Per non dimenticare

La deportazione e lo sterminio degli ebrei. Un evento tanto tragico quanto assurdo ed incomprensibile, che non va e non deve essere dimenticato. Proprio in questo senso, il cinema giunge in soccorso, attraverso la riproposizione del tema dell’Olocausto. Oggi vi proponiamo due tra le più significative pellicole riguardanti il periodo della Seconda Guerra Mondiale. La prima è datata 2006, mentre la seconda 2013. Andiamo nel dettaglio.

Black Book

Il primo film di cui vi parliamo è Black Book (letteralmente “Libro nero”), un’opera che mostra un fronte forse leggermente più sconosciuto, quello della resistenza olandese al dominio nazista.

La storia è ambientata nel settembre 1944 e vede come protagonista Rachel Stein, una ragazza che di mestiere fa la cantante di varietà. Fuggita dalla Germania per trovare rifugio in Olanda, la giovane ritrova la sua famiglia nelle zone liberate dall’invasione. La gioia tuttavia è fugace: a causa di un’imboscata tedesca, la giovane perde tutti i suoi cari. L’unica che riesce a sopravvivere all’esecuzione di massa è proprio Rachel, che ottiene asilo presso un gruppo di uomini appartenenti alla resistenza olandese con al comando Kuipers. La nostra eroina decide così di schierarsi con loro e di sfruttare la sua bellezza estetica. Dopo aver cambiato identità (il suo nuovo nome è Ellis De Vries), infatti, Rachel s’insinua nelle stanze del potere con l’incarico di sedurre l’ufficiale delle SS Muntze, finendo poi per innamorarsene. Nonostante ciò, la donna non perde di vista la sua missione: piazzare una microscopia per ottenere informazioni top secret. Ma un altro uomo vorrebbe fare breccia nel cuore di Rachel: Hans Akkermans, un medico della resistenza. Una notte, a seguito di un’improvvisa irruzione, molti partigiani vengono barbaramente uccisi e Rachel viene accusata di alto tradimento. Ma la verità è un’altra…

Black Book
Black Book

Il regista del film è l’olandese Paul Verhoeven (reso celebre per lavori quali RoboCop, Basic Instinct e L’uomo senza ombra), che inscena un dipinto realistico della resistenza olandese, inglobando gli stilemi tipici del melodramma. Nel delicato passaggio dalla dittatura alla libertà, Black Book si sviluppa attraverso l’ausilio di una serie di personaggi dallo sguardo ingannevole e dagli atteggiamenti torbidi e sibillini, presunti eroi pronti a divenire impostori e a svelare la loro naturale inclinazione alla sopraffazione. Inutile dire che su tutti spicca la protagonista Carice Van Houten (Rachel Stein), una figura femminile ammaliante e dispensatrice di erotismo. Ogni uomo, dal più spietato ufficiale delle forze armate tedesche (Muntze) al medico della resistenza (Hans), non desidera altro che possederla. La memoria di Rachel verrà racchiusa da Israele, lo Stato creato dalle Nazioni Unite nel 1948 per accogliere l’incredibile esodo della popolazione ebraica.

 

Corri ragazzo corri

La seconda pellicola che vi proponiamo proviene direttamente dalla cinematografia polacca e s’intitola Corri ragazzo corri.

Il film racconta la storia di Srulik, un bambino ebreo di 8 anni fuggito con l’aiuto del padre dal ghetto di Varsavia, fingendosi un orfano polacco per sfuggire alle truppe naziste in presidio. Anche in questo caso, il protagonista cambia identità, divenendo Jurek. Con il suo nuovo nome, il bambino si armerà di coraggio e attraverserà intere foreste pur di trovare una casa o una fattoria in cerca di cibo in cambio del proprio lavoro. La sua fuga verso la libertà non avrà sosta, anche quando sarà consegnato ai nazisti, da cui riuscirà incredibilmente a fuggire in maniera fortunosa. In attesa della fine della guerra, Srulik proseguirà il suo incessante cammino, incontrando lungo il suo percorso persone che lo aiuteranno ed altre, invece, decise ad ucciderlo.

Corri ragazzo corri
Corri ragazzo corri

Il regista Pepe Danquart (vincitore di un Premio Oscar per il cortometraggio Schwarzfahrer del 1993) inscena il progressivo e graduale allontanamento dalle proprie origini di un bambino che ha promesso solennemente al padre di sopravvivere. Tratto dal best seller omonimo di Uri Orlev, il film eleva il suo giovane protagonista a paladino della libertà e dell’intelligenza, le uniche armi in grado di contrastare e sconfiggere l’incubo nazista. Man mano che Srulik si trasforma in Jurek il suo passato viene costantemente cancellato, così come la sua religione e la sua reale identità, accompagnato dal dolore per non avere diritto ad un posto nel mondo.

L’incessante fuga per libertà, contrassegnata dalla volontà di sopravvivere, può essere interpretata come una metafora del popolo ebraico, verso il quale Srulik non crede più di appartenere, fino al momento in cui realizzerà concretamente in che modo tutto ebbe inizio.

Siamo perciò dinanzi ad un’autentica odissea, in cui un bambino di soli 8 anni continuerà a lottare pur di mantenere la promessa fatta al padre. Un’infanzia violata che solo il coraggio e la forza di volontà potranno far tornare a galla.

La Giornata della Memoria

«Forse un giorno anche la memoria di questi eventi ci sarà utile».
«Forsan et haec olim meminisse iuvabit».
Così ammoniva l’antica sapienza latina, attraverso la voce di Virgilio.
Noi aggiungiamo che non solo sarà utile, ma sarà perfino necessaria, perché, come ci avverte Sigmund Freud, colui che non conosce il proprio passato è destinato a ripeterlo.
In base a quanto ognuno di noi vive quotidianamente, possiamo dire che la memoria consiste in tre momenti tra loro strettamente collegati: è, anzitutto, l’atto della conservazione di conoscenze in qualunque modo acquisite; poi è un contenuto, cioè queste stesse conoscenze; infine è un nuovo atto che si risolve nella rievocazione di ciò che si è custodito.


La giornata della memoria


Descritta così, sembra che l’esperienza della memoria sia una cosa fredda, quasi burocratica.
Invece essa è anche immaginazione, fantasia, intelligenza, volontà. È un viaggio alla scoperta del passato proprio e altrui. È una sfida tra libere associazioni mentali, una coreografia tra libere combinazione di frammenti per costruire o ricostruire un’identità. Più che un’architettura, la memoria è una danza, capace di compiere salti e figure nuove; è luce ed eclisse, luogo d’attesa e cantiere di spettacolo; è un canovaccio, più che un copione completo. Essa non è solo una facoltà dell’intelletto, ma è come la pelle: unisce e unifica tutto, coprendo e avvolge. È una sensibilità particolare, un ésprit de finesse, direbbe Blaise Pascal. Un’attività creativa e dinamica, rivolta al futuro, non meno che al passato.


La giornata della memoria


Ma la memoria è anche un dovere sociale e politico: a questo fine nascono le celebrazioni civili, siano esse feste nazionali o giornate particolarmente dedicate alla riflessione e al ricordo.
Una delle iniziative che, a partire da questi ultimi anni, ha posto il ricordo di un evento al centro di un momento celebrativo e cultuale di grande impatto comunitario, è la cosiddetta “Giornata della Memoria”, che ricorre il 27 gennaio. In quell’occasione l’opinione pubblica è invitata richiamare alla mente ciò è accaduto in molte nazioni nel recente passato, cioè la persecuzione degli ebrei culminata nel progetto di sterminio del loro popolo da parte del regime nazista tedesco.
Nel loro complesso, i fatti sono conosciuti e abbondantemente studiati. Inoltre la letteratura e la cinematografia hanno contribuito a diffonderne la fama.


Ricordare, dunque.
Sì.
Ma come ricordare?
Una mostra di fotografie, scattate da Amerigo Setti durante un suo viaggio ad Auschwitz, è in corso di svolgimento fino al 7 febbraio nella ex chiesa del Carmine di Medicina, un importante centro presso Bologna. Alla preparazione della mostra ha collaborato anche Giovanni Basile. Gli avvenimenti evocati dalle bellissime foto sono conosciuti a livello mondiale. Ma Amerigo ha voluto intrecciare il dramma della Shoah con un’altra tragedia avvenuta nel secolo scorso (appena ieri!), l’eccidio di Montesole- Marzabotto, la più grande strage di civili del già disastroso bilancio della seconda guerra mondiale. E questi due diabolici progetti trovano una mirabile eco e una straordinaria interpretazione nelle foto della Via Crucis della cattedrale di Troia in Puglia, dello scultore Emilio Demetz: le ultime ore della vita storica di Gesù di Nazareth, nel quale credenti e non credenti potranno trovare l’icona del giusto ingiustamente perseguitato.


La giornata della memoria


A tenere insieme questi fatti, e ad accompagnare i visitatori, la mostra è arricchita di alcuni versi di Dante Alighieri: voce profetica quant’altre mai, perché riesce ad addentrarsi nella profondità dell’essere, al di là delle circostanze storiche, ed è in grado di comunicare con gli esseri di tutti i tempi; voce che attraversa i secoli e le vicende e arriva fino a noi, per coinvolgerci in una riflessione, in una presa di coscienza, in una decisione di vita.


Ricordare, dunque?
Sì.
La memoria è persistenza.
Il cui scopo, però, non è quello di innescare odi e generare vendette, ma di trasmettere alle generazioni, come dice Giuseppe Laras rabbino di Milano, «un atteggiamento di rifiuto della violenza e dell’intolleranza in modo che possa divenire parte integrante del patrimonio etico-culturale degli uomini di domani. Credo sia soprattutto questo il valore della memoria: ricordare per ricostruire».
Le parole di Dante e le immagini di Amerigo ci aiutano a percorrere le tappe di un cammino non solo attraverso la civiltà umana, ma soprattutto verso la civilizzazione umana.
Mediante scarti bruschi, momenti di tensione, cristallizzazioni dei volti e delle pose, progettate deformazioni e armoniose prospettive, Dante e Amerigo, con linguaggi diversi e convergenti, fanno emergere la capacità di svelare e di trascrivere il “profilo frastagliato” di una memoria aperta al domani.
La memoria tende alla speranza.
La memoria diventi speranza.


Pietre nel Silenzio.
Mostra fotografica di Amerigo Setti
Dal 25 gennaio al 7 febbraio 2016
Medicina, Chiesa del Carmine
Bologna

La Shoah nella storia del cinema

Il giorno della memoria. L’orrore dell’Olocausto e il dramma della deportazione della popolazione ebrea da parte dei nazisti hanno caratterizzato e influenzato in maniera netta e decisiva le rappresentazioni cinematografiche a partire dallo scorso secolo. Autori, registi, storici, esperti e critici si sono cimentati nel produrre svariate pellicole sul tema della Shoah, allo scopo di far rivivere un passato che non può e non deve essere cancellato dall’oblio.

 

La persecuzione e lo sterminio degli ebrei è stato riprodotto in modalità differenti nel corso degli anni. Alcuni registi, ad esempio, hanno voluto mettere in primo piano la cruda realtà del genocidio. Su questo percorso tematico, non possono non essere citati George Stevens e Steven Spielberg rispettivamente con Il diario di Anna Frank del 1959 e Schindler’s list del 1993. Stando a tempi più recenti, invece, troviamo Il pianista di Roman Polanski del 2002, Ogni cosa è illuminata di Liev Schreiber del 2005, Il nastro bianco di Michael Haneke del 2009, La chiave di Sara di Gilles Paquet-Brenner del 2010, In Darkness di Agnieszka Holland del 2011 e Anita B. di Roberto Faenza del 2014.

 

Altri autori invece hanno posto l’accento sulla deportazione e la realtà del lager. In questo senso, uno dei più importanti lavori del passato è senza dubbio Il viaggio dei dannati di Stuart Rosemberg del 1977, nonché il grande kolossal Olocausto dell’anno successivo, targato Marvin J. Chomsky. Ovviamente non poteva mancare La vita è bella di Roberto Benigni del 1998, così come l’opera d’oltralpe Train de Vie di Radu Mihaileanu del 1999, in cui è altresì percepibile una chiara deriva ironica per sdrammatizzare l’orrore. Incanalati all’interno del medesimo contesto tematico, ecco che trovano posto anche Il Falsario – Operazione Bernhard di Stefan Ruzowitzky del 2007, il celebre e più volte riproposto in tv Il bambino con il pigiama a righe di Mark Herman del 2008 ed infine Vento di primavera del 2010 diretto da Roselyne Bosch.

 

Alcuni registi hanno voluto inscenare il lato più battagliero e patriottico della situazione, schierandosi apertamente al fianco delle persone che hanno lottato, anche a costo della propria vita, pur di rimanere nella propria dimora e nel proprio Paese nonostante l’invasione nazista. Il tema della resistenza viene sviscerato ed esplorato in Arrivederci ragazzi di Louis Malle del 1987, Rosenstrasse di Margarethe von Trotta del 2003, La rosa bianca – Sophie Scholl di Marc Rothemund del 2005 e in Defiance – I giorni del coraggio del 2008, con Daniel Craig (James Bond) tra i protagonisti e la regia di Edward Zwick.

 

olocausto-628

 

La produzione cinematografica italiana non è stata certo a guardare. La persecuzione degli ebrei e le stragi naziste avvenute nel nostro Paese sono il leitmotiv de Il giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica del 1970, mentre in tempi più recenti ricordiamo Concorrenza sleale di Ettore Scola del 2001 e L’Uomo che verrà di Giorgio Diritti del 2009.

 

L’ironia utilizzata come arma contro l’orrore è il caposaldo de Il grande dittatore di Charlie Chaplin, superbo ed ilare capolavoro del 1940.

 

Il punto di vista delle vittime e degli spietati assassini che si sono macchiati di terribili omicidi viene analizzato da film quali Il maratoneta di John Schlesinger del 1976, L’ultimo metrò di Francois Truffaut del 1980 e il recente The Reader – A voce alta di Stephen Daldry del 2007.

 

La pellicola Vincitori e vinti di Stanley Kramer del 1961, invece, si fa notare per aver affrontato il tema spinoso dei processi dei criminali di guerra nazisti, mentre le opere intitolate Non dire falsa testimonianza di Krysztof Kieslowski del 1988 e Homicide di David Mamet del 1991 gettano la luce sulle tracce indelebili provocate dall’orrore dell’Olocausto.

 

Il labirinto del silenzio

 

 

il-labirinto-del-silenzio-

 

Uno degli esempi di cinema legato tematicamente al ricordo e alla rielaborazione della Shoah è il film, da poco uscito nelle sale, Il labirinto del silenzio, in cui la tragedia dell’Olocausto viene esaminata in maniera sobria ed efficace. Un film-dossier teso ed appassionante dai toni inquisitori e diretti.

 

La storia è ambientata a Francoforte (Germania) nel 1958. Johann Radmann è un giovane procuratore idealista, ambizioso e ligio al dovere. Attraverso l’incontro con un giornalista poco incline alle regole e dallo spirito combattivo, Thomas Gnielka, Johann fa la conoscenza di Simon, un artista ebreo sopravvissuto ai campi di concentramento di Auschwitz, le cui figlie gemelle sono state sottoposte ad una serie di crudeli test da parte del Dott. Josef Mengele. Simon riconosce nella figura di un insegnante di una scuola elementare uno degli aguzzini del campo di sterminio. Johann, rimasto colpito sia dalla sofferenza provata da Simon sia dalla tenacia di Thomas, decide di occuparsi del caso, ma la bocca cucita di coloro che vorrebbero dimenticare e di chi purtroppo non potrà mai affidarsi all’oblio, costringono il giovane procuratore a chiedere aiuto a Fritz Bauer, il procuratore generale, il quale gli consentirà di svolgere in piena autonomia e in totale libertà il proprio lavoro, infondendogli al contempo il coraggio di perorare la sua causa. Dopo aver ascoltato numerose testimonianze, Johann entrerà in contatto con l’orrore del passato recente della sua Germania ed avvierà il cosiddetto “secondo processo di Auschwitz”.

 

Il labirinto del silenzio è un film drammatico tedesco del 2014, distribuito nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 14 gennaio grazie alla Good Films. Dietro la cinepresa troviamo il regista Giulio Ricciarelli, nato a Milano, ma naturalizzato tedesco, il quale, attraverso questa pellicola, fa slittare il piano visivo verso quello auditivo e il piano delle immagini verso quello verbale.

 

Il protagonista della vicenda è un biondo e baldanzoso procuratore che a distanza di 60 anni dalla liberazione dei campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau guida la propria Nazione verso la redenzione. Il 1958 diviene così l’anno spartiacque, in cui finalmente s’inizierà per la prima volta a far luce sui crimini di guerra e sui criminali nazisti.

 

Giulio Ricciarelli costruisce un film giuridico e drammatico perfettamente corretto da un punto di vista storiografico. Tale operazione viene eseguita amalgamando personaggi fittizi (Johann Radmann) e realmente esistiti (Thomas Gnielka e Fritz Bauer, a cui il film è dedicato).

 

Ne Il labirinto del silenzio il male assume le sembianze di un essere vivente dotato di un nome, un volto, un’età anagrafica e un recapito. Il giovane procuratore protagonista dell’opera prende sulle spalle la Germania, facendosi carico del suo ingombrante e sconcertante passato. I campi di sterminio non saranno più definiti (e giustificati) come “luoghi di detenzione privata”, ma verranno chiamati col loro vero e reale nome. Tuttavia, Johann, persuaso d’indagare su un omicidio, dovrà fare i conti con l’omertà delle persone e con la falsità delle loro dichiarazioni. A 20 anni di distanza dal processo di Norimberga, 22 criminali nazisti, di cui tuttavia solo 6 saranno condannati all’ergastolo, presenzieranno dinanzi al tribunale di Francoforte, in quello che è stato ribattezzato come il “secondo processo di Auschwitz”. Tale evento segnò un vero e proprio cambiamento di rotta: la Germania per la prima volta assunse il suo passato come un dovere morale. L’opinione pubblica e la magistratura iniziarono gradualmente a prendere coscienza e a sensibilizzarsi su ciò che accadde. L’oblio dell’Olocausto fu così scongiurato.

 

In questo film i mostri del passato verranno braccati e i gerarchi e i secondini saranno messi a confronto. Il silenzio degli aguzzini e delle vittime sarà spezzato ed interrotto da una serie di domande, le quali cercheranno di farsi largo nel loro dolore. Attraverso la figura di Simon, inoltre, Il labirinto del silenzio parlerà anche dell’isolamento dei sopravvissuti e dell’integrazione in Germania e in Israele, facendo riflettere chi ha ignorato e nascosto per troppo tempo la portata dello sterminio di massa.