Kim Kardashian aggredita alla Paris Fashion Week

Dopo l’aggressione a Gigi Hadid, il giornalista ucraino Vitalii Sediuk torna a tormentare una celebrity: Kim Kardashian è stata aggredita dall’uomo mentre si recava ala sfilata di Balenciaga alla Paris Fashion Week. Subito dopo essere scesa dalla macchina, attorniata dalla stampa e dai fan, Kim è stata raggiunta dal giornalista che ha tentato di baciarle il celeberrimo lato b. Il disgustoso attacco è stato prontamente sventato dalla security, permettendo alla donna di assistere allo show senza altri incidenti.


Solo uno spavento quindi per Kim Kardashian, ma Vitalii Sediuk non è nuovo a episodi di questo tipo. L’ultima in ordine di tempo è stata l’aggressione a Gigi Hadid, durante la settimana della moda di Milano. La bella Gigi è stata “abbracciata” in maniera violenta e molto invadente dal giornalista, ma è riuscita a difendersi benissimo. In quell’occasione, infatti, Sediuk si è guadagnato una gomitata dalla modella, riuscendo poi a scappare mentre i bodyguard riportavano l’ordine. L’uomo ha spiegato l’aggressione su instagram, definendola un gesto di protesta contro il fashion system che regala celebrità alle reginette dei social come appunto Gigi Hadid, Kim Kardashian e la sorellina Kendall Jenner. In altre occasioni l’aggressore si è scagliato invece contro star della musica e del cinema. Celebre il suo tentativo di importunare Madonna alla conferenza stampa del film W.E. nel 2011. In quel caso, il giornalista ha regalato alla cantante un mazzo di ortensie, nonostante la sua allergia a questi fiori sia risaputa. Nel 2013 Vitalii Sediuk ha cercato di rovinare il discorso di ringraziamento di Adele alla cerimonia dei Grammy Awards, ma è stato prontamente fermato da Jennifer Lopez, decisa a lasciare alla collega il suo momento d’oro. Infine, anche Will Smith e Brad Pitt sono stati aggrediti dall’uomo, che però in quest’ultimo caso è finito in manette. Insomma, l’aggressione a Kim Kardashan è solo la più recente delle imprese di Sediuk. Aggressore seriale o solo personaggio in cerca di notorietà?

La decostruzione dell’essenziale di Y/Project

Sfila nell’ambito della Parigi Moda Donna la collezione primavera/estate 2017 di Y/Project. Il designer belga Glenn Martens continua la sua sagace decostruzione dell’essenziale nel suo secondo défilé. Vistosi accenni streetstyle spiccano nell’eleganza che si alterna sul catwalk. Il giovane stilista, laureato presso la Royal Academy of Antwerp, raccoglie grandi consensi dal 2013. Ad Y/Project si deve la fondazione dei canoni di un’estetica nuova, in cui i confini tra femminile e maschile sono sempre più sfocati. La creatività domina in una collezione dal fascino underground. Cut out sbucano da trench e pantaloni, ma anche da t-shirt e camicie. Giocosa ed irriverente, la collezione rielabora codici tradizionali in una chiave inedita: largo a denim e velluti, mentre sbucano qua e là incursioni kitsch come nel bomber in oro metallizzato. La camicia maschile rivive in una veste nuova, che la rende simile ad un corsetto, per una donna sexy e sicura di sé, in un istrionico gioco di ruolo.

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Lo streetwear in chiave couture di Koché

Sperimentazione e accostamenti arditi caratterizzano la collezione primavera/estate 2017 di Koché, che ha sfilato nell’ambito della Paris Fashion Week. Christelle Kocher continua nel suo tentativo sperimentale di fondere i codici dello streetwear con quelli della couture. Il risultato è affascinante: citazioni sportswear dominano sul catwalk, tra tenute da jogging da indossare con scialle in tulle, come fa Lindsey Wixson, che apre il défilé. Largo a felpe caratterizzate da grafismi optical, pantaloni cargo e t-shirt oversize, che si uniscono a dettagli vintage e tocchi femminili, come nei gioielli dal gusto un po’ kitsch. In un patchwork di dettagli artigianali, sfila un interessante esperimento stilistico, fortemente improntato alla contemporanetà.

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(Foto: Madame Figaro)

Vionnet: il minimalismo sfila a Parigi

La collezione primavera/estate 2017 di Vionnet si presenta all’insegna delle sovrapposizioni. Il denim, tessuto principale di questo défilé, scandisce un progetto creativo basato su sovrapposizioni di svariati tessuti e sui colori tenui.

La femminilità della donna Vionnet si concentra su abiti prettamente casti e minimali. Il soprabito kimono in seta, un vezzo sulla passerella, è stato abbinato ad un top di pizzo e un abito bianco plissettato a maniche lunghe.

Il mood casual della collezione si riflette nelle giacche oversize ma un abito verde con frange,porta la collezione ad esiti estetici desunti dagli anni ’20.

Accenni di sensualità sono stati riservati alla tunica semitrasparente con dettagli gold che caricano l’intera linea di un sufficiente allure sofisticato.

Sensuali risultano i long dress da gran soiree in lussuosa seta che leggeri accarezzano le curve della donna, librando nell’aria.

 

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Fonte cover Madame le Figaro

Fonte gallery vogue.com

Diletta Leotta, fenomeno Cantone in espansione

Diletta Leotta, giornalista sportiva per Sky, ha subito il disagio e la vergogna di non possedere una vita privata.


Ennesimo caso di sextortion: le è stato hackerato il telefono con immediata diffusione e visione di alcune foto nelle quali era ritratta nuda.


Nello stesso mattino ha sporto denuncia alla Polizia di Stato chiedendo di dare avvio ad azioni penali contro chiunque avesse rubato e fatto circolare le sue foto tramite l’accesso al suo account personale Dropbox.


Questo riporta la nota diffusa dall’ufficio stampa di Diletta Leotta:


Quello che è successo oggi è estremamente grave. Il telefono portatile di Diletta è stato hackerato e alcune sue foto privatissime di alcuni anni fa, in realtà insieme ad evidenti fotomontaggi, in queste ore sono distribuite in rete da moltissime persone. Diletta ha subito sporto denuncia alla Polizia di Stato (Compartimento Polizia Postale e delle Comunicazioni di Milano) chiedendo che si dia inizio all’azione penale contro chiunque risulti concorrente di tutti i reati perseguibili e cioè della pubblicazione e distribuzione delle foto.”.


La beniamina dei tifosi di Serie B per i quali conduce uno speciale su Sky Sport, era già protagonista di slogan e battute sessiste per il suo mostrarsi in pose provocanti e hot sui social, tanto da divenire culto e ammirazione di gran parte della tifoseria italiana.


Il fenomeno della condivisione, proprietà del web partecipativo 2.0, ha mosso gli utenti in una direzione univoca, quella del fare massa.


Se il fenomeno diviene preoccupante in un incidente fortuito come nel caso di Diletta Leotta, pericoloso lo è invece in un incidente quasi “intenzionale”. Inviare, allora, ingenuamente una foto a degli amici o al fidanzato come nel caso di Tiziana Cantone, diviene reato contro se stessi, prigione e gabbia nella quale nascondere e uccidere la propria identità.


Molti gli utenti che si sono mostrati meravigliati, sorpresi e scossi del nudo di Diletta Leotta, ma in un paese in cui la pornografia possiede livelli altissimi di fruizione, risulta soltanto l’ennesimo esempio del pregiudizio umano:  pensarsi diversi.



Vogue USA contro le fashion blogger: “state dichiarando la morte dello stile”

Vogue USA si scaglia contro le fashion blogger: “trovatevi un lavoro vero”.
Queste le accuse al termine della Milan Fashion Week da parte dei giornalisti, stanchi di recedere sulle decisioni dettate della moda.


Ne parlano chiaramente i front row agli ultimi catwalks: alle prime file i bloggers, alle ultime i giornalisti.


Un circo”, così come è stato definito dalla giornalista Alessandra Codinha.
Fuori dalle passerelle, i paparazzi ritraevano gli stili dello streetstyle, fenomeno ormai riconosciuto.


È una situazione schizofrenica, e non può essere positivo. Nota per i blogger che cambiano da testa a piedi i loro outfit sponsorizzati ogni ora: Finitela. Trovatevi un altro lavoro. State dichiarando la morte dello stile”, ha espresso Sally Singer, direttore creativo digitale del sito Vogue.
A incrementare la posizione e il ruolo dei fashion blogger, intenti a cambiare diversi looks, sono le aziende e i brand di moda che regalando intenzionalmente capi da indossare, aumentano il traffico di visualizzazioni e vendite. Un vero e proprio mercato che nasce da una sponsorizzazione oculare per trasformarsi in una vera e propria veicolazione del messaggio di “moda passepartout”.
Così da blogger, presto si diventa influencer e opinion leader pur non avendone le competenze, postando un’idea di quello che vuol essere l’outfit del giorno, rinunciando anche alla valorizzazione del proprio corpo, così come detta tal brand.


Una faida, quella tra Vogue e le fashion bloggers, che sembra non voler finire neppure durante la Paris Fashion Week ormai lontana dai riflettori di Milano.
Così oggi, chi vuole far moda, ha da affrontare chi fa del vestire “non scelto” ma “bloggato” uno stile di vita, eclissando la creatività, la capacità di pensare alla moda come materia di studio e riflessione, facendone sinonimo di apparenza e non di appartenenza.


 

Sfila a Parigi la couture future di Courrèges

Couture Future: con questo termine Sébastien Meyer e Arnaud Vaillant salutano la loro quarta collezione disegnata per Courrèges. A coniare l’espressione fu proprio André Courrèges, con riferimento alla collezione prêt-à-porter del 1965, emblematica per la rivoluzione del brand. Nella cornice della Monnaie di Parigi sfila la collezione primavera/estate 2017, intrisa di elementi couture e tocchi futuristi. Aprono il défilé minidress cocoon con tasche e martingala, pantaloni a righe black and white con boleri in tinta, per silhouette grafiche e futuriste. Seguono bomber in neoprene, jumpsuit e giacche biker, tra suggestioni hi-tech e grande ricercatezza. Sperimentazione sembra essere la parola chiave di una collezione che unisce un appeal proiettato nel futuro alla tradizione della maison. Suggestioni Sixties nel pvc dei top, per una donna moderna e raffinata.

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(Foto: Madame Figaro)

Cosa c’è stato di interessante nel dibattito tra la Clinton e Trump?

Il dibattito Clinton-Trump si è appena concluso e fa ancora parlare di sé.
Un grande show televisivo – prima di tutto – che nelle passate edizioni aveva perso il suo smalto, e non solo perché i risultati erano apparsi scontati.
Negli Stati Uniti se ne è parlato nei giorni precedenti, anche ampiamente, mentre gli osservatori europei hanno dato ben poco rilievo alla prima, vera, grande novità di questa “edizione”: gli staff dei candidati per la prima volta si erano messi d’accordo “prima” solo su pochissime regole: la durata dei “blocchi” di argomenti, gli “stack” di tempo per risposte e repliche, temperatura e luci della sala (perché si, anche questo conta, e parecchio, specie se si parla al 100% degli analisti, al 30% della popolazione, e praticamente al 70% dell’elettorato).
Questa “mancanza di accordo” ha fatto sì che innanzitutto lo spettacolo fosse percepito – e in realtà lo è stato – autentico, non preconfezionato, e come “una cosa da vedere” perché ci si potevano aspettare colpi di scena.


La politica americana – definita molto spesso “politica spettacolo” – ha visto a fasi alterne ritenere che questa spettacolarizzazione in fondo “fosse a vantaggio della televisione” o altre in cui “fosse a tutto vantaggio della politica”.
In realtà ma i come in questo caso, ed in questo dibattito anche di più, il vantaggio è stato (ciascuno per la propria parte) del tutto paritetico.
La televisione ha avuto il suo show, il suo spettacolo di 90 minuti con “contendenti veri” e colpi di scena, ha promosso se stessa come “massimo media” capaci di raggiungere la popolazione, ha creato “contenuti” su cui si discute e discuterà, non ha deluso le aspettative del pubblico, ed ha creato certamente attesa per i prossimi appuntamenti (i due presidenziali e il confronto tra i vice).
La politica ha suscitato interesse ed attenzione (anche se nella sua forma di spettacolo) in un periodo storico in cui il vero problema è “stimolare la partecipazione”, che in America è ai minimi storici da quando esiste il suffragio universale perché l’offerta politica appare scontata e piatta e on innovativa, quando spesso non rispondente alle esigenze dei tempi. I candidati hanno avuto “il loro modo” per arrivare agli elettori, e semmai la chance di proporsi in modo differente.


Se i nostri analisti sono concordi nell’assegnare la vittoria a Hillary Clinton ciò è dovuto essenzialmente alla nostra sensibilità, e non certo a come sia andato davvero il dibattito.
Questo perché – e non dobbiamo dimenticarlo – Clinton e Trump non si candidano a leadership europee, ma a diventare presidenti del “popolo americano”.
Se la vediamo sotto il profilo di mercato, la loro è un’offerta politica che prima di tutto deve essere “acquistata” da quel mercato elettorale, e i due candidati lo sapevano bene, anche in tutte quelle risposte e quel modo di confrontarsi che sono ben lontane dalle nostre sensibilità ed aspettative.
In questo senso va anche chiarito che essendo il primo dei tre dibattiti obiettivo dei candidati non era solo quello di vincere ma soprattutto quello di consolidare il proprio elettorato e lanciare parole chiave per le prossime settimane di campagna elettorale e “mettere in campo argomenti” su cui fare campagna e suscitare dibattito tra una sfida televisiva e l’altra.


Se la vediamo quindi nei termini di questi obiettivi, sia la Clinton che Trump li hanno raggiunti, e in numerosi e sparsi passaggi.
Trump è stato estremamente efficace nel confermare il suo personaggio, nel comunicare energia, nel “vendere” se stesso come il cambiamento, nel collocarsi (anche visivamente) come un leader capace di “dominare” la scena.
Ha attaccato la Clinton essenzialmente su due punti: il suo passato politico, presentandola come “inconcludente”, ricordando agli americani circa trent’anni da first lady, senatrice e infine nel governo come Segretario di Stato, con due momenti di massima efficacia, quando ha chiesto un solo esempio di un accordo internazionale di cui fosse orgogliosa e quando ha cercato di far sì che la Clinton criticasse Obama; “politico tipico” quindi e “inconcludente”.
La Clinton è stata estremamente efficace nel presentare se stessa come leader politico, come “donna di Stato”, come persona di esperienza capace di assolvere al ruolo di leadership, con il momento di maggiore efficacia sul blocco relativo alla politica estera, dove è riuscita ad evidenziare tutta l’impreparazione e inadeguatezza di Trump e la “pericolosità” delle sue posizioni.
Ha attaccato Trump su punti importanti, riuscendone a scalfire alcuni suoi punti di forza, in primis “l’essere imprenditore fatto da sé”.


Il passaggio non è da poco visto come Trump presenta se stesso, è il fuoco incrociato sulla sua attività imprenditoriale, con elementi che probabilmente noi, e gli americani, abbiamo sentito per la prima volta, e che certamente faranno discutere e approfondire, e che costituiscono il vero “colpo di scena che tutti attendevano, e che tra l’altro ha mostrato una Clinton forte, battagliera ed aggressiva, un po’ fuori dal suo personaggio (e la cosa è stata gradita sia dal pubblico televisivo che dagli elettori).
1. Trump non si è fatto da sé né sul nulla, ma con 14milioni del padre
2. è stato ben cinque volte sull’orlo della bancarotta
3. si è salvato solo grazie a scappatoie legali che facilitano i ricchi
4. non mostra la dichiarazione dei redditi perché si mostrerebbe meno caritatevole di quello che vuole apparire
5. non mostra la dichiarazione dei redditi perché si mostrerebbe meno ricco di quello che vuole apparire e di avere molti debiti che non vuole far conoscere
6. non mostra la dichiarazione dei redditi perché non paga l’imposta federale sul reddito
7. ha beneficiato della e lucrato sulla crisi immobiliare in cui gli americani ha perso moltissimo
8. non paga e non ha pagato le persone che hanno lavorato per lui
ed a tutte queste accuse Trump non solo evidentemente non era preparato, ma ha replicato sostanzialmente ammettendo tutto, dicendo in sostanza che “se esistono leggi e scappatoie legali lui ne ha usufruito legittimamente” che è un imprenditore e come tale “lucra dove può” e che non ha pagato le tasse federali perché “sarebbero stati soldi gettati al vento”.
Tutte cose che mal digerisce un popolo come quello americano, anche da un politico “normale”, immaginiamo da un presidente.
Con l’affondo finale – per noi europei non così forte come suona alle orecchie USA – ovvero non aver fatto donazioni per ospedali pediatrici o per i veterani. Su cui non una parola di replica.


E tuttavia anche Trump non ha risparmiato affondi non indifferenti, sempre per le orecchie del pubblico televisivo e per quelle dell’elettore medio americano:
1. l’accordo sull’Iran
2. l’accordo commerciale con il Messico
3. l’accordo con l’Europa
4. non un’azione di contrasto alla politica commerciale cinese
5. non aver fatto nulla per compere sul fronte cyber-informatico con Russia e Cina
6. non aver fatto nulla contro l’ISIS quando questa era agli albori, anzi averla fatta crescere sino ad essere presente in 30 stati.
Tutte accuse su cui la Clinton ha replicato poco e spesso male, e su cui si fondavano due elementi centrali della campagna di Trump: l’orgoglio dell’essere di nuovo grandi, e – in politica economica interna – la riconquista dei posti di lavoro persi a favore di paesi come Messico e Cina.


In secondo piano, anche se molto appetibili dalla cornice di gossip politico, le accuse di sessismo e si disparità razziale verso Trump, così come la risposta sul tema dello scontro sociale spesso etnico-razziale nelle città americane, sul quale dalla Clinton ci si aspettava molto di più e su cui invece Trump è risultato meno fumoso.


Gli analisti ed editorialisti americani hanno tutti, o quasi, assegnato una vittoria ai punti alla Clinton, mentre per i corrispondenti e analisti esteri la sua è stata una vittoria schiacciante.
Ma quali sono i dati fondamentali della percezione politica degli americani da cui partire, e sulle cui basi si sono espressi i candidati?
Un sondaggio Reuters / Ipsos polling mostra un elettorato in uno stato d’animo depresso, con il 64 per cento degli americani che ritiene che il paese sia sulla strada sbagliata. Questo numero comprende 87 per cento dei repubblicani e il 44 per cento dei democratici.
Un sondaggio Reuters / Ipsos pubblicato lunedì ha rilevato che circa la metà di tutti gli elettori probabili negli Stati Uniti stavano attendendo il dibattito per essere aiutati a prendere una decisione definitiva.
Quando Reuters ha chiesto agli elettori di scegliere la prima parola che veniva in mente quando pensavano al loro paese, la scelta più popolare è stata “frustrazione”, seguita da “paura” e “rabbia”.
È dunque a questo elettorato – e non agli europei o agli addetti ai lavori – che era indirizzato il messaggio dei due candidati.


Se lo osserviamo su questa base di analisi Trump non solo non ha perso, ma ha anche rassicurato la “base ricca” del suo elettorato affermando che “sul solare abbiamo perso molti soldi e che il nemico non è il carbone” strizzando l’occhio a tea-party e fratelli Koch (che a gennaio avevo dichiarato che avrebbero investito quasi 900 milioni di dollari a favore dei candidati repubblicani).
Il suo messaggio di “uomo nuovo” e indipendente, forte e deciso, con un progetto in mente, è passato, così come il voler parlare alle centinaia di migliaia di persone che hanno perso il lavoro per la estero-localizzazione delle fabbriche manifatturiere.


Sempre sulla stessa base la Clinton è apparsa più battagliera e meno “secchiona” delle altre occasioni, più aggressiva sul piano personale, più decisa e determinata nel vincere – e quindi non più un fatto scontato, come invece era stato sinora il suo messaggio.
Ha mostrato più preparazione, più adeguatezza (perfetto il passaggio “voglio rivolgermi ai nostri alleati in tutto il mondo e rassicurarli…”)
Il suo è un appuntamento con la storia: prima first lady e prima donna presidente, e per la prima volta si è mostrata determinata a raggiungere con grinta questo obiettivo che molti vorrebbero nel palmares di Michelle Obama.


Sono questi i due messaggi “subliminali” che non vengono ancora registrati nei sondaggi, che dichiarano ancora un testa a testa percentuale. Ma sono anche i messaggi che vanno sedimentati e che probabilmente si scioglieranno solo nella cabina elettorale.
Quanto conterà che “la Clinton è la vecchia politica” e che Trump “non è adeguato in politica estera”? Quanto che la Clinton è corresponsabile di molti accordi commerciali che hanno fatto perdere lavoro manifatturiero? Quanto che Trump è parte di quel sistema – e punta a tutelarlo – di super ricchi che non pagano tasse e speculano anche sulle crisi finanziarie?
Un ruolo chiave per convincere l’elettorato su questi argomenti sarà come editorialisti e politici declineranno questi temi nelle prossime settimane. E l’idea che se ne faranno gli americani, che non sempre lo dichiarano nei sondaggi politici.

La moda robotica di Anrealage

Ritorno al futuro alla Paris Fashion Week: da Anrealage è di scena un design futurista intriso di atmosfere tecnologiche. Kunihiko Morinaga ci porta nel futuro con una collezione primavera/estate 2017 dall’evocativo titolo “Silenzio”. Lo stilista fa uso della tecnologia per dare voce ai suoi capi: attraverso un meccanismo robotico, questi ultimi vengono collegati ad appositi iPad che emettono dei segnali sonori per ogni outfit. Largo a silhouette squadrate e atmosfere da space oddity, per una collezione altamente scenografica: dominano abiti a trapezio dai colori metallici, tra righe e black & white optical sbucano stampe fotografiche, anch’esse in bianco e nero, che rappresentano foreste, oceani e pattern floreali. L’era spaziale prende forma sulla passerella, tra colori statici e modelle robotiche. Sfilano pantaloni ampi, maxi gonne ed elmetti futuristi, che divengono quasi delle maschere sulle modelle, trasformate in androidi. Morinaga presenta anche una inedita collaborazione con Tom Kawada per sviluppare una app per iPhone, che sarà disponibile dal 3 ottobre. Inoltre la collezione è legata ad una linea di sneakers prodotte in collaborazione con Asics.





Note grunge in passerella da Aalto

Ha sfilato nell’ambito della settimana della moda parigina Aalto. Tuomas Merikoski, lo stilista finlandese alla direzione creativa del brand, porta sulla passerella di Parigi una collezione intrisa di note scandinave. Tuttavia per la collezione primavera/estate 2017 Aalto -che significa letteralmente “onda” in finlandese- sembra abbandonare il tradizionale cliché che associa certo minimalismo al design e alla moda scandinavi per aprirsi invece a note inedite. La collezione evoca immagini variegate, tra note futuriste e un’inquietudine di fondo. Largo a suggestioni grunge per un tuffo negli anni Novanta: tra denim all over e colori melange, troviamo maxi dress laminati e colori accesi. Ad ispirare Merikoski sarebbero stati i personaggi delle illustrazioni Moomins realizzati da Tove Jansson, celebri in Finlandia: ad aprire il défilé note di bianco iridescente tra sovrapposizioni e asimmetrie. L’intera sfilata è in bilico tra tradizione e innovazione, tra vintage e contemporaneità.

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(Foto: Madame Figaro)

Paskal: esplosione al neon alla Parigi Fashion Week

Esplosione di colori neon in passerella da Paskal. Alla Parigi Moda Donna sfila una collezione vitaminica e moderna. Julie Paskal, la stilista ucraina del brand, parte dalle linee e dai colori dell’opera “Ohne Titel” dell’artista modernista Sigmar Polke: da questo dipinto, risalente al 1979, si snoda poi un percorso ben preciso, che si nutre anche delle suggestioni della cultura rave, complice anche un recente viaggio in India che ha ispirato la designer. Così Julie Paskal crea una collezione multiforme e ricca di contrasti, per capi dal grande impatto visivo. Dominano tinte accese che illuminano il nero, tra trasparenze ardite e ruches. Largo a rosa baby, verde mela e nero, per abitini a trapezio ricchi di costruzioni asimmetriche ed istrionici dettagli. Frange e citazioni sporty illuminano capi tagliato con laser a 3D, per linee architettoniche ed elaborate.

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(Foto: WWD)