I suoni con Maninni

INTERVISTA A MANINNI

Talent Maninni
Agency Astarte Agency
Photography Emanuele Di Mare
Styling Diletta Pecchia
Grooming Martina Belletti

I ritornelli aperti, quelli da cantare negli stadi. Maninni ci racconta la freschezza della sua classe 1997, con una consapevolezza di chi il mestiere lo conosce, e annulla così ogni stereotipo di chi vorrebbe incasellarlo nel nuovo prodotto discografico del momento studiato a tavolino. Non lo è, né in quello che dice, né in quello che propone. La sicurezza se l’è conquistata nei palchi calcati con le rock band in giovane età, e in questa epoca di social risulta anticonformista e insolito. Interessato agli obiettivi raggiungibili, non segue le mode e nel suo fa tendenza con il plus di chi non se ne rende conto.

Nel sentirlo raccontarsi traspare pienamente la volontà di sentirsi completamente artefice del proprio destino, ed è perfettamente dentro tutto ciò che fa, dalla produzione in studio, al palco di Sanremo. Imprenditore romantico di se stesso, sogna ma con i piedi saldi sulle mattonelle della casa dove scrive, a Bari, con uno sguardo fisso nel futuro che vuole scriversi da autore della storia, circondato da fidati collaboratori che valorizza con l’umiltà giusta di chi gli obiettivi li raggiunge.

Vi portiamo dietro le quinte di SNOB, e più che un’intervista, sembra di respirare l’atmosfera da soundcheck, fra cavi da sciogliere, e suoni ancora da fare.

Nei tuoi testi si parla spesso di porte, di pareti, di appartamenti. Si respira la capacità di creare ritornelli aperti (da stadio) e cantabili anche in una area circoscritta. Come ti senti in questo periodo della tua vita: sei più in un loft dopo Sanremo, o ti piace ancora l’idea del monolocale?

<< Gli stadi? Ci spero, me lo auguro. Per unire tanti cuori dentro uno stadio, significa che qualcosa di importante è successo davvero. Passo molto tempo in casa, mi piace essere legato alle mie abitudini, ai piccoli gesti che nella vita fanno la differenza. Sono certamente ancora quello di “Monolocale”, tanto che ho deciso di rimanere a Bari e non trasferirmi in una città che magari poteva darmi più opportunità. Voglio restare dove tutto è partito, mi aiuta a ricordare quello che sono, quello che sono stato, e quello che vorrei essere. >>

I tuoi pezzi sembrano scritti chitarra e voce, e poi arrangiati in studio. In alcuni pezzi infatti sembra che l’arrangiamento lasci spazio a dei momenti proprio crudi chitarra e voce, come percepisco possa essere stato al momento in cui li hai scritti. Ci racconti come avviene la scelta degli arrangiamenti e se ti piace dire la tua anche su questo aspetto della composizione?

<< Nasco come musicista, chitarrista nello specifico, anche se mi sono poi avvicinato anche al piano, alla batteria e al basso. I miei pezzi nascono chitarra e voce, o piano e voce. Mi hanno detto tempo fa “Potresti iniziare a scrivere anche su dei beat”, ma preferisco creare da uno strumento. Nel disco ho infatti inserito la versione acustica di “Spettacolare”, mi piacerebbe che chi ascolta quel brano si potesse sentire all’interno di una stanza insieme a me, come se fossimo in studio. Quando scrivo inizio così, chitarra o piano e voce, e poi mando una pre-produzione a Enrico Bruno e Marco Paganelli, i miei produttori. Mi sento fortunato perché danno fiducia a quello che faccio, ho trovato davvero la mia dimensione con loro. Sono maniacale dal punto di vista del suono, e sentirmi circondato da persone che mi lasciano dire la mia è rassicurante; in passato mi sono trovato a dover accettare dei compromessi su quello che proponevo, ma si perdeva l’essenza. Oggi ho trovato la mia dimensione. >>

Rispetto alla proposta musicale attuale si può dire che, nella sua immediatezza, sia proprio la tua l’offerta musicale più anticonformista: non utilizzi auto-tune, e proponi un pop rock con qualche sequenza. Hai mai avuto paura di non essere “di moda”?

<< Ma sai, ho un concetto molto chiaro di quello che è la moda. Seguire le mode non ti porta ad essere di moda; mentre lo fai qualcuno le ste già cambiando. Non ho reference chiare, non voglio somigliare a nessuno. Ammetto però che, quando sei sotto i riflettori, la paura di non essere alla moda c’è. A Sanremo ho sentito dire di essere “OLD”: a dire il vero ho apprezzato questa caratteristica, mi piace essere diverso dagli altri. La moda è ciclica, certe cose poi ritornano, e se vuoi essere autentico devi anche prenderti il rischio di non essere a passo coi tempi. Di recente ho ascoltato l’ultima di Tananai, e ho apprezzato che abbia scelto un arrangiamento con tutti gli strumenti: sembra paradossale, ma pare sia percepita come una cosa “moderna”. >>

Quanto realmente di tuo può esserci in questo momento, sotto contratto con una major? Abbiamo tanto sentito parlare di scelte vincolate, di libertà espressiva ridotta una volta nel sistema. Quanto del Maninni di 5 anni fa c’è oggi? Riesci appunto a sentirti autentico?

<< Ai discografici che dettano le regole vorrei ricordare che la musica è di chi la fa e poi di chi la ascolta, non di chi la sponsorizza. Se esistono le radio, le labels, è perché c’è un artista che quelle cose le ha create. Da questo punto di vista mi sento fortunato perché il team con cui lavoro crede in quello che faccio, sono libero. Non potrei mai fare questo mestiere senza sentirmi libero: fare musica è l’unica cosa che mi appassiona davvero nella vita, e voglio sentirmi così. >>

Total look Noskra
Shoes Dr Martens
Jewelry Aneis

Il pop rock che ti caratterizza ha lasciato spazio ad una ballad a Sanremo quest’anno (anche questa scelta anacronistica, e rispettosa della tradizione Sanremese). Molti altri concorrenti hanno puntato su brani veloci, quasi scritti apposta per tik-tok. Oggi, con il senno di poi, pensi di aver portato il brano giusto?

<< Alle pagelle dei giornalisti questa cosa delle poche ballad venne detta. Sapevo con cosa mi stavo scontrando, ma se avessi portato un pezzo più “social” non sarei soddisfatto di quello che ho fatto a Sanremo. Ho portato me stesso al 100%, non ho avuto paura del confronto. Le canzoni con ritmi più incalzanti magari performano di più sugli streaming, ma la musica non si misura con i dischi di platino. La musica ti fa rivivere quel momento, magari dopo anni che non ascolti quel pezzo. Ha bisogno di tempo. Tempo che non abbiamo più, con questi ritornelli da 15 secondi da usare da Tik Tok, che magari oggi vanno e domani sono superati. >>

Insomma, punti sulle canzoni che restano.

<<Sì. Il tempo è fondamentale: serve a farci capire delle cose, a farci affezionare. Comunque Maninni non è solo ballad, ma anche pezzi movimentati. Sono cresciuto con la musica rock: Vasco ha scritto “Sally”, ma anche “Rewind”>>.

Nella tua storia c’è anche un talent, Amici, qualche anno fa. Oggi, dopo un po’ di esperienza in più ed una bella visibilità nazionale, consiglieresti ad un ragazzo giovane di prendere parte ad un talent ?

<< Ma piuttosto suggerirei a quel ragazzo di chiedersi se è davvero pronto per un talent >>. 

Sentirsi pronti è una percezione soggettiva, e anche un po’ falsata quando si è giovani. Come ci si sente pronti? 

<< Se sei pronto lo senti. Il talent è un contenitore incredibile, ma è il contenuto quello che conta. Ti espone ad un pubblico vastissimo e comporta dei rischi anche psicologici. Se sei troppo giovane, c’è il rischio di schiantarsi contro qualcosa. Se sei pronto invece il talent ti può dare qualcosa. Io ho fatto un tentativo, rimpiango solo di aver avuto 18 anni, ero troppo giovane. Forse avrei aspettato un paio di anni. Prima di arrivare a quello step lì devi aver mangiato tanta merda. Se non arrivano le delusioni non impari nulla. >>

Il tuo nome viene spesso associato alla terminologia “indie rock” online. Come definiresti la musica indie oggi?

<<Indie per me non dipende dall’etichetta discografica ma significa essere indipendenti, non seguire schemi precisi per scrivere canzoni, non imporsi determinati tipi di sound, sei indipendente da quello che c’è fuori. Io sono un cantautore POP. >>

Quindi il termine POP non ti spaventa. 

<< No, anche i Maneskin per me sono POP. La musica POP è popolare, i Pink Floyd sono POP. Se Gilmour avesse cantato con l’autotune avrebbe spaccato ugualmente. >>

Raccontaci come è accaduta la tua partecipazione a Sanremo. Siamo curiosi di capire i retroscena, e se ti va dacci qualche dietro le quinte. Siamo SNOB, e anche un po’ curiosi.

<<Serata cover del venerdì, abbiamo bucato col van. Siamo rimasti fermi per mezz’ora, interviste spostate, un delirio. Col van fermo per strada però, provavo a scrivere il nome della mia canzone sui vetri, mentre pioveva, al contrario, per farla leggere da fuori. >>

Insomma, marketing anche nella cattiva sorte!

<< Non sono bravo col marketing in realtà, mi dico sempre che dovrei essere più social. >> 

Sei un artista Pugliese di origine, quindi non posso non pensare a tutto quel filone più legato alla scrittura in dialetto. Nei tuoi brani sento più una tendenza milanese, anche nella pronuncia vocale. Un tentativo in pugliese?

<< I Negramaro non hanno avuto bisogno di cantare in leccese, ma tutti sanno che sono Salentini. Non ci ho mai pensato, anche se parlo in dialetto a volte con gli amici >>.  

Hai un piano B nella vita? Qual è?

<< La musica può coprire tutti i piani, A,B,C,D. Mi piace molto stare anche dietro le quinte. Ho prodotto anche altri artisti, se non dovessi essere protagonista potrei produrre altri. Male che vada, andrò a suonare ai matrimoni. >>




Francesco Maria Colombo espone “Gli ori di Parma. L’industria, il cibo, il lavoro”

Sabato 11 giugno alle ore 11.00 si inaugura la mostra “Gli ori di Parma. L’industria, il cibo, il lavoro” presso Palazzo Pigorini, una monografica di Francesco Maria Colombo che racconta le eccellenze del territorio (catalogo Skira Editore).

I prodotti parmigiani sono noti in tutto il mondo: il culatello, il parmigiano, il prosciutto di Parma, ma quanti hanno saputo rappresentarli donandogli personalità? Nessuno finora. E’ la fotografia colta di Francesco Maria Colombo che restituisce a delle cose inanimate la giusta dignità.

E’ l’eleganza armoniosa e semplice di un biondo spaghetto, la croccantezza cristallina del sale, la geometria architettonica delle macchine industriali, la sinuosità levigata delle tome di formaggi, oltre ai ritratti veri degli uomini che vi lavorano, la forza della fotografia di Colombo.

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Gli Ori di Parma


Abbiamo parlato con lui del progetto e della sua ricerca fotografica:

Come nasce il progetto/mostra “Gli Ori di Parma”?

Nasce da una commissione dell’Università di Parma, che ho accolto con grande piacere. L’idea era quella di un viaggio articolato dentro una realtà che coincide con un mito (Parma come capitale italiana del cibo) e che però è molto più complessa di quanto si creda. La tradizione convive con la ricerca scientifica e con l’aggiornamento dell’industria, altrimenti l’eccellenza è impossibile. E come fotografo ho cercato di costruire una narrazione degli aspetti molteplici di questa realtà fatta di tante cose, la materia che diviene nutrimento, il gesto dell’uomo, il valore iconico della macchina.

Come rendere vivi e interessanti degli oggetti inanimati?

In realtà i soggetti non sono sempre inanimati, perché gran parte del progetto è dedicato alle persone che «producono» gli ori di Parma, e dunque ci sono parecchi ritratti, e parecchie foto in cui viene colto l’aspetto gestuale. L’oggetto inanimato ha una duplice valenza: da un lato rappresenta una forma, una struttura, rapporti di colore e di texture che hanno in sé un portato estetico; dall’altro contiene un senso espressivo che sta al fotografo di far sprigionare. Le cose parlano, bisogna solo stare attenti a capirne il linguaggio segreto.

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Gli Ori di Parma


Quanto conta la cultura fotografica per raggiungere tale scopo?

In questo progetto ha contato moltissimo. Credo che fare una narrazione per immagini della realtà industriale senza avere alcuni punti di riferimento in testa, Hein Gorny o Jakob Tuggener per esempio, sia limitativo. Questa mostra è piena di rimandi alle avanguardie informali, in alcuni casi esplicitamente citate.

Parma nei suoi ricordi

Parma è una città che amo moltissimo, è un forziere colmo di arte, figurativa e architettonica innanzitutto, ma anche musicale, poetica e cinematografica (basti pensare a Bertolucci padre e figlio, Attilio e Bernardo). E’ una città dalla quale ho scritto tante volte per il «Corriere della sera» e nella quale ho diretto concerti che ricordo con piacere. Entrare nel mondo della produzione del cibo, che non conoscevo minimamente, è stato un viaggio emozionante.

Qual è il suo genere fotografico preferito e perché?

Mi sento molto libero di seguire i miei interessi, che grazie al cielo sono plurimi (del resto la fotografia è parte della mia vita, ma ci sono anche la scrittura e la direzione d’orchestra!). Nel caso di Parma ho accettato la proposta perché venivo da un libro di ritratti a persone famose («Sguardi privati. Sessanta ritratti italiani», ed. Skira, 2015), e ho voluto cambiare genere completamente, sporcandomi le mani e divertendomi moltissimo. Ma ho già cominciato un progetto completamente diverso, dove l’essere umano sarà del tutto assente.

Copertina 'Sguardi privati'
Copertina ‘Sguardi privati’


Quanto c’è di autobiografico in quello che fotografa?

L’autobiografia del fotografo, soprattutto nel genere del ritratto, è un tema dibattutissimo. Per me la fotografia, che è entrata tardi nella mia attività professionale, dopo la scrittura e la musica, ha significato soprattutto uscire da me stesso, proiettarmi in una realtà che ha qualcosa di indipendente, di oggettivo e di affascinante proprio perché diversa dai miei giri mentali. Ma nello stesso tempo sono io che la vedo così, attraverso una modalità di rappresentazione che contiene certamente una sfumatura autobiografica.

La prima cosa a cui pensa quando sta per scattare una fotografia?

Avrò tolto il tappo dell’obiettivo?

Il tipo di elaborazione che adotta nelle sue foto?

Scatto in digitale e uso varie fotocamere (Hasselblad, Nikon e Leica, secondo i diversi generi di fotografia). Nel digitale l’elaborazione è parte essenziale nella costruzione dell’immagine, pensiamo solo alla gestione del colore o al viraggio in bianco e nero. Cerco di non abusarne, ma se una macchia di colore, in una foto non di reportage ma di fine art, stona col resto, non esito a correggerla.

La sensazione a lavoro finito, dopo una giornata di shooting

Dopo un giorno passato a fotografare cantine e centinaia di culatelli appesi, ti assicuro che ho fame.

Da cosa trae ispirazione per i suoi progetti?

La curiosità verso la vita è una cosa inesauribile dentro di me. Viaggio moltissimo, incontro molte persone, e non ho mai smesso di coltivare quel vizio irresistibile che è lo studio, lo studio della storia dell’arte, della letteratura, della musica, del cinema. E’ facile che nascano idee, quando nulla ti è estraneo.

Ritratto di Francesco Maria Colombo @Monica Silva


Esiste realmente una differenza tra still life e ritratto? O il soggetto è solo un dettaglio su cui far lavorare la luce?

La persona ritratta è autore del ritratto, quanto e forse più che il fotografo. Il ritratto nasce da un’interazione delicatissima che comprende seduzione, sfida, complicità, antagonismo, abbandono. E tutto questo il fotografo da solo non può assolutamente farlo.

Il momento più difficile di una sessione fotografica

Nel caso dei ritratti ho il mio metodo, senza del quale non saprei da che parte cominciare. Ho bisogno di silenzio assoluto, di nessuno intorno, di condividere con la persona ritratta un tempo tutto nostro, che permetta l’emersione dei pensieri segreti e delle emozioni. E ogni volta hai paura di sbagliare, o di fare una cosa ordinaria, perché non sai mai se si stabilirà «quel» contatto che è la sostanza intima di un ritratto riuscito.

Quanto del suo lavoro come direttore d’orchestra ha influenzato il lavoro in qualità di fotografo?

Sono due cose completamente separate e credo che rispondano a due zone del cervello che non si parlano molto fra di loro. Quando lavoro come musicista il fotografo non esiste più, e viceversa. Non ho mai capito perché, ma è così.

La differenza tra dirigere un’orchestra e dirigere un soggetto sul set?

L’elemento comune è semplice: senza un processo di seduzione, che è molto sottile e molto fragile, quasi impalpabile, non riesci a ottenere niente né dall’orchestra, né da chi sta davanti alla fotocamera. Ci sono le resistenze, ovviamente, ed è questione di sapere cosa dire, quando e come, e in che modo (con la parola, con lo sguardo, con un gesto). E quando le resistenze cadono, baby, it’s magic.

Copyright Paolo Dalprato 2015 - 02
Copyright Paolo Dalprato


 

“Gli ori di Parma. L’industria, il cibo, il lavoro”  di Francesco Maria Colombo  a cura di Gloria Bianchino ed organizzata dall’Università e dal Comune di Parma


Palazzo Pigorini – Str Della Repubblica 29 A PARMA

sarà aperta dall’11 giugno al 17 luglio

dal 2 al 25 settembre, con ingresso libero

Il catalogo è pubblicato da Skira, 160 pagine, euro 35,00

Daniela Gregis si racconta per la prima volta

Ad ogni fine sfilata , i designers escono tra il pubblico per accogliere gli applausi, sempre.
Lei no. Al suo posto, una fila di sarte sorride in passerella. Indossano abiti da lavoro e ringraziano.
Questo è il messaggio della designer di moda Daniela Gregis: la persona viene prima dell’ abito che indossa.

Intervisto Daniela Gregis presso il suo atelier nel centro di Bergamo.

Siamo nel bar storico di Bergamo alta. La piazza è un vociare allegro di ragazzi appena usciti da scuola, siedono sugli scalini accanto ai cafè. Chiacchiero con l’assistente di Daniela Gregis cercando di scoprire qualcosa sul carattere della designer, quando mi appare d’improvviso dietro le sue spalle. Mi venisse un colpo!

Una signora elegante in ambiti semplici, senza un filo di trucco sul viso, con una grande fusciacca al collo e dalla voce sottile mi invita a sedere al tavolino del bar per conversare davanti ad una tazza di tè bollente, che allunga con un poco di spremuta. Magra, capelli castano cenere sulle spalle, ha l’andatura della voce di chi ha il lusso del tempo e mi racconta quand’è nata la passione per la moda:

Mia zia lavorava all’uncinetto, è da lei che ho imparato e da allora porto avanti la tradizione, più per una questione di rispetto che per una vera e propria scelta di stile”.

Ricorda il suo primo scialle, di un arancio forte e di una lana terribile, sintetica, che si usava per fare delle prove, per i noviziati: lo ricorda con ironia e racconta che ogni momento di inquietudine e solitudine lo passava lavorando alla maglia, era il suo modo per allentare le tensioni.

Da allora non ha mai più smesso.

Piazza Vecchia di Bergamo:

 



Daniela Gregis è alla sua 38esima collezione, ha iniziato questo mestiere 19 anni fa, quando nel laboratorio di Bergamo c’erano solo 3 persone; oggi in questa città si trovano i suoi 3 atelier che si affacciano sulla Piazza Vecchia. Il primo spazio è utilizzato come sala riunioni e propone pezzi di modernariato, dove il nuovo incontra il passato; oggetti acquistati nei numerosi viaggi around the world. Il secondo atelier, accanto a questo, è il vero negozio che propone la collezione in corso, una piccola boutique che non ha mai subìto restauri o ritocchi dove lavora la stessa signora da anni,  da anni. Il terzo atelier è una “lavagna bianca”, dove ogni mese il tema cambia e si gioca con gli abiti e oggetti; in questo periodo è dedicato ai bambini, quindi via libera agli acquerelli, ai giochi in legno e mini clothes.

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Mobile in legno intrecciato – atelier Daniela Gregis


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oggetti di modernariato nell’atelier di Bergamo


Tra le più grandi passioni di Daniela Gregis c’è la cultura giapponese con le sue tradizioni.

Nel negozio che propone oggetti di modernariato si possono acquistare introvabili borse japan in legno di noce (resistenti più della pelle mi dice), contenitori di legno scandinavo a incastro, kit giapponesi per oggetti rotti: si tratta di una colla color oro che disegna un tratto elegante su un oggetto che sarebbe destinato alla spazzatura. “Perché dire addio ad un oggetto bello o utile che amiamo? Il recupero è un modo per evitare lo spreco

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borsa japan in paglia lavorata a mano


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contenitore in legno scandinavo a incastro


 

 

Gli atelier di Daniela Gregis nella città di Bergamo:



Nei racconti della stilista Daniela Gregis, che sottolinea “l’eleganza non è eccesso a tutti i costi, trovo sia più elegante un contadino di una signora male agghindata” – si ritrovano l’amore per il proprio lavoro ma soprattutto una filosofia che stimola le scelte che ricadono sulla comunicazione del brand. Lo stesso bizzarro e originale dettaglio di aver fatto sfilare una donna non più giovane come Benedetta Barzini,  modella e giornalista.

Siamo delle maschere e recitiamo sempre una parte, perché mai? Che motivo abbiamo?” si domanda – “siamo così arroganti da credere di essere importanti”: questa la verità che si cela dietro il non apparire di Daniela Gregis, il non voler esporsi, il lasciare piena libertà alle modelle, di sfilare con i loro ritmi, lenti, cadenzati dalla musica, totalmente in contrasto con la frenesia di una fashion week abituale.

La location prediletta per la settimana della moda milanese è un luogo sacro: l’oratorio della Basilica di San Ambrogio, una delle più antiche chiese di Milano.

Le sfilate di Daniela Gregis raccontano una moda senza solennità, colma di spiritualità, come il luogo dove si svolge, un defilé quasi neghittoso, indolente e soprattutto mai autoreferenziale.

Ogni passo della modella libera quel po’ di mistero romantico degli abiti della Gregis, che sono casti ma colorati, moderni ma intrisi di storia – assistervi è come abbandonarsi ad una riscoperta naturalezza.

Il clangore di una grossa campana avvisa che il tempo è finito – una lezione di vita quella di Daniela Gregis: l’essere se stessi, semplicemente.

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collezione Daniela Gregis F/W 16/17


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Benedetta Barzini sfila per Daniela Gregis


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collezione Daniela Gregis F/W 16/17


 

 

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SFILATA DANIELA GREGIS – COLLEZIONE AUTUNNO INVERNO 2016/17

Saga Furs: tra nuovi talenti ed eco-sostenibilità

Sembra paradossale ma è vero: il giornalismo di moda è restio a parlare del settore pellicceria, delle aziende che vi operano e, soprattutto, di come agiscono. La notizia esce solo se c’è un fatto di interesse globale – com’è stato il caso recente relativo a Giorgio Armani – oppure se c’è una protesta in atto nei confronti della stessa industria da parte di animalisti e altre associazioni. È certamente un tema controverso, soprattutto perché risulta difficile convincere la maggior parte delle persone che vi siano lati positivi nel vestire pelo di animale.

Ma perché non informarsi per poi farsi un’opinione? Perché non cercare di guardare e ascoltare anche chi è dall’altra parte, ovvero le aziende, le case d’asta del settore? Saga Furs, fondata in Finlandia nel 1938, è una di queste voci. Welfare dell’animale, attenzione all’ambiente, corporate social responsability e un importante sostegno nei confronti dei designer emergenti sono i valori aggiunti di questa azienda, unica quotata in borsa tra le diverse case d’asta.

Intervistata a Milano, Elisabetta Pinacci (manager per l’Italia di Saga Furs) ha risposto a domande che vogliono portare alla luce gli aspetti che, secondo il loro punto di vista, sono meno conosciuti e di maggiore interesse.

 

 

 

Ambiente, welfare e pellicceria, in che modo convivono all’interno di Saga Furs?

 

<<Credo sia necessaria una premessa. Fino a prima della crisi del 2008 erano oltre il 70% gli stilisti che utilizzavano la pellicce come uno dei materiali principali per le loro collezioni. Oggi sono circa il 58%, dato che dimostra come questo settore non si sia spaventato difronte alle difficoltà. Questo per due motivi: il forte in-come che produce e, circostanza tenuta poco in considerazione, il fatto che per i paesi scandinavi indossare pellicce faccia parte della loro tradizione. Tutti elementi che portano lavoro e quindi migliori condizioni di vita in paesi come questi dove non ci sono molte altre aree di sostentamento. Saga Furs ha sposato un programma diverso dalle altre case d’asta che agisce su di diversi aspetti: essendo quotata in borsa ha l’obbligo di essere trasparente verso i suoi share-holders, skin-dealers e nei confronti delle ONG che si occupano di ambiente e welfare dell’animale e, non ultimo, delle Nazioni Unite. Ci atteniamo infatti, tramite la redazione di un documento annuale, alle loro linee guida contenute nello United Nations Global Compact Initiative. Saga Furs, come tutti i suoi competitors, ha l’obbligo di seguire i punti stabiliti dalla Convenzione di Washington o CITES (Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, ndr) per quanto riguarda il benessere dell’animale all’interno delle farm e durante la sua morte che vogliamo essere più decorosa possibile. Per quanto riguarda l’ambiente, e anche questo è tutto sul nostro report annuale, Saga Furs agisce su diversi aspetti, uno tra tutti il metodo di sostentamento degli animali i quali si cibano di alimenti provenienti da una filiera controllata e non ogm. Mangiano una miscela degli scarti (commestibili) dei nostri contadini. Nulla viene sprecato. Ultimo aspetto, altrettanto importante è il nostro settore controllo e qualità. A supervisionare il nostro lavoro, oltre ai nostri funzionari interni, c’è il governo e una terza parte, un auditor esterno e indipendente (ovvero che non si occupa di pellicceria, ndr)>>.

 

 

Parliamo di animali. Ne esistono di “eco-sostenibili”?

 

<<Sì e sono tre: le volpi, i visoni e i finn raccoon. Sono solo questi per Saga Furs. Li alleviamo e pertanto non vengono cacciati dai bracconieri. Sono inoltre tracciabili e sostenibili per i motivi elencati prima>>.

 

 

Le persone non possiedono tutte queste informazioni.

 

<<No. Non sono a conoscenza di questi dettagli per due motivi: i giornali, soprattutto quelli del settore abbigliamento, non ne parlano e perché, sempre dal punto di vista dell’informazione, l’industria alimentare è molto più interessante del fur trade. Quello che non si sa è che noi siamo per molti aspetti più trasparenti rispetto a quella del cibo>>.

 

 

Parliamo di moda. La vostra casa d’aste è molto attiva anche nel supportate i giovani designer, tra cui Chicca Lualdi e Francesca Liberatore. Come mai questa scelta?

 

<<Saga Furs ha colto l’occasione che le si è presentata alla fine degli anni ‘70 quando c’è stata un’importante crisi di prodotto. Pochi indossavano ancora pellicce. Ha deciso di investire in ricerca e sviluppo, aggiudicandosi, dopo qualche tempo, il primato per aver trovato il modo di realizzare pellicce sempre più leggere. Da quel momento è diventato naturale affacciarsi anche al mondo dei giovani creativi, che apprezzano il nostro prodotto, investendo su di loro sia dal punto di vista economico che culturale, attraverso dei programmi di “educational”. Collaboriamo anche con diversi e prestigiosi istituti italiani, europei ed esteri tra cui Ied, Istituto Marangoni e il Royal College of Art di Londra, sponsorizzando anche concorsi e offrendo borse di studio (a breve il prossimo, di cui il vincitore potrà lavorare per 9 mesi in un’importantissima maison di moda italiana, ndr). Grazie al nostro nome e reputazione siamo anche in grado di veicolarli all’estero. È stato così, di recente, con Francesca Liberatore e, in passato, con Chicca Lualdi e Gabriele Colangelo quando era agli inizi>>.

 

 

Nella sede di Copenhagen c’è il vostro Design Center: cosa avviene al suo interno?

 

<<Molte cose. Anzitutto i veri protagonisti di questo spazio sono i master furrier, i nostri artigiani, i quali insegnano, sviluppano i nuovi prototipi insieme ai designer e, su appuntamento, accompagnano i visitatori a scoprire il nostro archivio storico che conta più di 3000 creazioni>>.

 

 

Quali sono gli obiettivi che Saga Furs deve ancora realizzare?

 

<<Non siamo perfetti, ma la strada è quella giusta. Sia per quanto riguarda la trasparenza aziendale che per il supporto ai nuovi talenti. Vogliamo migliorare giorno dopo giorno>>.

 

 

 

VERSIONE IN INGLESE:

 

It seems paradoxical but it is true: fashion journalism is reluctant to talk about the fur industry, the companies that operate there and, above all, how they act. The news comes only when there is a matter of global concern – as was the recent case involving Giorgio Armani – or if there is a protest under way against the same industry from animal rights organizations and other groups. It is certainly a controversial issue, especially since it is difficult to convince most people that there are good points in dressing animal fur.

 

But why not ask and then form an opinion? Why not try to also watch and listen to those who are on the other side, ie companies, the industry auction houses? Saga Furs, founded in Finland in 1938, is one of these voices. Animal welfare, environmental awareness, corporate social responsibility and an important support for emerging designers are the added values of this company, the only publicly traded among the various auction houses.

 

Interviewed in Milan, Elisabetta Pinacci (Saga Furs Italy manager) responded to questions that want to bring to light aspects that, according to their point of view, are less known and of interest.

 

 

Environment, welfare and fur, how do they coexist with Saga Furs?

 

<< I think it needed a premise. Until before the crisis of 2008 were over 70% of the designers who used fur as one of the main materials for their collections. Today there are about 58%, since it proves how this sector is not frightened in front of difficulties. This is for two reasons: the strong in-come it produces and, little circumstance taken into account, the fact that the Nordic countries face wearing fur part of their tradition. All elements that bring jobs and therefore better living conditions in places like these where there are not many other livelihood areas. Saga Furs married a different program from the other auction houses acting on several aspects: being listed on the stock exchange has the obligation to be transparent to its share-holders, skin-dealers and on NGOs that deal with environment and animal welfare and, not least, to the United Nations. We respect infact, through the drafting of an annual document, their guidelines contained in the United Nations Global Compact Initiative. Saga Furs, like all its competitors, is obliged to follow the steps established by the Washington Convention or CITES (Convention on International Trade in Endangered Species, editor’s note) regarding animal welfare in the farm and during its death that we wanto to be more decorous. As for the environment, and this is all on our annual report, Saga Furs acts on several aspects, one among all the livelihood method of animals which feed on food from a controlled supply chain and not GMOs. Eat a mixture of waste (edible) from our farmers. Nothing is wasted. Last aspect, equally important is our control and quality field. Overseeing our work, in addition to our internal officers, there is the government, and a third party, an independent external auditor (or that does not deal with fur, ed) >>.

 

 

Let’s talk about animals. Which ones are really “eco-friendly” and do you use them?

 

<< Yes and are three: foxes, minks and the finn raccoon. These are only for Saga Furs. We raise them and therefore are not hunted by poachers. They are also traceable and sustainable for the reasons listed above >>.

 

 

People do not have all this information.

 

<< No. They are not aware of these details for two reasons: the newspapers, especially those in the fashion industry, do not mention it and because, always from the point of view of information, the food industry is much more interesting than the fur trade. What they do not know is that we are in many aspects more transparent than that of food chain >>.

 

 

Fashion. Your auction house is also very active in supporting young designers, including Chicca Lualdi and Francesca Liberatore. Why this choice?

 

<< Saga Furs took the opportunity that presented itself in the late ’70s when there was a major product crisis. A few were still wearing fur. We have decided to invest in research and development, won, after some time, the record for having found a way to make the ever lighter fur. Since that time it has become even natural to approach the world of creative young people, who appreciate our product, investing on them in terms of both economic and cultural views through our “educational programs”. We also work with several prestigious Italian, European and foreign schools including IED, Marangoni Institute and the Royal College of Art in London, also sponsoring contests, and offering scholarships (short the next, of which the winner will work for nine months in a very important Italian fashion house, ed). Thanks to our name and reputation we are also able to convey them abroad. It was so, recently, with Francesca Liberatore and, in the past, with Chicca Lualdi and Gabriele Colangelo when he was starting out >>.

 

 

In Copenhagen’s headquarters there is your Design Center: what happens inside?

 

<< Many things. First of all the true protagonists of this space are the master furrier, our artisans, who teach, develop new prototypes together with designers and, by appointment, accompany visitors to discover our historical archive with more than 3000 creations >>.

 

 

What are the objectives that Saga Furs has yet to realize?

 

<< We are not perfect, but the road is the right one. Both as regards the corporate transparency that for the support to new talent. We want to improve day after day >>.

 

 

Text and interview by Ilaria Introzzi

 

 

Photo courtesy Press office

 

Kastner & Pallavicino: eleganza da indossare

Eleganza e classe. Un allure sofisticato e vintage, avvolge il brand fondato nel 2015, da Virginia Cosentini Pallavicino e Helena Kastner che nasce dalla necessità di poter indossare un capo elegante e casual, allo stesso tempo.

Il body, è il punto di partenza di collezione iper femminile e sensuale. A questo capo iconico, Virginia e Helena hanno accostato eleganti tute e ancora gonne e pantaloni ricercati.

 

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Kastner & Pallavicino: quando nasce l’esigenza di creare la griffe?

Il brand nasce ufficialmente a febbraio del 2015, ma l’idea è nata a Dicembre 2014 mentre eravamo in un hotel di Roma. Stavamo prendendo il solito aperitivo e parlavamo di cosa avremmo potuto metterci la sera stessa per una festa. Non sapendo cosa indossare, ci siamo messe a disegnare, così per gioco, e da lì  è nata l’idea del body. Un modo decisamente surreale, ma è stato così. Quindi in questo caso possiamo dire che è nato come un’ esigenza vera e propria, ossia quella di creare un capo elegante e casual allo stesso tempo, da poter  indossare in ogni occasione.

 

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Chi sono le fondatrici del brand?

Helena e Virginia si sono conosciute a Roma ma vengono da due background diversi. Helena è austriaca ed ha studiato moda a Roma, mentre Virginia è italiana ed ha studiato filosofia.

 

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L’essenza di Kastner & Pallavicino.

Credo che l’essenza di Kastner e Pallavicino sia proprio il body, che  è stato anche lo spunto che ha permesso l’ampliamento della collezione. Il body è nella sua essenza un indumento molto femminile , una volta nascosto sotto le camicie, ora reso come capo essenziale e protagonista! Con il body abbiamo abbinato gonne e pantaloni per poterlo valorizzare nella maniera giusta.

 

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La sua fonte d’ispirazione.

La fonte d’ispirazione è l’eleganza e l’unicità della donna. Oggi giorno avendo accesso a diversi tipi di brand con stili diversi, ma al tempo stesso spesso uguali si perde quel senso di unicità. L’eleganza, perché secondo noi il body e il pantalone/gonna insieme, riescono a valorizzare al meglio la donna con le sue curve, ed accentua la sua bellezza.

 

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L’importanza del body nel guardaroba di una donna.

L’importanza del body sta nella sua versatilità e nella sua praticità. Il fatto che alcuni body sono stati fatti in velluto, o in seta, li si possono abbinare a gonne o a pantaloni da sera ma anche a un bel jeans strappato a vita alta.

 

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Tre aggettivi per definire il marchio.

MIND THE BODY ! Elegante, Pratico, Unico.

 

Un’ icona di eleganza.

Lady Diana.

 

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Kastner & Pallavicino, oggi.

Oggi Kastner & Pallavicino è ancora in fase di crescita, abbiamo lanciato il brand ufficialmente a settembre 2015 e quindi ancora un po’ acerbo, ma sta già regalando i suoi frutti.

 

Kastner &Pallavicino, domani.

Domani si vedrà, non facciamo pronostici.

 

 

 

 

Per maggiori informazioni sul brand, visitate il sito www.kastner-pallavicino.com

Nella cover da sx Helena Kastner e Virginia Cosentini Pallavicino

Photo courtesy Press office

 

 

Anna Zullian: la creatrice di gioielli enigmatici

Di Anna Zullian, si percepisce una raffinata predisposizione artistica. Le sue creazioni, travolgono lo spirito e raccontano storie che solo lei riesce a modellare con la sua superba fantasia.

Il contatto con la natura e con l’arte, pizzica la sua creatività che la porta, a sua volta,  a creare gioielli indefinibili con l’uso delle parole.

Le sue creazioni sono enigmatiche e mistiche. Legate da una sensazione primordiale che trascende l’opera d’arte fine a se stessa.

 

Il corian è il materiale al centro del progetto creativo di Anna Zullian (Ph Monia Merlo)
Il Corian è il materiale al centro del progetto creativo di Anna Zullian (Ph Monia Merlo)

 

 

Chi è Anna Zullian?

Sono una designer di gioielli con una passione estrema per tutto ciò che riguarda l’atto creativo. Dopo una laurea in arte contemporanea, presso l’Università degli studi di Parma, ho capito subito che il mio percorso non poteva concludersi qui. Sentivo di dover “ampliare il mio bagaglio culturale” e di applicarlo alla mia passione estrema per la moda. Così, dopo la laurea, ho intrapreso la strada del fashion system attraverso due scuole, la prima in Italia, a Milano e l’altra a Berlino. E proprio qui, a Berlino, ho iniziato a creare e progettare gioielli. Berlino è stata, ed è ancora oggi, una città molto importante. Qui ho avuto la straordinaria opportunità di conoscere persone incredibili, che mi hanno spinta verso la  sperimentazione estrema e assoluta del mio design. Ma non posso definirmi solo designer.  Contemporaneamente all’esperienza berlinese ho iniziato a seguire e collaborare con diverse riviste di moda. La mia primissima pubblicazione e collaborazione è stata con Vogue Italia. Oltre alle diverse pubblicazioni avute nel magazine sia cartaceo che online ho avuto la grandissima opportunità di partecipare alla fashion week milanese come “Giornalista” per Vogue.it! L’emozione è stata ed è ancora indescrivibile.  Così, contemporaneamente all’editoria, continuo con la mia attività di designer. Quest’ultima mi ha portata e mi sta portando ad ottenere importanti riconoscimenti e pubblicazioni.

Nel 2012 ho esposto un’opera, Nonna6.19.2010, presso il DesignTransfer di Berlino. Si tratta di una collana composta da tanti petali, petali visti ed elaborati attraverso gli occhi di mia nonna. E’ l’unica opera che vede come protagonista il colore. Infatti, le mie opere successive prevedono il solo uso del bianco e nero. Ora, “Nonna6.19.2010”, è in esposizione permanente presso l’accademia Abadir di Catania. Successivamente ho iniziato ad esporre le mie collezioni durante la settimana della moda di Parigi. Qui ho avuto la straordinaria opportunità di entrare in contatto con una realtà davvero molto importante per il design del gioiello contemporaneo. Diverse poi sono le pubblicazioni avute nel blog di Diane Pernet, A Shaded View Of Fashion. Considero Diane Pernet una mia grandissima icona, oltre che genio assoluto della moda. Il suo stile, la sua figura è di grandissima ispirazione per tutto il mio design.

Nel giugno del 2015 ho vinto un prestigioso concorso internazionale indetto dalla Swarovski, Swarovski Sparkling Future, presentando un anello in Corian bianco, dal titolo “Memento”. Si tratta di un’elaborazione del cristallo Swarovski in chiave contemporanea. Questa vittoria è stata illuminante. Mi ha permesso di entrare in contatto con una realtà e con un mondo davvero straordinario, iniziando così a progettare una piccola linea, utilizzando questo affascinante cristallo.

 

Le opere di Anna Zullian sono enigmatiche e misteriose (Ph Monia Merlo)
Le opere di Anna Zullian sono enigmatiche e misteriose (Ph Monia Merlo)

 

 

 

Qual è stato il momento in cui hai capito che il design era il tuo mondo?

Fin da bambina disegnavo e creavo abiti per l’iconica Barbie. Mi piaceva l’idea di creare dei veri propri outfit, e proporli poi alle mie amiche. Inoltre adoravo i gioielli di mia nonna, in modo particolare, un anello in stile barocco. Era incredibile il modo in cui quel designer lo aveva creato ma soprattutto il modo in cui aveva incastonato i diversi brillanti con una tecnica e una maestria davvero unica. Interrogavo spesso mia nonna, portandola quasi allo sfinimento chiedendole se mai sarei riuscita a creare una cosa simile. E lei, con il suo sorriso, accarezzava le mie piccole manine e mi sussurrava: “Basta crederci”. Quelle parole sono state e sono ancora oggi illuminanti.

 

Tu, in tre aggettivi.

Resiliente, forte e tenace.

 

la jewerly designer Anna, indossa una sua creazione (Ph Elvira Leone)
la jewerly designer Anna, indossa una sua creazione (Ph Elvira Leone)

 

 

Il tuo marchio in tre aggettivi.

Introspettivo, poetico, estremo.

 

 

Un’opera d’arte che ti rappresenta.

Domanda difficilissima. Sono davvero molte le opere d’arte che mi rappresentano ma in questo momento più di tutte, “Quadrato nero su fondo bianco” 1913-‘15 di Kasimir Malevic.

 

Le sue creazioni sono viscerali e sintetiche (Ph Anna Zullian)
Le sue creazioni sono viscerali e sintetiche (Ph Anna Zullian)

 

 

La tua ispirazione.

La natura, in modo particolare le mie Dolomiti, la roccia millenaria,  l’assenza di vegetazione, il paesaggio duro con le  sue forme spigolose. Tutto questo per me è sinonimo di  rifugio, dove affondare e allo stesso tempo ricercare la propria pace interiore.

Altra importantissima fonte d’ispirazione per il mio lavoro, è la luce. Amo osservare e meditare sulla luce, spesso vista e letta in senso metaforico.

Altra fonte è il cielo. Sono due le fasi che più mi affascinano. Il cielo nelle primissime ore della giornata e il cielo notturno. Questa riflessione sarà alla base del mio ultimo lavoro.

 

 

Il tuo mentore.

Me stessa.

 

Con "Memento", Anna Zullian ha vinto un prestigioso concorso indetto da Swarovski
Con “Memento”, Anna Zullian ha vinto un prestigioso concorso indetto da Swarovski

 

 

L’essenza delle tue creazioni.

Vorrei definire l’essenza del mio lavoro, delle mie creazioni, attraverso questa splendida citazione di Wassily Kandinsky: “La vera opera d’arte nasce dall’Artista: una creazione misteriosa, enigmatica e mistica. Separata da lui acquista una vita autonoma, una personalità, diventa un soggetto indipendente, animato da un respiro spirituale. Il soggetto vivente di un’esistenza reale”.

 

L'anello "Memento" si ispira alle Dolomiti
L’anello “Memento” si ispira alle Dolomiti

 

 

 

Il tuo presente.

Attualmente sto lavorando a due progetti, il primo è legato a Swarovski. Una sorta di “progetto sperimentale” che mi sta portando ad utilizzare materiali davvero differenti tra loro ma assolutamente affascinanti. Il secondo invece è un mio progetto personale, sempre legato all’uso del Corian.

 

Il tuo futuro.

Continuare il mio percorso creativo attraverso la sperimentazione estrema dei materiali e delle forme.

 

 

Per la cover photo by Elvira Leone

 

10bags Lapalombella. White e Black Collection A/I 16-17

Due sono le “sensazioni” che animano la collezione autunno/inverno 16-17 Black e White del brand 10bags Lapalombella.

Le borse di Marta Lapalombella, la giovane designer che ha dato vita ad un brand innovativo e 100% made in Italy, in realtà cambiano la loro fisionomia adattandosi alle esigenze di chi le indossa.

 

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Un’anima gender, contemporanea e metropolitana: le sue creazioni hanno carattere da vendere e piacciono grazie al forte design che le contraddistingue.

“White” recupera alcuni pezzi già esistenti nelle collezioni precedenti, ora rivisitati nel design, mantenendo il concetto di leggerezza e di trasformazione della forma, tratto distintivo del brand. Con pochi gesti infatti la silhouette cambia, modificando il volume delle borse, rendendo possibile un adattamento ad ogni look.

 

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La linea è in total black confezionata in pelle di vitello. Tutto è Total black: materiali, metalli e galvaniche, fodere così come le cuciture in punti selleria con filo cerato.

Il design che caratterizza la linea White è più rifinito e tutte le borse sono foderate a differenza dei pezzi della linea Black.

 

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La linea “Black” si ispira alla Chiave di Violino; i modelli, infatti,  prendono il nome dalle note del pentagramma: Do (monospalla da cui si è sviluppata tutta la linea Black), Re (zaino), Mi (shopper), Fa (clutch con tracolla e bracciale), Sol (pochette grande/porta pc), La (bustina).

Anche qui, regna il total black dei materiali, ed ogni borsa viene confezionata con filo cerato in punti selleria.

Un gioco di zip, la tasca centrale sul fronte e tre varianti di pelle (liscia, “acciaccata” e a lavorazione a scimmia), sono gli elementi che caratterizzano la linea Black.

Arrotolate e annodate con la loro stessa tracolla, le borse 10bags Lapalombella, sono leggerissime e versatili.

Per maggiori info www.10bagslapalombella.com

 

 

Photo courtesy Press Office

Ilariusss. Il lusso di un copricapo ironico e surreale

“Il cappello è come un punto alla fine di una frase “. Non potrebbe utilizzare definizione migliore, Ilaria Soncini, per definire il suo brand.

I suoi cappelli sono vere opere d’arte che toccano l’ingegno teatrale. Cuori, labbra e pon pon: il copricapo Ilariusss non conosce banalità.

100% Made in Italy, le sue creazioni sono confezionate artigianalmente da mani esperte che  esaltano la naturale bellezza dei suoi cappelli.

 

Ilariusss collezione FW 16-17
Ilariusss collezione FW 16-17

 

 

Ilaria, cosa dovremmo sapere di te?

Sono una sognatrice romantica ed una eterna bambina. Amo sorprendermi e sorprendere. Non sopporto la noia e le cose scontate. Mi hanno detto che sono stata un pirata nella scorsa vita, vivendo senza un vero scopo. In questa  vita, sento di dover dedicare tutto il mio tempo alla mia più grande passione che è creare cappelli, per poter lasciare un segno creativo concreto.

 

Ilariusss: come ha inizio la storia del tuo brand?

Ilariusss nasce a Berlino con la mia carissima amica Sofia, tra immaginazioni e travestimenti. Ci divertivamo a creare cappelli che potessero vestire il corpo. Ci ispiravamo al teatro di Victoria Chaplin e al mondo surreale dell’impossibile. Ilariusss è nato sognando un mondo assurdo.

 

Cappelli teatrali per la designer Ilaria Soncino
Cappelli teatrali per la designer Ilaria Soncini

 

 

Tre aggettivi per definirti.

Leale, creativa e appassionata.

 

Tre aggettivi per definire Ilariusss.

Ironico, elegante e surreale.

 

La tua fonte d’ispirazione.

Il teatro, le favole dei bambini e i miei amici.

 

La corrente surrealista ispira le collezioni di Ilaria Soncino
La corrente surrealista ispira le collezioni di Ilaria Soncini

 

 

La tua personale definizione di cappello.

“Il cappello è come un punto alla fine di una frase “.

 

 

Il tuo presente.

So finalmente chi sono e cosa voglio.

 

Ilariusss collezione FW 16-17
Ilariusss collezione FW 16-17

 

 

Il tuo futuro.

So esattamente cosa vorrò, me lo sono prefissata lo scorso anno a Roma grazie ad una persona speciale che mi ha aiutato a capirlo. Voglio un Atelier dove si possano realizzare cappelli per spettacolo, teatro, vetrine, moda e dove lavorino un team di persone appassionate. Sto lavorando per raggiungere questo obiettivo, so che riuscirò in un modo che non mi è ancora stato svelato, ad arrivarci.

 

 

Per maggiori informazioni www.ilariusss.com

 

 

Photo courtesy Ilaria Soncini

 

 

Flaminia Barosini: un brand ispirato dalla natura

Flaminia Barosini nasce a Roma nel 1987. Dopo il diploma in Design del Gioiello allo IED, si trasferisce a Londra per qualche mese dove frequenta  il prestigioso Central Saint Martins College of Arts & Design.

Nello stesso anno lancia sul mercato il suo omonimo brand con la collezione Irregular. Seguiranno, successivamente, Second Skin e Creepers: la collezione 2015 ispirata completamente al mondo della natura e dei rampicanti.

La collezione 2016, Synapses, racconta la maturità stilistica che Flaminia ha acquisito negli anni, con linee pure ed un linguaggio fluido.

In questi giorni, la designer romana sta lanciando la sua quinta collezione Origins.

 

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Flaminia, raccontaci la tua passione per i gioielli.

Ho sempre avuto un debole per gli accessori, fin da piccola.

Quindi qualche anno fa mi sono iscritta all’Istituto Europeo di Design al corso di Design del Gioiello per intraprendere un percorso di studi che ha poi segnato la mia esistenza facendomi avvicinare sempre di più a quello che oggi definirei il mio mondo.

 

Descrivici il tuo estro creativo in tre aggettivi.

Femminile, originale ed elegante.

 

Cerchietto con nastro della linea Origins
Coroncina con nastro della linea Origins

 

 

 

Da cosa trai ispirazione?

La natura mi fornisce costanti spunti per dar vita ad oggetti che non abbiano una forma riconoscibile ma che la assumono una volta indossati.

 

Il tuo mentore.

Trovo moto interessanti le sculture di Arnaldo Pomodoro, ma non ho un vero e proprio mentore.

 

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La tua giornata tipo.

Purtroppo o per fortuna non ho una giornata tipo.

Il mio è un lavoro in costante movimento e credo sia questo il valore aggiunto che condisce con un pizzico di pepe le mie giornate.

Mi occupo di tutto ciò che concerne la parte creativa del mio brand.

In ordine sparso mi occupo della prototipia, fase creativa durante la quale do vita alla collezione sotto forma di sculture in cera.

E ancora: produzione e fase di riproduzione seriale dei pezzi in metallo in seguito alla fusione a cera persa. Lavoro i gioielli a mano uno per uno.

Seguo il sito e le foto, con un team di grafici  e fotografi che mi affiancano.

Il tutto alternato da fiere ed eventi che ci vedono protagonisti.

 

Orecchini della linea Origins by Flaminia Barosini
Orecchini della linea Origins by Flaminia Barosini

 

 

Il tuo gioiello cult.

Lo chevalier, l’anello da mignolo per eccellenza.

 

L’accessorio che non indosseresti  mai.

Il mio detto preferito è mai dire mai. Molto spesso, con il tempo, mi sono dovuta ricredere sui miei gusti.

 

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La tua sfida.

Il mio lavoro è una continua sfida, quando si parla di creatività non si sa mai che riscontro potrà avere una collezione sul pubblico.

Quindi ci sono sempre stimoli nuovi che mi aiutano a sfidare i miei limiti.

 

Il tuo presente.

Oggi siamo in fase di lancio della mia quinta collezione “Origins” quindi incrociamo le dita.

 

Il tuo futuro.

Speriamo di  riuscire ad ampliare il nostro mercato. Passo dopo passo, stiamo facendo tutto ciò che crediamo sia necessario per raggiungere il nostro obbiettivo.

 

 

Per maggiori informazioni www.flaminiabarosini.com

 

 

 

Photo courtesy Ufficio Stampa

 

 

 

 

Rosa Castelbarco presenta Globe Collection: una collezione ispirata dal cielo

L’asse Milano – New York, si è dimostrato un crocevia formativo molto importante per Rosa  Castelbarco che, dopo una laurea alla Cattolica di Milano e un’esperienza alla N.Y Film Accademy, ha fondato il suo omonimo brand.

Globe Collection, la sua ultima collezione, è ispirata dal cielo. Eleganti e leggeri, i suoi bijoux prendono forma attraverso globi e catene sottili.

Ad aprile la collezione, il modello SOLE, creato da un unico cerchio, ampio e ben definito, protagonista del gioiello. La collana è composta da una lunga catena dorata alla quale viene sospesa la sfera, abbinata ad orecchini e bracciale.

Con LOU si raddoppiano i globi, concatenandosi l’uno dentro l’altro, con un intreccio perfetto, in contempo ricco e light.

Le sfere si moltiplicano nel numero magico, e diventano 3 nel modello ZOE, due piccole, ed una grande, con il materiale satinato dando un tocco più luminoso.

Con LALLA cerchi e sfere si alternano, dando un tocco giocoso e molto light ai suoi pezzi, mentre in  ADA la linea si alterna tra  ovali lisci e satinati, creando specchi di luce dorati.

 

Globe Collection by Rosa Castelbarco
Globe Collection by Rosa Castelbarco

 

 

 

Chi è Rosa Castelbarco?

Designer di gioielli milanese, 29 anni, che nel gennaio 2014 ha fondato il proprio marchio a suo nome.  Lo stile del marchio rispetta lo stile della designer: essenziale, semplice e contemporaneo: less  is more!

 

 

Un ricordo che ti lega al tuo omonimo brand.

Sicuramente il fatto che la rosa del logo è uno schizzo che aveva fatto Guttuso per mia zia. Quindi è una storia di famiglia che si tramanda. Così come la passione per il mondo del bijoux che ho ereditato dalla mia nonna.

 

Globe Collection modello Ada
Globe Collection linea Ada

 

 

Tre aggettivi per definire il tuo marchio.

Essenziale, geometrico, leggero.

 

 

La tua musa ispiratrice.

Mia nonna che era una donna molto elegante, sapeva mixare gioielli di famiglia ad oggetti più informali con un gusto fantastico. Non sovraccaricava mai i suoi outfit con troppi sfarzi, ma sapeva essere al tempo stesso ricercata ed essenziale.

 

Globe collection modello Lalla
Globe collection linea Lalla

 

 

Il tuo mentore.

Mia mamma, mi ha trasmesso il senso del dovere, a non arrendermi mai e ad impegnarmi.

 

 

Mai senza…

Un mio gioiello, ovviamente!

 

 

Il tuo ieri.

Ho avuto un’infanzia bellissima. Sono cresciuta in una casa in campagna coi miei genitori, mio fratello e i miei nonni. Tanta natura e tanti animali.

 

Globe Collection linea Sole
Globe Collection linea Sole

 

 

Il tuo presente.

Vivo a Milano, dove lavoro al mio marchio accompagnata in quest’avventura da validi professionisti, artigiani, addetti stampa.

 

 

Il tuo futuro.

Mi piacerebbe continuare a svolgere il lavoro che amo, ingrandire il marchio all’estero, e tornare a vivere in campagna. Fare avanti indietro per la città e… avere dei figli!

 

 

Per maggiori dettagli www.rosacastelbarco.com 

 

 

 

Photo courtesy Press office

 

Skatò Design: le borse della designer palermitana Mariella Di Gregorio

 

Mariella di Gregorio è una designer siciliana che ha tramutato la sua passione per il design nel brand Skatò, fondato nel 2007.

Mariella, formatasi all’Accademia di Belle Arti di Palermo crea collezioni uniche, di forte impatto visivo.

La Wave bag, modello di punta del brand, nasce “benedetta” dalle onde del mare della sua Palermo, con riccioli superbi che “increspano” le forme rigide della borsa.

Mariella, inoltre, crea gioielli unici, deliberatamente glamour.

 

 

 

 Mariella, quando nasce la tua passione per il design?

Non c’è un giorno, un mese, oppure un anno. C’è sempre stata. Scopri di avere un’attitudine particolare verso questa disciplina alle elementari quando la maestra ti elogia davanti ad altri compagni e consiglia tua mamma a farti seguire l’indirizzo artistico. Con il tempo poi, capisci che è il tuo mondo e non puoi farne a meno, il disegno banale si perfeziona e si delinea un nuovo percorso.

 

 

Perché Skatò?

Skatò è un intercalare tipico del nostro linguaggio palermitano per definire un qualcuno o un qualcosa di bassa qualità, di poco valore. Mi piaceva l’idea di giocare sulla parola e ironizzarla al limite anche perché scelgo sempre materiali di alta qualità con un design unico ed inconfondibile.

 

Wave Bag modello di pinta di Skatò Design
Wave Bag modello di pinta di Skatò Design

 

 

 

Tu e il mare

Con il mare ho un rapporto normale, lo amo fondamentalmente nei periodi che precedono le giornate troppo calde e nelle giornate uggiose, quando la calma fa da padrona. Mai quando è troppo impetuoso, provo paura.

 

 

Tu e Palermo.

Beh, effettivamente non la vivo appieno, forse perché ha perso la sua lucentezza. Si è spenta pian piano e ha poco da offrire.

 

 

Il tuo mentore

Vorrei ci fosse, per poter chiedere consigli e linee da seguire, ma non c’è, purtroppo. Ho alcune preferenze di designer che seguo, per quel poco che posso.

 

Pezzi unici e di design creati da Mariella di Gregorio
Pezzi unici e di design creati da Mariella di Gregorio

 

 

 

La tua ispirazione

Tutto quello che cattura la nostra immaginazione è fonte d’ispirazione.

 

 

La tua maggiore soddisfazione

A parte mio figlio, che rimane il numero uno, le mie creazioni.

 

 

Mai senza?

Libertà, creatività e valigia, se si può!

 

 

La tua massima ispirazione

Non c’è nulla che scavalca nulla, da tutto si può trarre ispirazione. Basta solo concentrarsi e interpretarlo con i propri occhi e la propria mente

 

 

I tuoi progetti futuri

Continuare a realizzare le mie creazioni.