Consuelo Crespi, il glamour italiano nel mondo

La contessa Consuelo Crespi è stata una delle personalità che più hanno influenzato la moda italiana ed internazionale negli anni Cinquanta e Sessanta.

Viso dolce incorniciato da riccioli neri, uno stile bon ton e raffinato, Consuelo Pauline O’Brien O’Connor Crespi nacque a New York il 31 maggio 1928. Cresciuta in Nova Scotia, nel 1945 la graziosa Consuelo posa come modella per Look Magazine.

Due anni più tardi segue il suo debutto in società e nello stesso anno, avviene l’incontro con il conte Rodolfo Crespi detto Rudi. Il matrimonio tra i due fu celebrato l’anno seguente, nel 1948, e dall’unione nacquero due figli, Brando e Pilar Crespi.

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La contessa Consuelo Crespi fu fashion editor di Vogue US e Vogue Italia
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Consuelo Crespi a Manhattan, 1961

 

Consuelo fu fashion editor di Vogue US e braccio destro della mitica Diana Vreeland. Il suo contributo alla diffusione della moda italiana nel mondo fu enorme.

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Rudi e Consuelo Crespi

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Consuelo Crespi in Valentino, 1960


Protagonista del jet set internazionale, mirabile trendsetter e influencer ante litteram, secondo Roberto Capucci Consuelo Crespi fu l’ambasciatrice della moda italiana nel mondo per tutti gli anni Sessanta e Settanta. Dopo aver scoperto Valentino Garavani, i cui abiti indossati dalla sorella gemella di Consuelo affascinarono Jackie Kennedy, notò per le vie della Capitale la bellezza di Benedetta Barzini, mentre a Venezia scoprì Veruschka.

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La Crespi fu modella e braccio destro di Diana Vreeland a Vogue

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La contessa in Valentino per Vogue Italia 1963, foto di Leombruno-Bodi


Spinse Irene Galitzine a debuttare alle sfilate di Palazzo Pitti, nel 1959, e sdoganò negli States il marchio Fabiani, indossando una sua gonna nella Grande Mela di ritorno da uno dei suoi viaggi a Roma.

Un riuscito mix di bellezza e glamour, Consuelo Crespi ottenne la cover di Sports Illustrated nel 1956 be fu redattrice di Vogue Italia dal 1964, scelta personalmente da Diana Vreeland, con cui aveva già collaborato a Vogue US.

Presente al leggendario Black and White Ball organizzato da Truman Capote nel 1966, la Crespi si classificò al terzo posto tra le meglio vestite secondo il New York Dress Institute, dopo la duchessa di Windsor e davanti alla Regina Elisabetta II e ad Audrey Hepburn. Ricordata per la sua dolcezza e per le sue incantevoli mise bon ton, fu inclusa nella prestigiosa International Best Dressed List, lodata per il suo stile dall’eleganza naturale priva di ostentazione o stravaganza. PR ante litteram per diversi designer, la contessa Crespi coinvolse anche il marito nei suoi lavori per Vogue Messico e Vogue Brasile.

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In copertina su Sports Illustrated 26 agosto 1957
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Consuelo Crespi fu influencer e trendsetter ante litteram

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Un ritratto della contessa. I coniugi Crespi lasciarono definitivamente Roma nel 1975


Ma gli anni Settanta videro un declino inesorabile di quell’eleganza e di quel bel mondo che aveva invece caratterizzato i decenni precedenti e un’icona come lei, sensibile alla bellezza, soffrì molto per il cambiamento di vita. “In Italia vogliono essere ricchi ma sembrare poveri”, si lamentava Consuelo, fino alla decisione, nel 1975, di lasciare definitamente Roma per trasferirsi col marito a New York, dove ricevettero i Reagan a casa ai tempi della Casa Bianca, evento pressoché unico nella storia della Presidenza americana.

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La fashion editor fu scopritrice di talenti come Valentino Garavani, Fabiani, Galitzine

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La contessa con la figlia Pilar Crespi, Costa Smeralda 1968


Amatissima per la sua eleganza e stimata sul lavoro, Consuelo è la regina del jet set internazionale. Nominata Cavaliere del Lavoro negli anni Settanta, per il suo prezioso contributo nell’affermazione della moda italiana nel mondo, la contessa si spense nel 2010 nella sua Manhattan, all’età di 82 anni. Il suo amore per il bello è stato ereditato dalla figlia Pilar, che ha lavorato a lungo come editor di Vogue, mentre la nipote Chloé è fotografa di moda. Buon sangue non mente, ça va sans dire.

Il caftano: must have dell’estate

Suggestioni etniche e charme evergreen contraddistinguono un capo principe del guardaroba estivo (e non solo): il caftano.

Dietro a questa veste c’è una storia antichissima che ha origine nella Mesopotamia intorno al 600 a.C. Da qui il caftano si sarebbe poi diffuso in tutta la Persia.

Ampiamente utilizzato sotto l’Impero ottomano, divenne la veste classica dei sultani.

Presente in diverse culture e tramandato fino ai nostri giorni, il caftano è una lunga tunica, da indossare singolarmente o sopra ad altri capi. Di lunghezza variabile, la versione classica arriva fino ai piedi, ed è caratterizzata da una profonda scollatura e dalle maniche svasate che si aprono a pipistrello.

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Vogue UK, dicembre 1966
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Donna Mitchell in una foto di Helmut Newton
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Il caftano nasce in Persia nel 600 a. C.
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Caftano Valentino, foto di Henry Clark, Sicilia, 1967

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Foto di Henry Clarke, 1966


Per tutto l’Ottocento venne considerato un abito di corte, considerata anche l’opulenza di certi modelli, impreziositi da ricami o gioielli, che lo rendono ancora oggi un capo sfarzoso. I colori predominanti con cui veniva confezionata questa veste così particolare erano il rosso, il bordeaux, l’ocra e il viola, colori caldi e dal gusto mediterraneo. Di superba raffinatezza sono le stampe che vengono solitamente utilizzate nella creazione del capo: si tratta di stampe paisley, chiaro retaggio anni Settanta, o stampe floreali o psichedeliche, omaggio dei Sixties.

Inoltre fin dagli albori grande è la varietà dei tessuti usati. Stoffe finemente lavorate, come tessuti damascati, broccato di seta arricchito di inserti preziosi o ancora chiffon di seta, per un effetto fluido e svolazzante. Ma non solo: non di rado oltre al semplice cotone si adoperano cachemire o lana. Un capo fresco e leggero che dona libertà unendo in modo magistrale comfort e stile.

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Il caftano era usato fin dall’Ottocento
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Marina Schiano in uno scatto di Gian Paolo Barbieri
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Penelope Tree, foto di David Bailey, 1969
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Suggestioni orientali per un capo must have del guardaroba femminile
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Isa Stoppi per Henry Clarke, Vogue UK 1966
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Veruschka in un caftano dalle stampe optical, foto di Henry Clarke
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Caftani Valentino, foto di Barry Lategan, anni Settanta
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Moyra Swan indossa un caftano Thea Porter, Turchia, Vogue UK 1971, foto di Barry Lategan
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Talitha Getty, icona hippie chic, col marito Paul, Marrakech, 1969
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Marisa Berenson fotografata da Henry Clarke, Vogue UK Novembre 1967
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Jerry Hall, foto di Steve Horn, Vogue Patterns Maggio/Giugno 1975
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Capo sdoganato da Diana Vreeland, il caftano dona un’allure particolare. Foto del 1969
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Vogue Italia 1971

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Vogue settembre 1973, foto di Barry Lategan


È solo a partire dagli anni Cinquanta che il caftano ha fatto la sua comparsa sulle riviste di moda e sulle passerelle. E fu ancora una volta Diana Vreeland, incontrastata regina della moda di quegli anni, la prima a intuirne la sofisticata eleganza. Dopo averlo notato durante un viaggio in Marocco, fu lei a sdoganarlo in Europa e in America, attraverso le pagine di Vogue.

Simbolo del mood boho-chic che ha caratterizzato la seconda metà degli anni Sessanta ed emblema del decennio successivo, questa mise, così antica e pregiata, conferisce un appeal particolare ad ogni donna che lo indossi. La cultura hippie ma anche l’intellighenzia dell’epoca, furono caratterizzate da una massiccia riscoperta dell’Oriente, e fu allora che l’uso di lunghe tuniche divenne un must have del guardaroba, maschile e femminile.

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Caftano e turbante dorati, Agosto 1969
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Doris Duke in un caftano damascato
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Total white per un outfit che profuma d’Oriente

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Barry Lategan, Vogue Italia ottobre 1973


Numerosissimi furono i designer che si cimentarono con la creazione di caftani, fin dalla metà degli anni Sessanta. Valentino Garavani fu uno dei primi a confezionare splendidi modelli dalle suggestioni optical, in perfetto stile Swinging Sixties; poi fu la volta di Emilio Pucci, che creò dei piccoli capolavori dalle stampe variopinte; e ancora Missoni, Yves Saint Laurent, Lanvin, Ossie Clark, Zandra Rhodes, Thea Porter, Biba e, nei primi anni Settanta, Halston. Oggi il caftano rappresenta un pezzo irrinunciabile delle collezioni di Roberto Cavalli, Issa London e di tanti altri nomi del panorama della moda internazionale.

Da usare per andare in spiaggia, con sandali rasoterra o allacciati alla schiava, o con tacchi o zeppe svettanti per la sera, vincente è l’uso di gioielli etnici, anche importanti. Fantastica è l’unione con il turbante, altro capo dalle seducenti atmosfere etniche, valida alternativa alle acconciature dal mood arabeggiante, con chignon e trecce.

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Caftano con pantaloni, Biba
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Lee Radziwill nel suo appartamento londinese, in stile ottomano
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Fantasie paisley, floreali o optical per il caftano. Foto di Barry Lategan

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Simone d’Aillencourt posa per Henry Clarke in Emilio Pucci, Udaipur, India, 1967


Tantissime le celebrities che hanno adorato il caftano: da Liz Taylor a Jackie Kennedy, da Joan Baez a Mia Farrow. Talitha Getty, icona hippie chic, ne fece l’emblema del suo stile: celebri sono le sue foto a Marrakech nel 1960, in compagnia del marito Paul, anch’egli in total look boho-chic. Altrettanto suggestive sono le foto che ritraggono la socialite Lee Radziwill nella sua casa londinese arredata in perfetto stile ottomano: nulla è lasciato al caso e il caftano che indossa riprende le suggestive decorazioni delle pareti. Tutto il jet set internazionale di quegli anni si convertì al caftano, dalla designer Diane von Furstenberg all’attrice Jaqueline Bisset, da Marella Agnelli e Donna Allegra Caracciolo di Castagneto: celebri le foto scattate a quest’ultima da Henry Clarke per Vogue del 1965. Bellissimi anche alcuni scatti di Barry Lategan per Valentino.

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Liz Taylor amava indossare caftano coloratissimi. Qui in posa per Henry Clarke, 1967
Caftano da sera con inserti preziosi
Caftano da sera con inserti preziosi
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Caftano Nat Kaplan, Vogue US Febbraio 1976
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Jacqueline Bisset
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Profumo d’Oriente
Donna Allegra Caracciolo di Castagneto fotografata da Henry Clarke per Vogue Novembre 1965
Donna Allegra Caracciolo di Castagneto fotografata da Henry Clarke per Vogue Novembre 1965

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Gioielli etnici a completare il look


Oggi questo capo è tornato prepotentemente alla ribalta, grazie anche ad alcuni festival musicali di ispirazione bohémien, come il celebre Coachella Festival, dove si è riscontrato un boom di caftani e capi in stile etnico.

Inoltre il mercato del vintage regna incontrastato: su siti come Etsy, portale web dedicato alla compravendita di capi vintage autentici, si trovano pezzi di brand come Thea Porter, Ossie Clark, Zandra Rhodes e Biba che possono arrivare a costare fino a 5.000€. Ma in questo caso vengono in aiuto i brand low cost, come H&M, che ha proposto una collezione estiva con caftani variopinti, Topshop o ancora Asos, che propone capi ispirati ai Seventies o capi vintage, nella sezione Marketplace.

Il caftano è un evergreen irrinunciabile, anche in tempo di crisi.

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Caftano corto Asos
Vestito caftano lungo stile anni Settanta, Asos
Vestito caftano lungo stile anni Settanta, Asos
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Fantasia paisley per Asos
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Doutzen Kroes indossa un bellissimo modello da spiaggia H&M
Decorazioni laminate da H&M
Decorazioni laminate da H&M
Suggestioni etno-chic da Topshop
Suggestioni etno-chic da Topshop

Essere fashion editor: Grace Coddington

Fashion editor: nell’industria della moda oggi ricoprono un ruolo fondamentale ed insostituibile.

Personaggi chiave del fashion biz nonché del giornalismo di moda, idolatrate e temute, trend setter ed icone di stile: sono le fashion editor. Mediatrici tra le idee dei designer e la carta stampata, tutto gravita intorno a loro, nuove guru dallo stile impeccabile.

Uno dei nomi più famosi è sicuramente quello di Grace Coddington, direttrice creativa di Vogue America.

Pamela Rosalind Grace Coddington nasce ad Anglesey, in Galles, nell’aprile del 1941. I genitori, Janie e William, gestiscono un piccolo hotel nell’isola, il Tre-Arddur Bay Hotel. Il padre muore di cancro quando Grace ha appena undici anni, nel 1952.

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Grace Coddington negli anni Settanta
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La fashion editor in gioventù ha lavorato a lungo come modella
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Nata in Galles, arrivata a Londra ha debuttato come modella per Vogue
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Grace Coddington posa per David Bailey, Vogue UK, 15 settembre 1966
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Come modella, Grace Coddington ha posato per fotografi del calibro di Norman Parkinson e Frank Horvat
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Vogue UK, settembre 1962
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Uno scatto degli anni Settanta
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Scatto del 1973
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Grace Coddington in Jean Muir, Vogue UK settembre 1973
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Viso sbarazzino e lunghi capelli fulvi
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Grace Coddington posa per Willie Christie, Vogue, 1977

 

La giovane avverte sempre più il bisogno di evadere da quella realtà angusta e provinciale e, compiuti i diciotto anni, cerca fortuna a Londra. Sono gli anni della rivoluzione culturale più sconvolgente, che inizia proprio nella Swinging London. Qui Grace lavora come cameriera e frequenta un corso serale di portamento alla Cherry Marshall Modeling School.

Grace Coddington ha lavorato a lungo come modella prima di diventare una giornalista. Appassionata collezionista di Vogue, fin dall’adolescenza non perde un numero della celebre rivista. Ed è proprio grazie ad un concorso bandito dalla “Bibbia della moda” che la giovanissima Grace inizia la sua carriera di modella, vincendolo nel 1959.

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1973
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Ancora in posa per Willie Christie, Vogue 1977

 

Grandi occhi da gatta e lunghi capelli fulvi, diviene in breve tempo una delle modelle più gettonate degli anni Sessanta e posa per fotografi del calibro di Frank Horvat, Norman Parkinson e Don Honeyman. Ma all’età di ventisei anni la sua carriera subisce un brusco stop a causa di un grave incidente automobilistico che la lascia sfigurata. La Coddington dovrà subire diversi interventi chirurgici per tornare quella di un tempo. Due anni dopo l’incidente, all’età di ventotto anni, fu intervistata dall’editrice di Vogue Beatrix Miller, e successivamente assunta come junior fashion editor.

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Foto di Helmut Newton
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Grace ritratta da Helmut Newton, 1973

 

La Coddington è brillante nel suo nuovo ruolo: gli anni trascorsi a posare come modella hanno infatti fortemente influenzato il suo stile e l’hanno resa capace di capire ed anticipare le tendenze.

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Vogue US, dicembre 2004, foto di Annie Leibovitz, stylist Grace Coddington
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Natalia Vodianova come Alice in Wonderland, foto di Annie Leibovitz
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Amy Adams & Tim Burton, Vogue dicembre 2014, foto di Annie Leibovitz
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Suggestioni oniriche e outfit teatrali negli shoot di Grace Coddington

 

La sua carriera prosegue con l’incarico di Photo Editor per Vogue UK, ruolo che ricopre per ben diciannove anni, prima di trasferirsi a New York. Qui inizia a lavorare nel 1987 per Calvin Klein come design director. Nel luglio 1988 approda alla redazione di Vogue America, al fianco di Anna Wintour, che ha appena succeduto, come editor-in-chief, a Diana Vreeland. Nel 1995 viene nominata direttore creativo della rivista.

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Vogue US dicembre 2008, Coco Rocha per Annie Leibovitz
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Coco Rocha e Roberto Bolle, Vogue US dicembre 2008
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Coco Rocha e Roberto Bolle come Romeo e Giulietta, foto di Annie Leibovitz

 

Stylist dal gusto iper femminile e dalle suggestioni vagamente retrò, i suoi editoriali sono onirici e sontuosi, veri e propri capolavori. Grace Coddington ha lavorato al fianco di fotografi del calibro di Mario Testino, Anne Leibovitz, Helmut Newton, Irving Penn, Patrick Demarchielier, Steven Meisel, Peter Lindberg, Bruce Weber, Arthur Elgort.

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‘Wild Irish Rose’, Vogue US settembre 2013, foto di Annie Leibovitz
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Daria Werbowy per Annie Leibovitz
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Atmosfere vittoriane per l’editoriale ideato da Grace Coddington per Vogue US settembre 2013

 

Citazioni letterarie, come lo shooting shakespeariano con un Roberto Bolle nei panni di un novello Romeo Montecchi, o rimandi all’arte pre-raffaellita. Alcuni shooting curati da lei sono entrati di diritto a far parte del patrimonio fotografico dei nostri giorni, come il servizio ambientato nella sua Inghilterra, con una Daria Werbowy struggente, o ancora il remake fotografico del celebre film di Hitchcock “La finestra sul cortile”, con una sofisticata Carolyn Murphy nei panni che furono di Grace Kelly. Uno styling improntato ad un gusto intramontabile: frequente l’uso di gonne a ruota, omaggio ai Fifties, per una femminilità che viene esaltata in modo superbo.

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Natalia Vodianova protagonista di un editoriale struggente
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Puff Daddy & Natalia Vodianova per Annie Leibovitz
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Un amore vissuto in viaggio: ritorna il romanticismo di Grace Coddington

 

Altro capolavoro lo shooting dedicato agli anni Venti ed apparso nel numero di settembre del 2007, così come quello in cui una giovanissima Natalia Vodianova posa come novella Alice in Wonderland per l’obiettivo di Anne Leibovitz, nel dicembre del 2003. Scatti dal gusto fiabesco e dalle suggestioni oniriche, ma non privi di un certo humour tipicamente inglese, come possiamo notare nell’idea -geniale- di trasformare Tom Ford nel Bianconiglio, Marc Jacobs nel Brucaliffo.

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Shoot ispirato alla “Finestra sul cortile” di Alfred Hitchcock
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Carolyn Murphy come Grace Kelly, Vogue US, Aprile 2013
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Carolyn Murphy e Tobey Maguire come Grace Kelly e James Stewart, foto di Peter Lindbergh

 

Editoriali che parlano, che raccontano delle storie. Protagonista è spesso l’amore, intriso di un romanticismo d’altri tempi, come nel servizio con Natalia Vodianova e il rapper Puff Daddy, uscito nel febbraio 2010. Lo shooting, ispirato al film Breve incontro prodotto da David Lean nel 1945, rappresenta la passione di due innamorati, consumata a bordo delle sontuose carrozze di un lussuoso Orient Express.

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Lara Stone in look retro per Mert Alas & Marcus Piggott
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Styling ispirato agli anni Cinquanta
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I Roarin’ Twenties visti da Grace Coddington
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Styling iper femminile curato da Grace Coddington

 

Grande amante dei gatti, Grace Coddington è divenuta celebre presso il grande pubblico nel 2009, in seguito al documentario “The September Issue”, che tratta l’uscita del numero di settembre 2007 di Vogue. Nel 2002 è uscito il libro fotografico “Grace: Thirty Years of Fashion at Vogue”, scritto dal suo fidato collaboratore Jay Fielden.

L’arte fotografica di Louise Dahl-Wolfe

Ci sono fotografie che travalicano gli stessi confini dell’industria del fashion per abbracciare invece un concetto molto più universale, quello dell’arte.

È sicuramente il caso delle foto di Louise Dahl-Wolfe, che tradiscono un’intrinseca perfezione che merita di essere conosciuta ed approfondita.

Louise Emma Augusta Dahl nasce il 19 novembre 1895 a San Francisco da genitori emigrati negli Stati Uniti della Norvegia. Nel 1914 iniziò i suoi studi presso la California School of Fine Arts (oggi San Francisco Institute of Art). Per i sei anni seguenti ampliò gli orizzonti dello studio della fotografia apprendendo nozioni di anatomia e pittura.

Natalie in cappotto Grès, Kairouan, Tunisia, 1950
Natalie in cappotto Grès, Kairouan, Tunisia, 1950
Tunisia, 1950
Tunisia, 1950

Deserto del Mojave, California, Harper's Bazaar, maggio 1948
Deserto del Mojave, California, Harper’s Bazaar, maggio 1948




Successivamente studiò Design ed architettura presso la prestigiosa Columbia University. Nel 1928 convolò a nozze con lo scultore Meyer Wolfe, che allestì i set di molte delle sue foto più famose.

La sua arte fotografica, estremamente all’avanguardia per l’epoca, vedeva una predilezione per la luce naturale e le location esterne come pure per la ritrattistica. Furono ritratti da lei personaggi celebri, da Mae West al poeta W. H. Auden, da Cecil Beaton ad Orson Welles.

Jessica Taft, Trinidad, 1957
Jessica Taft, Trinidad, 1957
Mary Sykes, Escambron Beach Club, Porto Rico, Harper's Bazaar Dicembre 1938
Mary Sykes, Escambron Beach Club, Porto Rico, Harper’s Bazaar Dicembre 1938

Jean Patchett a Granada, Spagna, 1953
Jean Patchett a Granada, Spagna, 1953




Braccio destro di Diana Vreeland nella redazione del celebre magazine Harper’s Bazaar, è sua la foto di copertina del numero di marzo 1943, che vede una ancora acerba Lauren Bacall, appena scoperta dal lungimirante occhio della Vreeland. Tra le sue modelle preferite Mary Jane Russell, che si stima compaia nel trenta per cento dell’intero patrimonio fotografico lasciatoci da Louise Dahl-Wolfe.

La fotografa influenzò le opere di Richard Avedon e Irving Penn. Uno dei suoi assistenti fu il celebre fotografo Milton H. Greene, famoso per avere immortalato Marilyn Monroe.

Evelyn Tripp a Gioia del Colle, Puglia. 1955
Evelyn Tripp a Gioia del Colle, Puglia. 1955
1956
1956

Uno scatto per Harper's Bazaar, 1947
Uno scatto per Harper’s Bazaar, 1947




La Dahl-Wolfe lavorò per Harper’s Bazaar dal 1936 al 1958, membro dello staff composto da Carmel Snow (editor), Alexey Brodovitch (Art director) e la già citata Diana Vreeland come fashion editor. Immenso è il patrimonio prodotto: 86 copertine, 600 foto a colori ed innumerevoli scatti in bianco e nero.

Tantissimi furono i viaggi di lavoro, che testimoniano ancora una volta l’importanza che la location -meglio se esotica- rivestiva secondo la Dahl-Wolfe. Molte sono le fotografie in cui protagonista è la carta geografica: una mappa, nascosta in un angolo del set o in mano alla modella, sia che indossasse sontuosi abiti da sera o semplici costumi da bagno. Quasi un talismano, o un monito a ricordare quanta eleganza ci sia nell’apprendere nuove culture e nel visitare nuovi angoli del pianeta.

Harper's Bazaar, Agosto 1949
Harper’s Bazaar, Agosto 1949
Jean Patchett con mappa, Granada, Spagna, 1953
Jean Patchett con mappa, Granada, Spagna, 1953
Ritorna la mappa, "firma" della fotografa
Mary Jane Russell, una delle modelle più amate dalla fotografa
Ancora Mary Jane Russell
Ancora Mary Jane Russell

Ritorna la carta geografica
Ritorna la carta geografica, “firma” della Dahl-Wolfe




Dal 1958 fino al suo ritiro, due anni più tardi, lavorò per Vogue, Sports Illustrated e altri magazine. Morì di polmonite nel 1989. Dieci anni dopo, nel 1999, la sua opera fu raccolta in un documentario dal titolo “Louise Dahl-Wolfe: Painting with Light”. Ed è proprio così, i suoi scatti ricordano spesso dei ritratti, sapientemente creati grazie ad un uso magistrale della luce. Quel che più colpisce è la modernità di certi suoi scatti, semplici eppure di grande effetto.



Atmosfere esotiche in molti dei suoi scatti, come questo, del 1950
Atmosfere esotiche in molti dei suoi scatti, come questo, del 1950
Scatto per Harper's Bazaar
Scatto per Harper’s Bazaar
Ancora Harper's Bazaar
Ancora Harper’s Bazaar
Scatto molto raro, per Harper's Bazaar Maggio 1946
Scatto molto raro, per Harper’s Bazaar Maggio 1946
Editoriale moda per Harper's Bazaar con le carte da gioco, Agosto 1953
Editoriale moda per Harper’s Bazaar con le carte da gioco, Agosto 1953
Un'altra foto tratta dallo stesso editoriale
Un’altra foto tratta dallo stesso editoriale
Una delle tante cover per Harper's Bazaar
Una delle tante cover per Harper’s Bazaar
L'incredibile modernità nell'uso della luce
L’incredibile modernità nell’uso della luce
Lady Margaret Strickland con turbante, 1938
Lady Margaret Strickland con turbante, 1938

Suzy Brewster, Miami, Florida, 1941
Suzy Brewster, Miami, Florida, 1941




Una donna dalla personalità molto forte, che lasciò il suo posto nella redazione di Harper’s Bazaar quando alla Vreeland subentrò un nuovo fashion editor, che tentò -senza successo- di cambiare lo stile delle sue foto. I suoi scatti restano ancora oggi un insuperato capolavoro di stile. Per veri intenditori.

Diana Vreeland. La regina dello stile.

Nasceva oggi il personaggio più eclettico e rivoluzionario della moda. Unica, ironica come nessuna, visionaria, folle. Diana Dalziel poi Vreeland (cognome del marito) nasce a Parigi il 29 luglio del 1903. La madre, la socialite Emily Key Hoffman, vanta una parentela con George Washington e con Pauline de Rothschild.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, la famiglia si trasferisce a New York, dove la giovane Diana fa il suo debutto in società nel 1922, comparendo -quasi una premonizione del suo imminente futuro- su Vogue proprio per l’occasione.
Due anni più tardi, il primo marzo 1924, sposa il banchiere Thomas Reed Vreeland, da cui avrà due figli.


Diana


La coppia si trasferisce per un periodo a Londra. Qui Diana apre una boutique che annovera tra le clienti Wallis Simpson. Frequenti sono i viaggi di Diana a Parigi, dove conosce Coco Chanel, nel 1926. Nel 1935 il lavoro del marito li riporta nella Grande Mela.


Diana


L’anno successivo, il 1936, segna l’inizio del mito di Diana Vreeland. Notata per il suo stile nel vestire da Carmel Snow, lungimirante fashion editor di Harper’s Bazaar, le viene proposta una rubrica all’interno del magazine. Nasce così “Why don’t you…?”, la rubrica che fece conoscere al mondo l’ironica Diana.


Diana


Deliziosamente sopra le righe, in bilico tra l’umorismo più sottile e certa leziosità femminile che mai passerà di moda, Vreeland gioca coi suoi lettori, consigliando loro, tra le altre cose, di “tappezzare le camere da letto dei loro figli di stampe tratte dagli atlanti geografici, affinché essi non crescano con un punto di vista provinciale”, o di “esaltare il biondo naturale dei loro capelli lavandoli con lo champagne”.


Diana


Lasciare carta bianca al suo genio fu certamente mossa vincente per la Snow, che di certo contribuì alla creazione di un mito. Diana Vreeland fu talent scout ante litteram. Innumerevoli sono i volti che scoprì, da Lauren Bacall a Marisa Berenson, da Twiggy a Loulou de la Falaise e ancora Penelope Tree, Jane Shrimpton, Veruschka von Lehndorff, Edie Sedgwick.


Diana


Affiancata come nuova fashion editor di Harper’s Bazaar da fotografi del calibro di Richard Avedon, Louise Dahl-Wolfe, Alexey Brodovitch, nel 1962 passò a Vogue: qui ricoprì l’incarico di editor-in-chief dal 1963 al 1971. Pochi anni, se vogliamo, ma durante i quali avvenne una vera e propria rivoluzione culturale. Diana Vreeland è forse la donna che ha maggiormente influenzato l’arte visiva e la cultura visiva del secolo scorso. Non solo una semplice fashion editor ma la protagonista di una vera e propria rivoluzione che ha interessato il panorama culturale in toto. Addentrarsi negli anni Sessanta, i fatidici Swinging Sixties, il decennio in assoluto più rivoluzionario, con una guida così progressista, era garanzia di successo.


Diana


Sopra le righe, certa che “troppo buon gusto fosse noioso e che un pizzico di cattivo gusto serviva a dare un po’ di sapore”, Diana Vreeland odiava le convenzioni e le vecchie ideologie legate allo stile. Il cognome da nubile, Dalziel, in gaelico antico “Io oso”, è già un programma. Celebri, le sue frasi, che ci aprono nuove prospettive.


Diana


Come quando si espresse sul bikini, che definì “l’invenzione più importante dai tempi della bomba atomica”. Una iron lady della moda, granitica e rivoluzionaria. Nel 1965 veniva annoverata dalla Hall of Fame tra le donne meglio vestite al mondo.


Diana


Clamorosamente licenziata da Vogue (ebbene sì, incredibile ma vero!), nel 1971 le venne affidato l’incarico di curatrice dell’Istituto di Costume del Metropolitan Museum of Art. Nel 1984 ultimò la sua autobiografia, “D.V.” e morì nel 1989 per un attacco cardiaco.


Diana


Nel settembre 2011 venne creato il sito a lei dedicato, mentre il suo impero viene oggi curato dal nipote Alexander Vreeland, che lo scorso anno le ha dedicato delle fragranze. Nel settembre 2011 é uscito invece il documentario The Eye has to Travel, a cura di Lisa Immordino Vreeland, moglie di Alexander.