COPPIE IMPOSSIBILI

TEXT: GIANNI DINI
ILLUSTRATIONS: ANDREA MANCINI

Klimt e Madonna

Klimt e Madonna

– Ohhh Madonna..
– Dimmi Gustav:
– Non dicevo ohhh Madonna te… dicevo ohhh Madonna… l’altra… insomma… ohhh Veronica. Ma è proprio bello stringerti forte, cosi, vicina vicina vicina: ho tanta voglia, sai?
– Anche io, anche io Gustav… quando sono fra le tue braccia mi fai sentire… Like a virgin.
– Esagerata…
– Piuttosto te, sei sicuro che starai attento, quando sarai Into the Groove?
– Che dici Mado… Veronica. Certo che sto attento.
– Mah, speriamo. Si dice che tu abbia sparsi per il mondo più di una dozzina di figli. Non che poi ho voglia di tornare a casa e di dover dire di nuovo Papa don’t preach, che l’ultima volta si è incazzato parecchio.
– Dai, mi so trattenere. Ma… come ti sei vestita stamani, ti tolgo il reggiseno e sotto hai la canottiera e un’altra maglietta? L’altra volta poi, con il corsetto con quelle coppe a punta.. avevo quasi paura che mi facessi male.
– Me ne sono accorta, ho creduto per un attimo che ti diventasse tipo Frozen e invece, hai visto, mi son messa in ginocchio, Like a prayer… e ti è piaciuto molto, mi pare. Mmmh Gustav, vieni qui, Open your heart. Per me sei irresistibile, sei la mia isla Bonita.
– Che dolce che sei. Ma in fatto di moda, lasciatelo dire da chi ha sposato una stilista: sembra ti abbiano vestita degli uomini. Uomini parecchio strani, anche.
– Ma che ne capirai di moda tu, che hai fatto la guerra di secessione.
– La guerra no, ma la secessione l’ho fatta veramente, a Vienna, che tutti se ne ricordano ancora. Una rivoluzione: basta con ‘ste cose borghesi, il gusto classico, il naturalismo, il perbenismo, basta con le costrizioni. Si deve ambire al bello: che c’è di più bello delle donne nude, a parte le tagliatelle al cinghiale e la bistecca alla fiorentina?- Lo so, lo so, per te sempre almeno due porzioni di tutto.
– Bè, almeno due porzioni anche di te, petto e coscia. Veronica mmmh, mi fai venire l’acquolina in bocca, vieni qui che ti scardino.
– Dai, non mi trattare come una Material Girl. Facciamo un gioco prima, dai, conosciamoci meglio.
– Che gioco facciamo?
– A domanda rispondi, comincio io mio bel mangione: il dolce preferito?
– Oro Saiwa.
– Film che ti sono piaciuti di più?
– Non saprei scegliere… Chaplin, La febbre dell’Oro o Sogni d’oro di Nanni Moretti. Anzi no. Dico Goldfinger.
– Programma tv?
– Lo Zecchino d’Oro.
– In che epoca vorresti vivere?
– Nell’Età dell’Oro.
– E dove vorresti lavorare?
– Al Lingotto.
– Vediamo che mi dici ora, non sbagliare eh… cantante che ami di più?
– Mango.
– Mango?
– Oro, oro, oro (canticchia ridendo).
– Gustav, sono rimasta senza parole.
– Il silenzio è d’oro! Scherzo Veronica. Fammi scherzare che ne ho bisogno. Ma pensa un po’, mi aspettavo di passare tranquillo l’ultimo anno della mia vita, e invece devo subire la guerra, l’epidemia di Spagnola. Non la vedo mica tanto bene sai? Preferirei essere ai tuoi giorni…
– Tutto uguale Gustav, solo che in più c’è Britney Spears.

Frida e Picasso

Frida e Picasso

– Frida, non ti sento a tuo agio…
– Hai ragione Pablito, qui, cosi… senza letto a baldacchino, senza specchio sulla testa… mi sento un po’ spaesata.
– Non per mettere il dito nella piaga ma ti ricordo che in quel letto a baldacchino, sotto lo specchio, ci sei stata mesi e mesi: trentadue operazioni, colonna vertebrale rotta in tre punti, osso pelvico diviso in quattro, fratture al collo del femore e a infinite costole. Pensa un po’ se eri D’Annunzio di costole rotte te ne risparmiavi almeno due. Per non parlare delle slogature e delle lussazioni.
– Ok. Ok. Ma proprio in quel letto ho preso consapevolezza di me, del mondo, e dell’arte. E del comunismo.
– Lo sai che a volte ti invidio. lo invece ho sempre girato fin da ragazzo, Malaga, La Coruña, Barcellona, Madrid, e poi Parigi, a 18 anni avevo già visto un bel po’ d’Europa.
– Vuoi che ti mandi subito affanculo Pablo?
– E studia e cambia città, e dipingi e cambia città, e lavora e cambia città. Il Barça, il Real Madrid, al limite il Paris Saint Germain: tutti hanno una squadra del cuore. E io non saprei chi scegliere fra Messi e Cristiano Ronaldo. E mai poter passare un pomeriggio sul divano, a vedere un bel combattimento di galli alla televisione, o una domenica alla corrida, a fare il tifo per i miei toni preferiti.
– Già, invece pensa che culo io, una ragazza di 18 anni a letto per mesi, potevo solo farmi selfie, autoritratti come dicevano allora che non c’era il telefonino, ma non mi son mica lasciata andare alla depressione. La vita è a colori sgargianti.
– La vita va a periodi, cara Frida. Ti senti cupo e vedi tutto blu, poi ti sciogli al mondo e la vita ti sembra rosa. Poi, quando credi di aver capito tutto, di vederla giusta da tutti i lati, esprimi te stesso al cubo. Ma… ti rivesti già?
– Si, devo andare, torna mio marito e voglio farmi trovare a casa. Non ho voglia dei suoi interrogatori: “Dove sei stata? Con chi sei stata? Sei stata a letto con Breton? Con Tina Modotti? Con Lev Trockij?”. Come se lui fosse Paolo Brosio dopo la svolta della castità. 
– Ma non eri divorziata da quello li, come si chiamava… Mazzola?
– Rivera si chiama. Diego Rivera. Per l’esattezza Diego Maria de la Concepción Juan Nepomuceno Estanislao de la Rivera y Barrientos Acosta y Rodriguez, guarda un po’ doveci porta la storia del doppio cognome, e guarda un po’ quali sono le priorità delle donne del PD oggi.
– Certo. una volta noi comunisti avevamo altri problemini: rivoluzioni, guerre civili, guerre mondiali… però i simboli sono importanti. lo una volta ho fatto il ritratto di una città dopo un bombardamento e ci ho messo su una colomba: i pacifisti di tutto il mondo ancora mi ringraziano.
– Ridillo un’altra volta: L’avete fatto voi quest’obbrobrio? 
– No. L’avete fatto voi.
– Ma perché divorziasti?
– Mi tradiva. Mi tradiva con La Chiunque. Pensa un po’: quando ci siamo sposati, il sindaco non aveva ancora finito di pronunciare la formula “Vuoi tu Frida Kahlo sposare Diego Maria eccetera eccetera” che lui già sbaciucchiava un’altra.
– Vabbè Frida, anche tu in quanto a ganzi non ti sei fatta mancare nulla. Ma chi hai risposato?
– Ecco… lui ho risposato.
– Lui? Di nuovo? E come mai, se posso?
– Che dire, mi fa stare bene quando io sto male e viceversa.
– Quindi anche tu lo fai stare bene quando lui sta male?
– No, voglio dire che mi fa stare male anche quando io sto bene.

Van Gogh e Yoko Ono


Van Gogh e Yoko Ono

– Oh Paul! È stato bellissimo.
– Anche per me Yoko però… mi chiamo Vincent.
– È stato bellissimo lo stesso Paul, starei qui con te tutta la settimana.
– Sono Vincent, Yoko. Lo farei anche io, ma senza tutti quei giornalisti a capo del letto che ci vorrebbero vedere in azione. E tu che magari ti metti a parlare della pace nel mondo.
– Sei bella bella bella, ma certe cose lasciale dire a Miss Italia.
– Che dici Paul, bisogna sempre stare attenti al sociale, essere sempre sul pezzo (non solo sul tuo, dico). La pace, l’attualità: sono i tempi di Facebook e di Instagram, l’instant marketing è il principio imprescindibile. E poi, aiutare gli altri è sempre stato il mio scopo.
– Vincent. Sono Vincent. Lo so, hai sempre voluto essere d’aiuto al mondo, però mica hai fatto come me che ho lasciato baracca e burattini e sono andato fra i minatori: mi son tolto il pane di bocca per aiutare le loro famiglie che morivan di fame, per far vedere che dramma vivevano ogni giorno. E mica con le fotografie del telefonino.
– Sarà per questo che sei cosi magro Paul e pure un po’ sciupato, lasciatelo dire.
– Mi lascio dire tutto, ma chiamami Vincent. E a proposito di instant marketing, è per quello che dopo un anno che ti hanno ammazzato il marito hai messo in copertina del tuo disco gli occhiali rotti e sanguinosi che aveva quando gli hanno sparato?
– Ma che ne vuoi sapere tu del business e dello star system, Paul? Hai sempre voluto vivere povero come un cane, sei stato costretto a mendicare e dormire nei pagliai. Ti hanno anche cacciato dalla casa d’aste dove ti aveva raccomandato tuo zio perché mancava poco li facevi fallire: con te gli affari li facevano solo i tuoi clienti.
– Yoko: Vincent. La mia vocazione non è mica per la pittura sai. Ma con tutti i mercanti d’arte che ho in casa dovevo fare quello. La mia vocazione è per gli umili, per i poveri, per gli alienati dal lavoro e dalla fatica…
– Ehhh Paul, e chi sei Gino Strada?
– Noo, sono Vincent. Guarda che lo ha detto anche uno che di soldi ne ha fatti parecchi: “Stay hungry, stay foolish”.
– Ecco Paul, lui lo hai preso proprio alla lettera. Ma non è che intendeva dire che bisogna morire di fame e finire in manicomio come hai fatto tu, per avere successo.
– Vincent, non te lo dico più. Mi vuoi chiamare con il mio nome?
– Ok Paul.
– Eeee, ancora. Ma poi, proprio Paul, come quello che ti stava più sull’anima dei Fantastici Quattro.
– Erano i Fab Four. E non mi nominare quel Paul. Lui me ne ha sempre dette di tutti i colori, altro che le litigate fra te e Gauguin. Ma io son riuscita a dividerli, ho fatto si che si sciogliessero. E che tutti continuassero da soli.
– Yoko, per caso hai anche fatto parte della sinistra italiana? Ché negli ultimi quaranta anni, fra scissioni e divisioni si è sciolta nel nulla anche lei?
– Quanto sei simpatico Paul.
– Senti Yoko, ora me lo spieghi: come mai continui a chiamarmi Paul?
– Come perché? Non hai un padre severo che ha sempre criticato i tuoi atteggiamenti?
– Si.
– Non vieni da una famiglia dove l’arte è sempre stata di casa?
– Si.
– Non ti hanno tagliato un pezzo di orecchio e sei andato in giro mesi con la testa fasciata, sembravi un italiano nella ritirata di Russia?
– Ehm, si.
– E allora caro il mio Paul Getty, preferisci che ti chiami Junior?

Raffaello e Fornarina

Raffaello e Fornarina

Li abbiamo fregati tutti Margherita.
– Tutti tutti Raffaello mio. Ma quanto saranno stati stupidi a pensare che fossi la figlia di un fornaio….
– E invece il forno lo possiedi proprio tu Margherita bella. E senti come è sempre caldo.
– Quando sei con me hai sempre voglia Raffaello. Però ti fai vedere sempre cosi poco. Sempre in giro a lavorare. Era meglio se come amante avessi scelto un camionista, o un rappresentante, l’avrei visto un po’ di più. E chissà quante altre donne avrai, a Siena, a Roma, a Urbino.
– Marghe, lo sai che sei tu la mia modella preferita.
– Lo so, lo so che non vedi l’ora di infornare la tua pala. Piuttosto, spengi il cellulare e posalo nel cassetto.
– E se mi cerca il Bramante, o Leone X?
– Non gli vorrai mica dire che hai le mani in pasta?
– No. Ma…
– Te lo dico chiaro e tondo Raffa, non voglio più che tu mi faccia i ritratti nuda.
– Ma lo sai che è un gioco, che rimane fra noi.
– Si, rimane fra noi come l’ultima volta, che tutto il mondo mi ha visto a tette all’aria. Che poi, ti sembra che le abbia cosi piccole come me le hai fatte tu?
– Certo che no.
– Meno male, che se dicevi di si il mio prossimo amante era Roy de’ Vita, che si è anche lasciato con Nancy Brilli.
– E chi è?
– Uno che le tette le sa fare a modino.
– O brava. Vuoi ingelosirmi e darmi delle altre preoccupazioni? Sono oberato di lavoro, sempre in giro, ho una bottega con tanti sottoposti da mandare avanti, cantieri in mezza Roma.. Guarda che il forno si raffredda
– La butti sempre sul sesso, quando lo sai che ho una vita bestiale, che l’ho sempre avuta.
– Ecco che si ricomincia. “Non avevo dieci anni, ero già a lavorare a bottega..”.
– Proprio così e mi pagavano a pane e schiaffi.
– Come Cannavacciuolo.
– Prendimi pure in giro, ma è proprio così. A quindici anni sono andato via di casa, via da Urbino che se rimanevo li ero operaio alla Benelli a montare fucili o motorette. O magari, disgrazia delle disgrazie, mi laureavo alla Facoltà di Giornalismo e allora ero proprio disoccupato. E invece oggi ho un’azienda tutta mia con trenta dipendenti, mi cercano in tutta Italia e anche all’estero, sono il trionfo del Made in Italy. E mi sono fatto tutto da solo.
– E a me? Sono la tua amante, mica tua moglie. Mica mi tocca la legittima, la reversibilita della tua pensione. Non mi nominerai nemmeno, nel tuo testamento. Che, detto per inciso, ti consiglio caldamente di fare al più presto: se continui con questa vita, muori parecchio ma parecchio giovane. 
– Senti Margherita, non mi fare prediche. Ho sempre fatto alla mia maniera: anzi questa maniera si può dire che l’ho inventata io. E poi, mangio poco, non bevo, non fumo. E ho solo trentasette anni.

Lautree e Abramovic

Lautree e Abramovic

– Marina, quanto vuoi continuare a agitarti come una tarantolata? Pari Sangiorgi dei Negroamaro.
– Non ero abituata a queste performance: magari, se provassi a togliermi quel dito…
– Proprio te che con le performance estreme ti ci sei pagata il mutuo e la macchina nuova.
– Si ma erano una roba diversa, molto. E in tante di quelle performance io stavo immobile, fra l’altro.
– Lo so, lo so. A sedere a guardare la gente, a legarti i capelli col tuo marito, gnuda a farti fruzzicare con un po’ di oggetti, a strusciarti con quelli che entrano alle mostre…
– Che hai da dire, ho scelto di usare il mio corpo per esprimere le mie idee, il mio disagio, la mia arte.
– Beata, che hai potuto scegliere, tu. Il mio corpo ha deciso lui invece, ha esercitato lui la sua arte, e proprio su di me. Ha espresso la sua ribellione alla nobiltà, alla consanguineità, a un modo di vivere che avrebbe dovuto appartenermi per discendenza, casato. Per diritto divino insomma. Così, io poco più che bimbo, le mie gambe hanno deciso di rompersi e di smettere di crescere. Via i falconi, via la caccia, via i cavalli. L’arte degenerata l’ha inventata il mio corpo, mica i nazisti sai. Meno male che mi piaceva usare il pennello.
– Quello direi che lo sai fare piuttosto bene.
– Bè, almeno questo: la natura mi ha dotato di un grande pennello, come dice la pubblicità (che, me ne vanto tra parentesi, ho contribuito a far nascere). Ma diciamo anche che mi sono esercitato parecchio, e ho avuto tante buone maestre. Ma non è che se siamo qui è perché hai voluto fare come la ragazza irriverente di De André, che “vuol scoprir se è vero quanto si dice intorno ai nani che siano i più forniti della virtù meno apparente, fra tutte le virtù la più indecente”? (canticchiando e ridendo).
– Allora seguita, Henry, continua a prendermi in giro. Come eri messo lo sapevo da sempre, che mica ti sei mai vergognato a farti fotografare nudo come un verme. Anzi come un verme con il cappello.
– Settecentotrentasette dipinti, 4748 disegni, 275 acquarelli. Poi 334 stampe, 4 monotipi e 30 manifesti. E tutti si ricordano di me per due fotografie dove sono nudo, la pubblicità del Moulin Rouge e per due ritratti alle puttane di Montmartre. E sì che di performance ne ho fatte parecchie anche io: mescolare oppio e assenzio ogni sera, riuscendo a lavoricchiare anche così, per esempio. E anche a fare 14 passi, in quelle condizioni.
– Che ci vorrà, dovresti vedere Mick Jagger e Keith Richard che fisichini hanno ancora, dopo una vita di bagordi. E anche io, nel mio piccolo, una volta ho fatto mezza Grande Muraglia, solo per dire addio al mio compagno.
– Non siamo qui a fare le gare per veder chi vince, cara Marina. Tanto lo sai, perdiamo tutti.
– Perdiamo tutti, è vero. E evidentemente ci piace perdere, e forse proprio per questo continuiamo a iniziare guerre. Non mi è bastato stare a ore e ore a pulire ossa marce, puzzolenti e piene di vermi, per far vedere, far capire, dimostrare quanto sia orribile la guerra e quanto disgustosi gli uomini.
– A me, per far capire quello mi è stato sufficiente dipingere due prostitute che si baciano.

Dalì e Yayoi Ikusama

Dalì e Yayoi Ikusama

Salvo…
– Dimmi Yayoi.
– Guarda che se si va avanti cosi gli orologi saranno la seconda cosa che mi viene a mente associando al tuo nome il concetto di molle…
– Si ma guarda che non è che si può fare tutto in fretta come sei abituata tu. Se fosse per te per fare alla svelta disegneresti solo tondini.
– Non sono tondini, Salvo. Sono pois. Ci vuole tanto a capire la differenza? Diresti mai che l’abito di Audrey Hepburn è “a tondini”? O che Gianni Agnelli indossa una cravatta “a tondini”? Sono pois. Al massimo cerchietti, te lo concedo. Ma è tutta colpa dei miei genitori che quando ero piccola se si accorgevano che disegnavo mi strappavano i fogli di mano. Solo pois mi rimaneva il tempo di fare. Ma credi che per una giapponesina degli anni ’40 fosse tantofacile fare qualcosa di differente dalla geisha? A New York son dovuta andare, per lavorare. Anche se, a dire il vero, pure li gli uomini la facevan da padroni. Donna e giapponese. In America. Negli anni ’50. Non è stato mica facile. Sono stati anni a pane ecicoria, pari pari a Rutelli.
– Rutelli?
– Uno ispirato dalla margherita, non è mai esploso veramente.
– Yo, è vero che i danni che fanno i genitori sono indicibili: a me hanno fatto credere di essere la reincarnazione di mio fratello morto, pure il suo nome mi hanno dato. E si stupiscono se il mio metodo di lavoro l’ho chiamato paranoico-critico.
– Salvo, un po’ paranoico sei, anche se oggi si direbbe che sei un narcisista aggressivo-passivo, con tendenze istrioniche e pure borderline.
– Perché ho gridato a quelli dell’Accademia che nessuno aveva la competenza per giudicare un’artista della statura di Salvador Dalì? Era vero.
– Ammettiamolo. Ma presentarsi con tua moglie Gala alla festa di New York vestiti come il figlioletto di Lindbergh e il suo rapitore? E non mi dire che era un gesto surrealista, che anche i surrealisti ti han cacciato dal loro club.
– L’ho detto a loro e lo dico a te: “il surrealismo sono io”.
– Si, ma stai calmo baffino. Oggi un Biden che scorreggia davanti ai Windsor ti sotterra. Che poi senza una donna non sei stato capace di andare in nessun posto. Prima Gala, poi Amanda, sempre di una musa hai avuto bisogno. Anche se, in realtà, ho sempre pensatoche a te più di tutto piacesse l’uomo. L’uomo forte in particolare: lo zio Adolf, il generalissimo Franco… gente di carattere insomma.
– Lascia stare la politica, che forse non ci ho mai capito tanto. Ma non andar mai contro nessuno mi ha permesso di vivere e fare come ho voluto.
– Si, lasciamo stare, che ora devo proprio andare in bagno.
– Non è che me lo intasi di palline argentate riflettenti? O me lo dipingi tutto a pois?
– Cretino. Piuttosto non è che te lo sei fatto fare da Duchamp il bagno, con il cesso montato alla rovescia?
– Finiscila. E torna qui, che ci facciamo un po’ di coccole.
– Guarda Salvo, a parte che non è tua, ma nessuna ti ha mai detto che “bella come l’incontro casuale di una macchina per cucire e un ombrello su un tavolo da dissezione” non è un gran complimento per una donna?
– Dici no?
– Dico no. E ora fammi prendere le mie cose, che non vedo l’ora di tornare nella mia stanzina al manicomio. Certo, potrei anche rimanere qui, però ho bisogno di un po’ più di normalità. E poi non vorrei rispondere al telefono e essere morsa da un’aragosta.
– Però, ti tratti bene: borsa, scarpe, pochette, portafogli, bracciale: tutto Louis Vuitton!
– Va là, lo sai bene che è tutta roba presa allo spaccio della ditta dove faccio qualche lavoretto di quando in quando.