Perché Umberto Eco era così importante

Scrivere di Umberto Eco è molto difficile. Dal fumetto alla semiotica alle bustine di Minerva probabilmente è uno di quelli che “ci ha insegnato a scrivere” nell’età contemporanea.
E di fronte a Eco, prima di scrivere, hai l’obbligo di leggere.
La prima cosa che ho notato è che la morte di Eco ha obbligato moltissimi a scrivere, ed a leggere, e quindi a riflettere. E non esiste un testamento migliore per un intellettuale che stimolare negli altri il bisogno, l’urgenza, l’impellenza di scrivere, leggere, riflettere.


Ha scritto Galatea del Vaglio “accade, da millenni, questa cosa stranissima, una magia. Che persone che non conosci ti parlano, ti fanno scoprire delle cose, sono i tuoi maestri. Persino se non li hai fisicamente vicino e persino se sono morti da un bel po’. C’è gente, per dire, che spende fortune per parlare con lo zio buonanima, e finanzia i maghi Otelma e le Vanne Marchi di turno. E invece noi che leggiamo no: ci basta prendere un libro e ci facciamo con centinaia di migliaia di defunti lunghissime conversazioni, con in più il bonus che di solito, se sono defunti che scrivevano, erano pure un botto più intelligenti dei parenti nostri.”


E Umberto Eco ci ha regalato, anzitempo, un breve monologo che sembra che lui stesso oggi reciti a noi per ricordare se stesso. Capita a pochi nella vita di essere così grandi da scrivere e lasciare una sorta di testamento spirituale e intellettuale consacrato in un grande libro.
Ripeto ancora oggi a me stesso che la mia scelta fu buona, che feci bene a seguire il mio maestro. Quando alla fine ci separammo,egli mi fece dono delle sue lenti, poi mi disse: “Tu hai vissuto in questi giorni mio povero ragazzo, una serie di avvenimenti in cui ogni retta regola sembrava essersi sciolta, ma l’anticristo può nascere dalla stessa pietà, dall’eccessivo amor di Dio o della verità, come l’eretico nasce dal santo e l’indemoniato dal veggente e la verità si manifesta a tratti anche nell’errore del mondo; così che dobbiamo decifrarne i segni, anche là dove ci appaiono oscuri e intessuti di una volontà del tutto intesa al male”.


Non lo vidi più, nè so che cosa sia accaduto di lui, ma prego sempre che Dio abbia accolto l’anima sua e gli abbia perdonato i molti atti di orgoglio, che la sua fierezza intellettuale gli aveva fatto commettere.
Fa freddo nello scriptorium, il pollice mi duole. Lascio questa scrittura, non so per chi, non so più intorno a che cosa: stat rosa pristina in nomine, nomina nuda tenemus.
Io Eco l’ho incrociato tre volte.
La prima volta in una lectio magistralis in cui – da bibliofilo e cultore del libro – ci spiegava qualcosa di apparentemente semplice: se un libro antico, integro, costa cinquemila euro, per esempio, e una singola stampa di una singola pagina di quel libro, da incorniciare per abbellire lo studio di un notaio, di un primario, di un avvocato, per esempio, ne costa da sola cinquecento, come possiamo sperare che per qualcuno non convenga fare a pezzi un libro di anoatomia, di geografia, una bibbia, pur di ricavarne sino a dieci volte il suo prezzo?


Proprio come nel Nome della Rosa, la bellezza non veniva distrutta dal “popolo ignorante”, ma da coloro – classe dirigente in generale – che invece avrebbero dovuto essere preposti alla giustizia ed alla conservazione e divulgazione del sapere. Il più delle volte per personale guadagno e tornaconto.
La seconda volta quando – in una Serbia distrutta dalla guerra – pochi intellettuali, letterati, editori, immaginavano una Belgrado in cui era inimmaginabile non vi fosse una rivista letteraria. E chiesero a Eco. E lui, una volta al mese, mandava gratuitamente un articolo, perchè fosse tradotto e pubblicato. Perchè Belgrado (come Eco) erano patrimonio dell’Europa e della cultura mondiale. 
E si, non c’era rinascita senza cultura e senza letteratura.


Quel piccolo contributo, che poteva sembrare banale, fu un’overdose di coraggio per quel piccolo gruppo di pochi intellettuali, letterati, editori, poeti, che ancora viveano a Belgrado, nel cuore dell’Europa.
La terza volta è qui, sulla mia scrivania. Un articolo in cui vorrebbe spiegarmi le ragioni per cui “odia” il Nome della Rosa, per cui uno scrittore può finire con l’odiare un successo che lo fa sentire schiavo.
Ma, caro professore, visto che un po’ come Adso io mi sento come uno di quei “ragazzi cui è capitato di vivere in un tempo in cui ogni retta regola sembra essersi sciolta, mi pregio di lasciarlo ancora lì, ancora un poco, e di leggerlo con maggiore saggezza.
Di certo Le perdoniamo tutti gli atti di orgoglio che la sua fierezza intellettuale le possa aver mai fatto commettere per difendere la nostra cultura, e con essa almeno parte della nostra civiltà.

Addio, Umberto Eco

Nato ad Alessandria nel 1932 e laureatosi a Torino con una tesi sull’estetica in San Tommaso D’Aquino, Umberto Eco alla fine degli anni cinquanta inizia a lavorare in Rai.

L’interesse per la cultura medievale, lo porta a scrivere il suo primo libro nel 1956: “Il problema estetico in San Tommaso”, chiaro riferimento all’argomento trattato in sede di laurea.

Nelle opere di Eco, predominerà sempre la filosofia medievale. Nel 1980 scrive “Il nome della rosa”: un best-seller dal carattere rivoluzionario. La fusione tra il giallo e il romanzo storico. Un’opera nata dalle capacità sopraelevate di un semiologo come Umberto Eco che conosce alla perfezione gli elementi della narratologia.

Il nome della Rosa” riflette la capacità dello scrittore ad  indagare nel caos infido della ragione umana. È l’attitudine di Eco a svelare un modo tutto inedito di intrecciare la letteratura di qualità al best-seller riuscendo a coinvolgere la cultura di massa.

Il successo del capolavoro è mondiale. Tradotto in più di quaranta lingue, la consacrazione de “Il nome della rosa” arriva con la pellicola di  Jean-Jacques Annaud che vede tra i protagonisti l’inossidabile Sean Connery nei panni di Guglielmo da Baskerville.

 

Sean Connery ne "Il nome della rosa" (fonte romafictionfest)
(fonte romafictionfest)

 

 

Da qui, un susseguirsi di importanti opere letterarie : “Il pendolo di Foucault”, “L’isola del giorno prima”, “Baudolino”, “Direi Quasi la stessa cosa”, “Il cimitero di Praga”, “A passo di gambero” e “Dall’albero al labirinto” . La lista dei suoi capolavori è colma di titoli, basti annoverare anche l’ultima fatica “Numero zero”: un romanzo ambientato a Milano che tocca i temi di Mani pulite e della Mafia.

Eco non era solo un abile comunicatore, ma anche un appassionato lettore: “Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita, chi legge avrà vissuto 5000 anni.: c’era quando caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è un’immortalità all’indietro”, disse.

Il suo ingegno, la sua sopraelevata intelligenza, le sue proverbiali capacità di comunicazione, sempre vivide nei suoi progetti letterari, lo hanno visto candidato al Premio Nobel per la Letteratura, mai però aggiudicato.

Eco, resta un grande saggista, un lodevole scrittore. Un uomo sempre attento ad osservare e criticare le scelte politiche del nostro Paese e un appassionato docente universitario.

 

Umberto-Eco-è-morto-lo-scrittore-de-Il-Nome-della-Rosa-aveva-84-anni

 

 

Corteggiato da sempre da diversi quotidiani che si contendevano la sua firma per poter pubblicare le sue riflessioni, amato dal pubblico per la sua libertà di pensiero,  Umberto Eco lascia un ricordo immenso di sé, un vuoto incolmabile nel panorama culturale italiano.

Eco, infatti,  è spirato ieri sera alle 22:30 nella sua abitazione di Milano, all’età di ottantaquattro anni. L’ultimo addio allo scrittore avverrà  martedì 23 febbraio all’interno del Castello sforzesco di Milano, con una cerimonia laica.

Pape Satàn Aleppe, l’ultimo capolavoro dello scrittore, edito da La nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi potrebbe essere presentato nelle librerie già nei prossimi mesi. Pape Satàn Aleppe raccoglierà “Le Bustine di Minerva”: la rubrica di Eco sull’ Espresso.