Perso un altro simbolo del Made in Italy. Identità e cultura addio
La fine del Panno del Casentino: un’altra eccellenza che muore nell’indifferenza
C’è qualcosa di profondamente doloroso, oltre che sbagliato, in un paese che lascia morire la propria storia. E oggi quella storia ha un colore preciso: l’arancione inconfondibile del panno del Casentino, quel tessuto di lana che ha vestito Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany“, i cavalli delle scuderie reali dei Savoia, le creazioni di grandi stilisti come Roberto Capucci e Givenchy.
La Manifattura del Casentino ha chiuso. Definitivamente. La Cgil lo ha annunciato in questi giorni: tredici lavoratori licenziati, le macchine ferme, la corrente elettrica staccata. Fine. Una liquidazione che suona come una condanna a morte per un pezzo di Made in Italy che il mondo ci invidiava.
Un’agonia annunciata
“Le abbiamo tentate tutte“, spiega Alessandro Mugnai della Filctem Cgil. Dal luglio 2022 il sindacato aveva lanciato l’allarme, cercato soluzioni, coinvolto istituzioni. Nel 2023 era stato organizzato persino un convegno per proporre il riconoscimento del panno come prodotto DOP, un patrimonio artistico, storico e culturale da tutelare. Promesse, tanta eco mediatica, qualche tentativo. Poi il nulla.
Il problema? Niente più commesse. La crisi del settore moda, gli scenari geopolitici, l’incapacità di fare sistema tra imprese. L’azienda, che lavorava come contoterzista, è stata spazzata via dalle oscillazioni del mercato. Gli amministratori Roberto Malossi e Andrea Fastoni hanno resistito fino all’ultimo: “Abbiamo tenuto duro fino a giugno, con un fatturato ridotto a 300mila euro. Poi la cassa integrazione, i tentativi di cessione che non si sono concretizzati. Non restava che la liquidazione“.

L’eccellenza che nessuno vuole salvare
Questa è la storia di un tessuto che gli abitanti di Stia pagavano come tributo ai Medici. Di una lavorazione centenaria, unica al mondo, fatta con macchinari che non esistono più da nessuna parte. Di un’identità territoriale che si cancella con un tratto di penna.
Tredici famiglie senza lavoro. Cento famiglie coinvolte se consideriamo l’indotto. Un’intera valle che perde un pezzo della sua economia e della sua anima. E il Casentino, e con lui l’Italia intera, che perdono un prodotto d’eccellenza riconosciuto in tutto il mondo.
“Siamo di fronte all’incapacità di fare sistema“, ammonisce il segretario provinciale Cgil Alessandro Tracchi. “Alla mancanza di una strategia di lungo periodo, all’ennesimo smantellamento del patrimonio industriale nazionale“.
Se non ora, quando?
È facile parlare di Made in Italy quando conviene. Quando si tratta di vendere l’immagine dell’Italia all’estero, di attirare turisti, di riempirsi la bocca con le nostre eccellenze. Ma poi, quando queste eccellenze hanno bisogno di essere difese, protette, rilanciate? Dove sono gli investitori? Dove sono i grandi marchi della moda italiana che su quei tessuti hanno costruito imperi? Dove sono le istituzioni?
L’azienda ha dato un ultimatum: trenta giorni prima di smontare definitivamente le macchine. Trenta giorni per trovare qualcuno disposto a credere che il panno del Casentino meriti di continuare a esistere. Gli amministratori sperano ancora nell’interesse di investitori pronti a salvare posti di lavoro e rilanciare il prodotto sui mercati internazionali.
Ma se non ci muoviamo ora, sarà troppo tardi. Non solo per questi tredici lavoratori. Non solo per il Casentino. Ma per tutti i piccoli artigiani, le manifatture storiche, le botteghe che custodiscono saperi antichi e che, una dopo l’altra, stanno tirando giù le saracinesche.
È ora di fare qualcosa. Chi ha la possibilità, chi ha i mezzi, chi ha la visione: si faccia avanti. Perché un paese che non sa difendere la propria eccellenza è un paese che ha scelto di non avere futuro. E noi italiani, un futuro, ce lo meritiamo ancora.



