Tod’s: una nuova fabbrica ad Arquata del Tronto nel 2017

Tod’s aprirà, nel giro di un anno, una nuova fabbrica ad Arquata del Tronto.

Le dichiarazioni incoraggianti del patron della griffe, farebbero pensare ad un progetto rivolto soprattutto ai giovani del posto, in difficoltà economica.

 “L’azienda – ha spiegato l’imprenditore marchigiano – la costruiremo in tempi molto brevi. Intanto assumeremo i ragazzi del posto per iniziare a formarli. Per partire ci vorrà non più di un anno”.

 

Il Presidente del Consiglio Renzi in visita allo stabilimento Tod's di Casette d'Ete in compagnia di Diego della Valle (foto di  Zeppilli)
Il Presidente del Consiglio Renzi in visita allo stabilimento Tod’s di Casette d’Ete in compagnia di Diego della Valle (foto di Zeppilli)

 

 

La cittadina delle Marche ha recentemente subìto danni ingenti dopo il terremoto del 24 agosto scorso e questa promessa se per alcuni sembra una manna dal cielo, per altri appare una trovata studiata a tavolino dal premier Renzi, in vista del referendum sulla Costituzione in programma il prossimo 4 dicembre 2016.

È bellissimo poter dire grazie alla Tod’s perché dà un segnale forte che anche il privato può dare una mano alla ricostruzione. Un imprenditore che non dimentica la sua terra. Mi auguro che anche altri seguano questo esempio” ha commentato il premier Renzi in visita allo stabilimento Tod’s di Casette d’Ete, glissando tutte le polemiche sul caso.

Lo stabilimento in questione sarà di medie dimensioni e sorgerà in terreni che dovranno essere individuati dall’amministrazione della cittadina marchigiana.

 

 

 

 

 

Fonte cover lettera43

Matteo Renzi sulla cover di Vogue America

Vogue America sceglie Matteo Renzi per la copertina del numero di ottobre: la rivista patinata immortala il Primo Ministro italiano in scatti realizzati da Annie Leibovitz. Non più top model né divi di Hollywood: stavolta è dalla politica che la Bibbia della moda trae ispirazione per un servizio fotografico che vede il Premier a fianco della moglie, Agnese Landini, e dei loro tre figli.

Insolitamente glamour, la coppia posa per scatti iconici per l’obiettivo della Leibovitz, che ha recentemente immortalato anche la regina Elisabetta II. Le foto corredano una lunga intervista a Renzi, realizzata dal giornalista Jason Horowitz, che inizia con testuali parole: “Il primo ministro italiano Matteo Renzi farà ciò che serve per riformare il governo”. Renzi, salutato come “l’uomo giusto al momento giusto”, posa in capi Armani. Gli scatti di Annie Leibovitz immortalano la quotidianità della famiglia del premier, tra scene di vita domestica e aneddoti inediti.

Si ripercorre quindi il primo incontro tra Renzi e la moglie, e il loro matrimonio, celebrato nel 1999. Infine, nell’articolo firmato da Horowitz, si guarda al lato umano e paterno del premier, focalizzando l’attenzione sul suo rapporto con i tre figli: Francesco, quindici anni, Emanuele, tredici, ed Ester, dieci anni.

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Il premier Renzi con la moglie Agnese Landini e i tre figli (Foto: Vogue.com)

Unioni Civili: ormai a un passo dal voto definitivo, i punti cardine della legge

Poche ore fa, la Camera ha votato la fiducia posta dal governo sul ddl delle Unioni Civili. Si tratta di un momento storico, a un passo dal voto definitivo che avverrà stasera alle 19. Sono stati 369 i voti a favore, 193 i contrari. Solo i deputati Vincenza Labriola e Rudi Franco Marguerettaz del gruppo misto si sono astenuti dal voto. I renziani rivendicano il risultato, ed è lo stesso premier Matteo Renzi il primo a festeggiare con un tweet: “È un giorno di festa per tanti, oggi“. Il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, da ieri anche titolare della delega per le Pari Opportunità, si è presentata in aula con una piccola coccarda arcobaleno, e così hanno fatto altri deputati per rendere visibile il proprio appoggio alla legge sulle Unioni Civili. Come previsto, però, il voto di fiducia ha dato il via a reazioni contrastanti. I promotori del Family-Day hanno twittato una poco elegante immagine del fondoschiena della Boschi con la scritta “Unioni Civili: la Boschi ci mette la faccia“. Dalla Chiesa è arrivato ieri il commento del segretario della Cei Nuzio Galantino che ha commentato la decisione di votare la fiducia con un lapidario “è una sconfitta per tutti“.


Tra festeggiamenti e critiche, la verità è che per molti cittadini italiani non è ancora chiaro cosa comporti esattamente la legge sulle Unioni Civili. Il ddl introduce due nuovi istituti civili, per le coppie omosessuali e per le coppie etero non sposate. Come nel matrimonio, l’unione tra due persone dello stesso sesso verrà celebrata “di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni” e poi registrata nell’archivio dello stato civile. Anche gli obblighi reciproci dei partner saranno simili a quelli di una coppia sposata: “dall’unione deriva l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione” ed entrambi dovranno contribuire ai bisogni comuni in base alle loro possibilità lavorative, sceglieranno insieme l’indirizzo da dare alla famiglia e si impegneranno a rispettarlo. Non è previsto invece l’obbligo alla fedeltà.  Il regime ordinario è la comunione dei beni, la pensione di reversibilità e il Tfr maturato spetteranno al partner. Per la successione valgono le norme in vigore per il matrimoni: al partner superstite va la “legittima”, cioè il 50%, e il restante va agli eventuali figli. Per un eventuale scioglimento dell’unione si applica la legge sul divorzio del 1970, ma senza il periodo di separazione obbligatorio. La stepchild adoption, uno dei punti più critici della legge sulle Unioni Civili, rimane di fatto nell’ambiguità. Con la dicitura “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozioni dalle norme vigenti”, i Tribunali avranno il potere di concedere o meno la stepchild adoption in base ai singoli casi.


L’altro punto focale della legge sulle Unioni Civili è la convivenza tra partner di sesso opposto non sposati. Nella legge questo rapporto viene definito come convivenza tra “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”. Anche in questo caso, la coppia acquisisce alcuni diritti equivalenti a quelli di un matrimonio. L’assistenza in carcere o in ospedale e le decisioni in materia di salute e di donazione degli organi, nel caso in cui uno dei due non fosse capace di intendere e di volere, saranno garantiti tra i conviventi come tra marito e moglie. In caso di cessazione della convivenza, un giudice può decidere che uno dei due debba ricevere gli alimenti dall’altro, in base alla durata della convivenza e alla capacità economica di entrambi.


Rimane ormai solo un ultimo passo affinché la legge sulle Unioni Civili diventi realtà in Italia così come in molti altri Paesi Europei, e tante coppie vedano finalmente rispettati e garantiti i propri diritti.

Italian Internet Day: 30 anni fa il primo collegamento via web

Matteo Renzi lo aveva annunciato un mese fa: oggi si celebra l’Italian Internet Day, a 30 anni di distanza dal primo click italiano sul web. Era il 30 aprile 1986 e dal Centro universitario per il calcolo elettronico del Cnr di Pisa (Cnuce) partiva il segnale che avrebbe raggiunto la stazione di Roaring Creek, in Pennsylvania. L’Italia fu il quarto paese al mondo a collegarsi ad internet. Chissà cosa hanno provato quegli studiosi entusiasti a sentirsi i pionieri di un nuovo mondo. Chissà come immaginavano quel futuro che in qualche modo stavano toccando con mano, e quanto è lontana la realtà di oggi da quelle fantasie.  Certo da quel giorno all’ingresso ufficiale di internet nelle case degli italiani sono passati anni. All’inizio tutto sembrava complicato: i collegamenti erano lentissimi e molto costosi. Basti pensare al fatto che bisognava scegliere se navigare o parlare al telefono, aspettare a lungo per scaricare un’immagine e ricordare di spegnere il modem per evitare bollette salate.


Oggi non si riesce a immaginare la vita in Italia senza il web. Ma la strada per una educazione digitale completa e profonda è ancora lunga. Ne ha parlato oggi il premier Matteo Renzi, in collegamento video durante i festeggiamenti dell’Italian Internet Day al Cnr di Pisa. «Trent’anni fa quel primo collegamento fu pioneristico, il quarto al mondo – ha dichiarato – Oggi dobbiamo recuperare quel posizionamento in Champions League». Parole considerate vuote da alcuni manifestanti – circa 500 – che hanno invaso la cerimonia contestando il premier. «Hanno diminuito i fondi alla ricercaaccusano i manifestanti, tra i quali si scorgono sigle e striscioni riconducibili a sindacati di base, centri sociali, collettivi e universitari e anche “vittime” del salvabanche – Le riforme che vengono fatte sono tutte contro di noi, lavoratori dipendenti e precari. Siamo qui all’esterno del Cnr per dire no alle politiche di questo governo». Alle contestazioni si è aggiunta la delusione per la promessa di Renzi sulla banda larga. Il Presidente del Consiglio aveva infatti annunciato che oggi sarebbe partita l’assegnazione dei contributi pubblici, ma la questione è ancora in sospeso. «Il bando sarà oggi al consiglio dei Ministri, anche se non c’è bisogno» ha spiegato il premier. 



In tutta Italia intanto si sono susseguiti festeggiamenti per l’Italian Internet Day. Una Vita da Social è il nome del progetto sviluppato dalla Polizia Postale e delle Telecomunicazioni insieme al Miur, presente nelle scuole di oltre 100 province con l’obiettivo di consentire agli utenti della Rete di navigare in piena sicurezza. «Oggi l´enorme portata tecnologica, storica e sociale di quell’evento appare evidente a tutti – ha spiegato Roberto Di Legami, Direttore del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni in merito al primo collegamento italiano – come altrettanto lo è che le opportunità di Internet siano accompagnate da rischi anche seri. Con la diffusione della cultura della sicurezza, la Polizia Postale e delle Comunicazioni è divenuta nel tempo un punto di riferimento per tutti gli utilizzatori della Rete». Per Save The Children nell’anniversario di questo importante traguardo un pensiero va a chi è ancora “offline”. L’ong ha diffuso i dati sulla diffusione del web tra gli adolescenti: ben l’11,5% dei ragazzi italiani tra gli 11 e i 17 anni non ha mai usato internet. Numeri pesanti per quella che viene definita una generazione iperconnessa. Molti di questi ragazzi provengono da famiglie economicamente disagiate. «Spesso i ragazzi disconnessi da Internet sono tagliati fuori da altre opportunità educative e culturali, che li allontanano ancora di più dai loro coetanei, in una spirale che non fa altro che aumentare la povertà educativa» commenta Raffaela Milano di Save the Children.

Renzi negli Stati Uniti: firmato un accordo per 150 milioni con Ibm

«La bellezza salverà il mondo – afferma Matteo Renzi prendendo in prestito una frase celebre di Dostoevskij – Bellezza che si incarna nella cultura dell’Art Institute, nella scienza del Fermi Lab visitato in mattinata, e nella musica». Così il premier descrive la giornata di ieri a Chicago, dove si trovava per l’incontro Italia-Usa sul manifatturiero. Le aziende italiane ripartono dagli Stati Uniti, che non hanno smesso di essere la terra promessa di imprenditori e sognatori.


All’incontro presso la Booth School dell’Università di Chicago si è presentato Sergio Marchionne, che ha confermato la propria piena fiducia al Presidente del Consiglio. «Se me lo chiedete, in Italia voterei per Renzi» ha detto ai giornalisti, apprezzandone soprattutto la capacità di portare stabilità in un Paese che ha visto susseguirsi più di 60 governi in 70 anni. Il manager ha spiegato che la stabilità è il primo fattore che favorisce le imprese e gli investimenti. E proprio Marchionne con la sua Fiat Chrysler sta dando il via a numerosi investimenti nel nostro Paese, da Melfi a Mirafiore dove, racconta,  «si ripartirà con una nuova serie di auto destinate all’export in tutto il mondo». Le aziende italiane attirano investimenti grazie al know-how artigianale, alla spinta creativa e alla voglia di immaginare un futuro diverso. Questi, raccontano Renzi e Marchionne al pubblico imprenditori e manager americani, sono i punti focali che ci permettono di essere competitivi a livello internazionale. Questi gli elementi che hanno permesso all’Export Italia-Usa di crescere ulteriormente lo scorso anno, arrivando ai 36 miliardi di euro.


Come aveva annunciato ieri, oggi Matteo Renzi è volato a Boston per quello che ha definito l’incontro più importante di questo viaggio negli States. Il Presidente del Consiglio ha incontrato i vertici di Ibm, con cui ha stretto un accordo da 150 milioni per il riutilizzo di un’area di Expo 2015 a Rho, poco fuori Milano. La zona sarà utilizzata per il progetto Watson, che si occupa degli aspetti informatici della sanità: dalla gestione delle cartelle cliniche alla quella della spesa per la sanità pubblica, fino all’ottimizzazione degli esperimenti genetici e della ricerca per sconfiggere il cancro. «Lavoriamo da quasi un secolo con l’Italia, per noi è un mercato importante e siamo felici di poter investire nel futuro dell’Europa usando come piattaforma il vostro Paese» ha detto il Ceo di Ibm Ginni Rometty. «Se smettiamo di fare polemiche – ha concluso Renzi –  l’Italia è un paese che cresce, che crea occupazione valore e cultura».

I politici e i falsi follower su Twitter

Doing ha presentato il 14 marzo la social media analysis della politica europea selezionando i 6 principali leader del Vecchio Continente, Matteo Renzi, Alexis Tsipras, Angela Merkel, Mariano Rajoy, François Hollande e David Cameron.
L’analisi è basata su tutto il 2015 ed ha l’obiettivo di delineare le peculiarità dei 6 leader messi a confronto sul loro approccio alla comunicazione digitale, e in particolare sulla gestione dei social media anche alla luce delle principali tematiche europee del 2015.
L’analisi proposta è frutto della raccolta ed elaborazione dei dati pubblici provenienti dai profili ufficiali Facebook, Twitter e Youtube al fine di individuare e commentare le principali metriche di popularity (n.fan/follower, trend dell’acquisizione fan/follower nell’anno, giorni di maggior acquisizione, interessi dei fan, geolocalizzazione e demografica dei follower), content (tipologia, stile e tematiche dei post pubblicati), engagement (quanto engagement hanno ricevuto i contenuti in relazione al numero di fan/follower e al numero di post pubblicati e quali sono stati i post di maggiore impatto del 2015).


I dati raccolti sono certamente interessanti, e utili per chi voglia avere un quadro di come si muovono i politici sui social network. Altra cosa è sul web in generale. Ma volendo entrare nel merito sarebbe più opportuno affermare “come viene concepita la comunicazione social dagli staff dei premier europei”.
Sotto questo aspetto ad esempio incidono profonde differenze culturali, ed anche di rapporti ad esempio con la stampa “accreditata” e con il mondo dei blogger e dei social influencer.
Da questo punto di vista è impossibile mettere sullo stesso piano Cameron e Renzi, perché nel mondo anglosassone è inconcepibile che un politico (di qualsiasi grado e partito) non risponda ad un giornalista o che ad un quesito sollevato da un blogger non giunga prontamente una nota dell’ufficio stampa. 
In Germania quasi lo stesso, con un rapporto fortissimo tra il politico – qualsiasi e di qualsiasi partito – ed il suo collegio elettorale e Regione di riferimento. Il che riduce la forza dell’interazione social essendo la presenza fisica un contenuto culturale imprescindibile.

Accanto a queste distinzioni ce ne solo altre, proprie e tipiche della cultura digitale dei rispettivi paesi e della diffusione – in termini di propensione all’utilizzo – di certi strumenti, ad esempio l’acquisto di fake fans e fake followers.
Su facebook esistono “indicatori tendenziali” di questo utilizzo: quanti ne perdi quando facebook periodicamente fa pulizia, la geolocalizzazione, numero di fan con meno di 50 amici, privi di foto, indice di interazione.


Un esempio.


Matteo Renzi ha avuto una crescita media di 235,82 fan al giorno su Facebook, ma un numero di like alla pagina rimasti pressoché invariati per tutto il 2015 mentre Tsipras pur essendo uno dei leader con meno fan/follower sui propri profili è quello che ottiene proporzionalmente il maggior numero di interazioni ai propri post.
È evidente che sui social la parte “scenografica” è quanti profili ti seguono. Ma è anche vero che la parte più sostanziale è “quante interazioni hai” – sia come consenso sia come engagement e dibattito.
È evidente – come indizio e non certo come sentenza – che se crescono i fan e non aumentano i like e le interazioni – che quel profilo è pieno di fake.
È evidente che un profilo con molte interazioni è molto probabile che abbia meno fake.
Altro esempio.
Matteo Renzi ha pubblicato su Facebook 277 post di cui 50 sponsorizzati; Alexis Tsipras 466 post di cui 24 sponsorizzati; 42 post Facebook per Angela Merkel di cui 25 sponsorizzati. David Cameron 499 di cui 20 sponsorizzati, Mariano Rajoy 313 post di cui 10 sponsorizzati.
Anche questo è un dato da considerare.
Intanto l’incidenza percentuale: 1/2 sponsorizzati dalla Merkel, 1/6 sponsorizzati da Renzi, 1/21 sponsorizzati da Tsipras, 1/25 sponsorizzati da Cameron e 1/31 da Rajoy.
Da un lato la sponsorizzazione dovrebbe essere uno strumento di viralizzazione di contenuti strategici che il premier vuole comunicare. Pochi, essenziali, centrali.
Dall’altro l’uso eccessivo (Merkel e Renzi) lasciano intendere che questo strumento viene utilizzato per “trascinare” la pagina, per aumentare i fan in quanto tali, e – peggio – per dare un’idea, un’immagine, un’impressione “soggettiva” di un seguito ed un’interazione che in realtà non esistono.


Politici e fake followers su Twitter


A questo si aggiunge “il dato” che non conosciamo: quanto hanno speso per le sponsorizzazioni, per quanti giorni, su quale target, con quale obiettivo? 
Da questo dato può emergere una falsa percezione marginale, relativa o assoluta del dato.
La leadership è qualcosa di “innato”, che si può perfezionare e imparare a migliorare. Non dipende dai social, che restano certamente uno strumento fondamentale di interazione e un media chiamato per vocazione a disintermediare il messaggio rendendolo immediatamente e direttamente fruibile dal politico al cittadino. (errori compresi).
La capacità di analisi dei metadati – molti disponibili anche attraverso i normali analytics e tools gratuiti o molto economici online – aiuta a comprendere molto di più di come quel politico intende il suo rapporto con il cittadino.
Robert Waller, direttore di Simplification Centre è stato tra i primi a sviluppare sistemi di controllo e monitoraggio degli account su twitter ed è stato lui a sviluppare parte del sistema status people, ha affermato «è importante sapere che quando si comunica lo si fa con persone reali, perché più reale e attivo è un profilo, maggior seguito e condivisione avrà. Il secondo motivo è che c’è un numero crescente di fakers in rete. Le persone acquistano seguaci tentando di costruire in questo modo la propria reputazione e legittimità. “Guardami ho 20.000 seguaci, devo sapere la mia…” stanno essenzialmente cercando di ingannare il sistema ed è importante essere in grado di individuare, e evitarli. Perché in ultima analisi, se sei disposto a mentire su quanti amici hai, non sei una persona molto affidabile».
Oggi, guardando alla comunicazione politica sui social network, emerge una nuova mission per chi si occupa di comunicazione digitale: fornire gli strumenti di analisi per comprendere la “sofisticazione” dei dati, che come un doping trasformano la comunicazione in deformazione della percezione.
Ecco alcuni dei dati che emergono dalla “raccolta dati” di Doing.


Matteo Renzi, nel 2015, è stato il politico, tra quelli analizzati, che ha visto la crescita maggiore dei propri follower su Twitter (+659.818 seguito da Hollande a + 587.247, Rajoy a +409.439, Cameron a +353.394 e Tsipras a +234.986). Il premier italiano è anche il leader che ne ha il numero maggiore in assoluto (2.177.652 al 31 dicembre 2015), con una crescita media di 235,82 fan al giorno su Facebook, ma un numero di like alla pagina rimasti pressoché invariati per tutto il 2015.
Matteo Renzi ha pubblicato su Facebook 277 post di cui 50 sponsorizzati; 86 erano foto, 73 aggiornamenti di stato, 53 album, 34 link e 31 video. Il Primo Ministro italiano non è quello che pubblica più contenuti su Twitter (quarto su cinque), ma è invece colui che risponde di più ai propri follower; infatti, nel 2015 sono stati 583 i tweet di cui il 16% replies e il 23% retweets.



Alexis Tsipras è l’unico tra i leader analizzati a possedere account dedicati esclusivamente al pubblico estero. Oltre ai tradizionali account in greco, possiede infatti anche una pagina Facebook e un account Twitter su cui pubblica in inglese.
 Pur essendo uno dei leader che ha meno fan/follower sui propri profili (Facebook 451.040 – Twitter @tsipras_eu 250.058 al 31 dicembre), è quello che ottiene proporzionalmente il maggior numero di interazioni ai propri post.
Alexis Tsipras posta su Facebook principalmente contenuti multimediali: su un totale di 466 post (24 sponsorizzati), 197 erano foto, 139 album, 112 video e solo 14 stati e 4 link. Dei 737 tweet, nessuna risposta per Tsipras, 5% dei retweet e 95% tweet.


Angela Merkel è l’unica tra i leader analizzati a non avere un account Twitter ufficiale. Su Facebook è invece quella con il maggior numero di like alla pagina (pur essendo la leader che pubblica meno contenuti in assoluto) e con la maggiore crescita di fan nel 2015 (+742.025 contro + 86.073 di Renzi, +351.144 di Tsipras, 53.316 di Rajoy, 242.973 di Hollande e 484.817 di Cameron).
Solo 42 post Facebook per Angela Merkel di cui 25 sponsorizzati. Si tratta di 19 foto, 10 stati, 7 video, 6 link e nessun album.


Mariano Rajoy nel 2015 ha twittato da solo più del doppio di quanto hanno fatto tutti gli altri leader messi insieme. Sempre su Twitter è il Primo Ministro che retwitta più contenuti da altri account (soprattutto della sua sfera politica).
Mariano Rajoy ha postato 313 post (10 sponsorizzati) di cui 97 video, 81 album, 62 foto, 39 link e 34 aggiornamenti di stato. La ricerca conta 5.284 tweet di cui più della metà (56,4%) sono retweet, 43,5% tweet e 0,1% replies.


François Hollande è l’unico tra i politici analizzati che ha guadagnato oltre 100mila follower in un solo mese del 2015, a novembre, in concomitanza con la seconda ondata di attacchi terroristici che ha colpito Parigi. È nello stesso mese che ha visto crescere maggiormente la sua community in un singolo giorno, il 13 novembre, sia su Twitter (+41.300 follower) che su Facebook (+51.400).
François Hollande fa quasi esclusivamente uso di status di testo senza ricorrere a contenuti multimediali. Su 120 post, 114 sono aggiornamenti di stato, 3 link, 2 foto e 1 video. Dei 130 tweet solo il 2% corrisponde a replies, mentre Hollande non ha mai retwittato. 



David Cameron è il politico che ha un maggior equilibrio di genere tra i suoi follower su Twitter, raggiungendo quasi la parità (follower: 43% donne, 57% uomini mentre la forbice più grande è di Matteo Renzi con il 25% di donne e il 75% uomini). È inoltre il politico che sia su Facebook che su Twitter riceve interazioni da più parti nel mondo (in particolare da America del Nord e Centrale.
David Cameron è il leader con il maggior numero di post pubblicati su Facebook, 499 di cui 20 sponsorizzati, 203 aggiornamenti di stato mentre ha condiviso 176 foto, 86 video, 23 link e 11 album. Il 97% dei 712 erano tweet, solo per il 3% retweet e 0% replies.
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Attentati a Bruxelles: come ha reagito l’Italia

22 marzo 2016: una data che l’Europa non dimenticherà. Dopo Parigi, gli attentati a Bruxelles hanno ferito di nuovo il cuore del vecchio continente, spargendo il terrore. Anche in Italia il rischio di attentati è concreto, e il nostro Paese ha dovuto adottare misure straordinarie per garantire la sicurezza in questa settimana di festa.


Il primo obiettivo sensibile è l’aeroporto di Fiumicino, dove oggi il flusso di passeggeri è molto intenso in vista delle festività pasquali. Il numero di uomini impiegati nella vigilanza è raddoppiato e l’operazione interforze, coordinata dalla Polizia, prevede pattuglie in divisa e in borghese in tutte le zone dell’aeroporto. Non solo gli imbarchi quindi, ma anche l’ingresso di passeggeri e accompagnatori è posto sotto stretta sorveglianza, così come qualsiasi bagaglio o pacco lasciato incustodito, per scongiurare la possibilità di attacchi terroristici.


Intanto stamattina a Palazzo Chigi si è tenuto un vertice straordinario tra il premier Matteo Renzi, il ministo dell’Interno Angelino Alfano e quello degli Esteri Paolo Gentiloni, con i capigruppo di maggioranza e minoranza della Camera e del Senato. Il Presidente del Consiglio ha parlato di “una minaccia globale con killer anche locali e attentatori che vengono da dentro e si nascondono nelle periferie delle nostre città” per cui invita all’unità per gestire questo momento di crisi su più fronti. Non solo lotta dura al terrorismo e aumento dei controlli, ma anche un piano di integrazione per scongiurare la deriva kamikaze degli immigrati già presenti in Italia. Anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto commentare l’attentato a Bruxelles, auspicando che l’Italia e l’Europa reagiscano con l’unità, senza divisioni di bandiera e di partito.


Desiderio difficile da realizzare quello di Renzi e Matterella, perché all’indomani dell’attentato a Bruxelles i leader delle forze politiche si sono già espressi duramente e su posizioni chiare. Giorgia Meloni, neocandidata al Comune di Roma, commenta così: “Renzi, Alfano e Mattarella ci dicono che il terrorismo si combatte con la cultura ma è una frase buona per i cioccolatini“, sperando in un intervento più diretto. In un’intervista alla radio, Silvio Berlusconi si è detto preoccupato. “Tra i leader europei – ha dichiarato – non ce ne sono, oggi, all’altezza della situazione. L’Isis richiede interventi diretti in Iraq e Medio Oriente“. Matteo Salvini, ancora bloccato nella capitale belga, ha subito parlato di una dichiarazione di guerra all’Isis, da realizzarsi con la “bonifica” delle nostre città palazzo per palazzo, e di chiusura delle frontiere. Soluzioni che sembrano fin troppo semplicistiche rispetto a una situazione complessa e delicata, già nell’aria da mesi, che si è concretizzata definitivamente con il nuovo attentato a Bruxelles.

Italicum o perché in Italia è così difficile fare una legge elettorale

Partiamo da alcuni concetti e consideriamoli assunti per semplicità.
 L’Italia aveva bisogno di una legge elettorale, per troppi motivi, che tutti abbiamo conosciuto e che la Consulta solo alla fine ha sancito in sentenza. Ed oltre quei motivi ve ne sono altri, di senso comune, oltre all’individuale opinione politica. Ciò tuttavia non può significare automaticamente che “qualsiasi” legge elettorale “vada bene”. E qui c’è un vizio patologico del nostro paese, almeno dai tempi di Crispi. 
La legge elettorale non è pensata “in sé”, in quanto tale, e come strumento di rappresentazione proporzionale della società. Dietro concetti come governabilità e stabilità, la maggioranza del momento scrive una legge elettorale “per il futuro” che tende a disegnare i futuri rapporti di forza, non tanto a garantire la adeguata rappresentatività.



Vi sono alcune considerazioni da fare, e bene ha sintetizzato nella sua analisi quotidiana dei TG Alberto Baldazzi “1) da circa un anno e mezzo la Consulta ha intimato ad un Parlamento in buona parte delegittimato perché eletto con una legge incostituzionale di cambiarla; 2) alla rielezione “forzosa” di Napolitano il vecchio-nuovo Presidente aveva esplicitamente chiesto la riforma; 3) nei 14 mesi e nelle 3 letture intercorse la riforma è stata più volte “riformata” e 3 volte votata ( 2 al Senato e 1 alla Camera), per altro senza voti di fiducia e con l’esplicito appoggio di Forza Italia; 4) le opposizioni che oggi hanno deciso di non partecipare al voto criticano l’Italicum da posizioni tra loro opposte; 5) la minoranza Pd (che oggi si è espressa con 45 “no” nella votazione finale) è legittimamente ma altrettanto chiaramente impegnata in una battaglia interna che poco ha a che fare con i contenuti della legge. Avremmo molto apprezzato se qualche TG avesse chiarito ai teleutenti questi scarni elementi, ma anche stasera non è successo.


”
Particolarmente efficace Alessandro Gilioli, che sul suo blog su l’Espresso esordisce “Si dice spesso che i Costituenti optarono per un potere molto distribuito perché venivano dal fascismo, cioè da una dittatura personale, quindi erano scottati da quel precedente così recente e tragico: per questo, si dice, insistettero tanto sul carattere ampiamente parlamentare della nuova Repubblica (addirittura mille eletti!), si inventarono contrappesi come il bicameralismo e la Consulta, addirittura non vollero che il primo ministro si chiamasse così bensì ‘presidente del consiglio’… Io non sono così sicuro che i Costituenti avessero distribuito il potere solo perché uscivano dal Ventennio. Forse, un po’, anche perché conoscevano bene il popolo di cui facevano parte. E volevano preservarlo da se stesso, dalle sue frequenti cadute personalistiche, dai suoi emotivi e carsici innamoramenti per l’uomo forte.


”
E nell’era in cui siamo tutti figli della politica americana per come ce la raccontano le serie tv trasmesse dalle televisioni commerciali (ormai tutte), in cui conta l’efficacia della comunicazione individuale e personale (da Renzi a Grillo a Salvini) al di là del contenuto, e di certo storcendo tutti il naso al metodo, ormai il nostro “presidente del consiglio” si chiama “premier”, e il metro che conta è l’indice di gradimento personale, non certo politico. 
Quello che emerge è sostanzialmente una mancanza di lungimiranza e visione – al di là del personalismo e del sondaggio del momento – e la mancanza di coerenza sistemica di “dove porta una riforma” senza un contesto e uno scenario complessivo da disegnare, che appunto dovrebbe essere l’Italia del futuro.

L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DI MATTEO E IL FATTORE “C”

“…quindici mesi al governo… Renzi dopo una lunga e fortunata luna di miele che molti hanno attribuito al fattore “C”, conosce le prime vere difficoltà a causa d’insegnanti, pensionati, immigrati… l’insostenibile leggerezza del nostro per l’assenza di credibili alternative rischia di gonfiare la protesta di Grillo e Salvini e, soprattutto, il partito di chi non vota”

Si racconta che Napoleone – uno che di uomini e battaglie se ne intendeva – a chi gli caldeggiava promozioni e incarichi per questo o quell’ufficiale meritevole solesse chiedere, “Ma è fortunato o no?” In effetti, quanto contino la fortuna, il fato, il caso è, da sempre, argomento tanto dibattuto e controverso e così impalpabili le opposte ragioni e le ataviche superstizioni, che la gente, il popolo, l’opinione pubblica, a differenza degli storici e degli spiriti forti che tutte le ignorano, non cessano di interrogarsi sulla reale influenza del fattore “C”. Renzi non sfugge alla regola e se ieri, vuoi per sminuire i suoi meriti vuoi per esaltarli, critici e supporter hanno chiamato in causa la fortuna, oggi che la sua luna di miele con il paese sembra offuscata dall’addensarsi di nuvole minacciose, ritorcono nel contrario i fausti presagi.

Ma, in concreto, che cosa ha cambiato la percezione comune circa la fortuna di Renzi? Nei tre ultimi casi l’influenza dei media a caccia di audience si è espressa carezzando il pelo ai demagoghi per poi censurarli in un contesto che, privo di alternative di governo credibili, può gonfiare la protesta di Grillo e Salvini e, soprattutto, il partito di chi non vota.


La riforma che da cattiva qual è dovrebbe far diventare la scuola “buona” , non viene giudicata dai media nel merito, ma in base all’avversione che suscita tra i destinatari – soprattutto insegnanti e studenti. Uno sciopero partecipato conta più dell’acceso conservatorismo della sua piattaforma definita dallo slogan polemicamente anti renziano, “la buona scuola è quella che c’è”. La pretesa dei sindacati che in ruolo siano immessi tutti i precari finisce col mascherare l’approccio assistenzialistico di Renzi che vuole assumerne “solo” 100.000. Nessuno, viceversa, contesta a Renzi che la sua riforma ripete, ancora una volta, l’errore che è all’origine della crisi storica della scuola italiana e che consiste nell’usarla non come strumento dell’elevazione generale della società e nella formazione di professionalità e classi dirigenti, ma come una branca del welfare destinata a risolvere un problema occupazionale. A sua volta il comportamento dei giovani luddisti che stracciano i test INVALSI ottiene l’effetto paradossale di far sembrare moderna l’idea renziana che un dirigente/burocrate/preside giudichi della qualità degli insegnanti magari senza aver mai insegnato.


Analogamente, su un altro fronte, l’imprevista, inopinata, sentenza della Corte Costituzionale che sostituendosi al Parlamento e dissestando il bilancio pubblico, esigeva la restituzione del “maltolto” (costo 18 miliardi di euro !) a tutti i pensionati che dal 2011 – governo Monti/Fornero – si sono visti congelati gli aumenti, fa apparire come un onesto compromesso la rinuncia del Governo ad ogni ambizione di riforma della previdenza e come un motto di spirito battezzare “Bonus Poletti” i 500 euro che verranno restituiti ad agosto.


Infine, il brusco voltafaccia con cui Francia e Germania hanno ritrattato e respinto l’accordo appena raggiunto dalla Commissione Europea per distribuire i richiedenti asilo tra tutti i paesi della Comunità, non solo rinfocola le correnti populiste anti europee, ma ci fa dimenticare alcune essenziali questioni. Primo, il contrasto all’immigrazione clandestina è scritto nelle nostre leggi come nelle direttive comunitarie, mentre la confusione tra clandestini, richiedenti asilo e profughi sotto la generica denominazione di “migranti” proclamata dalla Mogherini con irresponsabile leggerezza (“l’accordo prevede che neanche un migrante sarà respinto in mare”) sembra fatta apposta per spingere gli altri paesi a replicarci seccamente “allora arrangiatevi”. Secondo, nonostante gli appelli, l’Italia con gli altri partner comunitari si guardò bene dal condividere i profughi slavi e curdi che in numero di 400.000 si affollarono in Germania appena qualche anno fa. Terzo, da tempo Francia, Austria e Germania hanno capito che l’altra faccia del buonismo italiano è il lassismo dei nostri controlli , un lassismo funzionale a spingere verso nord le masse di clandestini che non sappiamo né vogliamo arginare.


In apparenza la sentenza della Corte e il voltafaccia di Francia e Spagna in materia d’immigrazione appartengono a quel genere di eventi che sovrastano la nostra volontà e che, al di là di ogni nostra responsabilità, un qualche adirato Giove pluvio, tonitruante e saettante fulmini e conseguenti disgrazie, ci scaglia addosso. Maledetta sfortuna! Che colpa ha il povero Renzi?


A ben guardare, invece, la sfortuna non c’entra proprio niente, c’entra, invece, ancora una volta, la spensierata, insostenibile leggerezza del nostro premier determinato, determinatissimo a non affrontare l’impopolarità connessa a una seria revisione della spesa pubblica – quella previdenziale come quella sanitaria – tanto annunciata quanto negletta dal suo come da tutti i governi precedenti. Così, non solo la spesa pubblica ha continuato a crescere senza controllo, ma con Renzi si è giunti a licenziare i controllori. Esattamente come chi volendo curare la febbre spezzasse il termometro e cacciasse il medico che gli prescrive antibiotici e anti infiammatori.


Dunque il calo del fattore “C” non c’entra, non c’entrano la buona o la cattiva sorte, c’entra che se non approfitti delle condizioni propizie per adottare le riforme necessarie sarai costretto ad adottarle quando le difficoltà si saranno aggravate.