NITO festeggia il suo ultimo gioiello: urban motard N4 ad EICMA 2018

Una serata di festeggiamenti, a conclusione del lavoro collettivo del team NITO, si è tenuta a Torino, città natale del brand (NUOVA INDUSTRIA TORINESE), con l’incoronazione del nuovo gioiello del motore: URBAN MOTARD N4.

I collaboratori di NITO e la sua famiglia, amici e giornalisti, si sono riuniti per testare i prodotti top di gamma NES5 e NES10, e celebrare l’operato di chi realizza dei veri e propri oggetti di design a due ruote, mezzi innovativi per muoversi rispettando l’ambiente e risparmiando denaro.

NITO è il brand italiano che rispecchia il design made in Italy, motori dalle forme compatte e dallo stile metropolitano, produce veicoli a emissioni zero e totalmente personalizzabili.

Il modello NES, vincitore quest’anno di tre fra i più importanti premi europei, ADI Design Index, German Design Award e bid_18 (Biennale Iberoamericana di Design), è  un oggetto di stile unico per design e personalizzazione fra gli scooter elettrici disponibili sul mercato; inoltre, in termini di prestazioni, il NES risulta tra i più brillanti fra i mezzi sotto ai 4 kW, ed è facilmente verificabile nell’affrontare qualsiasi salita.





NES è personalizzabile tra 72 combinazioni di colore, customizzando catena, sella e pedana. Quest’ultima, una vera chicca in legno marinato curvato, dalla texture naturale ed elegante, il dettaglio che fa la differenza.

Ma NITO non si ferma e, ambiziosa come i propri obiettivi, presenta ad EICMA 2018 (6-11 novembre), la 76° Esposizione Internazionale del Ciclo e Motociclo di Milano, “urban motard N4“, una vera sfida a due ruote che coniuga design e prestazioni elevate.


Nell’N4 la mancanza del serbatoio è valorizzata dal telaio a vista a cui si unisce l’ampia sella sviluppata sui fianchi del veicolo, generando la forma di un fulmine che connota fortemente il concept. Con una velocità massima di 150 km/h, 11 kW di potenza e 150 km di autonomia è una motard pensata per andare ovunque, divertendosi.


La realizzazione del prototipo in scala 1:1 non sarebbe stata possibile senza la valida collaborazione di grandi marchi come Selle Italia, FG Racing, Jonich, Honpe, Danisi Engineering, Pirelli e Brembo.

NITO, con N4, è fra le poche aziende del settore 100% elettrico a posizionarsi sia sul mercato degli scooter che delle moto. L’arrivo del modello di produzione è previsto fra poco più di un anno, a inizio 2020.


César Mendoza, socio fondatore e CEO di NITO ha dichiarato: “Siamo certi che il binomio prestazioni elevate/design, possa far arrivare la mobilità elettrica a tutti. Lavoriamo da tre anni in questa direzione, con obiettivo quello di cambiare le abitudini di muoversi in città, nel pieno rispetto dell’ambiente, etica a cui crediamo, con prodotti dinamici, veloci e dal design accattivante, accontentando i gusti più disparati.”


Nito sarà presente all’evento EICMA 2018 presso il PADIGLIONE 11. Oltre a N4,  NITO espone il prodotto di serie dello scooter NES (presente anche sullo stand di Motociclismo e dI Honpe), due NES special edition, i monopattini a spinta ed elettrico N1 e N1e e il motociclo leggero pieghevole N3.

Qui il sito ufficiale: NITO – NUOVA INDUSTRIA TORINESE 

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Una tazza di tè nella campagna francese – Luisa Beccaria SS19

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Un grande designer può dire di aver lasciato il segno quando, chi decide di acquistare un suo abito, interpreta l’atmosfera che questo gli ispira, nella sua vita stessa.

Un abito in vichy ci ricorda le giornate in campagna all’aria aperta, un pin-nic primaverile, le giornate passate con la nonna a fare la pasta in casa. Un vestito dalle stampe a fiori invece ci porta in provence, nel sud della Francia, nelle distese lille di lavanda e nei borghi antichi dove regna il silenzio.

Ai lati Luisa Beccaria SS19, al centro Fernand Toussaint “Dreamy”


Ma quanti abiti realmente posseggono il dono di farci sognare, quanti hanno quella magia di trasportarci in un altro luogo e la capacità di ispirare? C’è chi, partendo da un abito, ha creato un vero e proprio stile di vita, il suo nome è Luisa Beccaria.


Luisa Beccaria, la stilista milanese che da’ il nome all’omonimo brand, rimane fedele a se stessa, romantica e femminile anche per la collezione Primavera Estate 2019.

Ruches, volants, tulle, tulle a volontà, nei colori di Delphin Enjolras e delle sue docili fanciulle, sempre illuminate dalla luce di una lampada, nei loro ambienti intimi, intente a leggere una lettera d’amore o a sognare ad occhi aperti.


sx Luisa Beccaria SS19 – dx Delphin Enjolras “Reading at lamp light”


The Enchanted Garden”, la Collezione Spring/Summer 2019 di Luisa Beccaria, un giardino incantato dove regnano i fiori, stampati sulle stoffe o ricamati sugli abiti, uno di quei giardini che Irving Ramsey ha dipinto con eleganza e grazia, dove una tavola semplice unisce la conversazione tra donne.

sx “Elegant ladies taking tea” Delphin Enjolras – dx Luisa Beccaria SS19


Leggerezza è la parola d’ordine, tessuti impalpabili, freschi come il vento delle sere in Provenza, autentici come ogni capo della maison che veste le donne più eleganti del cinema, da Nicole Kidman a Kate Winslet.

Sovrapposizioni, il cotone innestato dal pizzo, la garza, il lino, piccoli tocchi di broccato delicato; protagonista è il fil coupé, che come un acquerello dipinge e da’ sostanza a balze, corpetti e sensuali gonne. Ma la donna Luisa Beccaria è in continua evoluzione, gioca tra le tavole imbandite in un grembiule Vichy o in un vestito midi dal sapore folk, per poi risplendere la sera in un abito da cocktail organza fil coupé con fiori gialli, rossi e rosa.


Ai lati Luisa Beccaria SS19 – al centro Fernand Toussaint


Talvolta malinconiche come i soggetti di Fernand Touissaint, le atmosfere L.Beccaria hanno il sapore del passato e il fascino delle favole. Abiti come bouquet di fiori, merletti, trasparenze che si increspano in balze, sottogonne dalle mille nuance, sfumature pastello perfettamente equilibrate e muliebri.

A completare la collezione dalla perfetta palette cromatica, tiare, velette, cuffie in rafia metallizzata, e ai piedi sandali in satin legati alla caviglia e impreziositi da nodi e fiocchi tono su tono, perché i dettagli sono importanti e ci rendono uniche.

Guarda qui tutta la collezione Primavera Estate 2019 Luisa Beccaria:



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Bianca Balti nella nuova brand campaign Alessandro Angelozzi Couture scattata da Andrea Varani

LA TOP MODEL BIANCA BALTI E’ IL VOLTO DELLA NUOVA CAMPAGNA ALESSANDRO ANGELOZZI COUTURE SCATTATA DAL FOTOGRAFO ANDREA VARANI

Alessandro Angelozzi Couture è la bandiera italiana del wedding e del “saper fare“, questa strana arte in cui la nostra penisola eccelle.

Per la nuova campagna il brand sceglie ovviamente il centro della moda, la città in cui nulla è lasciato al caso, dove le boutique hanno vetrine scintillanti e dove ci si volta a guardare un pedone tanto è elegante: Milano. Milano città del dettaglio, Milano chic e pretenziosa, Milano che chiede ma offre il doppio; qui, nelle vie più importanti e nei prestigiosi palazzi, Alessandro Angelozzi Couture presenta la sua nuova collezione.

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Testimonial d’eccezione non poteva che essere Bianca Balti, altro simbolo della bella Italia, quella sana e vivace. Una scelta che ricade sull’immagine della top model dal volto fresco, giovane, una donna che si ricorda solo sorridente.

La donna Alessandro Angelozzi Couture è positiva e legata alla famiglia e alla tradizione, il vestito che indosserà il giorno più bello della sua vita sarà classico ma impreziosito dall’arte nobilissima del ricamo.

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It’s only love” è la nuova brand campaign scattata dal fotografo Andrea Varani. Una visione che rispecchia il passato del marchio, fotografie dai colori milanesi, la professionalità di una mano esperta, la serietà di chi è convinto che un abito possa veramente lasciare il segno. E Alessandro Angelozzi Couture ne è la prova!

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Gli abiti da sposa di Alessandro Angelozzi Couture sono disponibili nei migliori atelier e possono essere ordinati direttamente alla maison attraverso il sito www.alessandroangelozzicouture.it

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“Courbet e la natura” la mostra a Palazzo Diamanti sull’opera di Gustave Courbet

Dopo quasi cinquant’anni dalla retrospettiva che Villa Medici gli dedico’, torna in Italia presso Palazzo dei Diamanti di Ferrara, la mostra di Gustave Courbet, padre del realismo e uno dei più grandi pittori dell’Ottocento.

Courbet e la natura“, mostra organizzata da Fondazione Ferrara Arte e Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, racconta l’importanza storico-artistica del pittore francese che ha dato voce a Madre Natura, ha dato carattere alle vallate della Loue, ha intriso di nostalgia i laghi della Svizzera, quelli dipinti durante il suo esilio.

Nessuno come Courbet ha saputo dare il soffio umano alla natura che ci circonda, così come l’uomo fece con il Golem; le sue opere diventano presto modello di riferimento per gli artisti che lo seguirono: Monet, Manet, Degas…

Esattamente 49 le opere provenienti dai principali musei europei ed americani, formano il percorso espositivo di quell’uomo sicuro delle sue capacità e dei suoi mezzi, così come ci viene detto dal suo primo “Autoritratto con cane nero” (1842) in cui un Courbet appena venticinquenne vestito come un vero dandy, si mostra accompagnato dal suo spaniel sullo sfondo della natia Franca Contea.

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“Autoritratto con cane nero” (1842)


E’ una ricerca profonda e ossessiva quella di Courbet, che della sua produzione lavora per i due terzi sulla natura.
Misteriose le grotte da cui scaturiscono sorgenti alle cavità carsiche, buio e luce, sono questi gli elementi che lo attraggono a quei luoghi come una calamita, spazi in cui si perde, in cui gode silenziosamente di quella solitudine che non gli faceva paura, i luoghi remoti e nascosti “delle valli del suo paese“.
Potenza e mistero erano qui rappresentati con un minuzioso tocco di spatola, che restituisse alla tela la materia di cui erano fatte quelle rocce, la spigolosità e la profondità di quelle grotte.

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La valle della Loue sotto un cielo tempestoso 1849


Anche se è vero il detto che recita “tutto il mondo è paese“, non è altrettanto vero che la luce sia uguale in tutti i luoghi del mondo.
Gustave Courbet ci riporta dai suoi diari, che sono le sue stesse tele, tutte le intensità di luce dei suoi viaggi. Limpidi i cieli di Liverpool e di Hartford, trasparenti le atmosfere e cheti i paesaggi.

Tra il 1865 e il 1869, l’artista soggiorna spesso in Normandia dove, oltre agli amici, incontra l’oceano, le sue violente tempeste, le architetture naturali, il mare che cambia sempre forma e colore, il mare meteoropatico, il mare adirato e poi placido. E’ in questi che luoghi che sperimenta una personale tecnica pittorica, in cui subentrano mezzi quali stracci, spatole, ma anche polpastrelli.
La tela diviene fotografia di quei mari, possiamo sentirne il suono, la risacca sulla battigia, l’infrangersi delle onde sugli scogli, lo scricchiolìo dei sassi bagnati dall’acqua.
Cézanne, che venerava il maestro diceva:

Le onde di Courbet sembrano arrivare dalla notte dei tempi“.


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Il mare in burrasca detto anche L’onda (Gustave Courbet, 1870)


Sempre lirici i dipinti del pittore francese, dalla rappresentazione di una quercia a quella di una “Giovane bagnante” (1866), la rivoluzione pittorica sta nella relazione tra l’essere umano e la natura, un legame talmente forte da rendere i due soggetti indissolubili, uniti per destino e inseparabili.
Quale profonda emozione legava il pittore alla natura? Che volesse esprimere forse il suo stato di grazia quando ne rimaneva immerso delle ore, durante la pittura o nelle sue lunghe passeggiate, solo o in compagnia di qualche amico con cui parlare? Che sia stato così buono da volerci regalare quei suoi momenti di gioia e di pace che sente l’uomo saggio, così vicini al pastore più che all’uomo del commercio? Che lui, come Tolstoy in “Anna Karenina” o Bertrand Russell in “La conquista della felicità” voglia dirci quanto la natura sia portatrice di pace e di energia positiva?
Riuscirci ci è riuscito, anche senza l’uso della parola, ci è arrivato con i colori, con la pastosità della materia, abbiamo vissuto con lui la nostalgia dell’esule sul lago Lemano in Svizzera, la parabola malinconica di quei profili montuosi, le vedute lacustri e i suoi riflessi sullo specchio d’acqua.

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Tramonto: la Spiaggia a Trouville, ca. 1866


Ma, testimonianza della sua grandezza pittorica, è la rappresentazione della caccia, il senso di impotenza dell’uomo di fronte alle leggi della natura. Tele in cui il cielo domina sulla terra, grandi formati che prima erano destinati alle scene storiche e bibliche, Courbet li dedica alla caccia. Con questo tema il pittore arriva sulla punta dell’iceberg, governa in grandezza, attinge da una tradizione pittorica che spazia dai maestri fiamminghi del Seicento ai contemporanei inglesi.
Dipinge ciò che conosce, apprendiamo infatti dalle sue numerose lettere, che amava trascorrere i mesi invernali della nativa Ornans andando a caccia sulle colline innevate o nei sottoboschi insieme agli amici d’infanzia.

All’amico Jules Castagnary scriveva ” Guarda l’ombra della neve, com’è azzurra!“.

Nello straordinario dipinto “Volpe nella neve” (1860), Courbet esprime con maestria gli effetti coloristici della luce e delle ombre sul candore della neve. Il manto scuro della volpe gli permette di raccontare il contrasto tra i due elementi (natura/animale), con un tocco felpato nella rappresentazione del manto, così reale da poterne sentire la morbidezza, soffice e folto, prende quasi tridimensionalità.


Courbet, Volpe nella neve
Courbet, Volpe nella neve 1860


Lo spettatore viene accompagnato nelle varie fasi dell’opera pittorica di un artista che ha lasciato un segno indelebile nell’arte dell’Ottocento fino a noi, le quasi 50 opere scelte sono la sintesi dell’amore che Courbet aveva per la natura e di come si sentisse debitore nei suoi confronti, dedicandogli tutta la sua vita in viaggi e osservazioni.

Courbet e la natura” è l’esposizione a Palazzo dei Diamanti di Ferrara e rimarrà aperta fino al 6 gennaio 2019.

(in copertina “Les Demoiselles des bords de la Seine” Gustave Courbet 1856-1857)

 

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GINGER TEA ENERGIZING AQUA-CREAM, la crema leggera e nutriente di Teaology

Se siete alla ricerca di una crema viso leggera, non troppo grassa ma ugualmente idratante, la GINGER TEA ENERGIZING AQUA-CREAM è la soluzione giusta!

Anche se con l’arrivo dell’inverno la pelle necessita di maggiori cure e di creme che contengano diversi princìpi, non è detto che queste debbano essere per forza corpose, grasse, oleose. Esistono soluzioni soft ma al contempo molto nutrienti, come la crema viso di TEAOLOGY, il brand che si dedica alla cosmesi traendo beneficio dalle piante del tè.

GINGER TEA ENERGIZING AQUA-CREAM è talmente vellutata che si fonde istantaneamente con il viso non appena la si spalma. Crea un sottile velo di idratazione a lunga durata, ottimo come base per il trucco perché non unge la pelle.


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E’ una crema energizzante e dissetante che contiene vitamina C e vitamina E, zenzero, acido ialuronico e infuso di tè nero.

L’infuso di tè nero nel dettaglio è uno stimolante e insieme antiossidante; le vitamine C ed E svolgono un’azione tonificante e rivitalizzante. L’estratto di zenzero rafforza il sistema di autodifesa cellulare, e infine l’acido ialuronico migliora la compattezza cutanea, l’elasticità e combatte l’invecchiamento.

La particolarità di GINGER TEA ENERGIZING AQUA-CREAM è la sua profumazione, delicata, floreale, primaverile, frizzante, che la rende unica e un rito piacevole in ogni momento della giornata. Se abbinata ai prodotti TEAOLOGY, come l’Imperial Tea Miracle Face Mask, assicura un effetto purificante permanente, mantenendo la pelle luminosa e rivitalizzata, senza quei segni rossastri causati dal vento e dal freddo o dall’uso di cosmetici non idonei al nostro tipo di pelle.


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“Glitch” collezione Annakiki Primavera Estate 2019

Glitch” è la parola chiave della collezione Annakiki Primavera Estate 2019.
Glitch, quel momento di interruzione, improvviso, glitch, l’errore, qualcosa che salta, glitch come imperfezione.

Che il mondo della moda stia subendo un momento di stallo, lo si nota dalle vetrine e dalle affluenze sempre minori durante gli eventi del settore; la moda ha bisogno di novità, è in arrivo una rivoluzione, come quando il sinistro silenzio preannuncia una turbinosa tempesta.

Che questo “Glitch” voglia intendere la fase di mezzo, quel momento che ne preannuncia subito uno nuovo e duraturo?

Annakiki lo mette in scena sfilando in calendario alla fashion week milanese con una collezione che esalta l’errore.

Glitch sulle tute, sui completi in denim e sui marsupi tono su tono, righe di interferenza come elettrocardiogrammi.



La designer cinese Anna Jang sfila per la quarta stagione seguendo l’onda della nuova fotografia, una ricerca della scomposizione, una destrutturazione dell’immagine, una sovrapposizione apparentemente confusa di volumi e colori.

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I tessuti sono lucidi e liquidi come il pvc, cristallo e borchie vengono applicati a mano sul denim, sono linee interrotte, glitch luminosi per illuminare le notti più rumorose.

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Fondato nel 2012, il brand Annakiki sta al passo con i tempi, segue le vibrazioni della new generation, costruisce collezioni che ben rappresentano i gusti e che calzano a pennello nel contesto storico. Annakiki è moderna e glitch, molto glitch!

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Stratificazioni, mix and match, le new entry dei tessuti eco, sono le fondamenta della collezione Spring Summer 2019 Arthur Arbesser. Da questo si diramano i temi della collezione, materializzazione dell’idea, geometria, struttura, ordine.

L’ispirazione è fondamentale per Arbesser, che ricerca nel mondo dell’arte la scintilla da portare su carta, per farsi abito. Dai lavori di Fausto Melotti, scultore italiano, Arthur Arbesser da’ vita a quello che è ordine e pulizia, ritmo e armonia. Come nello opere di Melotti dove vigono le regole matematiche e i ritmi musicali, così in alcuni capi di Arbesser vengono rappresentati gli stessi temi partendo da un ordine naturale, dalla scelta dei colori – principalmente del bianco e del nero -, a quello delle linee – la nettezza delle giacche, la morbidezza delle vestaglie.


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Sx Arthur Armesser SS19 – dx opera di Fausto Melotti


Se da un lato abbiamo la sperimentazione concettuale riguardante i grandi interrogativi dell’umanità, quelli tanto cari a Melotti, dall’altro Arbesser inserisce uno spazio in cui lavora sui colori, e più precisamente sulla tavolozza di Vally Wieselthier, scultrice e ceramista viennese, esponente dell’Art dèco.


sx Vally Wieselthier – dx Arthur Arbesser SS19


I volumi si fanno più ariosi, le proporzioni intatte, le forme classiche vengono scomposte e ricostruite, sugli abiti una tavolozza di colori come vasi di Pandora, le stratificazioni sono un gioco di contrasti.


sx Vally Wieselthier – dx Arthur Arbesser SS19


La luce arriva dai tessuti spalmati in oro e platino, bilanciata dall’introduzione di materiali naturali, come la juta stampata e sfrangiata, dal crêpe nei toni del rosa e dell’azzurro e dal jersey di lino stampato.


Sx Arthur Armesser SS19 – dx Vally Wieselthier


Gli orecchini, disegnati per la seconda stagione dalla designer Nathalie Jean, in maglia d’oro, ricordano le forme primordiali di Melotti, le calzature della collezione riconfermano la consolidata collaborazione con l’azienda toscana di Fabio Rusconi.


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Punta di diamante del movimento psichedelico è Peter Max, l’artista del neo-espressionismo, grafico, scultore, pittore, disegnatore, video-maker.

Siamo negli anni ’60 quando i media iniziano a trasmettere immagini dalle fantasie visionarie, è il periodo dei “figli dei fiori”, la natura è sovrana, c’è voglia di amore e di libertà e di dar sfogo all’immaginazione.

Come Peter Max, le tinte di Vivetta sono forti, le figure fiabesche, vediamo nella collezione Primavera Estate 2019 un mondo incantato, fatto di cigni che primeggiano, farfalle, fiori e bocche che aleggiano.


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sx Vivetta SS19 – dx “Infinity Watchers” – 1970 Peter Max


E’ un viaggio onirico la collezione Vivetta SS2019,  che permette di vestire i propri sogni nel più eccentrico glamour, le tonalità sono accostate con estrema minuzia e con estrema armonia,  tratto tipico dell’artista Max.

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sx “Space landscape” Peter Max – dx Vivetta SS19


Ironica e con un piede nella trascorsa infanzia, Vivetta dipinge sugli abiti allegri arcobaleno, stelle e fiocchi rosa; le rose sono applicate su vestiti tono su tono, i cigni riposano su piccole tuniche in macramè a intarsio o su abiti lavorati ad uncinetto.

sx Vivetta SS19 – dx “Love” 1969 Peter Max


Vaporose le gonne pouf, tripudio di giardini in fiore, come gli abiti a palloncino leggeri e spumosi come meringhe.  Piccoli bouquet di ortensie fioriscono sui miniabiti drappeggiati in organza tecnica dall’effetto liquido e arricchiti da volants.


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sx Vivetta SS19 – dx “Sunrise” 2000 Peter Max


Luccicanti cristalli Swarovski illuminano le trasparenti mantelle in tulle degrade’; anche il denim si fa prezioso con ricami in perle e piume dai colori delicati del rosa pastello e dell’azzurro Tiepolo.

Vivetta Ponti, fondatrice e designer del brand, ama giocare, per lei moda è leggerezza, quella leggerezza non frivola, ma calda e avvolgente dell’infanzia, quella sicura e priva delle difficoltà degli adulti, priva della sensualità sfacciata, moda è rendere magico il nostro armadio per decidere se andare a caccia di farfalle o a raccogliere fiori nel bosco.

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Il mondo utopico del “Burning Man” – Byblos collezione SS2019, Milano Fashion Week

“Reburn” Collezione Byblos Primavera Estate 2019

L’idea di un mondo in cui tutti condividiamo le stesse passioni, dove il denaro non esiste e si torna al primordio del baratto, dove la libertà è uno stile di vita, dove tutti possono esprimere la loro creatività senza vincoli né regole, ci affascina ammettiamolo. Altrettanto vero è che, anche il meno cinico di noi, sa, essere un’utopia, una realtà che può esistere solo in maniera passeggera, e difatti chi ha creato questo universo “al di fuori dal mondo”, c’è, o meglio c’era: si chiamava Larry Harvey, ed è mancato lo scorso aprile all’età di 70 anni a causa di un ictus.

Harvey era stato lasciato da una ragazza nel lontano ’86, quando con un amico aveva dato fuoco ad un fantoccio di legno, nella spiaggia di San Francisco, durante un solstizio d’estate. Nasce così il “Burning Man”, l’evento che ricade ogni anno nel deserto del Nevada, a Black Rock City, dove più di 60.000 persone si riuniscono attratte dalla possibilità di esprimersi liberamente in una location che nasce e muore con la loro presenza/assenza.

A questo concetto di “rinascita“, si ispira la collezione Spring Summer 2019 di Byblos, una celebrazione della personalità, della diversità, dell’individualità.

Colori dagli abbagli lunari nella collezione Byblos, con riflessi argentei e talvolta dorati, abiti camaleontici che si mescolano con le sabbie bianche di Black Rock, spesso destinate a forti tormente, che rendono il viaggio più spettacolare e avventuroso.

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Tute spaziali abbinate a maxi mascherine specchio, il tessuto tecno si fonde con i colori psichedelici che assume la città di notte, quando la festa inizia, il caldo cala e le menti possono dar libero sfogo alla fantasia.

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Utili i parka per le forti escursioni termiche (questo Bezos, il fondatore di Amazon e proprietario del Washington Post non lo sa perché ha alloggiato in un camper deluxe, si immagina riscaldato, e non in tenda come molti altri) e poetiche le lunghe paillettes che ricordano le squame del pesce combattente, quel pesce dalle pinne fluttuanti e prepotentemente territoriale, che non tollera la presenza di altri della sua specie, se non di sesso femminile, il furgone!

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Particolarità della collezione, i lacci da scarpa con il puntalino imbevuto in smalto a tinte forti che virano ironicamente in frange hippie o che creano un gioco di stampe trompe l’oeil.
Frange su abiti, applicate sulle giacche in denim e in testa, tutto è movimento, sperimentazione, creazione, fino a quando l’uomo di legno brucerà e si tornerà alla vita di tutti i giorni, comprando il latte in dollari americani e non i cambio di una canna.

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Quando attingiamo dalla nostra memoria, dal nostro bagaglio culturale, frughiamo tra i bauli del passato, nei nostri studi, nei libri del liceo a cui ci siamo applicati. Ma pensiamoci, molti contenuti vanno persi, perché per noi meno interessanti, meno vicini al nostro gusto, altri invece rimangono impressi e tornano, tornano nelle foto che scattiamo, inevitabilmente, inconsciamente, nei disegni che realizziamo.

La cultura classica, quella del periodo greco (V-IV sec. a.C.), quella del pensiero artistico che influenza la scultura, l’architettura, il teatro, la letteratura, la filosofia, ha apportato dei grandi cambiamenti, con strascichi lunghi fino a noi. La sua eredità, è dentro ogni processo e progressione occidentale, è talmente forte e marmorea, da permetterci di guardarci intorno e trovarla nelle città che visitiamo, nella musica che ascoltiamo e non ultimo nella moda che indossiamo.

Alberto Zambelli, per la collezione Primavera/Estate 2019, le ha reso omaggio con dei capi ispirati al più grande esponente del periodo neoclassico italiano, l’artista Antonio Canova.

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L’eleganza delle forme, la morbidezza dei tessuti, i modelli sembrano levigati come delle statue di marmo, il movimento regala loro dei giochi di chiaro-scuro, di luce ed ombra, sono tridimensionali.

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Alberto Zambelli cela in questa collezione la passione più violenta, e lascia sussurrare la grazia, la bellezza, il sottinteso, il sussurrato, quella tendenza romantica che è l’antico mistero delle statue greche. La ragione controlla il sentimento più impulsivo, ogni aspetto è più leggiadro, come gli abiti in voile total white, trasparenze che ricordano il Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino (1753), opera in marmo ora nella cappella di San Severo.

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I gesti sono misurati e ridotti, come i colori scelti per la collezione SS2019: gesso, calce, roccia, lunare. Le composizioni equilibrate, dalle forme a uovo, kimono, tuniche. Le stampe rappresentano le sculture del maestro Canova, quasi la donna fosse un tutt’uno con l’opera dell’artista.

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Una collezione mai terminata quella di Moschino Spring Summer 2019 – Milano Fashion Week

MILANO FASHION WEEK – COLLEZIONE MOSCHINO PRIMAVERA ESTATE 2019

I ritmi delle sfilate sono serrati, finita una collezione si è già al lavoro per un’altra, i disegni, i tagli, le prove, le modelle, i fitting, lo show da preparare, le nottate insonni. Insomma si ha sempre l’ansia di non arrivare mai in tempo, di non farcela, il Lexotan per il panico, il Supradine per il fisico, gli aiutini per aumentare la creatività. Che tutti pensano, ehi, se c’è qualcuno a cui non manca – la creatività – quello è proprio Jeremy Scott. Ma oggi scopriamo che anche Jeremy è uno di noi, umano, uno che non ce la fa, uno che ha dovuto consegnare i bozzetti, gli schizzi dei disegni, e dare ordine di concretizzarli così com’erano sulla carta: degli abiti scarabocchiati, delle calze dal tratto di pennarello nero, dei cappelli disco che sembran di cartone appena ritagliato, scarabocchiate anche le décolleté in tinta con l’abito, le pochette, stampe che sono disegni di catene d’oro con il logo Moschino.

Non c’è mai tempo, si ha troppo da fare, troppo lavoro, questo lo deve dire la donna super impegnata, lo dice, con il tailleur che indossa, con quei fiorellini disegnati e colorati fuori dal bordo, con il rotolo di tessuto ancora in mano, di un long dress non finito, quello importante, per la sua serata galante, quello per l’evento speciale, ma non ha tempo, è sempre tutto in divenire, e poi potrebbe cambiare idea, volerlo più corto, più lungo, più drappeggiato. Presto presto presto che deve uscire!!!

Et voilà, la donna fumetto Moschino Spring Summer 2019 .



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