Articolo di Ambra Lo Faro
Hai sentito l’ultimo disco di Harry Styles, “Harry’s House”? Ok, metti in play “Late night talking”.
Chiudi gli occhi.
Cosa vedi? Fra tutte le arti, la musica è sicuramente quella che ci aiuta maggiormente a vedere qualcosa, e più che mai in questo disco di Harry Styles ed in generale in tutte le uscite recenti dai grandi numeri, la musica non è più tendenzialmente la protagonista. Difficilmente cercherete nelle parole di rintracciare una storia, quella che l’artista vuole raccontarvi, ma vorrete che quella musica faccia da colonna sonora alla vostra storia.
Il ruolo della musica oggi è sempre più a supporto di un’immagine già decisa: la tua story, il tuo reel. Per questo il brano di Styles “As it was” fa quasi 3 miliardi di streamings su Spotify. Perché la sua voce, mixata lontana dall’ascoltatore, evoca senza interrompere nulla, non racconta la storia ma una storia, una delle tante. Tanto spazio ai pad, alle chitarre in eco costante, come in un film.
La musica di commento è secondo me la grande rivoluzione dei nostri tempi, e si contestualizza in maniera consistente con tutto quello che è il suo nuovo mercato: Social, Netflix, Prime.
Di contro c’è che forse ci perderemo una bella storia. Forse, presi così tanto da noi stessi nel nostro reel, ci perderemo il resto del mondo. Pensa a brani come “Sally” di Vasco Rossi, “Isn’t she lovely” di Wonder: avrebbero così tanto successo oggi? Che ruolo avrà piano piano il cantautorato di quartiere, che piano piano finirà per raccontare atmosfere più che storie?
Ci servono protagonisti più che mai distanti da noi per scoprire di più di noi, per trovare i gap tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere. Ma se continuiamo ad essere noi i protagonisti del nostro film, la noia sarà sempre dietro l’angolo.
Così come i temi trattati, anche le voci non lasciano più spazio ai virtuosismi, ai grandi timbri. Potrebbero distrarre l’ascoltatore da… se stesso.
E’ un quadro che ti spaventa? Riascolta il pezzo che ti ho citato.
Cosa vedi ora?