Steve Jobs: la rivoluzione dell’informatica

Il 5 ottobre 2011 scomparve Steve Jobs, noto fondatore della Apple Inc., nonché inventore del mouse, delle icone, dell’iPhone, dell’iPod e dell’iPad. Un imprenditore visionario che ha saputo ispirare il genio creativo del regista inglese Danny Boyle. Nasce così Steve Jobs – Il film, fresco d’uscita nelle sale cinematografiche italiane grazie alla Universal Pictures. Un’opera biografica con un cast d’eccezione, in cui spicca Michael Fassbender nei panni del compianto informatico statunitense.
 

 
Siamo nel 1984 e il conto alla rovescia per il lancio del primo Macintosh è partito. Quattro anni più tardi toccherà al NeXT, mentre nel 1998 sarà la volta del iMac. Costantemente accompagnato dalla fedelissima Joanna Hoffman (Kate Winslet), Steve Jobs (Michael Fassbender) dovrà affrontare gli imprevisti dell’ultimo momento, i classici ed immancabili contrattempi che puntualmente fanno la loro comparsa sotto le sembianze di alcuni personaggi: Lisa, la figlia diciannovenne (Perla Haney-Jardine), Chrisann Brennan, madre di Lisa (Katherine Waterston), Steve Wozniak, il partner da sempre collaboratore fin dagli inizi di Los Altos (Seth Rogen), John Sculley, amministratore delegato della Apple (Jeff Daniels) ed Andy Hertzfeld, l’ingegnere del software (Michael Stuhlbarg).
 
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Il film di Danny Boyle (di cui ricordiamo Trainspotting, The Millionaire e 127 ore) è dotato di un’ottima ed intuitiva idea grafica. D’altra parte non poteva essere altrimenti, dato che stiamo parlando di un inventore informatico che ha fatto dell’anomalia il suo credo principale. Ispirato alla biografia di Walter Isaacson, Steve Jobs – Il film è altresì basato sul punto di vista del drammaturgo Aaron Sorkin, il quale, lungi dal raccontare la classica storia a tutti già nota del successo professionale affiancato dagli insuccessi nel campo privato, mischia le carte in tavola, mettendo in primo piano il successo umano ottenuto attraverso numerose fatiche e inanellando diversi momenti di decadenza personale, rappresentata da sogni andati in frantumi e addirittura da umiliazioni pubbliche. Tutto ciò non deve farci ingannare. Steve Jobs è un uomo caparbio, arrogante e anticonformista. Egli è altresì perfettamente consapevole dei suoi limiti e dei lati deboli del suo carattere, ma altrettanto saldo nei suoi difetti. Tuttavia, proprio grazie a queste qualità e a questi lati negativi della sua personalità, egli riuscì a creare prodotti imperituri e rivoluzionari. È proprio in questo contesto che Jobs viene dipinto come un leader a cui non interessa il gradimento della folla. Per lui ciò che conta è lasciare un segno indelebile nella storia. In fin dei conti il popolo, col passare del tempo, capirà, e Lisa, in rappresentanza della critica del volgo, farà lo stesso.
 
La pellicola è completamente ambientata dietro le quinte. Attraverso le lenti degli occhiali del protagonista Michael Fassbender, il pubblico prenderà visione di un artista le cui doti personali hanno fatto la differenza nel mondo dell’informatica. Steve Jobs era un mix di tecnica e capacità interpretativa, una sorta di direttore d’orchestra in grado di far suonare ogni singolo strumento in perfetta armonia con la propria concezione dell’arte.

 

Approfondimenti e curiosità
 

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Steve Jobs (24/02/1955 – 5/10/2011)

 
Steven Paul Jobs nacque a San Francisco il 24 febbraio del 1955. Egli fondò la Apple Inc. e la società NeXT Computer. Fu inoltre amministratore delegato di Pixar Animation Studios (prima dell’acquisto da parte della Walt Disney Company). Una delle sue invenzioni più importanti e rivoluzionarie fu l’”Apple Lisa”, il primo Pc dotato di mouse. Jobs fu uno dei primi informatici ad intuire le diverse funzionalità e potenzialità del mouse e dell’interfaccia a icone presenti sui Xerox Star arrivando a realizzare il Macintosh.
 
Il 2003 segna l’inizio della parabola discendente della salute di Steve Jobs. A causa di una rara forma di tumore maligno al pancreas da poco riscontrata, egli sviluppò il diabete di tipo 1, lasciando temporaneamente il posto di amministratore delegato di Apple a Tim Cook per circa due mesi.
 
Nell’aprile del 2009 Jobs subì un trapianto di fegato nel Tennessee.
 
Il 17 gennaio 2011 Apple annunciò che Jobs aveva richiesto un nuovo congedo medico.
 
Il 5 ottobre dello stesso anno, a soli 56 anni, Jobs morì a causa di una recrudescenza del carcinoma con conseguente arresto del sistema respiratorio.
 
Il 12 febbraio 2012, in occasione della cerimonia di consegna dei Grammy Awards, la National Academy of Recording Arts and Sciences insignì Steve Jobs con un’onorificenza ufficiale postuma per aver fortemente contribuito alla creazione di prodotti e tecnologie che hanno saputo trasformare le modalità di ascoltare la musica, guardare la televisione e i film e leggere i libri.

Steve Jobs: The Man in the Machine

Il film biografico di Alex Gibney, dedicato alla ricostruzione non solo facciale, ma anche di qualche singolar eccesso caratteriale, di uno dei fondatori del capitalismo informatico contemporaneo, Steve Jobs, parte, anche nel senso puramente espositivo, da una constatazione, che si presta subito a una domanda, cui il film, ovviamente, non risponde, essendo più che altro un raccoglitore di sfaccettature controverse, del genere genio introverso maniacale incline, ma senza esagerare, all’appropriazione intellettuale indebita e all’autismo affettivo. Rimando a dopo un’introduzione migliore. La morte del magnate asceta, prematura si direbbe non solo per l’età, ma soprattutto per la propensione alla longevità che possono suggerire certi patrimoni ben piantati, causò un diffuso senso inconsolabile di lutto, accorati necrologi istantanei sulle maggiori reti sociali, raccolti pellegrinaggi con fiori e dediche di fronte alle vetrate serrate delle tante succursali Apple, in pausa pianto.


Steve Jobs: The Man in the Machine


In tanti caricarono, nell’ora della commozione, sui propri Ipad, per evitare combustioni superflue, la fiammella funebre di una candela, mossa da una lieve soffio virtuale, come quella di uno spirito segregato, ma comunque lieto, nel congegno interattivo mobile. La domanda connessa, che sembra banale e quindi attendere, in definitiva, una risposta altrettanto banale, va sulle ragioni di una tale quantitativo d’amore versato, sempre che sia appropriato parlare di amore, volendo magari poi intendere una sconfinata gratitudine. Una introduzione migliore, al film, e a questa perplessità, su cui l’autore del ritratto controverso non insiste troppo, ce la potrebbe prestare, non avendo troppo fretta nel restituirgliela, l’umorista americano Bill Burr che in una serrata invettiva derisoria demolisce il magnate asceta, il Gesù dei nerd, senza la perizia bilanciata di una più vasta dimensione ambivalente di fatti, di meriti e demeriti. La complessità, a meno di non estenuarla fino a toglier fiato alla ragione, non fa ridere.


Steve Jobs: The Man in the Machine


Steve Jobs ha cambiato il mondo, urlano ammirati da ogni angolo, ma cosa ha mai fatto? Ha schiavizzato dei malcapitati ingegneri, dicendogli, Voglio la mia collezione di dischi nel mio telefono, su fatelo, ora, e senti sbattere la porta di uno sgabuzzino. Ha cambiato il mondo, ripetono urlando in grossi cori, ma uno come John Lennon, non teneva una torma di minorenni sotto pagati nel proprio umido scantinato, a stampargli, giorno e notte, i dischi. Yoko Ono è un altro discorso. Jobs era uno, che neanche troppo sottilmente, lasciava intendere nelle sue pubblicità, che finivano con il puntuale slogan qualificante, Think different, che dopo Einstein, dopo Gandhi, c’era lui, ma era solo una questione di ordine cronologico, quel dopo. Queste alcune battute, a carico di Burr, attenuate nelle citazioni usate, troppo letterarie, da cui trapela, comunque, l’irruenza tagliente di uno scetticismo ostile a quel processo di beatificazione, o di adorazione triviale sintomatica, cui è stato sottoposto, del tutto consenziente e complice, il magnate che ha ridisegnato il sistema nervoso delle tecnologie a largo consumo.


Nel film, certo, affiora il lato sordido e rimosso della logica di produzione capitalista, la prioritaria celebrazione del profitto, simmetrico al lato sordido, squisitamente umano, e deprimente di Jobs che sacrifica, macinandolo, chiunque sull’altare visionario del successo, perfino il disturbo emotivo di una paternità non gradita. Una rimozione che l’azienda ha fatto e fa, oggi forse più di prima, per velare con elaborate ed euforiche misure di marketing mitologico, che è chiaro ha nel culto della personalità del padre fondatore il suo nirvana. La demistificazione, comunque, rimane blanda, trovando puntuali contrappunti nell’elogio levigato di una grandezza difficile da sbriciolare, anche giustamente, perché alla fine, la stessa premessa del film, che si risolve in un interrogativo sentimentale, ne rimarrebbe sminuita, offrendo solo la facile conclusione, spesso prolissamente corroborata da sofisticate delucidazioni, che in linea di massima questo genere di invaghimento grato è sinonimo di idiozia.


Attaccato a quella mela, con un morso di fabbrica che fa tutta l’audace differenza, un misto di verità e menzogna si accapigliano. Il desiderio di una tecnologia pensante, il frutto proibito della nostra epoca, macchine che si perfezionano secondo un disegno intelligente, non solo nell’esca di un design arguto. Gli albori, insomma, di un promettente mondo artificiale depurato dalle sue congenite oscurità. L’uomo dentro la macchina, come da titolo tradotto, Steve Jobs, che ce l’ha fatto, semplicemente, credere.