“Streight”l’omaggio dell’artista Pejac a chi combatte la pandemia

“Streight”l’omaggio dell’artista Pejac a chi combatte la pandemia

Nel particolare momento in cui viviamo, è facile che la paura e l’incertezza prendano il sopravvento, ma non devono mai mancare la gratitudine e la speranza verso chi lotta contro il virus.

Pejac, artista riconosciuto a livello mondiale le cui opere sono state esposte in città come Parigi, Londra o Venezia, dedica questo progetto a Santander sua città natale, come ringraziamento agli operatori sanitari della Cantabria per il loro immenso sforzo nella lotta contro la pandemia.

L’artista ha dichiarato: “From the first moment, the hospital has been receptive and enthusiasticand that has made the project flow in a harmonious and easy way..”. Fin dall’inizio, come spiega l’artista, l’ospedale è stato molto entusiasta e ben predisposto verso la sua proposta, rendendo il tutto più fluido ed armonioso.

L’artista cantabrico ha lasciato la sua impronta su diverse facciate dell’Ospedale Universitario Marqués de Valdecilla, a Santander, per rendere omaggio alle vittime del COVID-19 e per dare loro incoraggiamento e forza. Si tratta di un progetto composto da tre murales, situati su diverse pareti dell’ospedale, che cercano di trasmettere un messaggio di ottimismo davanti l’attuale difficile situazione.

Nella seconda metà di settembre, Pejac ha usato le pareti dell’Ospedale Universitario Marqués come delle tele: ‘Social Distancing’, ‘Overcoming’ e ‘Caress’ sono le tre opere che fanno già parte dell’ospedale cantabrico.

Il murales ‘Social Distancing’ gioca con il concetto di illusione ottica. Vista da lontano si presenta come una crepa nel muro, tuttavia da vicino la percezione cambia. La fessura profonda si scopre essere una moltitudine di persone i cui piccoli gesti di solidarietà ed affetto trasmettono ottimismo, invitandoci a pensare ad un futuro migliore. Proprio tra la folla, si possono notare gesti di empatia, amore che mirano ad un futuro migliore.

‘Overcoming’ è stato realizzato con la collaborazione di diversi pazienti del reparto di oncologia infantile che, con le loro mani, lo hanno aiutato a colorarlo condividendo così quella che l’artista definisce “un’esperienza indimenticabile” a livello artistico, ma soprattutto a livello personale.

In questo lavoro, osserviamo un bambino che riesce a raggiungere un punto molto alto, utilizzando la sua sedia a rotelle come una scala. L’artista riferendosi al bimbo,dice:“This is something that we, as a society could do – take this crisis anduse it to propel us forward”. – è qualcosa che potremmo fare come società: prendere questa crisi e usarla per spingerci avanti”.

‘Caress’ vuole farci riflettere su ciò che viene vissuto ogni giorno in ospedale. Due sagome nere, separate, sono ricreate sul muro. Non si possono toccare, ma le loro ombre proiettate per terra, simboleggiano quella necessità e volontà di avere di nuovo il contatto fisico, pertanto, sono riempite di colore. Con questo murales, l’artista voleva trasformare le ombre del medico e del paziente in uno stagno pieno di vita, rendendo omaggio a uno dei suoi pittori preferiti, Monet, e le sue ninfee.

Potrebbe interessarti anche il mio articolo “A New Now” l’installlazione di Morag Myerscough

Marai de Marai Extra Dry, l’eccellenza della spumantistica italiana

Da Guia, località nel cuore del Valdobbiadene DOGC, il marchio della famiglia Biasiotto specializzato in bollicine italiane d’alta gamma propone Marai de Marai Extra Dry

Marai de Marai è un vino storico dell’Azienda, sempre piacevolmente attuale. Nato circa 25 anni fa da un’antica ricetta di famiglia, esattamente da mano del nonno Giò, prodotto da un sapiente “dosaggio” di uve autoctone delle colline trevigiane, racchiude in sé tutto l’attaccamento al territorio ed alle sue tradizioni, valorizzate da quella ricerca costante e dalla continua cura per il dettaglio che rendono così pregiate le etichette Foss Marai. 

Marai de Marai rientra appunto in una categoria di spumanti di particolare pregio chiamato “club dei saggi“: bottiglie che raccontano una storia fatta di amore, passione e radici antiche. 

Nella versione Extra Dry, fruttato, leggero, di facile bevuta, elegante e versatile, Marai de Marai servito alla giusta temperatura è perfetto per l’aperitivo ma adatto ad ogni momento della giornata. Gusto delicato, fresco e vivace, Marai de Marai è ancora più accattivante grazie al design unico e raffinato della bottiglia millerighe Foss Marai, un’etichetta nera su cui spiccano dettagli gold, simbolo di esclusività e ricercatezza. 

Il colore è giallo paglierino luminoso, dal perlage fine e persistente, al naso esprime profumi fruttati e la chiusura è fresca e pulita. Ricordiamo che l’azienda vinicola è uno dei nostri fiori all’occhiello, è l’eccellenza italiana nella produzione di spumantistica, particolarità la fase di fermentazione, che avviene a temperatura controllata e con lieviti autoctoni e indigeni (ne abbiamo parlato in un articolo precedente qui) e una fase di presa di spuma della durata di 25-30 giorni secondo il metodo Martinotti (o Charmat). 

Pietro Cataudella: quando i disegni si fondono con la realtà

Pietro Cataudella: quando i disegni si fondono con la realtà

Pietro Cataudella, classe 1991, è un illustratore e content creator siciliano molto conosciuto sui social network, in particolare Instagram.

CityliveSketch è il suo progetto nato nel 2014, con lo scopo di mostrare la bellezza dei luoghi iconici, le vedute più caratteristiche del mondo, le scene dei film ed i libri più conosciuti. Per condividere tutto questo, Pietro combina in maniera impeccabile le fotografie con i disegni che realizza su un semplice quaderno da viaggio.

Pratica, perseveranza ed entusiasmo, hanno portato Pietro ad arricchire la realtà, trasformandola in un vero racconto grazie ai suoi fantasiosi disegni.

La rivista D-Art ha avuto modo di intervistarlo, ecco a voi le domande:

Parlaci meglio del tuo progetto CityliveSketch: da dove nasce l’idea e quale è stato il primo disegno?

CityLiveSketch nasce dal desiderio di voler condividere immagini che non fossero solamente fotografie, ma dei contenuti più personali e originali.

Ho deciso così di unire le mie passioni per fotografia e disegno per realizzare qualcosa di nuovo. L’idea è nata nell’estate del 2014 a Marzamemi, piccolo borgo marinaro e frazione del mio paese di origine, Pachino, in provincia di Siracusa. Questo il primo CityLiveSketch:

Dove trovi l’ispirazione?

Da tutto ciò che mi circonda, paesaggi, scorci, monumenti o oggetti di uso comune.

Come realizzi i tuoi disegni e le relative fotografie?

Inizialmente i disegni li realizzavo a matita o penna su un taccuino. Da alcuni anni ho aggiunto al mio workflow il disegno digitale. Per quanto riguarda le fotografie, le scatto tutte con smartphone.

A quale disegno sei maggiormente legato e perché?

Ad oggi sono molto legato a questa illustrazione, realizzata durate il periodo di lockdown perché è una sorta di inno al ricongiungimento con i propri cari.

Ti ispiri a qualche artista in particolare?

Non proprio, cerco di avere sempre un mio stile riconoscibile.

Progetti per il futuro?

Spero di poter tornare presto a viaggiare in totale serenità e sicurezza per scoprire nuovi posti ed includerli in maniera creativa ed originale al mio progetto @CityLiveSketch.

Mareja: viaggi di moda

Angelica e Teodora, amiche da sempre e adesso anche socie. Si ispirano al Rajasthan nelle loro creazioni, terra a cui sono legate e che rievoca in loro ricordi particolarmente significativi. i tessuti di Mareja – questo il nome della loro linea- si ispirano alla millenaria tradizione delle finissime sete ricamate a mano.

Core stilistico del duo un mix and match composto di colori, texture e pattern declinati su materiali serici e arricchiti con ricami in contrasto, tono su tono e sfumature cangianti. Eleganza timeless e artigianalità: il duo imprenditoriale punta sulla piccola produzione.

 I tessuti sono impressi a mano con blocchi di legno intagliati da artigiani a Bagru, nel Rajasthan. Completano la collezioni AI 2021 top a clessidra, tuniche in velluto con interni a contrasto in seta, pantaloni, gonne, tuniche con ricami fatti a mano, chemises longues in seta con tinte a contrasto blu pervinca e azzurro polvere, con tinte del rosso, arancio, viola, del giallo e del verde acido.

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con le due imprenditrici.

  • Cosa é per voi l’altro (inteso come altra cultura)? 

L’altro è conoscenza di altre culture, tradizioni, religioni e storia che ci aiuta a realizzare un processo di trasformazione e crescita interiore ed esteriore portandoci ad ampliare la nostra visione del mondo e comprendere con maggior chiarezza ciò che accade intorno a noi. La conoscenza dell’altro è un percorso aperto che intreccia più realtà donando nuovi stimoli al nostro stile di vita.

  •  Su quali valori punta una pmi come la vostra durante una crisi mondiale? 

La maggior parte della nostra produzione è improntata in India e durante questo periodo di pandemia, nella nostra piccola realtà, vogliamo dare un contributo al miglioramento della qualità della vita a persone che sono nate in un contesto molto più sfortunato del nostro.

  • Il luogo del cuore 

Angelica: Casa al mare al forte dei marmi dove ho vissuto i miei momenti di vita migliori e più spensierati.

Teodora: I miei luoghi del cuore sono molti, ma il posto in cui torno sempre volentieri è Londra. Città poliedrica e cosmopolita, vera capitale del mondo dove si incontrano e fondono le culture più disparate creando un mix di persone, tradizioni e stili unici. 

  • 3 oggetti che non mancano mai nei vostri bagagli? 

Angelica: creme viso, caricatore portatile telefono per restare sempre connessa con il mondo circostante e laptop, ogni momento è buono per lavorare. 

Teodora: camicia bianca, jeans, scarpe comode anche se sono solita partire con la valigia semivuota in quanto amo lo shopping locale.

  •  Tra tutte le privazioni del covid quale é quella che vi causa maggiore sofferenza? 

Intendo dire della normalità cosa ê a mancarvi soprattutto? 

Viaggiare, scoprire e conoscere nuove persone. Un semplice abbraccio. 

  • Una donna a cui vi ispirate?  

Diana Vreeland, giornalista statunitense di origini francesi. Donna di un talento unico, che seppe inoltrarsi nei territori ancora intatti di uno stile personalissimo, ed indurre le donne ad osare ed ad esprimere un eccentricità studiata in grado di valorizzare la figura femminile.

  •  foto in bianco e nero o a colori? 

A colori! È proprio il colore il protagonista del nostro scenario, non a caso l’India, dal cibo ai tessuti, è il mondo multicolor per eccellenza.

Ogni colore può trasmettere delle sensazioni, raccontare storie o far cambiare il nostro stato d’animo.

  •  3 profili instagram da seguire? 

– theladyofthegoldrings

– kenscott.archives

– somewhereiwouldliketolive

  •  Cucina e piatti preferiti? 

Angelica: cibo, che passione! Prediligo la cucina mediterranea, ma mi piace sperimentare, mangio tutto.

Teodora: io sono molto golosa e non resisto ad un millefoglie con la crema chantilly come solo a Firenze sanno fare!

– Cosa state leggendo? 

Angelica: L’arte del dubbio di Gianrico Carofiglio

Teodora: Zia Mame di Patrick Dennis

Descrivete con tre aggettivi il vostro marchio.

Elegante, senza tempo e mai convenzionale.

“A New Now” l’installazione di Morag Myerscough a Parigi

“A New Now” l’installlazione di Morag Myerscough a Parigi

L’artista brittanica Morag Myerscough ha creato un artwork colorato ed esuberante in una piccola piazza tra il Centre Pompidou ed il quartiere di Saint- Merry.

L’installazione è stata commissionata dal collettivo 6M3 di Parigi, nell’ambito dell’iniziativa “Embellish Paris” con lo scopo di dare una nuova vita agli spazi trascurati della città.

Intitolata “A New Now”, l’installazione d’arte pubblica è alta otto metri e porta tutti i segni d’istintivi delle opere di Myerscough: colori forti, forme geometriche disordinate e caratteri audaci.

L’opera ha lo scopo di infondere gioia ed ottimismo, in questo periodo in cui la pandemia ha causato malessere generale.

“I have always felt strongly that we need art in every form to stimulate us and transport us from the everyday – but at this time, it is essential for our wellbeing. I do not believe in the phrase “a new normal”, I have always disliked the word “normal.

Continua con “I believe it is impossible to predict the future and we are living in A New Now! We need to find and embrace ways of moving forward here and now. We are in the midst of seismic changes and we must aim to make a better sustainable world.”

L’artista sostiene che abbiamo bisogno dell’arte nel nostro quotidiano, soprattutto in questo momento, in quanto è essenziale per il nostro benessere. Lei non crede in una nuova normalità perché non ama il termine “normale”, però pensa che dobbiamo creare un mondo migliore e sostenibile perché ci troviamo nel bel mezzo di cambiamenti climatici e sismici non indifferenti. Pertanto, ci invita a modificare la realtà creando un futuro migliore post Covid-19.

L’opera sarà visibile fino a fine dicembre 2020.


Potrebbe interessarti anche il mio articolo sulla collaborazione Gucci x OnePiece

Lo charme contemporaneo di Valentino

Lo charme contemporaneo di Valentino

Una grazia leggiadra volteggia in passerella. Lo spirito di Valentino rivive in creazioni palpitanti e romantiche fatte di pizzo e chiffon, di seta e di pelle in una sinfonia di stile che evoca in parte la dolce giovinezza di Brooke Shields, icona di Valentino nei primi anni’80. Per l’estate 2021 Pierpaolo Piccioli, direttore creativo della maison fondata nel 1959 da Valentino Garavani, e oggi consigliere di stile di Jennifer Lopez, Lady Gaga, e Mika, riformula il lessico del marchio con la prima sfilata offline a Milano dopo anni di assenza della maison dall’Italia. Era il 1989 quando Valentino decise di lasciare la passerella di Roma per presentare la sua couture a Parigi, mentre dagli anni’70 la ville lumière è la cornice d’eccezione del ready to wear femminile; solo il menswear, insieme alla linea valentino Night, invece veniva svelato a Milano soprattutto negli anni’90. Il ritorno di Valentino, oltretutto con una sfilata in presenza, è un segnale: “Credo che, in questo periodo storico, sia di fondamentale importanza rimanere concentrati sul lavoro da compiere. È stimolante poter pensare a nuove idee, e questo è il tempo, in cui le idee possono crescere e diffondersi. Milano è una nuova opportunità, un grande progetto che sto sviluppando con i miei team, sul concetto di identity”, parola di Piccioli. E la sfilata coed, che è stata ospitata negli spazi post-industriali di un’acciaieria meneghina trasformata in un grande open space fiorito allietato da una performance musicale live, è un esempio di come questa nuova identità, egualitaria e plurima, ibrida ma decisa, possa moltiplicarsi in passerella attraverso un casting fatto di individui visti attraverso un prisma di forme e colori.

Il nuovo normcore imposto dall’austerity imperante, si affaccia nel nuovo guardaroba proposto da Valentino fin dal mattino e dal daywear: gli orli sono succinti o lunghi fino ai piedi, le linee fluide e danzanti accarezzano il corpo, le fantasie macro e squillanti si alternano a colori saturi che bruciano la retina, ingentiliti da un tourbillon di rouche e volant, dettagli decorativi cari al civettuolo e spumeggiante linguaggio stilistico della maison.

Le trine, realizzate anche in paglia e in forma di crochet, imperversano ovunque in omaggio a una nuova gentilezza di cui abbiamo un urgente e disperato bisogno. Giacche destrutturate in versione fustellata e gonne traforate effetto macramé nobilitano gli outfit apparentemente più basici guidati da un’idea della semplificazione generale delle fogge suggerita anche dall’ubiquità del denim.

Anche le bluse maschili sono declinate in aereo chiffon. E la couture diventa craft, artigianalità da vivere nel quotidiano. Gli accessori di punta del brand capitolino soffrono di gigantismo: la rose bag, che ha esordito nel défilé autunno-inverno 2020-21, assume dimensioni maxi, le bags di collezione hanno una allure materica, grandi fiori sbocciano sui sandali, le ormai iconiche rockstud, assurte a talismani di eleganza moderna, si alternano ai boots dalla presenza assertiva. La sera si accende di una luce che fende le tenebre. 

“Esoscheletro distopico”, il romanzo di genere di Giuseppe Foderaro

Assistiamo in questo libro a due evoluzioni: quella della storia dell’uomo e quella del protagonista, Giulio Ferraro, ricercatore universitario con il sogno di diventare archeologo. 

Esoscheletro distopico” è un libro diagramma di flusso, inizia in una piccola aula universitaria e si espande in infinite informazioni che si immettono con collegamenti, a cui si aggiugono blocchi e ragionamenti. Qui il lettore curioso ha da divertirsi, perchè la storia del libro non è solo la storia di un giovane sognatore, ma la storia dell’umanità intera. 

Giuseppe Foderaroautore di “Esoscheletro distopico”, ha dato vita alla sua grande passione, quella per la scienza; attraverso i dialoghi dei protagonisti (che sappiamo come essere vestiti; conosciamo i loro feticismi, come la visione dello sciogliersi di trecce di una fanciulla; le loro abitudini, la lista della spesa sempre dimenticata alla calamita del frigo) assistiamo al quesito più antico del mondo: da dove veniamo? 
In un romanzo che porta in sé saggistica, avventura e giornalismo d’inchiesta, Giuseppe Foderaro ci regala una serie di informazioni che parlano di noi, dei nostri antenati, di paleontropologia. 

“Siamo figli di una ibridazione tra Sapiens e ominidi usciti dalla loro terra africana; l’Asia è probabilmente la culla dell’umanità; siamo un popolo evoluto dal punto di vista biologico ed involuto culturalmente; la nostra laringe nei primi due anni di vita è posizionata in alto per permettere ai neonati di poppare senza strozzarsi, come succede per i mammiferi che possono mangiare e respirare allo stesso tempo” sono solo alcune delle ricerche scientifiche che l’autore riporta e che ci invogliano a cercare e cercare, Google alla mano, come dei veri e propri archeologi in tutta comodità sul divano di casa. 

“Esoscheletro distopico” ci presenta la risposta all’antica domanda, si arricchisce di colorate similitudini, di descrizioni tecniche e cristalline, di personaggi su cui fare il tifo, come il protagonista, il giovane Giulio che ci accompagna, mano nella mano, in questo lungo viaggio all’indietro, lungo duecentomila anni. 

Giuseppe dove hai fatto ricerca per la stesura del romanzo?

Ho consumato tutti i testi della Facoltà di Archeologia e culture del Mondo Antico dell’Alma Mater di Bologna, e altri testi della Sapienza di Roma, oltre che le riviste scientifiche come Nature e Science.

Quanto c’è di vero e quanto di inventato nel romanzo? 

È tutto vero. Sull’esito delle ricerche finali ho mixato un’insieme di teorie, visto che la storia dell’evoluzione è ancora tutta in divenire. Ho finito di scrivere il romanzo alla fine del 2017 e consegnato il manoscritto a Mursia, la casa editrice, a maggio 2018, fino ad allora si pensava che i Sapiens si fossero sviluppati soltanto nel Corno d’Africa 150mila anni fa e avessero lasciato l’Africa per l’Eurasia 60mila anni fa. Soltanto dopo le nuove ricerche hanno stabilito che i Sapiens si siano sviluppati in Africa molto prima (315/320mila anni fa), e non solo nel Corno d’Africa (Africa orientale), bensì un po’ in tutto il continente e che abbiano lasciato l’Africa 200mila anni fa.

In particolare, i Sapiens da cui deriviamo noi, quelli più evoluti, hanno lasciato l’Africa 135mila anni fa, a seguito della Glaciazione Wurm (nel Pleistocene). Ma le teorie raccontate nel mio romanzo sono quelle in voga nel 2017.

“Esoscheletro distopico”, il romanzo di genere di Giuseppe Foderaro edito da Mursia 

Da dove arriva questa passione per la paleontropologia? 

Deriva dalla domanda che un po’ tutti ci poniamo: come siamo arrivati fin qui? Ed è vero che ci siamo evoluti, visto lo scenario mondiale in cui ci troviamo calati, nostro malgrado?
La mia risposta è che ci siamo evoluti più a livello biologico che culturale.

L’antropocentrismo, il narcisismo dell’uomo, è tale che gli esseri viventi vengono ancora classificati secondo una scala che vede l’uomo occupare le posizioni più elevate, ma è una forzatura. Noi ci sopravvalutiamo. L’uomo non è più evoluto di una carota o di un batterio; tutti gli organismi viventi sono la manifestazione di un processo evolutivo cominciato circa 4miliardi di anni fa, con la nascita della Terra.

Perché non ci siamo evoluti culturalmente?

Perché la nostra ambizione ci porta a modificare gli ecosistemi a discapito di tutto il resto. Non sappiamo vivere in simbiosi con la natura (cosa che invece facevano i Neanderthal).

Anziché La Sapienza, che ci fa chiamare Homo Sapiens, noi abbiamo un’altra peculiarità che è la narratività, ovvero la capacità di strutturare le storie. E questa cosa ci ha sempre salvati.
Nel ‘67 un etnologo tedesco (Kurt Ranke) ha coniato il termine Homo Narrans, proprio perché è attraverso le storie che noi impariamo il mondo; se non trasmetti ad altri le tue conoscenze sei morto. E l’essere umano ovunque vada lascia un segno.
Per tutto il resto, il nostro desiderio di incrementare la demografia e l’economia in maniera selvaggia e incontrollata sta distruggendo il mondo, i suoi ecosistemi, il clima, ecc.

Cosa c’è di te nei personaggi che hai descritto?

L’amore per la scienza.
La scienza a volte può rivelarsi quasi poetica, quando ti fa ben sperare in un futuro migliore. 
Perché le risposte le troviamo lì, ed è nel sogno di volerle cercare quelle risposte che immagino un mondo diverso domani

Poetica come le storie delle Sacre Scritture?

Io sono credente, ma per un mio retaggio culturale/familiare. Per un imprinting più che per una convinzione. Credo che le sacre scritture siano più che altro i testi scientifici, quelli seri e comprovati.
Dobbiamo continuare a meravigliarci e a viaggiare ed esplorare senza aspettare un deus ex machina che ci risolva i problemi.

Quindi il paragone che fai nel romanzo tra sacre scritture e scienza non è un tuo pensiero, lo affibbi al personaggio



Sì, io cerco sempre di astrarmi quanto possibile da ciò che scrivo, anche se poi ciò avviene solo in parte, per forza di cose. Ma i miei personaggi pensano e agiscono in maniera autonoma.
Io nonostante tutto credo ancora nell’essenza del genere umano (e molto meno nei suoi comportamenti).

L’uomo tutt’oggi pensa poco e male. E questa è una rovina. Molti credono che i nostri cervelli si siano evoluti per aumentare il cosiddetto ragionamento astratto (pianificare le cose, organizzare concetti, produrre nuove informazioni). In realtà la natura ha fatto crescere i nostri cervelli non per pensare (e questo spiega l’arcano!), bensì per far fronte a maggiori capacità socialiper farci vivere in gruppi sempre più grandi.
E vivere in gruppi sempre più grandi è una vera impresa (competizioni e lotte necessitano di forti abilità sociali); quindi siamo più strateghi, al massimo, che pensatori.
È tutta una questione di sopravvivenza, e di prevalenza in un gruppo sociale.

  • “Esoscheletro distopico” : 250 pagine
  • Editore : Ugo Mursia Editore (27 agosto 2020)
  • In libreria, qui su Amazon

Il raffinato intimismo di Fendi

Il raffinato intimismo di Fendi

Gruppo di famiglia in un esterno per Fendi. La storica maison romana, oggi controllata da LVMH, rilegge il presente in un’ottica aggregante che rilancia il valore della memoria nel segno di un neoromanticismo legittimato da lavorazioni trionfanti e da un uso virtuosistico dei pellami. Preceduto da un video realizzato da Nico Vascellari in cui si alternano le varie generazioni di questa meravigliosa dinastia della moda, lo show si snoda sulle note di una colonna sonora assemblata dal vivo dal musicista italiano Lorenzo Senni e accompagnata da un quartetto d’archi, in attesa del ‘battesimo del fuoco’ di Kim Jones. Il nuovo direttore creativo della maison e osannato stilista di Dior Men debutterà come delfino di Karl Lagerfeld nel febbraio del 2021.

Nel suo ultimo défilé coed affidato alla direzione creativa globale di Silvia Venturini Fendi (riconfermata come stilista degli accessori e del menswear) e ambientato in un’enorme stanza ideale inondata da un sole radioso che penetra nel salone attraverso finestre digitali, le creazioni del marchio pongono l’enfasi sulla naturalezza intimistica dei capi impreziositi da lavorazioni inusitate, come sempre all’altezza delle aspettative. E così l’à-jour crea trasparenze inattese sulla pelle baciata dal sole, i ricami jour d’echelle si fondono con le piume che rendono le mise estive più evanescenti e vaporose,  i dettagli sartoriali si “imprimono” sulla maglieria trompe l’oeil, le vestaglie brodée e le tuniche svasate elevano il comfort della vita domestica.

La purezza del lino ha un ruolo essenziale nel guardaroba assemblato da Fendi: accarezzato dal cotone, dalle piume, dalla pelliccia e dalle trapunte in piumino, evoca immagini di biancheria da letto e da tavola ricamata, ricordi tramandati di madre in figlia. La palette respira nelle naturali sfumature del grano, del latte e del miele, tra i riflessi dell’azzurro del cielo e del rosso cardinale, mentre un bianco e nero cinematografici brillano come riflettori puntati sul tessuto. Leggerezza e profondità si fondono nella biancheria con pattern floreale délavé, nelle pellicce fustellate, nelle trapunte in satin boutis, nell’intricata lavorazione dei grembiuli in duchesse di seta, tulle ricamato e gazaar. Gli abiti raccontano le storie del rigore artigianale italiano e l’emozione della nostra esperienza universale: il savoir-faire di Fendi applicato a un momento surreale come quello che nel bene e nel male stiamo vivendo.

Anche il cast della sfilata, modulato nel segno dell’inclusione, racconta il senso di appartenenza a una community trasversale espresso dal mood della collezione in cui il candore luminoso del bianco lattiginoso è mitigato da lampi di rosso rubino, di arancio e di giallo limone: i top model più giovani si alternano in passerella ai perennial come Mark Vanderloo e Penelope Tree, icona della Swinging London, di Avedon e di David Bailey, senza dimenticare Edie e Olympia Campbell, Cecilia e Lucas Chancellor, Philippe e Dries Haseldonckx, mentre le modelle curvy come Ashley Graham incedono fra luci e ombre che esaltano la bellezza timeless delle lavorazioni.

Gli accessori sono come al solito un exploit creativo: . la baguette fatta a mano in Abruzzo è realizzata in merletto a tombolo aquilano inamidato nello zucchero, una tecnica perfezionata dalle monache benedettine sin dal XV secolo. La Baguette strutturata, proveniente dalle Marche, è tessuta in fili di salice naturale, ispirata alle ceste dei pescatori locali. Eterei veli di seta ricamati fluttuano sulle borse Baguette e Peekaboo in pelliccia floreale e cotone ajouré o il logo doppia effe in pelle trapuntata.

Proliferano le texture intrecciate: panieri in PVC riciclato, tote con struttura stretch traforata, cestini da picnic e valigie in tela diventano soluzioni pratiche e spensierate per la vita quotidiana. La seconda capsule collection Fendi x Chaos vede protagoniste cinture “grembiule” laser-cut e ajouré che contengono “tech jewellery” nei colori pastello, e orecchini a catena impreziositi da perle e da impertinenti dadi logati Fendi. Donne con stivali intrecciati, décolleté stretch e slide da piscina in rattan evocano un’eleganza primaverile. Per l’uomo, le scarpe da vela sling-back e le low-top T-bar sono i nuovi classici.

La valle delle bambole di Moschino

La valle delle bambole di Moschino

Partire dal piccolo pensando in grande. E siccome una sfilata non poteva farla senza pubblico, quel geniaccio discolo e vulcanico di Jeremy Scott, che una ne pensa e cento ne fa, si è inventato una trovata davvero brillante: una sfilata bonsai con bambole al posto delle modelle e un pubblico di marionette con le fattezze degli opinion leader della moda. Così Moschino si è messo in scena a Milano, perché una risata ci seppellirà. Il concetto è semplice: cosa può esserci di più attuale di un mondo a soqquadro o ‘sotto sopra’? Tutto questo deve e può tradursi in abiti che svelano tutti segreti della loro elaborata e sofisticata costruzione surreale. Il nostro mondo è sempre più surreale? E allora perché non esibire le cuciture interne degli abiti, lusso supremo da sempre prerogativa della haute couture che si basa su imbastiture e cuciture? Bordi, nervature, stecche da corsetteria, pannelli, pince e rifiniture occhieggiano sulla parte esterna dei capi. Le tasche dei pantaloni sventolano liberamente come drappeggi a petalo. Una cerniera su un abito scollato è applicata esternamente, per terminare in un risvolto in jacquard dorato cucito sul retro mentre una gradevole stampa piume evoca il clima ovattato dei défilé confidentiel degli atelier parigini degli anni’50.

Gli abiti sono accuratamente realizzati inside-out, mentre le sottogonne di tulle a ruota si allungano oltre gli orli per creare silhouette e proporzioni non convenzionali. Nelle fogge delle creazioni in pedana è all’età aurea dell’alta moda francese che guarda Scott chez Moschino con la sua galleria di abiti in miniatura che ricordano ‘Le Theatre de la mode’ del secondo dopoguerra evocando anche il glamour delle poupée che all’epoca del Re Sole erano le uniche mannequin che la moda aulica conoscesse. La palette è simile a quella della precedente collezione, un en plein ispirato ai fasti della corte di Marie Antoinette.

Tanti i dolci toni pastello molto ancien régime come il rosa confetto, il crema, il verde acqua, l’azzurro cielo, il cremisi, tutti stemperati da una verve ironica e graffiante che riproduce, nel parterre, i tratti iconici di Anna Wintour e di Hamish Bowles, di Chiara Ferragni e di tutte le icone della moda attuale. Da Dior a Fath, da Balenciaga a Patou fino a Pierre Balmain e Charles James, la lezione dei grandi couturiers parigini viene rivissuta da Jeremy Scott con il suo tipico gusto per lo sberleffo ma anche con una notevole perizia tecnica e uno styling sempre cool e accattivante.

Il grande spettacolo delle bambole glamour allestito per lo show digitale è il risultato pregevole e dissacrante di The Jim Henson Creature Shop in un tripudio di oro e broccato, di tulle e organza, di morbide princesse e curve burrose con una panoplia di accessori divertenti ed eleganti che sembrano simulare il capitonné dei divani ottocenteschi. Ancora una volta il bad boy della scena fashion ha fatto centro con una collezione spiritosa e dall’elevato contenuto moda, moderna e timeless ma senza mai prendersi sul serio.

GUCCI X ONE PIECE: UN LOOKBOOK ORIGINALE

GUCCI X ONE PIECE: UN LOOKBOOK ORIGINALE

One Piece non ha mai pensato di creare personaggi modello, ma la serie ha fatto proprio questo negli ultimi decenni. Con 470 milioni di copie in tutto il mondo, One Piece è il manga più venduto della storia e racconta le avventure di un pirata.


Monkey D. Rufy, meglio conosciuto come Rubber nell’edizione italiana, è il giovane protagonista con poteri speciali che mette insieme laciurma di Cappello di Paglia” per esplorare la Rotta Maggiore in cerca del leggendario tesoro One Piece, inseguendo il sogno di diventare il nuovo Re dei pirati.
Da Rufy, a Robin e persino Chopper, i pirati della “ciurma di Cappello di Paglia”sono un equipaggio di grande rispetto. Pertanto, questo significa che la banda è stata invitata ad un evento di alta moda, ovvero la recente collaborazione lanciata da Gucci.
Sì, hai letto bene. Gucci ha collaborato con One Piece per una collaborazione davvero unica quest’anno.


Il marchio di moda di lusso ha contattato due membri dell’equipaggio per vestire alcuni capi della collezione Fall/Winter 2020 “Fake/Not” di Gucci, tra cui spiccano lebags Jackie 1961 e Dionysus. Piuttosto che Nami e Nico Robin, questa partnership vede in veste di modelli i pirati Rufy e Zoro. Monkey D. Rufy e Roronoa Zoro fanno da modelli per i capi continuando così, quella tendenza che vede il mondo degli anime/manga irrompere prepotentemente in quello della moda.
Entrambi i modelli, indossano le borse firmate Gucci ed immancabile è il cappello di paglia di Rufy. Eiichiro Oda stesso è stato coinvolto nella creazione delle immagini. Oltre alla copertina della rivista, ha creato un intero lookbook con i due pirati nelle vesti di neo-modelli Gucci.

Il Dolce Stil Novo di Alberta Ferretti – PE 2021

Il Dolce Stil Novo di Alberta Ferretti

Quando pensiamo alla femminilità il riferimento ad Alberta Ferretti è immediato. Per la primavera-estate 2021 la stilista romagnola porta in passerella a Milano nei maestosi cortili del Castello Sforzesco una donna gentile ma forte, una ninfa botticelliana dall’allure dégagée dalla mattina alla sera. Tutto scivola sul corpo come una vestaglia di seta baciata dal sole, o come un soffio di primavera e la sua musa, allergica all’esibizionismo gratuito, sembra più una dama rinascimentale che non una hippy, come è stata a nostro avviso erroneamente e troppo frettolosamente definita.

La bellezza classica delle icone di Leonardo, delle statue di Canova e dei dipinti di Alma Tadema come anche la sensualità leggiadra di Nicole Kidman in ‘Australia’ rivivono in silhouette flessuose e allungate dove il daywear, in coerenza con la magistrale collezione dell’autunno-inverno 2020-21, assume una nuova rilevanza rispetto al percorso storico della maison. Declinando un linguaggio neoromantico che affida a una galvanizzante gentilezza un ruolo primario nel definire il suo stile, la carismatica signora della moda forgia un guardaroba fatto di morbide giacche doppiopetto, di soavi bluse di suède, di carezzevoli denim stinti e ritinti, di preziose combinaison di dentelle, di sofisticati e piccanti reggiseni e bustier da maliarda soft che, in omaggio a un’estetica collaudata negli anni’90, diventano la panoplia della seduzione della donna di oggi.

La palette è suadente come le linee degli oufit di collezione: dal pistacchio al melone, dall’ambra al terra di siena, dall’albicocca al giallo limone. Nonostante il lodevole e palese impegno profuso dalla designer nelle mise da mattino e negli accessori-desiderabili i nuovi sandali flat- è nel cocktail e nell’eveningwear che il talento e la sensibilità creativa della stilista continuano a esprimersi al meglio. E’ evidente nei lunghi abiti ajouré dai colori ammalianti, nelle sontuose lavorazioni lingerie che occhieggiano alla vera couture, nelle fogge lineari e romantiche che ricordano le fanciulle vittoriane di ‘Picnic a Hanging Rock’ e di certi film di Sofia Coppola come pure le attrici di ‘Piccole donne’, negli effetti tie and dye dei lievi slipdress dalla insostenibile leggerezza.

Un’ode a una raffinatezza assolutamente timeless. E per l’inverno alle porte la talentuosa e raffinata stilista di Cattolica punta su sfiziose e romantiche maglie in cashmere ecosostenibile caratterizzate da quattro slogan dedicati alla vita: Life is desire, Life is passion, Life is a dream e Life is joy. Per il lancio ufficiale del progetto, Alberta Ferretti ha voluto raccontare la vita nelle sue sfumature più belle attraverso le testimonianze video di alcun fashion talent che hanno condiviso le proprie emozioni: Coco Rebecca Edogamhe, Beatrice Vendramin, Linda Tol e Renwe Jules, Gilda Ambrosio e Niki Wu.

La collezione Life is è disponibile nelle boutique monomarca, sul sito albertaferretti.com e presso una rete esclusiva di multibrand italiani e internazionali.