Edithmarcel esplora la tematica del genere attraverso i quadri di Francis Bacon

Colori, forme, volumi e silhouette: maschile e femminile scompaiono dal vocabolario della moda, almeno per il brand Edithmarcel. Gianluca Ferracin e Andrea Masato, laureati rispettivamente in Fashion Design e Architettura allo IUAV di Venezia, hanno fondato il loro marchio proprio all’insegna della ricerca estetica e formale di una moda che vesta i corpi di uomini e donne senza distinzioni. Un progetto che li ha portati nella sezione agender di Pitti88, poi nel fashion hub della Milano Fashion Week, al White Milano e infine al concorso Who is on Next? 2016. Edithmarcel sfila per la prima volta nella cornice di Altaroma, continuando su questa direzione con la collezione autunno inverno 2017-18, DIPTYCH.


Il duo di creativi mira a rappresentare come a volte i nostri stessi vestiti rischino di ingabbiarci in un genere e in uno stereotipo. Proprio come nei quadri di Francis Bacon, dove figure dal forte impatto emotivo sembrano lottare ribellandosi alla forzata regolatezza di ciò che li circonda: le pareti, gli oggetti e appunto gli abiti vogliono inglobare in una forma innaturale e in pose artefatte gli istinti e gli impulsi della forza vitale. La sfilata Edithmarcel ad Altaroma riflette sugli spunti forniti da Bacon legandoli alla tematica del genere. L’assurda compostezza formale è impossibile da realizzare, perché il corpo, spogliato del proprio genere, rifiuta qualsiasi etichetta. Le linee sono infatti rilassate, non segnano le forme, come l’identità che sfugge a un’esatta definizione. Gli outfit sono realizzati in un equilibrio tra linee asciutte e volumi oversize, e la stessa dualità si riflette nei materiali e nei colori. La superficie liscia del panno nelle tonalità piene di nero, zucca e verde bottiglia, si accosta a capi dai tessuti più voluminosi a pelo morbido e a stampe pois, gessate, glitter. Sulla passerella di Edithmarcel a materia risponde al desiderio esistenziale di uscire dagli schemi ed eliminare le etichette, per tornare a guardare all’essenza.


Eva Robin’s, la video intervista esclusiva (versione integrale)

C’era una volta una bellissima peccatrice che attirava l’attenzione dei media. Il suo nome è Eva Robin’s, si esibiva nelle ville dei politici, nei salotti colti degli artisti, invitata dagli “illuminati” e dai curiosi, e mostrava la sua verità sessuale: il pene. Il pene su un corpo di donna.

Sulle copertine, tra la sinuosità dei seni naturali (Eva inizia a prendere ormoni femminili all’età di 14 anni) e la sfacciataggine di un pene, si crea un personaggio. E mi sembra cosa molto superflua rispetto a quello che vedo oggi, qui, nella sua casa.

Siamo nel centro di Bologna, ultimo piano di un palazzo. Per le scale, pile di libri e oggetti d’arte. Entrando troviamo la Cina, l’Africa e la Francia tra gli scaffali e i mobili, un boudoir dalle tende chiuse e dalla luce soffusa, un ambiente che obbliga al silenzio.

Tutto sembra avvolto da mistero, le porcellane cinesi ricoperte da collane in turchese, le statue rivolte verso le finestre, gli angoli accesi dalle piccole luci natalizie, il bambin Gesù sotto una lampada giallastra – tanti ammennicoli che ricordano un luogo di preghiera. Eppure Eva Robin’s è atea.

Il sorriso si posa sulle sue labbra come una falena stanca. Il personaggio è scomparso, o meglio, ogni tanto viene fuori timido con qualche smorfia, qualche battuta sarcastica; ma quel coraggio, forse a volte un poco incosciente, di una Eva ventenne, non c’è più.

Lontana dai proiettori, Eva Robin’s si dedica al teatro, che l’ha aiutata a scacciare i fantasmi. E’ bellissima, conserva il fisico di una ragazzina e una sensualità innata, le finte ciglia vibrano, la voce è calda, docile, in sottofondo c’è il Requiem di Mozart.


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Qui la video intervista in versione integrale:


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