Postmelodici, il servizio di Oliviero Toscani in esclusiva per SNOB


PHOTOGRAPHY OLIVIERO TOSCANI
Text Federico Vacalebre
Fashion Editor Tommaso Basilio

A metà anni Novanta cercavo di definire in qualche modo la nuova canzone popolare che impazzava a Napoli, tra radio e tv di quartiere. Su un saggio di Peppe Aiello trovai la parola «neomelodico», me ne appropriai, la iniziai ad usare per raccontare del mucchio selvaggio che impazzava in quel momento: Gigi D’Alessio, Franco Ricciardi, Tommy Riccio, Maria Nazionale, Ciro Ricci, Ida Rendano, Stefania Lay, Luciano Caldore, Lello D’Onofrio… Ogni giorno usciva una nuova star del “basso” accanto, si moltiplicavano i sottogeneri, le sottodefinizioni.

Nel 1999, per iniziare il primo libro mai scritto sul fenomeno, usavo queste parole: «Neomelodico. Do you know what I mean? Sai che voglio dicere? Neomelodico spiega poco, comporta il concetto di uno stile veteromelodico da distinguere da quello neomelodico, è una definizione come le altre… assunta per descrivere un complesso e stratificato fenomeno subculturale napoletano, arrivato negli ultimi anni anche sotto il cono di luce dei mass media nazionali, alla ricerca di una propaggine verace delle tendenze neoromantiche di stampo internazionale. Comunque ricordiamolo: parlare di musica è come ballare l’architettura».

Il discorso regge ancora: vent’anni, e passa, dopo, Gigi D’Alessio è una star nazionale, Franco Ricciardi fa sold out allo stadio Diego Armando Maradona mentre nuove stelline e divette impazzano sui social, insieme attratti e respinti dal movimento. Per qualcuno, anche per mezza Napoli, sono volgari, brutti, sporchi e cattivi, quando non collusi con la camorra. Per qualcun altro, mezza Napoli compresa, sono la colonna sonora preferita della giornata, un fenomeno antico e moderno, frutto di una globalizzazione che ha travolto la melodia classica partenopea come il raï ha fatto con quella maghrebina.

Musica etnica, dunque? Anche. Musica urban, come suggeriscono le sempre più spinte contaminazioni con i suoni rap, reggaeton, elettronici? Certo. Glocal pop? Ma anche sintomo di un cambiamento profondo di normalizzazione (sotto)culturale. In una famosa intervista ad Antonio Ghirelli Pasolini vaticinava di una Napoli destinata ad estinguersi, come certe tribù Tuareg, per la sua volontà ostinata e contraria, anti-storica, resistente, cazzimmosa. Le feste di nozze, ma non solo, che un programma come «Il castello delle cerimonie» porta in tutto il mondo mostrano da un lato quella resilienza, dall’altro l’adeguamento agli stilemi più kitsch del mainstream internazionale, la superfetazione del trash, dell’estetica dell’inorganico.

Gli eredi di Nino D’Angelo, di Gigi Finizio, di Patrizio (ex bambino prodigio morto di overdose di eroina) cantavano una Napoli che era difficile farsi piacere, che viveva sul crinale del malaffare. Ogni canzonetta, anche quella sulla più innocua storia d’amore, lasciava tracce di un disagio profondo, feroce. Mamme di quindici anni, maschi-padroni, vite di strada, corna, sesso veloce e senza precauzioni, tradimenti, auguri per una «presta libertà» appartengono alle cronache di ordinaria marginalità di una città passata dal rinascimento bassoliniano al rimorimento successivo, come nella condanna vichiana dei corsi e ricorsi storici. Il successo di D’Alessio ha spinto i suoi emuli a cantare in italiano, ad annacquare melodie e testi, a confondersi con l’«intronata routine del cantar leggero» (copyright Pasquale Panella per Lucio Battisti). Ma non tutti sono D’Alessio, anzi, lo sdoganamento nazionale non è arrivato, il mercato, che si era fatto fiorente ha vissuto con l’arrivo del nuovo millennio una crisi di identità: il sogno era Sanremo, non più la Piedigrotta.

Dopo Gianni Fiorellino sono arrivati Rosario Miraggio, Gianluca Capozzi, e poi ancora Alessio, Tony Colombo, Marco Calone ed altri si sono fatti largo, tra canzoni e storie kitsch da raccontare in tv. Hanno conquistato la periferia romana, sfondato in Puglia, in Sicilia, a Modena, a Milano… Mentre a Napoli l’emergente generazione postmelò trovava nel web il sostituto di radio e tv locali, ormai in debito di ossigeno, e nelle sonorità emergenti della trap e del reggaeton pane per i propri denti. Un’alleanza post femminista metteva insieme una protagonista della prima ora come Stefania Lay con le nuove star Giusy Attanasio e Nancy Coppola, mentre dietro le regine storiche Maria Nazionale e Ida Rendano spuntava il sex appeal di Marika Cecere. Mentre Francesco Merola manteneva in vita la tradizione melodica di papà Mario Ivan Granatino e i Desideri cercavano di uscire dal ghetto neomelodico, di parlare ad un pubblico più ampio, senza rinnegare, per quanto possibile, le proprie origini.

Tra radici e ali, identità e omologazione, il discorso è aperto e la domanda resta la stessa dell’inizio. Postmelodico. Do you know what I mean? Lo sai che voglio dicere?

La canzone neomelodica, neoromantica, postmelodica, postromantica, urbaneomelò o chiamatela come volete, è canzone verace d’amore per antonomasia. Ma che cosa è l’amore, e che cos’è l’odio? E chi amare e chi odiare nella Napoli in pieno hype del momento? Lo abbiamo chiesto ai magnifici otto ritratti da Oliviero Toscano in una Napoli mai stata di moda come adesso.


IDA RENDANO

Dress Lea Damiano
Hair Lorena Sazio
Make up Raffaella Pezzella

Ida Rendano è, con Maria Nazionale, la reginetta della canzone neomelodica sin dal primo momento, dagli anni Novanta. Ha cinquant’anni, ma non li dimostra, anzi. È napoletana del quartiere di San Giovanni a Carbonara, è cresciuta nel rione Miracoli ed oggi vive a piazza Cavour. Ha iniziato ragazzina, incidendo il primo disco a 7 anni. Le hanno dato una mano i duetti con Nino D’Angelo e Gigi D’Alessio, ma anche i testi di Salvatore Palomba e Peppe Lanzetta. Ha cantato con i 24 Grana, recitato Viviani in teatro, scritto un’autobiografia…

Cos’è per te l’amore? E chi/cosa ami di più?

«Sono fatta d’amore, che è sicurezza, fiducia e stabilità per l’anima, tutte cose che cerco sempre di dare a mia figlia, a mia madre ed a mio padre: mia figlia perché è stato il dono più bello che abbia mai avuto, mamma perché mi ha fatto nascere, papà perché mi ha trasmesso l’ amore per la musica. E poi amo gli abiti glamour, il trucco, le scarpe esagerate, mi piace sentirmi femmina».

E cos’è per te l’odio? E chi/cosa odi di più?

«L’odio è la mia risposta al male che ricevo, alla falsità, all’invidia, al perseverare nell’errore. Errare è umano, continuare in quella direzione diabolico».

FRANCESCO MEROLA

52 anni, napoletano, residente a Calvizzano. «L’unico Merolone in una selva di merolini», diceva di lui papà Mario, pensando ai possibili eredi canori. Francesco ha la sua voce scura e verace, il suo portamento ed è stato svezzato con le canzoni di Bovio e quelle di giacca. Ha duettato con il padre, con Gigi D’Alessio, con Valentina Stella. Ha riportato a teatro la sceneggiata ed ha organizzato una crociera nel nome di Mario Merola: a bordo, tutto, dal menù alle canzoni, dai talk show alla passione per il gioco d’azzardo, riporta al culto verace del genitore.

Che cos’è l’amore per te? E chi/cosa ami di più?

«L’amore è mia mamma che mi riporta sempre nella casa di Portici. E lì l’amore è naturalmente papà: tutto intorno mi parla di lui, mi ricorda lui, ammesso e non concesso che me ne dimentichi per un attimo. Amo la mia famiglia, mia moglie Marianna, la musica, la canzone napoletana, quella classica ma anche quella moderna, a cui cerco di contribuire quando trovo un pezzo adatto: faccio un mestiere che mi piace, sono un privilegiato».

E che cos’è l’odio per te? E chi/cosa odi di più?

«Non odio nessuno, o quantomeno mi sforzo di non odiare nessuno, di non trasformare la rabbia per chi ci vuole o ci fa male, per chi non ci considera come meritiamo, in qualcosa di più profondo, pericoloso, violento. Nella sceneggiata sono abituato a mettere in scena l’odio, ma l’ho cancellato dalla mia vita».

GIANNI FIORELLINO



Quarant’anni, di Mugnano, ha vissuto a Giugliano ed ora abita a Portici. Sta girando un docufilm sulla sua vita e carriera, con particolare attenzione alla periferia/provincia napoletana in cui è cresciuto, fiero che vi siano nati anche talenti come Giambattista Basile e Sergio Bruni. Ha iniziato a cantare a 9 anni, è stato Masaniello in un musical e due volte a Sanremo cantando in italiano e collezionando tra le Nuove Proposte un quarto ed un quinto posto, poi ha deciso di tornare al napoletano.

Che cos’è per te l’amore? E chi/cosa ami di più?

«L’amore è l’orologio buono del mondo, senza mi sentirei mancare ogni protezione, vivrei senza un rifugio. Amo mia moglie, i miei figli, naturalmente: solo loro la mia protezione ed il mio rifugio. Poi il mio cane: non mi ha mai tradito, anche se non vive più con me. E il mio pianoforte: mi ha indicato la strada, mi salva quando mi perdo, mi esalta quando mi ritrovo».

E cos’è per te l’odio? E chi/che cosa odi di più?

«L’odio è la peggiore attività dell’uomo. Genera violenza, frustrazioni, cattiverie, malvagità, vendetta, violenza, guerra addirittura. Io detesto tanti, ma non li odio, pur non sapendo porgere l’altra guancia. Odierei me stesso se provassi odio per qualcuno, anche se può sembrare un controsenso».

MARCO CALONE

28 anni, è nato a Pozzuoli e vive a Caserta. Tra i giovani che contano della nidiata postmelodica, ha duettato con Guè in «Tu si’ particolare» ed un suo pezzo del 2020, «T’aggio purtato ‘na rosa», è entrato nel circuito indie grazie alla cover incisa, durante la clausura da pandemia, da Roberto Colella, leader della band La Maschera, che l’ha sdoganato presso un nuovo pubblico.

Che cos’è per te l’amore? Chi/cosa ami di più?

«L’amore per me è vedere la serenità negli occhi di mia madre. Mi stanno a cuore gli amici, Carlos, ovvero il mio figlio peloso a quattro zampe, e la musica: senza di lei non potrei vivere».

E cos’è l’odio per te? E chi/che cosa odi?

«Odio la falsità, che ho compreso strada facendo. La popolarità che ho conquistato non ha cambiato me, ma chi mi stava intorno, per fortuna non ha intaccato le mie amicizie storiche. Odio l’ipocrisia, l’invidia, l’opportunismo. E alcune persone che incarnano questi difetti alla perfezione».

MARIKA CECERE

Ventisei anni, napoletana della Sanità, sex symbol postmelò, appartiene a quella nuova generazione esplosa in rete, attentissima alla comunicazione sociale, quasi una local influnecer.

Che cos’è per te l’amore? Chi/cosa ami di più

«L’amore è bene puro, è il trasporto per la famiglia, è il desiderio del partner, è l’affetto per gli amici. È rispetto, soprattutto. Mia madre, mio padre e mia sorella sono le persone fondamentali nella mia vita, nella mia personale classifica subito dopo metterei la musica, il palco ed il pubblico».

E cos’è l’odio per te? E chi/cosa odi di più?

«La miglior risposta ad un brutto comportamento sarebbe un sorriso. Da buona napoletana questa sono io. Buona, educata, ma non mi faccio passare la mosca sotto il naso e se devo reagire, alla fine reagisco. E inizio a odiare le persone cattive, non solo con me, non sopporto le ingiustizie».

I DESIDERI

Salvatore e Giuliano Desideri hanno rispettivamente 26 anni e 25 anni e sono nati a Marcianise, in provincia di Caserta, dove vivono. Figli d’arte, il papà è Nico, cantante veteromelodico, sono stati lanciati da una collaborazione con Clementino, hanno provato la strada di Sanremo Giovani e visto crescere le loro visualizzazioni sulla strada di un pop sempre più urban. Il prossimo album sarà quello con cui proveranno a conquistare il mercato nazionale.

Che cos’è per voi l’amore? E chi/cosa amate di più?

«È il motore della vita, ciò che ci spinge ad affrontare tutto. Non importa se sia amore per un uomo o una donna, per la famiglia, per le amicizie, per gli animali. Non esiste vita senza amore. Siamo fratelli e compagni di lavoro, l’amore ci cementa e anche per questo le nostre canzoni hanno un sapore speciale. Amiamo nostra sorella, mamma, papà: la famiglia è il luogo dove cerchi conforto quando le cose non vanno bene».

E cos’è l’odio per voi? E chi/cosa odiate?

«Sincerità, umiltà e generosità sono i tre valori nei quali ci rispecchiamo. Non riusciamo a proviamo odio anche se sappiamo che esiste, lo sentiamo anche attorno a noi. Se proprio dobbiamo chiudere i ponti con qualcuno usiamo l’arma dell’indifferenza».

IVAN GRANATINO

IVAN GRANATINO

Ivan Granatino ha 38 anni, è nato a Caserta e vissuto in provincia, tra Aversa e Trentola Ducenta, dove ora vive con la moglie ed i suoi due bambini. Nella sua produzione tiene insieme la temperie postmelo con rap, urban, pop, reggaeton. Visto a «The voice of Italy» ha collaborato con Clementino, Club Dogo, Luchè, Enzo Dong, Franco Ricciardi e Tullio de Piscopo, il suo ultimo singolo è un duetto con Pietra Montecorvino. Attore al cinema per i Manetti bros, presente nella colonna sonora di «Gomorra – La serie, ha milioni di visualizzazioni online. Tra i suoi pezzi anche una versione in napoletano di «Obsesion», hit latino degli Aventura.

Che cos’è per te l’amore? E chi/cosa ami di più?

«L’amore è il motore dell’esistenza. Nessuno può vivere senza amare o essere amato. E’ quel sentimento che fa passare ogni difficoltà e che aluta a fare ogni cosa con leggerezza. E. poi, l’amore è fondamentale nell’arte e nella musica per comporre. Il mio va innanzitutto alla mia famiglia, che mi regala radici e un porto sicuro».

« E cos’è per te l’odio? E chi/che cosa odi di più?

«Diciamo che è un sentimento troppo forte, che non conosco e non mi appartiene. Più che altro non sopporto i cliché, il pregiudizio e gli stereotipi, ma nulla di questo può spingermi ad odiare».