Anteprima: il cantiere come manifesto estetico

Alla Milano Fashion Week Anteprima ha scelto di non offrire semplicemente una passerella, ma di mettere in scena un’idea: Echi di transitorietà. Dalla fragilità, costruiamo. Dalla decadenza, creiamo, un cantiere come spazio concettuale, luogo sospeso tra costruzione e rovina, fragilità e rinascita.

Il brand diretto da Izumi Ogino ha infatti trasformato la sfilata in un laboratorio a cielo aperto. Impalcature, ghiaia, pozze d’acqua: elementi che solitamente appartengono alla quotidianità urbana diventano qui scenografia e, soprattutto, dichiarazione.

La collezione non è mai soltanto vetrina di abiti, ma processo. Tutto racconta una moda che non teme di mostrarsi mentre si fa, anziché presentarsi solo nel suo stato finito. È un linguaggio che svela l’ossatura, l’intreccio, la costruzione. 

In questa cornice si inserisce anche la collaborazione con Takahiro Iwasaki, scultore giapponese che lavora sul concetto di miniatura e di precarietà. Le sue opere, fatte di fili sottilissimi e materiali apparentemente effimeri, evocano un equilibrio fragile, mai definitivo

Anteprima riprende questa cifra poetica e la traduce nei capi: ricami che sembrano sospesi, silhouette leggere che paiono pronte a dissolversi e, al tempo stesso, strutture più solide che danno l’impressione di sorreggere qualcosa di infinitamente delicato.

La palette cromatica è pensata come un paesaggio in trasformazione. Toni terrosi, verdi salvia e ocra costruiscono una base naturale, su cui si innestano lampi di colori più accesi — rosa polveroso, blu intenso, fino all’arancio vivo, che appare come traccia di vitalità umana dentro la materia industriale del set. È un gioco di contrasti in cui il colore non serve a decorare, ma a sottolineare il ritmo della collezione: costruzione, erosione, rinascita.

Ciò che colpisce è l’atmosfera: non c’è nulla di rassicurante o accomodante. Lo spettatore si muove in un paesaggio che sembra instabile, dove il confine tra finito e provvisorio è sottile. Ed è proprio in questo spazio che Anteprima afferma la propria visione. La moda, sembra dirci, non è una fotografia da conservare ma un movimento in divenire, come un edificio che prende forma sotto gli occhi di chi guarda.

C’è anche una riflessione ecologica: fibre riciclate, materiali rigenerati, scelte progettuali che puntano alla riduzione degli sprechi. Un’estetica che incorpora la sostenibilità come parte integrante del proprio linguaggio. Mostrare cuciture, fili, margini non è solo gesto stilistico: è anche un modo per rivendicare la trasparenza di un processo produttivo che vuole mostrarsi, non nascondersi.

Se la moda spesso costruisce illusioni, Anteprima sceglie invece di smontarle e di mostrarne i meccanismi. Ma non con brutalità: piuttosto con una grazia intellettuale, un’eleganza concettuale che rende anche un’impalcatura un oggetto estetico. È un atto di pura sottrazione.

Il risultato è una collezione che dialoga con l’arte, con l’architettura e con la vita quotidiana. Non è una moda che cerca l’applauso immediato, ma che chiede di essere letta e interpretata. In questo senso, Anteprima si conferma come un brand capace di usare la Fashion Week come spazio di riflessione culturale.

Il “cantiere” di Anteprima non è solo un set temporaneo: è un manifesto. Una dichiarazione che ricorda come la moda, per essere davvero contemporanea, debba avere il coraggio di restare incompleta, di sporcarsi le mani, di vivere nell’istante in cui qualcosa nasce.

Pin-Up Stars: “Holiday Everyday”, con ambizioni urbane

Alla Milano Fashion Week non è mancato lo show che ci ricorda perché la moda, a volte, può essere pura evasione. Pin-Up Stars ha portato in passerella un “vivere come se ogni giorno fosse un giorno di vacanza”, non la solita retorica da resort, ma una dichiarazione d’intenti precisa: trasformare il concetto di holiday in un lifestyle.

Pin-Up Stars, nato e cresciuto nel mondo del beachwear, non si accontenta più della definizione riduttiva di “brand di costumi”. La nuova collezione punta a un guardaroba che copre ogni momento della giornata: dall’acqua salata al cemento urbano. Gli abiti scorrono leggeri come veli, diventano capi da cocktail, gli accessori oscillano tra sensualità e praticità. È un ampliamento di frontiera che non rinnega il DNA, ma lo espande con consapevolezza.

La sfilata ha avuto così il tono di una festa studiata nei minimi dettagli. In passerella si sono viste modelle di generazioni e fisicità differenti, scelta che parla di un’idea di bellezza meno normativa e più spontanea. L’atmosfera era giocosa, lontana dalle passerelle-parata: corpi liberi, sorrisi aperti, energia reale. Perfino l’ospitata di Fabrizio Corona ha aggiunto quella dose di rumore che non passa inosservata, spostando l’attenzione sulla spontaneità come linguaggio stesso del brand.

Esteticamente, Pin-Up Stars resta fedele al suo DNA, ma con qualche deviazione sulla couture. Cristalli si intrecciano a catene dorate, le stampe naturali incontrano trasparenze su tulle e ricami a contrasto. Non mancano i dettagli più audaci — nodi artigianali, applicazioni gioiello, pattern grafici — che spostano il beachwear in territori molto meno prevedibili. È come se il brand avesse deciso di portare il costume da bagno in prima fila, e non più relegarlo a lato piscina.

La palette cromatica parla la lingua della sabbia e del tramonto: beige caldi, marroni intensi, verdi vellutati. Ma non sarebbe Pin-Up Stars senza il colpo di teatro: tocchi d’oro sparsi ovunque, come se la collezione volesse riflettere la luce artificiale della passerella tanto quanto quella naturale del sole. Il messaggio è chiaro: l’idea di vacanza non appartiene a un luogo, ma a uno stato mentale che si può indossare.

Alla fine, Pin-Up Stars non ha proposto una semplice collezione. Ha trasformato la moda in viaggio, la passerella in vacanza. L’estetica resta spregiudicata, ma la traiettoria è chiara: conquistare la città senza perdere il profumo del mare.

Barbara Rizzi SS26 – Maktub: un’estetica che scrive il destino

Barbara Rizzi | Collezione Primavera-Estate 2026 MAKTUB

Barbara Rizzi costruisce la sua Primavera-Estate 2026, che ha sfilato Sabato 27 Settembre nella cornice del Castello Sofrzesco, come un percorso concettuale intitolato Maktub, parola araba che significa “tutto è scritto”. Non si tratta di un semplice titolo, ma di una dichiarazione estetica e filosofica: il destino come trama invisibile che guida trasformazioni e scelte, in un equilibrio costante tra inevitabilità e libertà. Il riferimento al romanzo L’Alchimista di Coelho sottolinea il legame con la dimensione narrativa e simbolica, ma qui Rizzi traspone quella tensione nel linguaggio della moda.

La sfilata è articolata sui quattro elementi primordiali – Terra, Acqua, Fuoco, Aria – a cui la designer affianca un quinto, volutamente personale e anticonvenzionale: la Libertà. Quest’ultima non viene evocata come concetto astratto, ma come gesto creativo, come possibilità di rileggere il reale attraverso la lente della “pazzia” – intesa come scintilla di coraggio e visione. È in questa idea di libertà che si concentra la cifra di Barbara Rizzi, capace di far dialogare un’estetica potente e magnetica con un pensiero che si muove oltre le convenzioni.

La materia è il veicolo di questo racconto: broccato e seta con la loro gravitas evocano rituali antichi e un’eco quasi esoterica; chiffon e organza si muovono nell’aria come fumo o spiriti leggeri; crêpe e cady costruiscono silhouette che oscillano tra scultura e movimento, trasformando il corpo in un’armatura fluida, mai rigida. La palette cromatica non è un mero esercizio di stile, ma un codice simbolico: argento lunare e bianco come visioni chiaroveggenti, oro come sacralità, marrone e sabbia come radicamento, verde mare come profondità, rosso come passione e forza femminile, nero come protezione e mistero.

In passerella prende vita una donna che non subisce la collezione, ma la interpreta: magnetica, consapevole, sicura di sé, in grado di accogliere la “follia” come cifra della propria autenticità. Maktub diventa allora non solo un atto di moda, ma un statement culturale: un’ode all’empowerment, un invito a riconoscere nella forza creativa la possibilità di riscrivere le regole.

Con questa collezione, Barbara Rizzi consolida la sua posizione come autrice di un linguaggio stilistico che non teme di fondere materia e spirito, estetica e filosofia, costruendo un’estetica che diventa manifesto di un destino scelto e interpretato con audacia.



“L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare”. Giorgio Armani

L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare. Giorgio Armani.

Giorgio Armani (1934–2025) non è stato solo un nome, né soltanto un marchio: è stato l’uomo che ha cambiato per sempre il concetto di eleganza italiana, trasformandolo da ornamento a linguaggio. Ha riscritto le regole della moda e dello stile, non come enfant terrible, ma con il rigore e la discrezione che lo hanno sempre contraddistinto.

Nato a Piacenza, Armani iniziò lontano dalla moda, studiando medicina e poi lavorando come vetrinista alla Rinascente. Lì scoprì il potere delle immagini e del gusto, e soprattutto la capacità di osservare ciò che rende un abito desiderabile e al contempo funzionale. L’incontro con Sergio Galeotti – architetto e stilista scomparso nel 1985 – fu decisivo: nel 1975 fondarono Giorgio Armani S.p.A. e da quel momento la moda non fu più la stessa.

Armani prese la giacca maschile e la liberò dalla rigidità, la destrutturò, la rese fluida e naturale per le forme femminili. Inventò un modo nuovo di vestire, che non imponeva al corpo di adattarsi all’abito, ma al contrario modellava l’abito sul corpo e sul movimento. Portò in passerella i toni del grigio, del beige, del blu profondo, facendo del colore neutro un codice di stile. Hollywood lo consacrerà poi con American Gigolo nel 1980: Richard Gere in Armani divenne l’emblema di un maschile sofisticato, sicuro, globale. Ma il suo impatto non si fermò lì: vestì le donne che volevano essere protagoniste e non comparse, trasformando il tailleur in un’armatura che dava forza e sicurezza, il perfetto dress code milanese.

Un impatto tale da sfidare anche le geografie della moda: in un’epoca in cui Parigi dettava legge e Milano era considerata periferica, fu tra i primi a credere che l’Italia potesse diventare il nuovo caput mundi della moda. Nel 1976 – solo un anno dopo aver fondato la sua maisondecise di presentare le sue collezioni a Milano, sfidando apertamente le logiche consolidate e contribuendo a trasformare la città nella capitale internazionale del prêt-à-porter. Quel gesto, allora radicale, ha spostato l’asse della moda mondiale: non più un dominio esclusivo francese, ma un terreno condiviso in cui l’Italia poteva dettare stile, visione e industria.

Ma il suo impero andò ben oltre i confini della moda: Emporio Armani, Armani Exchange, Armani Privé, gli accessori, i profumi, l’arredamento, i ristoranti, gli hotel. Tutto portava la stessa impronta, quella di un’estetica rigorosa, misurata, riconoscibile. Non si limitò a firmare abiti: firmò un modo di vivere, molto prima che il lifestyle fosse di moda. Rimase sempre alla guida del suo regno, direttore creativo e unico azionista, senza mai cedere a compromessi, difendendo fino all’ultimo la sua indipendenza.

Nel 2016 creò la Fondazione Giorgio Armani, con l’obiettivo di custodire e trasmettere il suo patrimonio culturale e creativo. Non un monumento statico, ma uno strumento vivo per garantire che il suo messaggio attraversasse il tempo: che l’eleganza fosse ricordata non come apparenza, ma come disciplina, misura, coerenza. La Fondazione è la testimonianza della sua visione di lungo periodo, della volontà di restituire alla collettività un pensiero e non solo un’estetica.

Armani ha insegnato che l’eleganza non è eccesso, non è fragranza passeggera. È rigore, silenzio, sobrietà. Ha trasformato il “less is more” in un atto politico e culturale, opponendosi al rumore della moda con la forza di una voce calma. Ha reso la moda italiana sinonimo di modernità e credibilità, portandola nel mondo senza tradirne l’anima.

Ora che se n’è andato, resta il suo lascito: un’idea di stile che non passa, una lezione che continua a guidare chiunque creda che l’eleganza non sia mai un atto di ostentazione, ma un gesto di appartenenza.

Il re è morto. Evviva il re.

The fragile allure of luxury

THE FRAGILE ALLURE OF LUXURY

L’illusione dell’esclusività: se il lusso è per tutti, è meno desiderabile?

Il ne faut pas toucher aux idoles: la dorure en reste aux mains.” – Flaubert

Parte integrante del concetto di lusso è l’esclusività. In un mercato fatto di rituali, stanze chiuse, waiting list, per secoli il lusso è stato un piccolo mondo esclusivo, accessibile solo a quella cerchia ristretta di persone che poteva permetterselo. Oggi questo modello sta cambiando, il lusso si compra con (relativa) facilità, e il rituale si dissolve. Da simbolo di appartenenza a bene reperibile online, il mondo del lusso sembra essersi aperto a tutti, con i rischi che ne conseguono.

La crescita esplosiva del mercato pre-loved gioca su queste ambiguità; piattaforme come Vestiaire Collective, per citarne una, rendono i prodotti più accessibili e offrono una promessa di autenticità; ma introducono anche un nuovo mondo di incertezze. Chi si avventura nel second-hand, nel vintage, si trova (o dovrebbe trovarsi) a interrogarsi sulla storia del pezzo, sulla sua autenticità, e infine sulla propria appartenenza a quel mondo che il lusso rappresenta.

Chi garantisce che questi prodotti, non acquistati in boutique, siano autentici? Come distinguere un oggetto del desiderio che porta con sé heritage e savoir faire, rispetto a una replica pressoché perfetta, ma prodotta in uno sweatshop qualsiasi?
Possedere qualcosa di vero, di selezionato, diventa quindi una questione quasi identitaria.


L’esperienza in boutique: un valore impagabile

Quando acquistiamo un bene di lusso, non stiamo pagando solo il valore intrinseco dell’oggetto in sé, per quanto realizzato con materiali più o meno ricercati, stiamo in realtà pagando l’accesso a unclub esclusivo”, l’heritage del brand, il savoir faire dei designer e degli artigiani che lo hanno prodotto. Stiamo valorizzando l’esperienza in negozio, paghiamo il trattamento che ci riservano i consulenti, il packaging in cui confezionano, e quel brivido di appartenenza che proviamo uscendo dalla porta con il nostro ultimo acquisto.

Ma dove finisce tutto questo valore intangibile, eppure così importante, nel momento in cui acquistiamo second-hand, o ancora, ci rivolgiamo consapevolmente al mercato delle repliche? Ha senso acquistare un bene di lusso, nel momento in cui ci priviamo dell’esperienza dell’acquisto, che ci fa sentire speciali proprio perché così esclusivo?

Autenticità come ancora di valore

Nel lusso il settore dell’autenticazione si fa imprescindibile. Ne parliamo con Nikita Chen, Founder & CEO di LegitGrails, che opera nel campo dell’autenticazione di articoli di lusso.

Con il rapido aumento delle vendite di lusso di seconda mano, il settore dell’autenticazione sta evolvendo, e la tecnologia da sola non è sufficiente a garantire l’autenticità. Sebbene l’IA e il machine learning siano centrali nei nostri processi, la vera forza del servizio risiede nell’esperienza degli esperti. Le repliche sono diventate straordinariamente sofisticate, per questo è necessario adottare un approccio ibrido: il nostro team supportato da strumenti di IA avanzati e sempre aggiornati, rispondono alla forte domanda di autenticità nel mercato della rivendita di lusso.”


Rischi e riflessioni per chi compra pre-loved

Cosa dice di noi l’aver acquistato un falso, al di là della perdita in termini economici? La nostra esperienza ne risente? O tutto sommato quello che importa è possedere un simbolo più o meno perfetto secondo una filosofia del “fake it, until you make it”?

Chi sceglie di acquistare sul mercato pre-loved non si trova di fronte ad oggetti con una storia, ma ad un universo di possibili rischi. È un gioco con molte regole non scritte. La prima, imprescindibile, è quella di affidarsi a piattaforme o negozi certificati e rivolgersi, se in dubbio, a professionisti dell’autenticazione. Ogni dettaglio conta: la provenienza di un oggetto, oltre che la plausibilità del prezzo, sono indicatori importanti, così come la documentazione e le certificazioni che vengono fornite.

Verrebbe da pensare che modelli e brand molto popolari potrebbero essere più facili da riconoscere e autenticare, ma non è sempre così: il mercato del contraffatto tende spesso a replicare prodotti e marchi di maggior successo e con un minor margine di errore. Margine così basso che la qualità dei “superfalsi” si potrebbe paragonare a quella degli originali; talvolta gli stessi marchi del lusso non possono escludere che siano i propri produttori in Cina a rivendere ai non autorizzati.

La maggior parte dei produttori di borse contraffatte ha sede a Canton, a nord di Hong Kong, dove tecnologie e manodopera hanno costi bassi e ritmi isterici, velocissimi, frutto di accurata ricerca sui materiali e sui modelli originali.

Nel 2021, LVMH, Prada e Cartier hanno collaborato per creare l’Aura Blockchain Consortium, una piattaforma di blockchain privata progettata per garantire la tracciabilità e l’autenticità dei loro prodotti. Attraverso la blockchain, l’iniziativa consente ai clienti di verificare l’originalità di un prodotto in modo rapido e affidabile. Ogni articolo registrato ottiene un “passaporto digitale” che documenta ogni fase della produzione, dall’origine delle materie prime fino all’acquisto, offrendo trasparenza completa nella filiera produttiva. Tuttavia queste nuove tecnologie non risolvono il problema del second-hand (non ancora), dal momento che vengono applicate solo ai prodotti più recenti.

In definitiva, l’autenticazione non è più un semplice atto di verifica: diventa il ponte tra chi vuole possedere un’icona e la verità di quel possesso. La competenza qui è essenziale, il margine di errore inesistente. La ciliegina sulla torta di un processo altrimenti monco, già privato dell’ebbrezza dell’esperienza in boutique, compensata da un certificato di autenticità che ci rassicura che sì, possiamo accedere a questo club.

Kris Beauty & Cosmetics: la skincare minimal che guarda al futuro

Kris Beauty & Cosmetics: la skincare minimal che guarda al futuro

C’è un nuovo brand nella costellazione della dermocosmesi Made in Italy, e arriva dritta da Venezia: ma Kris Beauty & Cosmetics è molto più di un brand. È un invito a rallentare, ad ascoltarsi, a prendersi cura della propria pelle come gesto d’amore.

Dietro il progetto ci sono Kristjan e Kristina che, uniti da un sogno condiviso, hanno dato vita a una linea essenziale di skincare pensata per uomini e donne, giovani e meno giovani, che desiderano una routine efficace ma senza fronzoli, sensoriale ma concreta. Una skincare che parla a chi cerca bellezza, ma anche equilibrio.

La linea debutta con cinque prodotti: una crema idratante e anti-age con estratto di caviale e attivi preziosi, due sieri (uno all’acido ialuronico al 15%, l’altro con vitamina C al 10%), un tonico rivitalizzante illuminante e un latte detergente delicato arricchito con gelso nero – omaggio alle origini familiari e alla natura.

Ogni formulazione è dermatologicamente testata, vegan e cruelty free. Le texture sono piacevoli, i principi attivi concentrati, e ogni gesto – dalla detersione alla crema – si trasforma in un piccolo rituale di benessere, avvicinando la beauty routine a un’esperienza olistica quasi da SPA.

Ma c’è di più. Kris Beauty & Cosmetics è anche un manifesto di valori. Inclusività, sostenibilità, ascolto delle esigenze reali e autenticità diventano il cuore pulsante del brand. La filosofia “Love the skin you’re in” non è solo uno slogan: è un modo di stare al mondo, di riconoscere la propria pelle – in ogni età, condizione e forma – come territorio da valorizzare, non da correggere.

Così, tra un packaging eco-friendly e una formula clean, Kris segna un ritorno all’essenziale come forma di lusso moderno. Una skincare nata dal territorio ma con lo sguardo aperto al mondo.

Perché prendersi cura della pelle, in fondo, è solo il primo passo per prendersi cura di sé. E Kris Beauty & Cosmetics ce lo ricorda con una linea tutta italiana.

Franco Moschino: l’eredità di un genio iconoclasta

Franco Moschino: l’eredità di un genio iconoclasta

Entrare nella mostra FRANCO MOSCHINO. IL GENIO VISIONARIO è come varcare la soglia di un universo parallelo, dove la moda incontra l’arte, la provocazione si fonde con l’eleganza, e ogni dettaglio trasmette indipendenza creativa. 

In occasione del 30° anniversario dalla scomparsa di Franco Moschino, l’Art Directors Club Italiano offre un tributo che è tutto fuorché convenzionale: una celebrazione della sua audacia, della sua ironia e della sua capacità di (ri)trasformare il mondo della moda in una tela da ridisegnare.

La mostra, che ha inaugurato il 22 novembre presso la MyOwnGallery di Superstudio a Milano, non è una semplice esposizione ma un’esperienza immersiva. L’obiettivo è chiaro: ricordare il designer che ha osato deridere la moda, i suoi dogmi e persino se stesso, con un’ironia che ancora oggi fa scuola.

Uno sguardo attraverso l’obiettivo di Stefano Pandini

Curata da Giuseppe Mastromatteo e Pierpaolo Pitacco, la mostra trova il suo cuore pulsante nelle fotografie di Stefano Pandini, che catturano l’essenza dissacrante di Moschino.

Tra pannelli fotografici e video interviste con protagonisti della cultura pop anni ’80 e ’90 – da Manuel Agnelli a Luca Stoppini – si ricostruisce il mosaico di un creativo inarrestabile. La narrazione è vivace, critica, piena di quel senso di libertà che Moschino ha sempre difeso, dentro e fuori le passerelle.

Parte del progetto è anche dedicato alla beneficenza: il libro fotografico e una serie di fotografie certificate Fine Art di Pandini saranno in vendita in loco e l’incasso verrà devoluto all’Hospice di Abbiategrasso, organizzazione sostenuta dalla fondazione Moschino.

Ad arricchire ulteriormente l’esperienza, un corner dedicato a opere originali del designer, appartenenti alla collezione privata di Pandini, che evocano una nostalgia capace di parlare anche alle nuove generazioni. È qui che si capisce quanto Moschino fosse più di uno stilista: era icona, artista, filosofo contemporaneo, critico sociale che usava la moda come strumento di comunicazione e protesta.

Moschino, ribelle con uno scopo

L’industria della moda poteva – e doveva – essere di più. Ironia, critica sociale e pacifismo si intrecciano nei suoi capi, che non sono semplici abiti ma veri e propri manifesti. Moschino anticipava i tempi, parlando di ecologia e sostenibilità quando ancora non erano trend, ma necessità ignorate. Il suo rifiuto delle convenzioni, la ferma volontà di non cercare consenso, e il disprezzo per il conformismo lo rendono oggi più attuale che mai.

Ecco perché questa mostra è molto più di un evento celebrativo: è un manifesto. Una dichiarazione di indipendenza creativa in un’epoca in cui la moda rischia di diventare schiava di like e approvazioni virtuali.

Moschino, con il suo stile inimitabile, ci ricorda che l’ironia è un’arma di ribellione, un antidoto al conformismo, e che sorridere può essere un atto rivoluzionario.

Un tributo alle nuove generazioni

Il dialogo con i giovani talenti dell’Istituto Marangoni, che Moschino ha frequentato a sua volta, è un ulteriore tassello della mostra. Attraverso progetti ispirati alla sua visione anticonformista, gli studenti reinterpretano la sua eredità, dimostrando quanto il suo linguaggio sia ancora vivo e capace di ispirare.

La partnership con Marangoni, insieme al supporto di sponsor come Neutro Roberts e Hogarth, sottolinea l’importanza di tramandare il suo messaggio. Non si tratta solo di celebrare il passato, ma di usarlo come punto di parteza per ridisegnare il presente e il futuro.

La forza di un’eredità immortale

Moschino è stato inserito nella Hall of Legends 2024 durante gli ADCI Awards, un riconoscimento che sancisce – ancora una volta – il suo impatto e il suo contributo al mondo moda.

Eppure, il vero premio lo si coglie passeggiando tra le stanze della mostra: Moschino vive ancora. Vive nell’ironia tagliente di una campagna pubblicitaria, nell’audacia di un abito che sfida ogni regola, nella consapevolezza che la moda può – e deve – essere molto più che bella.

Fino al 19 dicembre, Milano celebra un designer che ha insegnato a pensare fuori dagli schemi, a credere che il lusso non debba mai essere privo di significato, e che l’arte della provocazione sia una forma d’amore per la verità. Un genio visionario che, ancora oggi, ci sfida a sorridere di fronte alle convenzioni.

Visitate la mostra. Riscoprite Moschino. Lasciatevi ispirare.

I gioielli scultorei di Cecilia Accardo: un dialogo tra materia, forme e colori

La tradizione orafa italiana ha radici molto antiche e vede i suoi albori in epoca etrusca, raggiungendo l’apice della sua espressione artistica nel periodo del Rinascimento. Ed è proprio da queste premesse – e dalla consapevolezza di portare avanti un’eredità così importante – che nasce il brand di Cecilia Accardo

Cresciuta immersa nella cultura e nell’arte classica, Accardo ha sviluppato una profonda passione per il “bello” che ha saputo trasformare in gioielli dalla forte carica simbolica, ridando al gioiello il suo valore di opera d’arte, unendo la tradizione orafa italiana con un’estetica contemporanea e un forte impatto visivo.

«Sin da bambina, ho sentito il bisogno di tradurre la mia eredità culturale in qualcosa di tangibile e con il tempo i gioielli sono diventati il linguaggio espressivo che prediligo» racconta. Il suo percorso artistico si muove nel solco della ricerca continua, iniziando con Design di Gioilello allo IED e speicalizzandosi nella tecnica dello sbalzo a cesello sotto la guida del Mastro Orafo Gianni Bionda.

«Dopo questa esperienza, fondamentale per dare forma alle mie idee e affinare il mio gusto estetico, ho lavorato per molti anni in una grande casa di moda, occupandomi sia del disegno che dello sviluppo del prodotto. Sebbene questa esperienza mi abbia arricchita profondamente, il ritmo frenetico dell’industria spesso soffocava quel senso di calma e riflessione che considero essenziale per il processo creativo.» Ed è proprio qui che nasce l’esigenza di rallentare, di ritrovare quelli che chiama “i tempi della Bellezza“.

È proprio su questa nuova consapevolezza che Accardo fonda il suo brand, «con l’obiettivo di restituire al gioiello il suo valore intrinseco di opera d’arte, portatrice di un’eredità culturale che abbiamo il dovere di preservare» conclude.

Alla domanda su quale sia il gioiello cui è più affezionata, Accardo ricorda: «Ogni gioiello che creo nasce da un impulso creativo che è un momento profondamente irrazionale, una sorta di magia che si manifesta in segni tracciati su un foglio bianco. Non segue il tempo lineare, è un processo in divenire». Un impulso primordiale, un pensiero istintivo che si evolve attraverso la ricerca e lo studio approfondito delle forme. Solo dopo questo viaggio interiore, l’idea si concretizza in un pezzo esteticamente raffinato ed equilibrato in ogni suo dettaglio.

«Uno dei pezzi più speciali delle mie collezioni è un anello della linea Majestica, un simbolo del mio amore per l’antica arte orafa» racconta Accardo. «L’anello, realizzato in oro 18 carati, ha un design altamente decorativo composto da un intricato motivo di foglie d’acanto, un elemento decorativo proprio del Barocco. La foglia d’acanto, simbolo di eternità e rinascita, è plasmata nel metallo con dettagli tridimensionali che donano all’anello un senso di movimento e profondità. Tra le curve e i volumi delle foglie sono incastonati dei diamanti e degli zaffiri degradee. Le gemme, strategicamente posizionate, riflettono la luce, contribuendo a esaltare la struttura scultorea del gioiello. L’interno dell’anello presenta un raffinato e meticoloso motivo traforato, che arricchisce ulteriormente il design e conferisce leggerezza alla forma, pur mantenendo un’aura di sofisticata opulenza

Una perfetta incarnazione quindi della filosofia del brand: un connubio tra tradizione e innovazione, dove elementi simbolici e carichi di significato prendono forma attraverso l’eccellenza del design e dell’artigianato moderno dando vita a un gioiello che trascende il tempo e le mode.

Tornando al processo creativo, il lavoro di Accardo è alimentato da un profondo rispetto per l’artigianato classico, e da una costante ricerca di nuove forme espressive. L’innovazione è parte integrante del suo lavoro, ma senza rompere con la tradizione, che per lei rappresenta un solido ancoraggio al passato. Ogni creazione è un dialogo tra due forze: stabilità e cambiamento, conservazione e trasformazione. «La chiave per mantenere questo equilibrio è una continua ricerca. Mi lascio ispirare dalle proporzioni classiche, reinterpretate con un’estetica moderna e sono sempre alla ricerca di un’armonia e un’indossabilità del gioiello che possa parlare al presente. Per me, la tradizione non è un limite, ma un punto di partenza da cui far nascere qualcosa di nuovo e unico. Questa dualità tra tradizione e innovazione che esploro nei miei gioielli riflette una tensione filosofica più ampia: quella tra stabilità e cambiamento, tra conservazione e trasformazione. Sono forze diametralmente opposte, eppure, per creare qualcosa di veramente significativo, devono coesistere e interagire».

Natura e arte: una costante ricerca di perfezione formale

Anche la natura e l’arte rivestono un ruolo fondamentale nella ricerca di ispirazione per i suoi gioielli: «sono alla costante ricerca di una perfezione formale intrisa di vita e di spiritualità.

La natura è per me una fonte di continua meraviglia e perfezione. Mi affascina per la sua capacità di creare equilibri complessi. Fiori, foglie, elementi organici – tutto nella natura segue un ordine intrinseco che trovo profondamente evocativo. Le forme naturali sono spesso irregolari e sorprendenti, ma allo stesso tempo seguono schemi geometrici e simmetrie che, per me, sono una guida estetica fondamentale.» 

L’arte, specialmente quella classica, è per Accardo un’altra fonte di ispirazione. «Lavorando con il Mastro Orafo Gianni Bionda, ho imparato a rispettare la sacralità delle forme: ogni dettaglio in una composizione ha un significato simbolico che contribuisce all’armonia del Tutto. Le forme geometriche fondamentali sono per me un linguaggio simbolico potente, in grado di evocare significati nascosti e universali. Nella loro apparente semplicità, custodiscono una profonda connessione con l’ordine dell’universo e con le leggi naturali.

Il quadrato per esempio – scelto non a caso come pittogramma del mio brand – rappresenta la manifestazione e la realizzazione delle potenzialità. La sua struttura solida e le linee definite simboleggiano stabilità, mentre i suoi quattro lati evocano una dimensione di possibilità, immaginazione e desiderio. Questa forma è un contenitore di significati, un perimetro simbolico che accoglie e protegge le idee più profonde, rendendo tangibile l’astratto e concretizzando desideri e visioni» sempre nel solco della tradizione filosofica e artistica della cultura classica.

E se da un lato la tradizione rappresenta un ancoraggio al passato, il fascino profondo nella ripetizione dei gesti, tecniche che connettono a una lunga tradizione di artigiani e artisti, dall’altro l’innovazione, è altrettanto necessaria. «Per me è la forza creativa che rompe gli schemi, che cerca di andare oltre i limiti imposti dalla tradizione.» continua. «È il desiderio di esplorare nuovi linguaggi, di portare nuove idee e nuove forme nel mondo per il presente e per il futuro.»

Due inclinazioni, apparentemente in conflitto, ma complementari. «Per me, creare significa trovare un equilibrio dinamico tra queste due energie: onorare il passato mentre costruisco il futuro, perseguendo un ideale di bellezza che trascende il tempo. Queste tensioni sono il cuore pulsante del mio processo creativo: attraverso di esse, ogni gioiello diventa un ponte tra mondi diversi, un oggetto che porta in sé una storia antica e un significato moderno».

Gioielli su misura: raccontare storie e legami

Il processo creativo riguarda anche i pezzi realizzati su misura, che Accardo considera parte integrante del suo lavoro in quanto le consentono «di realizzare gioielli di profondo significato.» Pezzi unici dal profondo valore simbolico, che raccontano storie e celebrano momenti speciali e legami affettivi. «I gioielli creati su misura sono quelli che preferisco realizzare perché sono portatori dei desideri, dei ricordi e delle emozioni di chi li indossa.» racconta. «Diventano in un certo senso, parte della biografia di una persona.»

L’esclusività di un gioiello personalizzato non risiede solo nella sua unicità, ma anche nella connessione emotiva che si instaura durante il processo creativo, cui Accardo dedica tempo, attenzione e cura per ogni dettaglio. «È un atto di dedizione poichè l’oggetto finale deve riflettere l’individualità di chi lo possiede» conclude.

Gemmologia, pietre e vibrazioni

Parlando di individualità è impossibile non correre con il pensiero all’uso di pietre e gemme, selezionate con meticolosità e precisione, anche grazie al percorso di formazione al Gemological Institute of America di New York, che «ha ampliato significativamente la mia visione del design e arricchito la mia comprensione delle pietre preziose e del loro potenziale espressivo».

Ma le pietre non vengono selezionate da Accardo solo per le loro qualità estetiche. «Ogni gemma, sia essa preziosa o semi-preziosa, ha una vita propria e una storia da raccontare.

Oltre alle caratteristiche intrinseche, come lucentezza, colore, struttura e rarità, quando scelgo una pietra tengo in considerazione anche la sua “vibrazione”, una sorta di essenza energetica che può influenzare e arricchire chi la indossa». Anche la provenienza ha un ruolo fondamentale nella selezione. «Ogni pietra viene scelta nel rispetto dei principi di sostenibilità sociale e ambientale. Conoscere l’origine e le caratteristiche delle pietre è necessario per compiere scelte più responsabili. Oltre all’impegno etico, faccio molta attenzione anche al taglio. Un taglio ben eseguito deve garantire proporzioni perfette, esaltando al massimo la bellezza della gemma e la sua capacità di riflettere luce e colore» spiega.

Ogni scelta che Accardo compie per le sue creazioni rispecchia dunque una precisa visione estetica, creativa e valoriale, anche in opposizione all’andamento del mercato: «il mondo del lusso può essere frenetico e le produzioni massificate vanno a discapito della qualità dei prodotti. Io ho deciso di prendere le distanze da questo tipo di mercato» spiega. «Fondare la mia azienda è stato un momento cruciale nel mio percorso professionale. Un salto nel vuoto, in Italia molti dicono un atto di coraggio, ma sicuramente anche un atto di fiducia in me stessa e nella mia capacità di creare qualcosa di significativo

Qualcosa di significativo in un mercato in continua evoluzione, che sta assistendo a una crescente integrazione di sostenibilità e innovazione tecnologica, con una crescente domanda di prodotti realizzati in maniera responsabile. «Per quanto riguarda il mio brand, e il come percepisco il futuro della gioielleria di lusso, vedo emergere non solo tendenze, ma anche controtendenze che potrebbero ridefinire il panorama contemporaneo» racconta Accardo. «Mentre l’innovazione tecnologica è in crescita, c’è anche una riscoperta dei valori artigianali e della produzione su misura, un ritorno alla qualità e all’originalità che contrasta con l’omologazione dei prodotti di massa

Lovrén Superb: la skincare iper-perfomante, senza compromessi

Lovrén Superb: la skincare iper-perfomante, senza compromessi

Negli ultimi anni, la skincare ha assunto un ruolo sempre più centrale, con una crescente richiesta di consulenze personalizzate e prodotti mirati. Le farmacie, in particolare, hanno ampliato la loro offerta, diventando punti di riferimento non solo per medicinali, ma anche per trattamenti di bellezza e skincare. In questo contesto si inserisce Lovrén Superb, la prima linea di skincare iper performante del brand genovese Lovrén, parte del gruppo Clinicalfarma.

Fondato nel 2018, Lovrén si distingue per il suo impegno nella creazione di prodotti di alta qualità, accessibili e pensati per un pubblico sempre più esigente in termini di risultati. La linea Superb, lanciata nel 2024, rappresenta un omaggio alla città di Genova, già chiamata “Superba” da Petrarca, e si propone di offrire soluzioni complete e performanti a chi desidera prendersi cura della propria pelle senza rinunciare a un prezzo contenuto.

L’evoluzione della farmacia come punto di riferimento per la bellezza

Il mercato della dermocosmesi è in continua evoluzione, con le farmacie che assumono un ruolo sempre più rilevante come hub di consulenza e vendita di prodotti skincare. Lovrén ha saputo interpretare questa tendenza, sviluppando una linea che copre tutti gli aspetti della cura della pelle, dalla detersione ai trattamenti specifici anti-age e volumizzanti. La particolarità della gamma Superb è l’utilizzo di ingredienti altamente selezionati, che garantiscono elevate prestazioni a un costo accessibile.

L’attenzione del brand si rivolge non solo alla qualità degli ingredienti, ma anche alla loro efficacia. Gli estratti vegetali, gli acidi esfolianti e i peptidi utilizzati nei trattamenti Lovrén Superb mirano a rispondere alle esigenze delle pelli più diverse, offrendo soluzioni che spaziano dalla semplice idratazione fino alla ridensificazione e al lifting visibile.

Detersione e idratazione: il primo passo verso una pelle sana

La skincare routine inizia con una corretta detersione, e Lovrén Superb offre diverse opzioni per adattarsi ai vari tipi di pelle. Uno dei prodotti di punta è Superb Olio Gel Struccante, pensato per rimuovere efficacemente anche il trucco più resistente senza aggredire la pelle, grazie all’aggiunta di ingredienti come l’olio di jojoba e l’elicriso, noti per le loro proprietà idratanti e lenitive. 

Il punto di forza di questi prodotti è la capacità di detergere senza seccare, garantendo una pelle pulita ma mai stressata, offrendo una detersione delicata ma efficace, arricchita da estratti vegetali che riequilibrano la pelle, rendendola fresca e pronta ad assorbire i successivi trattamenti.

Anti-age e trattamenti mirati: tecnologie avanzate e risultati visibili

Tra i prodotti di punta della linea spiccano anche i trattamenti della linea anti-age. Lovrén ha creato formulazioni specifiche che combinano principi attivi come l’acido glicolico e l’acido ialuronico in microsfere, capaci di stimolare il rinnovamento cellulare e donare un effetto filler visibile già dopo le prime applicazioni.

Il trattamento esfoliante Superb AHA Ultra-Peeling, ad esempio, non solo esfolia la pelle in modo delicato ma stimola anche la produzione di collagene, migliorando l’elasticità e riducendo la visibilità delle rughe. Questo approccio multidimensionale permette di affrontare i segni dell’invecchiamento con una strategia che mira a migliorare la texture e la luminosità della pelle.

Un focus sulla dermocosmesi naturale e clinicamente testata

Un altro aspetto chiave della linea Lovrén Superb è l’attenzione all’origine degli ingredienti. La scelta di utilizzare estratti vegetali, combinati con tecnologie avanzate, permette di offrire prodotti efficaci ma delicati, adatti anche alle pelli più sensibili. Ogni formulazione è clinicamente testata, garantendo sicurezza e tollerabilità anche per chi ha una pelle reattiva o soggetta a irritazioni.

Questo approccio alla dermocosmesi si sposa con una crescente consapevolezza dei consumatori, sempre più attenti agli ingredienti e ai processi di produzione dei prodotti che utilizzano quotidianamente. Lovrén ha saputo interpretare queste esigenze, creando una linea che risponde ai trend attuali del mercato, dove la naturalità e la sostenibilità vanno di pari passo con l’efficacia.

Lovrén Superb rappresenta un’innovazione significativa nel panorama della skincare accessibile. Con una gamma completa di prodotti che copre tutte le esigenze della routine quotidiana, dalla detersione ai trattamenti anti-age, il brand si propone come un alleato per chi cerca risultati visibili senza rinunciare a un prezzo competitivo. La scelta di distribuire la linea principalmente in farmacia conferma l’intenzione di Lovrén di offrire consulenze specializzate e prodotti di qualità, alla portata di tutti.

Artuyt, Parajanov 100: tra moda d’avanguardia e celebrazione culturale.

Artuyt, Parajanov 100: tra moda d’avanguardia e celebrazione culturale.

In occasione della Milano Fashion Week 2024, il brand armeno Artuyt ha reso omaggio a Sergey Parajanov, uno dei più grandi maestri del cinema e dell’arte contemporanea.

Nel contesto delle celebrazioni del centenario del regista, il 21 e 22 settembre il Museo Bagatti Valsecchi ha ospitato due giornate di eventi per celebrare l’eredità artistica di Parajanov, organizzati con il supporto del Ministero dell’Istruzione, della Scienza, della Cultura e dello Sport della Repubblica dell’Armenia.

La profonda carica poetica delle opere del regista ha profondamente ispirato la nuova collezione Parajanov 100, che ha anche segnato il debutto di Artuyt nell’haute couture. Foulard, sciarpe e abiti di alta moda richiamano direttamente l’immaginario cinematografico di Parajanov, creando un dialogo tra moda e cinema attraverso tessuti e pattern che ne richiamano i collage e le opere visive.

Il debutto di Artuyt nell’haute couture

Perfetto connubio di opulenza rinascimentale e minimalismo contemporaneo, la collezione ha visto sfilare 18 look che riflettono l’impegno del brand verso l’eccellenza sartoriale.

Dettagli come perle e catene dorate, velluti cangianti e ricami evocano un senso di regalità e raffinatezza, in una collezione dedicata sia all’uomo che alla donna. Leitmotiv cromatico un blu lapislazzuli, luminoso e vibrante, che trasporta in una dimensione quasi onirica, un sogno in cui moda, arte e musica si intrecciano in modo indissolubile e riflettono da un lato l’ispirazione visiva di Parajanov, dall’altro la capacità di Artuyt di portare l’alta moda a nuovi livelli di espressività.

Proprio il blu, ci racconta Arevik Arakelyan, designer di Artuyt, «è centrale per la collezione, simboleggiando il cielo e il divino nella cultura armena e rappresentando speranza e protezione» e connette l’espressione personale della designer con il patrimonio culturale armeno.

Arevik Arakelyan ha dichiarato che il processo di traduzione dell’eredità di Parajanov nella collezione è iniziato concentrandosi proprio sul suo «vivido senso di colore e sulla narrazione visiva poetica». Ogni colore della collezione—blu brillante, grigio, oro e giallo—rappresenta diverse sfaccettature del suo mondo. Il grigio simboleggia le realtà che Parajanov ha affrontato, mentre blu e oro riflettono la qualità onirica delle sue visioni. La collezione ha beneficiato anche della location, il Museo Bagatti Valsecchi, che ha fornito un’atmosfera perfetta, esaltando il profondo legame della collezione con il patrimonio e l’artigianato artistico.

«Tradurre l’eredità di Parajanov nella moda è una sfida», continua Arakelyan, poiché il suo lavoro è stratificato ed emotivamente complesso. Tessuti come il plissé, che dona un senso di movimento, il velluto, che porta opulenza, e i tessuti trasparenti, che introducono un senso di mistero, sono stati utilizzati per creare volumi drammatici e poetici, traducendo in materia il mondo visionario di Parajanov. In questa stagione, la collezione include anche una collaborazione con il calzolaio armeno Boyakhchyan, che ha prodotto esclusivamente le scarpe Mesh Ballerina, realizzate con materie prime italiane.

Accento narrativo è dato anche dai foulard, realizzati con seta pregiata, che riproducono disegni ispirati ai collage del regista e riflettono la sua passione per la texture e i dettagli. Ogni pezzo racconta una storia visiva, che riecheggia la ricchezza simbolica delle sue opere cinematografiche.

Infine, ultimo pezzo a sfilare e ultimo tassello narrativo della collezione, l’abito giallo è un omaggio all’uccello giallo di Parajanov, una rappresentazione della libertà e della creatività, con il suo tessuto fluente che ne ricorda le ali. «Il movimento del vestito sulla passerella ha rispecchiato il senso di liberazione e di espressione artistica centrale alla visione di Parajanov», ha concluso Arakelyan.

Diffondere la visione creativa di Parajanov oltre i confini del grande schermo

Un contributo unico è arrivato anche dalla presentazione dei corti del regista il giorno prima della sfilata, a cura di Karen Avetisyan, Direttore Artistico del Golden Apricot International Film Festival.

Avetisyan ha sottolineato l’importanza della Milano Fashion Week come palcoscenico per celebrare Parajanov, affermando che «è un’occasione eccezionale per celebrare l’eredità del regista in occasione del suo 100° anniversario.» Insomma, una piattaforma globale per mettere in risalto l’influenza di Parajanov non solo nel cinema, ma anche nell’arte, nella cultura e nella moda, contribuendo a diffondere la sua visione creativa oltre i confini del grande schermo.

Parajanov, con il suo stile visivo unico e le sue innovazioni artistiche, ha ispirato generazioni di artisti e cineasti, spingendo a esplorare nuove narrazioni e modalità espressive. «Il suo uso del simbolismo, dei colori ricchi e dei costumi intricati ha influenzato molti artisti e cineasti di oggi», continua Avetisyan. «La sua opera fonde tradizione e tecniche avanguardistiche, creando un linguaggio visivo che continua a risuonare nelle opere artistiche contemporanee.»

Avetisyan ha anche sottolineato come l’eredità di Parajanov non si limiti solo all’arte visiva, ma si estenda a un impatto culturale più ampio. «La sua capacità di abbracciare e reinterpretare elementi del folklore e della cultura armena ha aperto la strada a una nuova generazione di creativi che cercano di esplorare le loro radici mentre sperimentano con idee audaci e innovative.» Eventi come la Milano Fashion Week sono cruciali per mantenere viva la memoria di Parajanov e per stimolare conversazioni sull’importanza della cultura e dell’identità nelle arti contemporanee.

Curata da Emerging Talents Milano, una delle principali piattaforme per stilisti emergenti, la sfilata di Artuyt ha mantenuto la promessa di essere uno degli eventi più attesi della settimana della moda, offrendo un perfetto connubio tra moda d’avanguardia e celebrazione culturale.

Il mercato della moda cinese di fascia medio-alta apre all’Italia: China National Garment Association partecipa a TheOneMilano by Milano Fashion & Jewels

Il mercato della moda cinese di fascia medio-alta apre all’Italia: China National Garment Association partecipa a TheOneMilano by Milano Fashion & Jewels

La China National Garment Association (CNGA) sarà protagonista per la prima volta in Italia a TheOneMilano by Milano Fashion & Jewels, salone dell’haute-à-porter femminile che andrà in scena dal 14 al 17 settembre presso Fiera Milano Rho. La presenza della CNGA rappresenta un segnale significativo dell‘interesse crescente del settore della moda cinese verso il mercato italiano ed europeo.

Grazie a un crescente livello tecnologico e a una manodopera altamente qualificata, il governo cinese ha deciso di puntare su aziende che producono articoli di fascia medio-alta, caratterizzati da design ricercati e standard qualitativi elevati. La China National Garment Association (CNGA) collabora strettamente con il governo centrale per definire strategie, suggerire evoluzioni nel costume, individuare trend di mercato e opportunità di sviluppo internazionale.

L’associazione, che conta oltre 12 dipartimenti coprendo tutti i settori del comparto, ha istituito lo scorso anno un dipartimento dedicato allo sviluppo di prodotti sostenibili, oltre a uno specifico per il controllo della qualità e dell’identità dei prodotti, garantendo che vengano rispettate le normative internazionali in materia di proprietà intellettuale.

Come dichiarato dal Presidente della CNGA, Cheng Dapeng: “Il mercato oggi si è sviluppato e cresciuto in un’ottica molto differente rispetto al passato e il nostro settore è in crescita leggera ma sempre costante. Le nuove aree industriali sono state create, e lo saranno sempre più in futuro, in zone nuove che hanno tenuto conto di una migliore qualità della vita, dei posti di lavoro, dell’innovazione e della tecnologia. Aziende che guardano alla nuova classe media che ricerca un prodotto migliore rispetto al passato, innovativo e magari con influenze della nostra cultura e della nostra straordinaria storia ma che sia assolutamente un prodotto moderno e qualitativamente in linea con il resto dei mercati internazionali. Per questo motivo apprezzo moltissimo le alleanze e le sinergie che si sono create con l’Italia che, del settore ha la massima competenza nel mondo e un grazie anche al grande lavoro che Francesco Fiordelli ha svolto e svolge per noi da moltissimi anni per il nostro territorio.

Presidente della CNGA, Cheng Dapeng

Molte aziende cinesi si sono evolute, alcune di esse oggi sono a Milano con le loro sedi e il loro ufficio stile, molti dei nostri brand sfilano durante la fashion week milanese e da quest’anno (una selezione di essi) saranno presenti alle vostre maggiori manifestazioni fieristiche come Theone Milano and Fashion & Jewels, Pitti Uomo, Micam. Il lavoro di China National Garment Association è stato immenso e parte dalla riqualificazione del settore intero per arrivare al livello di oggi in cui la Cina produce un ottimo prodotto medio che, anche se con un costo di mano d’opera più elevato rispetto al passato, resta sempre competitivo per un prodotto dedicato al ceto medio sempre più in crescita. Io sostengo che le aziende hanno fatto e stanno facendo grandi sforzi per creare al Made in China la sua naturale identità e veramente non approvo ma anzi ho condannato pubblicamente prodotti come SHEIN che, anche se fatti nel nostro territorio non rappresentano quel livello di Made in China a cui siamo arrivati oggi e ripeto che quell’azienda o quel tipo di aziende non rappresentano assolutamente il nostro sistema e non trovo corretto oggi etichettare tutto come scadente quando parliamo di un prodotto fatto in Cina. Abbiamo ricostruito una intera filiera e abbiamo creato la nostra identità, grazie anche alla collaborazione dei vostri professionisti e alla vostra eccellente materia prima.”

Dal canto suo, TheOneMilano è una piattaforma strategica per i brand internazionali, e la presenza della CNGA offre l’opportunità di creare un dialogo tra i designer e i produttori cinesi e le aziende italiane ed europee, favorendo lo scambio culturale e creativo tra le due nazioni, e aprendo nuove opportunità commerciali e di collaborazione.

Attraverso questa partecipazione, la CNGA mira a promuovere la qualità e la versatilità della moda cinese, evidenziando il lavoro di numerosi stilisti cinesi, con l’intento di rafforzare la loro presenza sui mercati internazionali e di espandere il network commerciale della Cina in Europa.

Francesco Fiordelli, referente esclusivo in Italia per China National Garment Association, commenta “Oggi, i brand cinesi, con design rinnovati e qualità elevata, sono cresciuti rapidamente, ottenendo non solo il riconoscimento di un vasto numero di consumatori, ma diventando anche una forza trainante per l’aggiornamento e lo sviluppo industriale. Inoltre, c’è una significativa collaborazione con l’industria dell’abbigliamento di vari paesi, inclusa l’Italia, focalizzata su aspetti quali la responsabilità sociale, il miglioramento dell’integrità del sistema, lo sviluppo di un’economia sostenibile e la creazione di un’immagine industriale responsabile”.

Francesco Fiordelli, referente esclusivo in Italia per China National Garment Association