Proposta indecente, la rottura dei tabù senza retorica

È scomparso uno degli ultimi giganti. Robert Redford non è stato solo una star di Hollywood, ma anche un convinto ambientalista e sostenitore dei diritti civili; per decenni ha usato la sua voce e il suo prestigio per difendere il pianeta e promuovere un’idea di cultura libera, indipendente, coraggiosa.

Interpretazioni carismatiche che non hanno bisogno di presentazioni, da “La stangata” a “Spy game“, da “La mia Africa” a “Leoni per agnelli“, Redford è stato anche un regista sensibile (Gente comune, Oscar 1981) e fondatore del Sundance Film Festival, portando alla luce nuovi talenti e nuove storie del cinema indipendente. Elegante simbolo di un cinema che forse non esiste più, scelse di proteggere la propria vita privata, allontanandola dai riflettori. Scelse il silenzio.

Un film sottovalutato, ma che ha sbancato il botteghino

Proposta indecente” è stata forse una delle sue prove attoriali più controverse, ma anche una delle più sottili e intelligenti. Quando uscì nel 1993, “Proposta indecente” venne accolto da un coro di polemiche. Il pubblico urlò allo scandalo, i critici si divisero. Eppure, mentre si discuteva se fosse un film scandaloso o profondamente romantico, il box office faceva bingo: oltre 265 milioni di dollari incassati nel mondo. Come “9 settimane e ½“, è stato liquidato come un film “di superficie”, quando in realtà mette in scena dilemmi esistenziali profondi e attuali.


Proposta Indecente

Il film è ambientato durante la crisi economica dei primi anni ’90. Una coppia tutta “un cuore e una capanna, bellissimi, poveri e romanticissimi, sull’orlo del fallimento economico si trova a dover scegliere tra dignità e sopravvivenza.

Nella loro casa piena di sogni e bollette, fanno l’amore ovunque, come se ogni angolo fosse sacro, vivendo un’intimità autentica, complice, di un desiderio che non ha bisogno di essere comprato. È quel tipo di passione feroce, forse chiave della longevità di una storia d’amore, perchè quando si perde il desiderio, spesso si perde tutto.

In crisi e spaventati dalla perdita della casa dei loro sogni, tentano la fortuna al casinò.
Loro come pesci fuor d’acqua, una Demi Moore in pantaloncini corti e una grande borsa troppo datata, e il terzo incomodo Gage, un miliardario interpretato da Robert Redford che vive il casinò come una seconda casa, punta milioni di dollari al banco, si rivolge al croupier come fosse un dipendente e la osserva da lontano già convinto di averla nella sua tana.
La storia poi la conosciamo tutti, il ricco proporrà alla coppia un milione di dollari per una notte con la donna.


I poveri ricchi: uomini che credono di poter comprare l’impossibile

Che cosa ci mostra il film? Ci rivela con chiarezza un archetipo maschile più diffuso di quanto si creda e soprattutto piuttosto attuale: quello dell’uomo convinto che il denaro sia sufficiente a colmare ogni lacuna emotiva, culturale, affettiva. Ma nella vita reale, questi uomini sono ben lontani dall’essere John Gage. Non hanno il sorriso gentile di Redford, né il suo sguardo carico di storie, né quel savoir-faire antico che sfiora la galanteria senza mai diventare possesso, uomini che scambiano il corteggiamento con la pretesa, il desiderio con il contratto.

Sono piuttosto uomini che si illudono di poter comprare le persone, come si compra un’auto o un vestito. Che non sanno cosa significhi corteggiare, ascoltare, desiderare con eleganza. Uomini rimasti prigionieri di un’adolescenza viziata, convinti che basti sbattere i piedi — come un figlio di papà — per ottenere ciò che vogliono. E se il mondo non si piega, si offendono.
Sono i “poveri ricchi“, quelli che credono che l’amore abbia un prezzo e non un valore.

Ma qui Gage ci conquista, perchè riesce a conquistarla.
E una volta vissuto il sogno, quando capisce che lei non lo avrebbe mai guardato come guardava lui, prende la decisione più nobile: lasciarla andare. Si fa da parte. Rinuncia. E in quella rinuncia, Redford ci regala la lezione del film: non tutto si può avere.



Diana e l’irresistibile seduzione dell’attenzione

Diana dunque accetta la notte con il ricco belloccio per salvare il futuro della coppia. O almeno questo è quello che ci dice. Non quello che sente. Dunque si lascia sedurre, sì — ma non dal milione di dollari. Il denaro è solo il pretesto, è la scusa morale con cui giustificare ciò che in fondo è più umano: il desiderio di sentirsi vista, scelta, adorata.
Questo è il punto fondamentale del film, che viene superficializzato per semplificazione, e dove lei, senza questa analisi, ne uscirebbe come una “donna senza dignità”.

È nella scena dentro al casinò, mentre Diana si prova un abito che non può permettersi (un meraviglioso black dress firmato Thierry Mugler) che accade qualcosa. Lo sguardo di Redford – magnetico, attento, bramoso – è il primo regalo che le fa. Poi vengono le parole, calibrate con precisione chirurgica: “Se fossi mia, non ti dividerei con nessuno.” Una frase che oggi qualcuno potrebbe tacciar di possessività tossica. Eppure, vi diamo una notizia: le donne – le donne vere – non disprezzano affatto l’idea di essere desiderate con assolutezza. Non è maschilismo, è eros.

Poi ci sono i gesti. I regali non come oggetti, ma come simboli. Non è la collana o l’auto che conta, ma il messaggio sotteso: sei al centro del mio mondo. E questo, in un tempo in cui anche l’amore si consuma in chat frettolose e attenzioni distratte, ha il sapore di una dipendenza.
Diana si lascia conquistare dall’attenzione continua, dalla premura lussuosa ma mai volgare. Niente “Cinquanta sfumature”, qui l’erotismo passa per l’ascolto, per la presenza, per l’arte – rara – di far sentire una donna importante, desiderata, unica.

Nella storia con David, il regista ci mostra che è Diana ad invitare il compagno al gioco dell’eros: mentre lui è concentrato sui suoi sogni, mente disegna la loro casa, è lei che posa la mano di David sul suo seno, è lei a prendere l’iniziativa.
Con Cage il gioco invece si ribalta, e Diana si lascia sedurre dall’ebbrezza di essere oggetto del desiderio, un piacere ancestrale che appartiene alla natura femminile.



Adrian Lyne dirige con eleganza e tensione, non c’è mai eccesso né mai compiacimento. Addirittura la scena di sesso della “notte comprata” è negata allo spettatore, rimane nella sua fantasia, nella sua idea di corteggiamento, di fantasiosa apertura allo sconosciuto. Ci viene solo rivelato che Cage è uno stallone, durante un litigio della coppia, quando torna a vivere insieme, con un milione di dollari in banca che nessuno dei due ha avuto il coraggio di spendere, fino a quando la gelosia di Davide (Woody Harrelson) sfocia in rabbia e risentimento.

Ogni inquadratura è al servizio della psicologia dei personaggi; Demi Moore è struggente e autentica. Woody Harrelson è vulnerabile ed umano, e Robert Redford — immobile, distaccato e sofisticato — rappresenta l’enigma di un potere che può tutto tranne che amare.

Sarà Diana a pronunciare una frase a David, prima della notte con lo sconosciuto, che romperà uno dei tabù più duri della cultura patriarcale:
solo il mio corpo, non la mia mente e il mio cuore”.
Un tentativo di separare il corpo dall’anima, di razionalizzare il compromesso. Ma dietro quella frase si nasconde una verità che il film esplora senza retorica: la donna può vivere la sessualità in modo pragmatico, come l’uomo. Il tradimento non è sempre emozione. Ma questo merita un articolo a parte.

Il finale (l’amore vince, forse)

Proposta Indecente è un film onesto, non ci vende l’illusione di coppie invincibili. Il marito di Diana lo dice con lucidità quando, separati, va a trovarla durante un’asta di beneficienza, lei in total white, come una giovane sposa elegantissima con ombrellino chinese, sorridente e seduttiva come un’adolescente, accanto a quell’uomo ricco che le dona favole che diventano realtà, David partecipa all’asta e le regala un ippopotamo da un milione di dollari (quel denaro rimasto fino ad allora nel cassetto):
non si dimentica, ma si può perdonare“.

E forse è proprio qui che la storia tocca la sua verità più profonda: nell’ammettere che l’amore non è fatto di perfezione, ma di resistenza, che le relazioni non sono forti quando non si spezzano, ma quando sanno rinascere.

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Robert Redford : nato nell’anno degli Uomini Alfa

Andiamo verso la stagione autunnale e mi sembra doveroso consigliare agli uomini che vogliono farsi ispirare dalle vere icone di stile, un capo reso celebre da un certo signore, Robert Redford.
Il capo in questione è il Caban, un classico intramontabile, il cosiddetto giaccone da marinaio, diffuso ampiamente fra la gente di mare, pescatori e marinai, fin dal Settecento, dal Nord Europa al Nord America. In panno blu abbastanza pesante (circa 800 gr), presenta questi dettagli classici:


– doppiopetto con sei grossi bottoni;


– ampi revers che si possono chiudere e allacciare con un sottogola;


– maniche a giro;


– due tasche scaldamani verticali;


– linea dritta, confortevole;


– lunghezza a metà coscia.


Robert Redford - Caban
Robert Redford – Caban



Robert Redford - Caban
Robert Redford – Caban



Il 18 agosto del 1936 nasceva Robert Redford, uno degli attori e registi più carismatici e talentuosi di sempre, aiutato anche da un fascino che non passava inosservato… occhi azzurri, capelli biondi e un viso spigoloso che ancora oggi riscuote tanto successo, malgrado qualche ruga e la chioma imbiancata.
È facile dirlo adesso, ché è arrivato a 80 anni e quindi è ovvio tirare le somme, ma i tipi alla Robert Redford sembrano nati per contraddire e per avere, alla fine, sempre ragione loro. Sarà che è nato in un anno da uomini alfa, il 1936, lo stesso di Papa Francesco e di una pletora di fondatori di imperi. Sarà che al cinema ha messo assieme un bel campionario di outsider, personaggi ben determinati a smontare il sistema (da “La stangata” a “I tre giorni del Condor”). Sarà che viene da una famiglia scozzese-irlandese, ma il punto è: in quanti, Redford a parte, sarebbero riusciti ad impiantare un festival cinematografico sotto la neve dello Utah, nella terra dei Mormoni, una cosa nata con 13 volontari e che oggi attira 50 mila spettatori?


Robert Redford
Robert Redford



Redford possiede il fascino della sua terra, la California: indomito, primordiale, ribelle. Un luogo insieme elitario e popolare, con un’atmosfera incomparabile che nasce da un tormento interiore, impetuoso come le onde marine e il vento che smuove le cime dei pini marittimi. Robert Redford è l’esponente perfetto di un’estetica senza fronzoli e orpelli, che si nutre dell’essenziale, donando una luce particolare e personale ad ogni cosa.
In gioventù visse un periodo turbolento: figlio di una casalinga e di un lattaio, quando la madre morì, all’età di 19 anni decise di sperimentare la vita bohèmienne degli artisti europei, girando per l’Italia e la Francia. La delusione scaturita da questa esperienza fu così forte che tornò negli Stati Uniti e dopo l’incontro con la prima moglie, smise di bere e si iscrisse nel 1958 al “Prat Institut” di New York per studiare arte. Nello stesso anno uno dei suoi professori gli affidò il primo ruolo a Broadway e nel 1962, dopo alcune esperienze televisive, fece il suo debutto cinematografico come protagonista in “Caccia di Guerra” per la regia di Denis Sanders.


Robert Redford
Robert Redford



Robert Redford
Robert Redford



Consapevole del suo aspetto, estremamente americano, da ragazzo della porta accanto, è riuscito con il tempo a trasformarlo in un punto di forza, con un tocco di ironia che ha permeato ogni suo personaggio, anche quelli più drammatici. Robert Redford sapeva di essere un cliché vivente, la versione a tre dimensioni del nebuloso “sogno americano”, e su questo lavorava e attraverso questo si divertiva a stravolgere stereotipi e a demolire certezze. Cominciando dallo stile, del tutto diverso da quello che ci si sarebbe aspettati da un uomo con la sua fisicità e la sua presenza: un po’ British, un po’ reporter d’assalto, composto da giacche e berretti di tweed abbinati a jeans leggermente scampanati, completi sartoriali con camicie sportive, occhiali da aviatore con lenti fumé.


Robert Redford
Robert Redford



Robert Redford
Robert Redford



Robert Redford
Robert Redford



Nei suoi film, dava il meglio di sé nelle vesti di gentiluomo rampante, un po’ sprezzante, come il personaggio che interpretò ne “Il Grande Gatsby” nel 1974, vestito interamente da Ralph Lauren con abiti su misura e come non ricordarlo nei panni di John Gage in “Proposta Indecente” con la stupenda Demi Moore.


Robert Redford - The Great Gatsby
Robert Redford – The Great Gatsby



Robert Redford e Demi Moore - "Proposta Indecente"
Robert Redford e Demi Moore – “Proposta Indecente”



Non si può far finta di non vedere.
La moda maschile di questi tempi è zeppa di citazioni prese dal passato. Il lascito è evidente come un tratto genetico. Dal peacoat stile Robert Redford nei “Tre giorni del condor”, al giubbotto di James Dean in “Gioventù bruciata”. E poi il cappotto cammello di Richard Gere in “American Gigolò”, al berretto sempre di Redford nella “Stangata”. Uno stile cha fa venir voglia di aprire i bauli e tirare fuori pezzi d’epoca. Vintage va bene, anche perché potrebbe dare quel quid in più di personale allo stile, che stuzzica la sensibilità (modaiola) femminile, ma non bisogna esagerare. Altrimenti si rischia di sembrare un simpatico signore agé in gita a Las Vegas.
Banditi gentiluomini, miliardari libertini, giornalisti, cacciatori: Robert Redford ha dato volto e stile alle icone maschili di tre generazioni.


Robert Redford - "Proposta Indecente"
Robert Redford – “Proposta Indecente”



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