Giulio Greco: “tutte le arti sviscerano la natura più profonda”



Ho sempre pensato che la versatilità fosse un grande pregio ed un bel talento da sfruttare, in barba ai piccini invidiosi che pensano ancora alla specializzazione della specializzazione.
Giulio Greco è l’esempio calzante di una generazione curiosa (bene, ne esistono ancora), che ha il coraggio di mettersi in gioco, non senza studiare.

Attore, editore, musicista, non ha mai pensato di rinunciare ad una di queste arti, proprio perchè crede che l’una sia di nutrimento all’altra, e che ogni mestiere che interpreta, gode delle conoscenze dell’altro.
Lo avrete visto in “Gangs of Milano” su Sky, in “SuperSex” su Netflix e nel film “Prophecy” su Disney+. Due film internazionali, uno con Andy Garcia, e nella serie che racconta la genesi di “Gomorra“; ma Giulio Greco nel frattempo scrive prefazioni, legge i miti greci, regista il suo nuovo EP, e basta una lettura veloce a questa sua intervista, per capire che la profondità emotiva e culturale, lo porterà sicuramente lontano.


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Attore, editore, cantante si intersecano perfettamente permettendomi di sviscerare intuizioni e la mia intimità più profonda.

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– Come combaciano il mestiere di editore con quello di attore?

Uno rende vivo l’altro. Un punto è statico, tra due punti si crea energia, nel mio caso anche attrazione. Non sopporto questa tendenza nel voler “isolare” una forma d’arte. 
Sono cresciuto in una famiglia che mi ha fatto conoscere la musica, a partire dalla classica grazie a mio nonno che è stato primo violino dell’orchestra di camera del Belgio, mi ha portato a teatro, al cinema, nei musei, a mostre d’arte. Mia madre ha studiato e lavorato come attrice, mia zia è pittrice, mia sorella ha danzato. L’arte ha forme di espressione sempre nuove e in continua evoluzione.

L’incontro con Giuliano Ladolfi, mio socio che considero padre artistico e spirituale, e la conseguente costituzione della casa editrice che porta il suo nome, mi hanno completamente cambiato la vita. Il mondo dei libri mi ha permesso di tuffarmi nella conoscenza della poesia, narrativa, filosofia, nella tecnica della traduzione, dell’esposizione, del linguaggio.
Attore, editore, cantante si intersecano perfettamente permettendomi di sviscerare intuizioni e la mia intimità più profonda comunicando in modi diversi e alimentandosi l’un l’altro.

– Cosa è necessario cambiare del settore editoriale secondo te?

Soffermandomi sul panorama italiano, posso dire che la sovrapproduzione ha indubbiamente inciso sulla qualità.
Certo, le pubblicazioni settoriali hanno permesso l’approfondimento di molte tematiche per lo più sconosciute, ma ritengo che il legame “emporiocentrico” della nostra società ci stia, in realtà, impoverendo. 
Uno società poco coesa viaggia in tutte le direzioni, ma ci dimentichiamo di chiederci quale sia una “direzione comune”. L’avvento dei social ha dato ad ognuno ciò che Warhol lanciava come una provocazione. Oggi mi chiedo: a cosa serve la notorietà senza calibrare un messaggio universale? A che scopo vomitare infiniti contenuti che poi scompaiono in un battito d’ali?

Bisogna lavorare per creare dei punti di incontro per discernere la nostra società, mettere basi solide per poter andare avanti.
Giuliano Ladolfi e Marco Merlin hanno iniziato a farlo nel 1996 con la rivista Atelier. Un lavoro mastodontico che vive di poesia, ma a mio parere coinvolge tutte le forme d’arte. Bisogna delineare una proposta forte, corroborata dallo studio approfondito dei testi più rilevanti e combattere la tendenza di avere più scrittori che lettori.

– Quali sono le somiglianze, se esistono, tra il ruolo dell’attore e quello dell’editore?

In una prima fase, la ricerca. Continua nelle luci e oscurità dell’essere umano. L’editore cerca prima lo scrittore attraverso i suoi testi, l’attore cerca il personaggio attraverso la curiosità, la sperimentazione e la relazione con gli altri. 
Successivamente, dopo aver fatto un lavoro di raccolta, di confronto e di scelta ponderata, arriva il tempo della rielaborazione e della condivisione con il pubblico dei lettori e degli spettatori.
Infine, importantissimo è il momento della risposta di questi ultimi. È sempre importante decifrare ciò che ha colpito e ha funzionato rispetto a ciò che si può migliorare per toccare corde sempre più profonde dell’animo umano.

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– Qual è il tuo personaggio di romanzo preferito?

Premetto che leggo principalmente filosofia, poesia e saggistica. Ho letto molta narrativa quando ero bambino e ragazzo e certamente mi ha fatto sognare. I romanzi che più mi hanno colpito sono quelli di avventura in paesi lontani e a tratti fantastici. Jules Verne mi ha rapito. Forse, però, oggi indico Robison Crusoe di Daniel Defoe. Un uomo che grazie all’ingegno, la volontà, la cultura è riuscito a sopravvivere e vivere con dignità combattendo contro la solitudine e i demoni della paura che si nascondono nelle profondità della nostra anima. Al personaggio di Robinson aggiungo eroi della mitologia greca a cui sono molto legato: Ulisse e Achille. Ragione, intuizione, ira, mente, fisico, creatività, potenza, amore sono spesso agli antipodi in questi due eroi mitologici ma combaciano nella loro grandezza d’animo. 

– Quale protagonista di un grande classico ti piacerebbe interpretare?

Il conte di Montecristo, Gatsby, Dorian Gray, Siddharta, Enea, Orfeo, Ettore… troppe sono le peculiarità che amo in ognuno di questi e troppe ne trovo in tanti altri. Il bello di questo mestiere è la metamorfosi

– Pensi ci sia un pregiudizio nel mondo del cinema, per chi arriva da altri settori?

Penso che ci siano pregiudizi enormi nella nostra società, a partire dall’aspetto fisico, alla provenienza territoriale, all’esperienza di vita, alle capacità particolarmente sviluppate. 

I social hanno appiattito la profondità culturale, anestetizzando attraverso vista e udito le menti critiche dell’essere umano. 
Credo sia importante rifondare un sistema critico basato su empatia, conoscenza, coscienza e tecnica.
Questo sia trampolino per coloro che valgono e dia loro la possibilità di suscitare emozioni e stimolare pensieri in coloro che partecipano portando la società ad un livello più elevato. Agli artisti è stato strappato l’onore e l’onere di essere traghettatori nella nostra epoca. Viviamo di pulsioni effimere che decadono e non conducono a niente.

– Come può aiutare il tuo mestiere nell’editoria, sul set? 

Per me è stato fondamentale per due aspetti principali: il primo è quello creativo. Grazie alla casa editrice ho potuto sperimentare sul campo, leggere, imparare da persone più grandi ed esperte di me.
Il secondo è quello espositivo: negli scorsi quindici anni ho avuto centinaia di occasioni per migliorare ed allenare la mia comunicazione e la mia capacità di espressione durante presentazioni e conferenze.
Ci sono grandi progetti in arrivo.
Non sarò mai sufficientemente grato a Giuliano Ladolfi.

– Qual è la tua caratteristica (di attore) principale?

La metamorfosi, ossia la trasformazione dell’aspetto esteriore e delle attitudini in cui mantengo inalterata la mia identità. 
Sono cresciuto in una famiglia con esempi molto distanti tra di loro. Grazie alla grande curiosità che ho coltivato sin da bambino, ho sempre cercato di raccogliere e sperimentare le diverse facce di coloro che mi accompagnavano nel percorso di crescita. Piccoli dettagli del corpo, della voce, dello sguardo, dell’abbigliamento, del modo di pensare, del rapporto interpersonale mi hanno plasmato attraverso un lato attivo e passivo, attraverso un’attività e la sua negazione.
Credo oggi di conoscere una importante pluralità di situazioni e personalità perché vi ho sempre posto molta attenzione. Non vedo l’ora di scoprirne altre affascinanti e di poterle un giorno metterle in pratica.

– Vedi questo come il tuo mestiere per la vita? 

Sì. Ma non solo. Il percorso mi sta portando sempre di più “dietro” la macchina da presa perché amo plasmare con gli altri artisti, gli altri esseri umani qualcosa di comune e meraviglioso. Credo nelle squadre, nel “tutto che è superiore alla somma delle parti”, nei giovani.
A questo aggiungo la musica, perché tra poco uscirò con il mio primo EP a cui ho lavorato con Francesco Arpino e di cui sono molto felice. La musica mi emoziona e mi sta insegnando a vivere in un modo diverso. E poi c’è il mistero, l’imponderabile… la magia.

– Cosa cambieresti delle dinamiche nel mondo del cinema italiano?

Non mi piace fare politica e nemmeno critica in questo senso. Domando solamente: siamo veramente in ascolto? Vogliamo veramente creare progetti di qualità che possano lasciare un messaggio importante?

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