Colpito!!

Nel gergo militaresco americano “good kill” significa “colpo andato a segno”, obiettivo raggiunto. Il titolo del nuovo film di Andrew Niccol è proprio Good Kill, ad indicare i colpi sparati da piloti speciali alla guida di velivoli invisibili che sorvolano e pattugliano i cieli del Medio Oriente, a 3 km di distanza dal suolo, per estirpare il cancro del terrorismo, dall’Afghanistan allo Yemen. Stiamo parlando di missili balistici ad altissima precisione pronti ad uccidere un uomo o un gruppo di persone, oppure distruggere un piccolo camioncino in transito lungo una strada o ancora un intero edificio. Ogni oggetto o soggetto sospettato di attentare alla sicurezza nazionale statunitense deve essere abbattuto.



È da specificare che questi piloti telecomandano i loro armamenti speciali comodamente seduti all’interno di un box dotato di aria condizionata nel bel mezzo di un deserto nei paraggi di Las Vegas. La loro incolumità fisica è perciò al sicuro, ma non si può dire altrettanto per la loro salute mentale. Essi infatti conducono una subdola e pericolosa guerra astratta e virtuale, ma i missili che fanno saltare in aria i corpi di uomini, donne e bambini sono assolutamente reali…



Il protagonista della storia è Tommy Egan, un pilota che ha dalla sua ben 6 missioni su campo, dette “tour”, sempre in riferimento al lessico militare a stelle e strisce. Con il suo fedele drone da telecomandare, egli è stato posizionato vicino all’abitazione della sua famiglia, inaugurando un nuovo e più preciso fronte di guerra. La volontà di Tommy è quella di tornare a volare e queste macabre ed agghiaccianti “partite alla playstation”, intese come nuovo strumento per contrastare il terrorismo, non gli piacciono affatto.



Ethan Hawke nelle vesti del protagonista Tommy Egan
Ethan Hawke nelle vesti del protagonista Tommy Egan



Nonostante la vicinanza alla dimora familiare, Tommy attraversa una profonda crisi morale ed esistenziale, acuitasi maggiormente dal momento in cui il suo team viene messo direttamente al servizio della CIA, da sempre nota per agire al di fuori delle regole convenzionali d’ingaggio. Il nuovo ordine è dunque quello di sparare anche dinanzi a donne e bambini, utilizzati (secondo i servizi segreti americani) come scudi. In fin dei conti sono solo danni collaterali, vittime sacrificali dei signori della guerra. Tutto è lecito, anche le azioni più deprecabili e disumane, purché si salvaguardi la sicurezza nazionale.



Tommy inizia così a mostrare i primi segni di cedimento: non regge più lo stress emotivo, beve ed assume atteggiamenti non propriamente adatti per telecomandare il suo drone con il suo “joystick”. Le conseguenze saranno perciò inevitabili, non solo dal punto di vista della carriera militare, ma anche (e soprattutto) di quella familiare. Il Tommy marito e il Tommy padre, infatti, sono ormai latitanti da troppo tempo…



Distribuito nelle sale cinematografiche italiane dalla Barter Multimedia a partire da giovedì 25 febbraio, Good Kill è un thriller diretto da Andrew Niccol. Il regista neozelandese (di cui ricordiamo In Time e The Host) propone un dramma militare in cui la sceneggiatura risulta eccessivamente circostanziata, giungendo così ad un prodotto finale privo di energia e pathos.



Ethan Hawke a fianco della moglie Molly, interpretata da January Jones
Ethan Hawke a fianco della moglie Molly, interpretata da January Jones



Il tema del controllo assoluto tanto caro a The Truman Show (di cui Niccol realizzò la sceneggiatura), ad esempio, poteva rappresentare uno spunto decisamente interessante, mentre invece viene relegato a sfondo attraverso la visione militare dei droni, che dall’alto riescono a controllare ogni cosa che si muove. Una sorta di occhio divino, in grado di punire dal cielo con i suoi missili balistici i presunti peccatori o cattivi di turno, sacrificando, di contro, le povere vittime innocenti.



Rispetto ad alcune pellicole come The Hurt Locker e Zero Dark Thirty, Good Kill risulta più teorico e proprio per questo anche più ambiguo. A tal proposito, emblematico il fatto che la crisi esistenziale di Tommy derivi dall’impossibilità di poter svolgere missioni vere, quelle a bordo di veri aerei da caccia, dove si uccide sempre, ma si rischia altresì di rimetterci la pelle.



Veniamo al cast scelto per l’occasione. Nei panni del top gun in crisi d’identità troviamo Ethan Hawke, celebre attore americano che già lavorò con Andrew Niccol in Lord of War nel 2005 a fianco del protagonista Nicolas Cage. Egli è noto al pubblico anche per film quali Sinister, La notte del giudizio e Predestination. Nel ruolo della moglie Molly, preoccupata per la salute psichica del marito e trascurata dalla sua assenza, ecco January Jones, famosa attrice e modella statunitense, di cui citiamo a titolo esemplificativo alcune opere come I Love Radio Rock, Unknown – Senza identità e Solo per vendetta.

I misteri della Chiesa

Non è mai facile assumersi la responsabilità di fare luce su inchieste o fatti apparentemente irrisolti e ricolmi di mistero. I segreti che regnano e sovrabbondano nel mondo della Chiesa, ad esempio, sono spesso oggetto di discussioni e dibattiti, ma spesso la verità è ben lontana dall’essere scovata. È oltremodo coraggioso avventurarsi nei sentieri impervi dell’universo ecclesiale per poterne svelare i numerosi insabbiamenti, con l’omertà che dilaga indisturbata a fungere da ostacolo.



Il film Spotlight diretto da Thomas McCarthy è un esempio di cinema di denuncia, un’opera storico-biografica a tinte thriller e dai contorni drammatici. Il tema inscenato riguarda proprio la Chiesa Cattolica e, nello specifico, la piaga degli abusi di minori ad opera di alcuni sacerdoti americani. Ecco i dettagli.



Nell’estate del 2001 irrompe nella redazione del “Boston Globe” un nuovo direttore, Marty Baron. Coadiuvato da Ben Bradlee Jr., egli ha un solo obiettivo in mente: il giornale deve tornare ad occuparsi in prima linea di tematiche scottanti, tralasciando i classici casi di routine. I nuovi investigatori chiamati in causa comporranno un gruppo chiamato “Spotlight”.


Michael Keaton e Mark Ruffalo in una scena del film
Michael Keaton e Mark Ruffalo in una scena del film



Il primo argomento a dir poco spinoso di cui Baron vuole che il giornale si occupi è quello relativo a un sacerdote che nell’arco di circa trent’anni è stato autore di una serie di atti di pedofilia nei confronti di numerosi giovani senza che contro di lui venissero presi provvedimenti esemplari. In maniera particolare, Baron è assolutamente convinto che il cardinale di Boston fosse perfettamente al corrente della grave situazione in atto, ma che abbia fatto di tutto per insabbiare le eventuali prove e per nascondere la realtà.



Grazie a questa inchiesta e all’iniziativa dei membri “Spotlight”, fu gettata luce su una quantità considerevole di abusi ai danni di minori in ambito ecclesiale.



Distribuito nelle sale cinematografiche italiane dalla Bim Distribution a partire da giovedì 18 febbraio, Il caso Spotlight (o più semplicemente Spotlight) trasporta sul grande schermo lo scandalo che travolse la diocesi di Boston tra il 2001 e il 2002, generando una presa di coscienza su una situazione di cui nessuno sospettava l’esistenza.



Il regista statunitense Thomas McCarthy (di cui ricordiamo alcuni suoi film quali L’ospite inatteso, Mosse vincenti e The Cobbler) realizza così un’opera che fa delle indagini giornalistiche il suo fulcro centrale, ma senza sfociare nella retorica e nella demagogia appartenenti al genere. Gli investigatori, infatti, non vengono tratteggiati come eroi senza macchia che combattono il crimine come dei veri paladini della giustizia, ma come persone assolutamente normali, semplici e con qualche scheletro nell’armadio.



Tra i membri del team “Spotlight”, infatti, ve ne sono alcuni che avrebbero potuto far scoppiare il caso anni prima in virtù del materiale posseduto tempo addietro, evitando in tal modo atroci ed indicibili sofferenze a tanti giovani indifesi ed ignari del pericolo incombente. Tuttavia, non è stato così. Un’omissione di colpa che non ha risparmiato neppure le alte sfere ecclesiali né le povere vittime, che per paura di ritorsioni hanno preferito percorrere la via del silenzio.



Mark Ruffalo discute con Rachel McAdams e Brian d'Arcy James negli uffici della redazione del "Boston Globe"
Mark Ruffalo discute con Rachel McAdams e Brian d’Arcy James negli uffici della redazione del “Boston Globe”



Il cast selezionato per l’occasione è di tutto rispetto. Marty Baron è interpretato da Liev Schreiber (Salt, Il fondamentalista riluttante e Creed – Nato per combattere), mentre la squadra “Spotlight” è composta da Mark Ruffalo (Michael Rezendes), un sorprendente e rinato Michael Keaton (Walter Robinson), Rachel McAdams (Sacha Pfeiffer) e da Brian d’Arcy James (Matt Carroll), con John Slattery nei panni dell’editore Ben Bradlee Jr. e Stanley Tucci in quelli dell’avvocato Mitchell Garabedian.



Il caso Spotlight quindi non funziona solamente grazie agli attori prestati al servizio, ma soprattutto perché è in grado di affermare un dato di fatto inconfutabile: la Chiesa Cattolica ha collocato nei ranghi più alti alcuni suoi esponenti di maggior spessore, creando una vera e propria gerarchia e credendo di salvare la fede di molte persone celando la perversione di alcuni suoi membri, ma così facendo ha ottenuto l’effetto contrario, consegnando all’opinione pubblica, sospettosa e semplificatrice, una certa parte di clero la cui linea di condotta è ben distante da quella predicata.



Chiudiamo questo articolo con un passo tratto dal Vangelo secondo Matteo:



Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino e fosse gettato negli abissi del mare”.

 

Steven Spielberg e Tom Hanks: la coppia vincente

Da Salvate il soldato Ryan a Prova a prendermi, da The Terminal fino ad arrivare al recente Il Ponte delle spie. Nell’ambito cinematografico il duo composto da Steven Spielberg e Tom Hanks rappresenta indubbiamente una collaborazione professionale vincente e ben assortita.

 

Prima di analizzare i passaggi più importanti della filmografia realizzata in tandem, introduciamo brevemente i protagonisti di questo articolo con le loro rispettive biografie.

 

Steven Spielberg

 

Il celebre regista statunitense nasce a Cincinnati (Ohio) il 18 dicembre 1946 da genitori ebrei. Ritenuto all’unanimità uno dei cineasti più influenti di sempre, Steven Allan Spielberg agli albori della carriera fu un membro dei cosiddetti “movie brats”, una corrente artistica che contribuì fortemente alla nascita della Nuova Hollywood targata anni ’70, in compagnia dei colleghi ed amici Francis Ford Coppola, Martin Scorsese, Brian De Palma e George Lucas. Spielberg vinse due premi Oscar come miglior regista per il capolavoro Schindler’s List del 1993 e per il famoso Salvate il soldato Ryan del 1998 con protagonista Tom Hanks. Sempre nel 1993 conseguì il Leone d’oro alla carriera alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, mentre nel 1987 si aggiudicò il Premio alla memoria Irving G. Thalberg. Infine, fondò, insieme a Jeffrey Katzenberg e David Geffen, la Amblin Entertainment e la DreamWorks.

 

Tom Hanks

 

Il noto attore americano Thomas Jeffrey Hanks nasce a Concord (California) il 9 luglio del 1956. La fase embrionale della sua carriera prende forma a partire dagli anni ’80 in occasione della serie tv Henry e Kip (Bosom Buddies), grazie alla quale iniziò a farsi a conoscere. Da quel momento in poi, Hanks recitò in numerosi film, riscuotendo un enorme successo sia di pubblico sia di critica. Egli può vantare 5 nomination agli Oscar, vincendone due consecutivamente come miglior attore per Philadelphia del 1994 e Forrest Gump del 1995.

 

Le pellicole

Il primo film diretto da Steven Spielberg con protagonista Tom Hanks (nelle vesti del capitano John Miller) è Salvate il soldato Ryan (1998).

 

Tom Hanks ( capitano John Miller ) in Salvate il soldato Ryan (1998)

 

La storia è incentrata sullo sbarco in Normandia del 6 giugno 1944. I primi 24 minuti dell’opera sono stati quelli più apprezzati dalla critica e dal pubblico in sala. In questa fetta di tempo il regista inscena in maniera diretta e senza fronzoli lo sbarco degli alleati sulle coste della Normandia, abbandonando l’enfatizzazione patriottica e l’esaltazione eroica dei precedenti lavori su questo tema. Salvate il soldato Ryan è stato co-prodotto da Spielberg ed Hanks e costò ben 120 milioni di dollari. Presentato fuori concorso al Festival di Venezia, la pellicola ricevette 11 nomination all’Oscar, aggiudicandosene 5: miglior regia, fotografia, montaggio, sonoro ed effetti sonori.

 

Il secondo film frutto della coppia Spielberg-Hanks fu Prova a prendermi del 2002.

 

Prova a prendermi, 2002

 

L’opera narra le vicende di Frank Abagnale Jr., un truffatore che si spacciò pilota d’aereo, medico ed avvocato pur di poter vivere. Il personaggio è interpretato da Leonardo Di Caprio, mentre il ruolo dell’agente dell’FBI Carl Hanratty viene ricoperto da Tom Hanks, un esperto in frodi bancarie che farà di tutto pur di catturare il suo antagonista. La pellicola incassò ai botteghini la bellezza di 164 milioni di dollari e l’attore Christopher Walken (nei panni del padre di Frank) ottenne la nomination per l’Oscar come miglior attore non protagonista.

 

Nel 2004, invece, è la volta di The Terminal, con l’affascinante Catherine Zeta-Jones protagonista femminile.

 

The Terminal, 2004

 

In questo caso Tom Hanks è Viktor Navorski, personaggio ispirato alla storia del rifugiato iraniano Mehran Nasseri, il quale, nel 1988, visse per un certo periodo bloccato all’interno del terminal 1 dell’aeroporto di Parigi Charles de Gaulle. Tuttavia non mancano le modifiche: Spielberg, infatti, ambienta la vicenda a New York ed Hanks Navorski diventa un cittadino dell’Europa Orientale. Presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, fu girato in soli tre mesi.

 

Piccola curiosità. Nel 2009 Spielberg ed Hanks produssero la miniserie The Pacific. Basata sulle guerre del Pacifico, vede come protagonisti tre marines rimasti bloccati nel suddetto Oceano.

 

Il Ponte delle Spie

 

L’ultimo lavoro frutto della collaborazione tra Steven Spielberg e Tom Hanks è Il Ponte delle Spie, un serrato e teso spy-movie uscito ad ottobre 2015 che può vantare ben 6 candidature all’Oscar.

 

Il film è ambientato a Brooklyn nel 1957 e racconta la storia di Rudolf Abel, un pittore arrestato con l’accusa di essere una spia sovietica. Il clima ostile derivante dalla guerra fredda fra America ed Unione Sovietica non fa sconti a nessuno e l’uomo viene etichettato come un terribile nemico da condannare. Ma la democrazia esige che venga processato per ribadire i principi costituzionali americani. L’incarico della sua difesa viene affidato all’avvocato James B. Donovan, che fino a quel momento si era occupato di assicurazioni. Attirandosi lo scontento della moglie Mary, del giudice e dell’intera opinione pubblica, Donovan prende a cuore la causa. Nel frattempo però un aereo spia americano viene abbattuto dai militari sovietici e il tenente Francis Gary Powers viene fatto prigioniero in Russia. Ecco che all’orizzonte s’intravede la possibilità di effettuare uno scambio e sarà proprio Donovan, incaricato dalla CIA, a gestire la delicata trattativa di negoziazione.

 

Distribuito nelle sale cinematografiche italiane dalla 20th Century Fox, Il ponte delle spie è un film thriller in cui le premesse narrative alla Hitchcock cedono progressivamente il posto ad uno sviluppo sempre più letterario. Lo svolgimento tematico, infatti, assume un carattere leggendario e il presente risulta quanto mai oscuro (emblematica in questo senso l’immagine tombale di Berlino).

 

Tom Hanks si trova perfettamente a suo agio nei panni dell’avvocato James B. Donovan. Sotto il suo cappotto e il suo ombrello (spesso sotto una pioggia battente) egli non incarna la giustizia, egli è giusto. Un uomo che onora il suo lavoro, ma che non vuole sapere veramente se il suo assistito è colpevole o innocente. A Donovan pare incredibile che il suo cliente Rudolf Abel (interpretato dall’attore inglese Mark Rylance, noto per pellicole quali Blitz, Anonymous e The Gunman, in uscita nel 2016 con Il gigante gentile, con la regia nuovamente affidata a Steven Spielberg) si disinteressi completamente circa il suo destino. Ma questo fa parte del suo mestiere. Alla fine a lui non importa tutto ciò, l’unica cosa che conta è cercare di assolvere la propria funzione, salvare la vita di una persona, a prescindere dal tipo di uomo che bisogna difendere. È proprio in quest’ottica che Donovan non reputa Abel come una spia sovietica o una minaccia, ma semplicemente come una persona che necessita del suo aiuto e della sua difesa. Nel corso dei giorni egli lo considererà come una sorta d’amico, individuando in lui un colore ed una profondità.

 

Una delle scene più significative è quella iniziale, dove Abel è intento a dipingere il suo autoritratto tramite l’utilizzo di uno specchio. L’immagine riflessa e quella impressa sulla tela riguardano la stessa persona, ma sono comunque differenti: la prima ritrae un’oggettività superficiale, mentre la seconda è il prodotto dello scorrere del tempo e dei pensieri che si sono susseguiti nelle ore dell’operazione, lasciando la traccia del suo autore. Il valore semantico intrinseco di questa scena è riassumibile nella frase pronunciata da Donovan al tenente Powers:

Non conta quello che di te penseranno gli altri, ma quello che sai tu”.

 

Per tutti questi motivi, Il ponte delle spie è un film straordinariamente attuale. In una società in cui regnano sovrani i sospetti, le intercettazioni e le false ed affrettate identificazioni di una persona col suo credo, il suo costume o la sua provenienza, l’opera di Steven Spielberg farà riflettere non poco il pubblico presente in sala.

 

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