Grand Hotel, una Greta Garbo un po’ troppo drammatica

Lirismo del divismo, “Grand Hotel” illumina nonostante l’età. è il ’32 quando il regista Edmund Goulding raccoglie i più grandi divi del cinema Hollywoodiano e li piazza davanti ad una camera per girare quello che sarà premiato agli Oscar nello stesso anno, come miglior film a MGM, e pellicola scelta per essere conservata nel Nation Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. 

Teatro di scena è il Grand Hotel di Berlino, non cercatelo perché non esiste, il set è stato interamente ricreato negli Studios purtroppo, peccato per gli appassionati di cinema che si sarebbero fiondati nelle sontuose stanze dei protagonisti.

Gente che va gente che viene, un tram tram di clienti che fa da sottofondo alle storie che si intrecciano tra i personaggi di diverso ceto sociale. Abbiamo il barone Felix von Geigern ( John Barrymore) che si rivelerà essere un ladro gentiluomo, molto amato per i suoi modi e il suo buon cuore, la ballerina russa, madame Grusinskaya (Greta Garbo), una diva viziata caduta in depressione al calar della carriera, il contabile Kringelein, un uomo dai giorni contati perchè malato di cuore, che decide di vivere i suoi ultimi momenti nello sfarzo totale, l’industriale Preysing, un arrogante panzone e la sua dattilografa, Flaemmchen, la grande Joan Crawford che ruba la scena alla bella Garbo forse a tratti troppo drammatica e teatrale per uno spettatore del 2023.

Wallace Beery e Joan Crawford in una foto pubblicitaria del film

La missione del ladro barone sembra andare in fumo, entrato nella stanza della ballerina per rubarle i collier di perle, assiste di nascosto alle angosce della povera donna in procinto di suicidarsi. Colto da compassione sbuca fuori dalle tende e la implora di fermarsi, confessandole di essere entrato furtivamente nella stanza perchè innamorato perdutamente di lei. E nella trappola dell’amore ci finirà sul serio, rischiando così di essere ammazzato dalla malavita che pretende quelle perle promesse. Ma il barone è troppo debole nei confronti del gentil sesso, e cercherà di ottenere quel denaro altrove. Si imbatterà nel povero Kringelein a cui ha regalato la sua amicizia, quell’uomo così solo e così desideroso di vivere; ruberà il cuore alla dattilografa che non ricambia, ormai pronto a scappare segretamente in Russia con la bella ballerina, che miracolosamente ha ripreso a brillare come i vecchi tempi e che vede il Sole in ogni angolo della stanza in bianco e nero.

Grand Hotel è un film romantico che ci ricorda quanto l’amore sia il vero salvatore, un film che denuncia i comportamenti degli anni ’30 nei confronti dei differenti ceti sociali, un film che apre gli occhi sulle vere identità delle persone (la timida dattilografa si scoprirà essere una calcolatrice pronta a vendersi al suo datore di lavoro per soldi, ma presa da compassione accompagnerà il signor Kringelein a Parigi, per gli ultimi suoi giorni di vita e di gloria.

Greta Garbo e John Barrymore (Photo by MGM Studios/Courtesy of Getty Images)



Edmund Goulding ci fa amare il buon ladro, così galante, di rara eleganza e calma, e così prodigo a salvare la vita di una star a fine carriera, ci conduce nelle stanze 170, 164, 168 sbirciando dalle fessure le storie segrete dei clienti d’albergo, ci appassiona con le telefonate d’amore e ci attanaglia trasformando il dramma in un thriller, perchè alla fine, qualcuno muore. Chi?