partito senza che nessuno lo avesse anche solo invitato) che tutti tremano.


Bassolino non è il nuovo, ma il solo appparire all’orizzonte della sua candidatura fa tremare in primis i suoi ex fedelissimi che gli hanno voltato le spalle riciclandosi e “cambiando idea”, costruendosi una carriera rinnegando quella stagione, senza alcun mea culpa. 
La sua resta una enorme provocazione che andrebbe letta per ciò che è e dovrebbe far riflettere tutti su ciò che sta avvenendo. Il disvelamento di una classe dirigente che pensava di esserlo, dimenticando che la leadership non si inventa, non si cala dall’alto, non te la conferisce un ruolo. Bassolino è un leader, come ricorda lui stesso “senza essere nemmeno dirigente della più piccola sezione del PD”. Altri evidentemente nonostante il ruolo – interno e istituzionale – leader non sono. E serviva il buon vecchio Bassolino a far emergere questa semplice verità, che non ha compreso chi – in segreteria regionale, provinciale, a Roma da parlamentare o altrove – pensava di pesare per grazia ricevuta o ruolo infuso.
 Al netto di questo tuttavia, in un’era di politica anche digitale, Antonio Bassolino è e resta l’unico vero influencer politico della politica regionale, riuscendo, attraverso strumenti non esattamente propri della sua generazione, con due status di Facebook e due tweet scritti bene a dettare (letteralmente) l’agenda politica, tanto dei dirigenti del partito quanto di “giovani spauriti guerrieri quarantenni”, costretti a inseguire, replicare, intervenire, rispondere. Chapeau.


Se il PD riflettesse su questa semplice realtà, e cominciasse a dire grazie per la lezione al suo Antonio, forse, sarebbe un partito più umile, e già per questo migliore. E se a Napoli importassimo un pizzico di quel sano pragmatismo milanese, e dicessimo anche noi che le primarie si fanno, chi vuole davvero si candidi e ci metta la faccia e si faccia votare e scegliere dal suo popolo, beh, saremo meno schiavi degli accordi di potere dei capibastone e della malapolitica che mantiene a galla sempiterni signornessuno. E se imparassimo a non confondere “la piazza virtuale” con “il vascio di quartiere”, forse, anche la nostra immagine sarebbe meno provinciale e più consona al ruolo di chi si candida a fare bene per il bene comune.