THE FRAGILE ALLURE OF LUXURY
L’illusione dell’esclusività: se il lusso è per tutti, è meno desiderabile?
“Il ne faut pas toucher aux idoles: la dorure en reste aux mains.” – Flaubert
Parte integrante del concetto di lusso è l’esclusività. In un mercato fatto di rituali, stanze chiuse, waiting list, per secoli il lusso è stato un piccolo mondo esclusivo, accessibile solo a quella cerchia ristretta di persone che poteva permetterselo. Oggi questo modello sta cambiando, il lusso si compra con (relativa) facilità, e il rituale si dissolve. Da simbolo di appartenenza a bene reperibile online, il mondo del lusso sembra essersi aperto a tutti, con i rischi che ne conseguono.
La crescita esplosiva del mercato pre-loved gioca su queste ambiguità; piattaforme come Vestiaire Collective, per citarne una, rendono i prodotti più accessibili e offrono una promessa di autenticità; ma introducono anche un nuovo mondo di incertezze. Chi si avventura nel second-hand, nel vintage, si trova (o dovrebbe trovarsi) a interrogarsi sulla storia del pezzo, sulla sua autenticità, e infine sulla propria appartenenza a quel mondo che il lusso rappresenta.
Chi garantisce che questi prodotti, non acquistati in boutique, siano autentici? Come distinguere un oggetto del desiderio che porta con sé heritage e savoir faire, rispetto a una replica pressoché perfetta, ma prodotta in uno sweatshop qualsiasi?
Possedere qualcosa di vero, di selezionato, diventa quindi una questione quasi identitaria.
L’esperienza in boutique: un valore impagabile
Quando acquistiamo un bene di lusso, non stiamo pagando solo il valore intrinseco dell’oggetto in sé, per quanto realizzato con materiali più o meno ricercati, stiamo in realtà pagando l’accesso a un “club esclusivo”, l’heritage del brand, il savoir faire dei designer e degli artigiani che lo hanno prodotto. Stiamo valorizzando l’esperienza in negozio, paghiamo il trattamento che ci riservano i consulenti, il packaging in cui confezionano, e quel brivido di appartenenza che proviamo uscendo dalla porta con il nostro ultimo acquisto.
Ma dove finisce tutto questo valore intangibile, eppure così importante, nel momento in cui acquistiamo second-hand, o ancora, ci rivolgiamo consapevolmente al mercato delle repliche? Ha senso acquistare un bene di lusso, nel momento in cui ci priviamo dell’esperienza dell’acquisto, che ci fa sentire speciali proprio perché così esclusivo?
Autenticità come ancora di valore
Nel lusso il settore dell’autenticazione si fa imprescindibile. Ne parliamo con Nikita Chen, Founder & CEO di LegitGrails, che opera nel campo dell’autenticazione di articoli di lusso.
“Con il rapido aumento delle vendite di lusso di seconda mano, il settore dell’autenticazione sta evolvendo, e la tecnologia da sola non è sufficiente a garantire l’autenticità. Sebbene l’IA e il machine learning siano centrali nei nostri processi, la vera forza del servizio risiede nell’esperienza degli esperti. Le repliche sono diventate straordinariamente sofisticate, per questo è necessario adottare un approccio ibrido: il nostro team supportato da strumenti di IA avanzati e sempre aggiornati, rispondono alla forte domanda di autenticità nel mercato della rivendita di lusso.”


Rischi e riflessioni per chi compra pre-loved
Cosa dice di noi l’aver acquistato un falso, al di là della perdita in termini economici? La nostra esperienza ne risente? O tutto sommato quello che importa è possedere un simbolo più o meno perfetto secondo una filosofia del “fake it, until you make it”?
Chi sceglie di acquistare sul mercato pre-loved non si trova di fronte ad oggetti con una storia, ma ad un universo di possibili rischi. È un gioco con molte regole non scritte. La prima, imprescindibile, è quella di affidarsi a piattaforme o negozi certificati e rivolgersi, se in dubbio, a professionisti dell’autenticazione. Ogni dettaglio conta: la provenienza di un oggetto, oltre che la plausibilità del prezzo, sono indicatori importanti, così come la documentazione e le certificazioni che vengono fornite.
Verrebbe da pensare che modelli e brand molto popolari potrebbero essere più facili da riconoscere e autenticare, ma non è sempre così: il mercato del contraffatto tende spesso a replicare prodotti e marchi di maggior successo e con un minor margine di errore. Margine così basso che la qualità dei “superfalsi” si potrebbe paragonare a quella degli originali; talvolta gli stessi marchi del lusso non possono escludere che siano i propri produttori in Cina a rivendere ai non autorizzati.
La maggior parte dei produttori di borse contraffatte ha sede a Canton, a nord di Hong Kong, dove tecnologie e manodopera hanno costi bassi e ritmi isterici, velocissimi, frutto di accurata ricerca sui materiali e sui modelli originali.
Nel 2021, LVMH, Prada e Cartier hanno collaborato per creare l’Aura Blockchain Consortium, una piattaforma di blockchain privata progettata per garantire la tracciabilità e l’autenticità dei loro prodotti. Attraverso la blockchain, l’iniziativa consente ai clienti di verificare l’originalità di un prodotto in modo rapido e affidabile. Ogni articolo registrato ottiene un “passaporto digitale” che documenta ogni fase della produzione, dall’origine delle materie prime fino all’acquisto, offrendo trasparenza completa nella filiera produttiva. Tuttavia queste nuove tecnologie non risolvono il problema del second-hand (non ancora), dal momento che vengono applicate solo ai prodotti più recenti.
In definitiva, l’autenticazione non è più un semplice atto di verifica: diventa il ponte tra chi vuole possedere un’icona e la verità di quel possesso. La competenza qui è essenziale, il margine di errore inesistente. La ciliegina sulla torta di un processo altrimenti monco, già privato dell’ebbrezza dell’esperienza in boutique, compensata da un certificato di autenticità che ci rassicura che sì, possiamo accedere a questo club.