“I fratelli De Filippo”, il film di Sergio Rubini

Be yourself; everyone else is already taken“. “Sii te stesso; tutti gli altri sono già stati presi” cita Oscar Wilde, e forse questo Wilde aveva ragione, l’unicità, ecco cosa rimane più del talento.

Quando uno scrittore arriva al cuore del pubblico? Quando un attore riesce a sfondare il muro invisibile che lo separa da chi l’ascolta? Quando una immagine trasmette l’emozione che ha provato la stessa mano che l’ha fotografata? Quando si arriva alla più alta forma di coraggio: l’essere se stessi; riconoscendo i propri limiti e sfruttandoli a favore, accettando i propri difetti concentrandosi sul migliorarsi, ma soprattutto arrivando ad una consapevolezza, che passa dalle radici, dal vissuto, da quello che ci ha riservato la vita.

In questo bellissimo ritratto del grande teatro napoletano, la storia mitica dei fratelli De Filippo, Sergio Rubini si sottrae alla penna registica per regalarci la storia, con grande rispetto e umanità.

Del teatro napoletano, che in fondo è la vita delle strade, con i suoi scugnizzi, il dialetto il cui suono fa simpatia anche a chi non lo comprende, i ruba caciotte, i malfattori, le donne matrone, le famiglie allargate, il modo tutto partenopeo di arrabattarsi, le abitudini culinarie, o ‘Vesuvio, Rubini ci racconta la nascita, il cui albero genealogico parte con Eduardo Scarpetta, commediografo di fine ‘800.

Un padre padrone Scarpetta, dall’etica discutibile (prolifera con la sorellastra e la nipote della moglie, da cui ebbe figli a cui non diede mai il cognome), pretenzioso di portare avanti i personaggi e le commedie comiche da lui ideate; con sé i figli impareranno l’arte del teatro, ma il rancore di chi è stato abbandonato e poi ripreso, forse non tacerà mai. Così Eduardo, Titina e Peppino, figli di Luisa, una delle tante donne sedotte dall’uomo più celebre di quei tempi, si lanceranno nell’ambizioso progetto di fondare la loro compagnia teatrale, quella dei fratelli De Filippo.


Rubini coglie l’intimità di quelle case, i litigi inevitabili tra fratelli, le piccole gelosie, i sotterfugi, le imponenti presenze delle madri che raccolgono i figli per dar loro una lezione importante, aiutarsi l’un l’altro. Lo fa anche con ironia, avvicinando il teatro alla settimana arte, con le scenette delle donne che cucinano il capitone che sviscera dalle mani, un piccolo intervallo che si consuma nel dramma, e con toccante sensibilità nei flashback dei fratelli, che da bambini giocavano a fare gli attori.

“Che cos’è il teatro? Gioie e dolori. È rubare dalla vita, una commedia dove il pianto e la risata sono ammogliati…”.



Ti sei arrubbato l’arte“, confida un giorno il mito Eduardo Scarpetta al figlio Eduardo De Filippo, quasi sottovoce, come una sofferta forma di ammissione. Se la prima stesura di un testo in giovane età di Eduardo figlio, poteva essere una qualche forma di eredità, il successo che invece ebbe il trio De Filippo alla morte del padre biologico si può chiamare vera e propria rivalsa, il paziente e sofferto e meritato riscatto.

La povertà, gli stenti, i fischi, Rubini non tralascia niente del sipario De Filippo, né i risentimenti e le umiliazioni che i figli mai riconosciuti dovettero subire, compreso il nutrirsi degli avanzi della “famiglia pubblica” e l’impossibilità di usare il loro ascensore, lusso di inizi ‘900.

Una Napoli presente anche sui volti degli attori del cast, dalla naturalezza di Biagio Izzo nei panni del figlio Vincenzo, all’autoritario Giancarlo Giannini (nei panni del capotribù) che diventa cittadino d’Italia in ogni dialetto che interpreti, nella rassicurante madre del branco Rosa De Filippo che ha il volto di Marisa Laurito, alla grande interpretazione di Anna Ferraioli Ravel nei panni di Titina. Mario Autore e Domenico Pinelli, i due fratelli De Filippo, sono le pagine bianche sopra cui Rubini scrive il grande dramma, che non è solo quello di una famiglia disgregata, che dove sta il successo ce lo si aspetta, ma quello della vita vera, delle piccole grandi difficoltà di tutti i giorni. Ha a che fare con l’educazione, con il rispetto, con la fratellanza, con i sogni e l’amore; e sono tutti i colori che trovate in questo piccolo capolavoro che ha visto la luce dopo sette anni di gestazione.

Il film ha ottenuto 5 candidature e vinto un premio ai Nastri d’Argento, 6 candidature e vinto un premio ai David di Donatello.

“Napoli è un teatro all’aperto, il popolo è una compagnia in cui ognuno recita una parte, una caricatura. E lo fa lasciandosi guardare.”



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