Cavalca e spara

Non è certo un mistero che il celebre regista e sceneggiatore statunitense Quentin Jerome Tarantino sia da sempre un grande ammiratore del cinema italiano targato anni ’70. Tra i suoi idoli incontrastati spicca senza dubbio Sergio Leone. È proprio in virtù dell’amore e dell’interesse per la filmografia di questo periodo storico che è scaturita negli ultimi anni la volontà di coniugare la passione per il B-movie e l’exploitation (presente fin dagli albori nelle opere di Tarantino) con il genere western. Vengono così alla luce Django Unchained e The Hateful Eight, quest’ultimo in proiezione nelle nostre sale cinematografiche da giovedì 4 febbraio. Prima di analizzare le due pellicole, approfondendo in maniera particolare il secondo lavoro, introduciamo come di consueto il protagonista del nostro articolo con una succinta nota biografica.

 

Quentin Tarantino


Quentin Tarantino
Quentin Tarantino



Quentin Tarantino nasce il 27 marzo del 1963 a Knoxville (Tennessee). La sua carriera da regista ebbe inizio nella prima metà degli anni ’90 con il film di debutto intitolato Le iene (1992). La consacrazione definitiva arrivò con Pulp Fiction del 1994, grazie al quale si aggiudicò la Palma d’oro al Festival di Cannes, sette nomination e il premio per la miglior sceneggiatura originale nel 1995.

 

Django Unchained


Il primo film di Quentin Tarantino di stampo western è Django Unchained, datato 2012 ed uscito nelle sale italiane il 17 gennaio 2013 grazie alla Warner Bros Pictures. L’opera rappresenta un omaggio dedicato alla pellicola del 1966 Django diretta da Sergio Corbucci e con protagonista Franco Nero (che tra l’altro compare nel film in un cameo). Il film ottenne 5 nomination ai premi Oscar 2013, vincendone 2: l’attore Christoph Waltz conquistò il premio come miglior attore non protagonista nei panni del cacciatore di taglie di origine teutonica King Schultz (secondo trofeo consecutivo dello stesso tipo dopo quello conseguito con Bastardi senza gloria nel 2010), mentre il secondo fu assegnato a Tarantino per la migliore sceneggiatura originale.


Leonardo Di Caprio, Jamie Foxx e Christoph Waltz, i protagonisti di Django Unchained
Leonardo Di Caprio, Jamie Foxx e Christoph Waltz, i protagonisti di Django Unchained



La storia è ambientata nel sud degli Stati Uniti, alle soglie della guerra civile. Comodamente seduto sul suo carretto da dentista, il dottor King Schultz è sulle tracce dei fratelli Brittle per consegnarli (morti) alle autorità competenti in cambio di una lauta ricompensa. Al fine di raggiungere il suo obiettivo, egli libera dalle catene lo schiavo Django (interpretato da Jamie Foxx), promettendogli la libertà una volta portata a termine la missione. I due attraverseranno insieme le piantagioni di cotone americane e vivranno in prima persona gli orrori della schiavitù e del razzismo imperanti in quell’epoca. Ma anche Django ha una missione: ritrovare la moglie Broomhilda, venduta come schiava a qualche ricco e spregevole possidente (Leonardo Di Caprio, assistito dal suo fedele maggiordomo Samuel L. Jackson).

 

The Hateful Eight


Il secondo, nonché ultimissimo lavoro di Quentin Tarantino appartenente al filone western è The Hateful Eight, nelle nostre sale cinematografiche a partire da giovedì 4 febbraio grazie alla 01 Distribution.


The Hateful Eight
The Hateful Eight, gli 8 personaggi dell’ottavo film di Quentin Tarantino



Wyoming. Una diligenza corre a più non posso lungo i sentieri rocciosi innevati per giungere a Red Rock. La sua corsa viene arrestata dall’irruzione del Maggiore Marquis Warren (Samuel L. Jackson), cacciatore di taglie di colore dedito all’Unione. John Ruth detto “Il Boia” (Kurt Russell), un bounty hunter fermamente convinto dei valori della giustizia, lo ospita non senza qualche riserva all’interno della diligenza. Il viaggio riprende, ma per poco. Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh), scorbutica e strafottente ragazza condannata alla forca, causa una nuova sosta, durante la quale fa la comparsa un nuovo personaggio: Chris Mannix (Walton Goggins), un rinnegato sudista promosso sceriffo di Red Rock. Una tumultuosa tempesta di neve costringe il gruppo a fermarsi e a trovare riparo presso l’emporio di Minnie Mink (Dana Gourrier), dove avranno l’occasione di rifocillarsi davanti ad una tazza di caffè bollente e ad un bel bicchiere di cognac, ma anche di fare la conoscenza di quattro sconosciuti, i quali verranno interrogati a turno dallo scettico John Ruth. Tuttavia, nessuno è chi dice di essere…


L’ottavo film di Tarantino (il più lungo in assoluto, ben 167 minuti di durata) oscilla costantemente tra il concetto d’identità (reale o fittizia che sia) dei suoi personaggi e l’indecisione di una nazione di abbracciare le scelte morali o la violenza delle armi. Inoltre, è facilmente intuibile la volontà del regista statunitense di racchiudere gli 8 personaggi in un ambiente circoscritto (l’emporio di Minnie), esaltando in tal modo lo sviluppo scenografico orizzontale, un formato ormai risalente agli anni ’60.


Il clima di paranoia sale vertiginosamente col trascorrere dei minuti e con il susseguirsi dei vari capitoli, e l’interazione tra i protagonisti consente al pubblico di non perdere mai l’attenzione su di essi. La diffidenza esplosa dopo la guerra civile non risparmia nessuno. Nonostante ognuno dei presenti cerchi di dimostrare la propria identità sventagliando documenti, lettere, mandati, ordini di missione ed avvisi di ricerca nulla sembra scalzare definitivamente i dubbi che aleggiano nella mente di John Ruth. Siamo di fronte ad una sorta di tribunale che parla di impiccagioni, omicidi più o meno legali, legittima difesa con l’ausilio della violenza e decodificazione della giustizia. Il branco di sciacalli riuniti sotto la macchina da presa di Tarantino deciderà autonomamente a suon di colpi di pistola chi merita di continuare a vivere e chi invece è destinato alla tomba.


Questa volta a vestire i panni del cacciatore di taglie troviamo Samuel L. Jackson, il quale riesce nell’intento di svelare poco a poco la sua natura “tarantiniana” tra una parola pronunciata e una pallottola sparata.


Samuel L. Jackson nelle vesti del Maggiore Marquis Warren
Samuel L. Jackson nelle vesti del Maggiore Marquis Warren



Degni di nota sono anche Tim Roth (Oswaldo Mobray), James Parks (O. B. Jackson) e Michael Madsen (Joe Gage), con la canaglia in gonnella Jennifer Jason Leigh (Daisy Domergue) e Channing Tatum (Jody Domingray) altrettanto capaci di suscitare emozioni nello spettatore. Ci sono anche delle conferme dal punto di vista recitativo, come quelle di Walton Goggins (lo sceriffo Chris Mannix) e Bruce Dern (il Generale confederato Sanford Smithers), in rappresentanza degli intenti politici di Tarantino. Se poi aggiungiamo la partitura originale di Ennio Morricone, il piatto è servito.


Nel momento in cui gli otto personaggi carichi di odio finiscono le parole, ecco che iniziano ad imperversare le pistole. Sotto l’incessante neve del Wyoming, Quentin Tarantino riconcilia la vita e la morte, con l’obiettivo di politicizzare il suo cinema, un percorso intrapreso a partire da Bastardi senza gloria del 2009.

 

 

 

THE HATEFUL EIGHT: LO SPAGHETTI WESTERN FIRMATO TARANTINO

Il Maestro è tornato, con il suo ottavo capolavoro, celebrazione assoluta dello stile tarantiniano in versione western. Ed è già cult.

Attesa finita: il Maestro del cinema pulp è tornato e, come ormai di consueto, ha fatto centro. Questa volta più che mai. Torna Quentin Tarantino e lo schermo si ritinge di quel rosso puro che non solo è l’emblema del suo “fare cinema” riempiendo la pellicola di scene crude e ricche di quel sangue rosso vivo, ma bensì anche di quel rosso associato alla passione, la stessa che il regista riesce con ogni suo lavoro ad infiammare in un pubblico che ormai lo ha consacrato a mito, un regista ribelle capace di trasformare lunghe scene di violenza in veri e propri cult.

 

Lo aveva fatto agli esordi con il mitico Pulp Fiction, con Le Iene, con Kill Bill e via dicendo e quest’anno lo ha riconfermato portando sul grande schermo il suo ultimo grande lavoro: The Hateful Eight. L’ottavo film di Tarantino, proiettato in anteprima solo in tre sale in tutta Italia (il Teatro 5 di Cinecittà, il Cinema Arcadia di Melzo (Mi) con super tecnologia audio firmata Doldy e realizzata da Sangalli Tecnologie di Bergamo e il Cinema Lumière della Cineteca di Bologna) è già stato definito dalla critica come la consacrazione del genere “spaghetti western” alla Tarantino. Se già con Jango Tarantino si era addentrato in questo “terreno” da lui tanto amato, con The Hateful Eight è riuscito a riproporre in tutto e per tutto un film che non solo ha tutto il sapore di quei film wester tanto amati dal cinema americano, ma in più ha inserito tra i mm di questa pellicola tutto il suo stile inconfondibile.

 

E parlando di mm non si può non porre l’attenzione sulla scelta del Maestro di portare sul grande schermo un film in 70 mm, formato di pellicola deluxe quasi in disuso, costoso ma dalla resa extra luminosa e dalla dinamica del colore imbattibile. Una scelta che porta lo spettatore quasi ad entrare direttamente nel film, proiettandosi in ogni singola scena. Il risultato è a dir poco stupefacente, amplificato da un’altra chiave di volta alla Tarantino, le musiche, sempre intense, profonde, incisive e ovviamente in antitesi con la scena proiettata.

 

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E se poi si conclude dicendo che ogni singolo pezzo è siglato dal grande Ennio Morricone… non serve andare avanti. Ogni nota buca lo schermo e si fonde con esso per rendere vivida e profonda ogni sequenza. E così dallo scenario innevato delle montagne del Nord America si apre The Hateful Eigth, il cui svolgimento, in contrasto con molti altri miti di Tarantino girati in ambienti che cambiano in un batter d’occhio, avrà come sfondo solo queste montagne e l’ Emporio di Mannie, che servirà ai protagonisti per ripararsi da una bufera di neve.

 

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Proprio in questo piccolo spazio il film troverà il suo compimento, in una sequenza di scene che, a differenza delle altre sette bobine del Maestro, non troveranno la velocità dell’azione ma bensì il lento scorrimento della trama. Effetto voluto ovviamente perché quello che Tarantino ha creato è un film da gustare con calma, scena dopo scena, in una prima parte quasi troppo lenta e senza sangue per essere un suo film. Ma nessun problema: il secondo tempo sarà una discesa senza freni verso il macabro, crudo e sanguinolendo stile tarantiniano. Con una nota in più: gli amanti del genere non potranno assolutamente mancare di notare come la stesura perfetta di questo copione richiami inesorabilmente gli enigmi di una delle più amate gialliste della storia, Agatha Christie (non a caso uno dei cow boy protagonisti si spaccerà per inglese e porterà un cappello che quanti hanno amato il celebre detective Hercule Poirot non potranno non avere notato?!).

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Sta di fatto che il richiamo a quei “10 piccoli indiani” che uno a uno moriranno in un gioco misterioso dove non sarà chiaro nè  l’assassino nè l’innocente vi è tutto. Cambia lo scenario, ovviamente, ma la logica che spingerà gli otto cacciatori di taglie protagonisti ad una eliminazione reciproca vi è tutta. Con un “… e alla fine ne resterà solo uno” che non poteva però essere applicato da Tarantino. E qui, solo qui, piano piano, scena dopo scena, con salti temporali propri dello stile pulp, mixati a quel “mexicans standoff” (ovvero il “triello” nel quale tre personaggi armati di pistola si tengono sotto tiro l’un l’altro-tanto amato da Sergio Leone), il film ci svela tutti i suoi perché e la storia fitta di dialogi ben creati e sangue a più non posso consacra ancora una volta il mito di Tatantino. Un grande applauso al grande Maestro pulp quindi, che non ha deluso, anzi, ha riconfermato il suo genio e la sua maestria nel trasformare anche la scena più macabra in una sequenza cult. E se la grande Agatha fosse stata con noi in platea ieri sera, beh, siamo sicuri avrebbe abbozzato un sorriso. O così la vogliamo pensare.

 

 

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