Daniela Gregis si racconta per la prima volta

Ad ogni fine sfilata , i designers escono tra il pubblico per accogliere gli applausi, sempre.
Lei no. Al suo posto, una fila di sarte sorride in passerella. Indossano abiti da lavoro e ringraziano.
Questo è il messaggio della designer di moda Daniela Gregis: la persona viene prima dell’ abito che indossa.

Intervisto Daniela Gregis presso il suo atelier nel centro di Bergamo.

Siamo nel bar storico di Bergamo alta. La piazza è un vociare allegro di ragazzi appena usciti da scuola, siedono sugli scalini accanto ai cafè. Chiacchiero con l’assistente di Daniela Gregis cercando di scoprire qualcosa sul carattere della designer, quando mi appare d’improvviso dietro le sue spalle. Mi venisse un colpo!

Una signora elegante in ambiti semplici, senza un filo di trucco sul viso, con una grande fusciacca al collo e dalla voce sottile mi invita a sedere al tavolino del bar per conversare davanti ad una tazza di tè bollente, che allunga con un poco di spremuta. Magra, capelli castano cenere sulle spalle, ha l’andatura della voce di chi ha il lusso del tempo e mi racconta quand’è nata la passione per la moda:

Mia zia lavorava all’uncinetto, è da lei che ho imparato e da allora porto avanti la tradizione, più per una questione di rispetto che per una vera e propria scelta di stile”.

Ricorda il suo primo scialle, di un arancio forte e di una lana terribile, sintetica, che si usava per fare delle prove, per i noviziati: lo ricorda con ironia e racconta che ogni momento di inquietudine e solitudine lo passava lavorando alla maglia, era il suo modo per allentare le tensioni.

Da allora non ha mai più smesso.

Piazza Vecchia di Bergamo:

 



Daniela Gregis è alla sua 38esima collezione, ha iniziato questo mestiere 19 anni fa, quando nel laboratorio di Bergamo c’erano solo 3 persone; oggi in questa città si trovano i suoi 3 atelier che si affacciano sulla Piazza Vecchia. Il primo spazio è utilizzato come sala riunioni e propone pezzi di modernariato, dove il nuovo incontra il passato; oggetti acquistati nei numerosi viaggi around the world. Il secondo atelier, accanto a questo, è il vero negozio che propone la collezione in corso, una piccola boutique che non ha mai subìto restauri o ritocchi dove lavora la stessa signora da anni,  da anni. Il terzo atelier è una “lavagna bianca”, dove ogni mese il tema cambia e si gioca con gli abiti e oggetti; in questo periodo è dedicato ai bambini, quindi via libera agli acquerelli, ai giochi in legno e mini clothes.

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Mobile in legno intrecciato – atelier Daniela Gregis


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oggetti di modernariato nell’atelier di Bergamo


Tra le più grandi passioni di Daniela Gregis c’è la cultura giapponese con le sue tradizioni.

Nel negozio che propone oggetti di modernariato si possono acquistare introvabili borse japan in legno di noce (resistenti più della pelle mi dice), contenitori di legno scandinavo a incastro, kit giapponesi per oggetti rotti: si tratta di una colla color oro che disegna un tratto elegante su un oggetto che sarebbe destinato alla spazzatura. “Perché dire addio ad un oggetto bello o utile che amiamo? Il recupero è un modo per evitare lo spreco

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borsa japan in paglia lavorata a mano


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contenitore in legno scandinavo a incastro


 

 

Gli atelier di Daniela Gregis nella città di Bergamo:



Nei racconti della stilista Daniela Gregis, che sottolinea “l’eleganza non è eccesso a tutti i costi, trovo sia più elegante un contadino di una signora male agghindata” – si ritrovano l’amore per il proprio lavoro ma soprattutto una filosofia che stimola le scelte che ricadono sulla comunicazione del brand. Lo stesso bizzarro e originale dettaglio di aver fatto sfilare una donna non più giovane come Benedetta Barzini,  modella e giornalista.

Siamo delle maschere e recitiamo sempre una parte, perché mai? Che motivo abbiamo?” si domanda – “siamo così arroganti da credere di essere importanti”: questa la verità che si cela dietro il non apparire di Daniela Gregis, il non voler esporsi, il lasciare piena libertà alle modelle, di sfilare con i loro ritmi, lenti, cadenzati dalla musica, totalmente in contrasto con la frenesia di una fashion week abituale.

La location prediletta per la settimana della moda milanese è un luogo sacro: l’oratorio della Basilica di San Ambrogio, una delle più antiche chiese di Milano.

Le sfilate di Daniela Gregis raccontano una moda senza solennità, colma di spiritualità, come il luogo dove si svolge, un defilé quasi neghittoso, indolente e soprattutto mai autoreferenziale.

Ogni passo della modella libera quel po’ di mistero romantico degli abiti della Gregis, che sono casti ma colorati, moderni ma intrisi di storia – assistervi è come abbandonarsi ad una riscoperta naturalezza.

Il clangore di una grossa campana avvisa che il tempo è finito – una lezione di vita quella di Daniela Gregis: l’essere se stessi, semplicemente.

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collezione Daniela Gregis F/W 16/17


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Benedetta Barzini sfila per Daniela Gregis


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collezione Daniela Gregis F/W 16/17


 

 

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La sfilata Daniela Gregis – collezione Autunno Inverno 2016/17 

Esiste una moda fatta non solo di lustrini e paillettes, ma cucita d’amore? La risposta è Daniela Gregis!

I tessuti sono stropicciati, poveri e ricordano lo stile bohémien della Parigi d’antan.

Nelle collezioni di Daniela Gregis è onnipresente il colore, come macchia sulla tavolozza di un pittore; tutto è lento e silenzioso, l’atmosfera aiuta a meditare, il luogo, le musiche, i lenti passi delle modelle, hanno quel tocco spirituale che mancava all’evento più atteso nel mondo della moda, la Milano fashion week.

Pare che Daniela Gregis voglia lanciare un messaggio d’amore in una collezione che riporta al calore di casa, alla comodità, al coprirsi e non svelare – una collezione di sovrapposizioni e geometrie, di numeri dove l’infinito torna.

La presenza di Benedetta Barzini, in un défilé sobrio e al contempo divertito, torna come must have conferma di solide amicizie e linguaggi che lasciano posto a domande e al mistero…

Guarda qui la collezione Autunno Inverno 2016/17 Daniela Gregis: 

Gli anni Sessanta secondo Henry Clarke

Uno dei maestri della fotografia del Novecento, precursore dell’emancipazione della donna e autore di scatti passati alla storia: tutto questo è stato Henry Clarke, uno tra i fotografi più prolifici e longevi, le cui foto sono state testimoni di quattro decenni, dagli anni Cinquanta fino ai primi anni Ottanta.

Tanti i generi sperimentati dal genio di Clarke: miriadi di scatti di moda e ritratti di personaggi celebri, il fotografo americano è stato arbiter elegantiae della moda italiana, francese e americana.

Nato nel 1918 in California, a Los Angeles, da immigrati irlandesi, Clarke cresce in un periodo attraversato da numerose correnti culturali. L’esperienza della guerra fa da spartiacque tra il vecchio e il nuovo. Il giovane Henry si avvicina alla fotografia di moda nel 1948, dapprima a New York e poi trasferendosi a Parigi.

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Marina Schiano, 1968


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Ancora la Schiano, 1968


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Editha Dussler in Paulina Trige, 1966


L’immaginario collettivo di quegli anni era dominato dai due fotografi di Vogue Cecil Beaton e Horst P. Horst, entrambi fautori di un’estetica quantomai radicata nella tradizione. Ma si avvertiva sempre più l’esigenza di un cambio di prospettiva, che auspicava un ritorno ad una fotografia più radicata nella realtà. Lo stesso Clarke studiò le foto di Beaton, Horst ed Irving Penn, ma familiarizzò con una macchina fotografica più piccola, la Rolleiflex, a suo avviso capace di portare l’auspicato cambiamento di prospettiva.

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Lauren Hutton in un caftano dorato Thea Porter, Vogue UK, dicembre 1969


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Simone d’Aillencourt, 1966


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Wilhelmina Cooper davanti alla dea Maishasur Mardini in un abito Madame Grès, Jodhour, India, dicembre 1964


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La modella Samantha Jones in un caftano dalle stampe optical Livio de Simone, India, giugno 1967


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La modella Samantha Jones davanti al tempio dei guerrieri Chichén Itzá, Messico, 1968


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Modelle davanti le rovine di Xochicalco, fuori da Guernavaca, in abiti che ricordano i pepli greci, 1968


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Samantha Jones in Emilio Pucci, 1967


Clarke fu allievo del vero rivoluzionario della fotografia di quegli anni, Alexey Brodovitch, presso la New School for Social Research. Fu qui che Clarke imparò forse la lezione più importante: come unire la fantasia che serve alla moda con l’energia tipica del reportage. Nel Dopoguerra imperversava uno stile ancora classico e fortemente radicato nella tradizione. Erano gli anni del New Look di Christian Dior, ma si avvertiva sempre più l’esigenza di dare voce ad un nuovo tipo di donna. Life Magazine aveva tristemente testimoniato il conflitto belli o con drammatici reportage fotografici dalle zone di guerra, ma Vogue continuava a commissionare lavori brillanti a Cecil Beaton, relegando la moda in un mondo che appariva talvolta ovattato e lontano dalla realtà.

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Fotografie come opere d’arte


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Henry Clarke viaggiò in moltissime parti del mondo per il suo lavoro, come l’Iran


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I bellissimi paesaggi dell’Iran ritratti da Henry Clarke in foto suggestive


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Scatti unici a metà tra moda e reportage


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Marisa Berenson spicca in una foto scattata in Iran


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Editha Dussler ritratta come una dea tra le rovine romane di Palmira, Siria


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Isfahan, Iran, Vogue dicembre 1969


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Marisa Berenson in un caftano dorato Tina Leser, 1967


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Ancora la Berenson in caftano Halston, 1969


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Le meravigliose stampe Emilio Pucci, 1966


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Editha Dussler, Vogue giugno 1966


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Veruschka, Vogue 1 Dicembre 1966


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Editha Dussler su una spiaggia deserta, Vogue 1 Dicembre 1966


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Sempre la Dussler, Vogue 1 dicembre 1966


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Veruschka in tunica Pauline Trigére, Marocco 1964


La suggestiva location di Petra, 1965
La suggestiva location di Petra, 1965


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Isa Stoppi per Vogue UK 1966


Una prima rivoluzione iniziò con Irving Penn e  Richard Avedon, che portarono il reportage all’interno della fotografia di moda. Clarke iniziò a scattare foto per stilisti celebri, tra cui Dior, Fath, Balenciaga e Chanel. Le sue foto degli anni Cinquanta sono state spesso paragonate al lavoro di Irving Penn per quanto concerne il concetto di eleganza femminile; ma in Clarke manca quel particolare rigore formale e tecnico, come sostenne Nancy Hall-Duncan. In quel periodo egli stesso si fece promotore del risveglio culturale e stilistico dell’America e dell’Europa, coi suoi celebri scatti per riviste del calibro di Femina, Harper’s Bazaar e Vogue, e coi suoi ritratti di personaggi celebri, come Anna Magnani, Coco Chanel, Truman Capote, Cary Grant, Monica Vitti e Sophia Loren.

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Veruschka in Jean Louis, 1965


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Veruschka posa per Vogue, 2 aprile 1972


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Barbara Carrera, foto del 1971


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Castello San Nicola L’Arena, vicino Palermo, Vogue 1 dicembre 1967


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La modella Barbara Bach fotografata a Villa Trabia, Palermo, in un abito Leslie Fay, Vogue 1 dicembre 1967


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Veruschka in Valentino, 1 novembre 1966


Dalla metà degli anni Cinquanta firmò per David Libermann un contratto di esclusiva per le edizioni francese, americana e britannica di Vogue e iniziò a fare numerosi viaggi che lo portarono in giro per il mondo: Messico, Brasile, Spagna, Portogallo, Turchia, India, Iran, Siria ed Italia.
Ma è il decennio successivo che lo consacra al mito: grazie a Diana Vreeland, editor di Vogue, in questi anni Clarke ha ritratto magistralmente la donna moderna. Questa è la parte forse più interessante e più sottovalutata del suo lavoro, ossia l’essere riuscito, per primo, a ritrarre e testimoniare la portata storica della rivoluzione dei costumi sessuali che stava per avere luogo in quegli stessi anni.

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Veruschka in Emilio Pucci in un editoriale voluto da Diana Vreeland, ambientato sulle rive del Tanganica, Tanzania, Vogue 1 gennaio 1965


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Veruschka in una villa a sud di Roma, con un caftano giallo e una pashmina Ken Scott, novembre 1965


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Istanbul, Turchia, Vogue dicembre 1966


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Cherry Nelms in top e gonna Brigance fotografata in Portogallo, Vogue giugno 1952


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Ancora Sherry “Cherry” Nelms a Olhao, Portogallo, con un bikini Calypso, Vogue giugno 1952


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Cherry Nelms a Palermo, gennaio 1955


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Abito in seta Bonnie Cashin, 1952


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Moyra Swan in total look Anne Klein e cappello Cerruti, Spagna, 1969


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Abito gipsy di Donald Brooks, Spagna 1969


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Editha Dussler a Göreme, Turchia, abito di Chester Weinberg, dicembre 1966


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Viviane, 1974


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Altro scatto ambientato in Cappadocia, Göreme, Vogue 1 dicembre 1966


Le foto di Clarke degli anni Sessanta hanno per protagonista una donna moderna, che viaggia in tutto il mondo, indipendente, autosufficiente, sicura di sé. Scatti a colori ricchi di suggestioni etniche, con location mozzafiato. La sua donna è una dea indiana vestita di sari e caftani preziosi, una sacerdotessa che danza per raccogliere il favore degli dei. Cosmopolitismo ante litteram nelle sue foto che ritraggono donne gipsy, vestite secondo i costumi e le tradizioni dei singoli Paesi. Styling elaborati per nuove dee del sole, o zingare extra lusso che girano il mondo cavalcando un mulo, o ancora donne dall’eleganza moderna e rivoluzionaria, ritratte in costumi da bagno Emilio Pucci. Amante del barocco siciliano, celebri sono i suoi scatti ambientati a Palermo, Monreale e Bagheria. Su consiglio della contessa Consuelo Crespi, editor di Vogue US, scattò spesso in antichi palazzi della Capitale, come in quello di Cy Twombly. Suggestive le sue foto all’Eur, ad Ostia, ma anche in Turchia, Iran, tra le rovine di Argira, in Messico tra i templi maya ed aztechi e in Portogallo. Foto come reportage etnografici, con una partecipazione talvolta attiva della popolazione locale, come nello scatto con Isa Stoppi tra gli indios. Capolavori di una modernità impensabile per l’epoca.

L’arte azteca e amerindia, suggestioni indios e rovine di templi induisti diventano protagoniste e si rivelano le location più idonee per dar vita ad insuperabili capolavori di stile. In questo periodo Clarke ritrae modelle del calibro di Veruschka, Marisa Berenson, Benedetta Barzini, Marina Schiano, Isa Stoppi, Simone d’Aillencourt. Un cambio generazionale notevole, per un fotografo che aveva iniziato invece negli anni Cinquanta, ritraendo una femminilità assolutamente diversa. Proporzioni, set, outfits e location: tutto è in mirabile equilibrio nei suoi scatti, vere e proprie opere d’arte.

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La modella Isa Stoppi


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Marisa Berenson in Sardegna indossa un costume Pucci, 1967


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Un altro scatto con la Berenson nelle coste della Sardegna, 1967


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Benedetta Barzini in Emilio Pucci, 1968


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Veruschka in Givenchy, 1966


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Marisa Berenson e Benedetta Barzini nella casa romana di Cy Twombly in abiti Valentino, 1968


Nonostante i numerosissimi viaggi, Clarke restò per tutta la vita residente a Parigi, e morì nel sud della Francia nel 1996. Una retrospettiva sul suo lavoro fu allestita al Musée Galliera di Parigi tra l’ottobre 2002 e il marzo del 2003.

Consuelo Crespi, il glamour italiano nel mondo

La contessa Consuelo Crespi è stata una delle personalità che più hanno influenzato la moda italiana ed internazionale negli anni Cinquanta e Sessanta.

Viso dolce incorniciato da riccioli neri, uno stile bon ton e raffinato, Consuelo Pauline O’Brien O’Connor Crespi nacque a New York il 31 maggio 1928. Cresciuta in Nova Scotia, nel 1945 la graziosa Consuelo posa come modella per Look Magazine.

Due anni più tardi segue il suo debutto in società e nello stesso anno, avviene l’incontro con il conte Rodolfo Crespi detto Rudi. Il matrimonio tra i due fu celebrato l’anno seguente, nel 1948, e dall’unione nacquero due figli, Brando e Pilar Crespi.

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La contessa Consuelo Crespi fu fashion editor di Vogue US e Vogue Italia
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Consuelo Crespi a Manhattan, 1961

 

Consuelo fu fashion editor di Vogue US e braccio destro della mitica Diana Vreeland. Il suo contributo alla diffusione della moda italiana nel mondo fu enorme.

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Rudi e Consuelo Crespi

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Consuelo Crespi in Valentino, 1960


Protagonista del jet set internazionale, mirabile trendsetter e influencer ante litteram, secondo Roberto Capucci Consuelo Crespi fu l’ambasciatrice della moda italiana nel mondo per tutti gli anni Sessanta e Settanta. Dopo aver scoperto Valentino Garavani, i cui abiti indossati dalla sorella gemella di Consuelo affascinarono Jackie Kennedy, notò per le vie della Capitale la bellezza di Benedetta Barzini, mentre a Venezia scoprì Veruschka.

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La Crespi fu modella e braccio destro di Diana Vreeland a Vogue

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La contessa in Valentino per Vogue Italia 1963, foto di Leombruno-Bodi


Spinse Irene Galitzine a debuttare alle sfilate di Palazzo Pitti, nel 1959, e sdoganò negli States il marchio Fabiani, indossando una sua gonna nella Grande Mela di ritorno da uno dei suoi viaggi a Roma.

Un riuscito mix di bellezza e glamour, Consuelo Crespi ottenne la cover di Sports Illustrated nel 1956 be fu redattrice di Vogue Italia dal 1964, scelta personalmente da Diana Vreeland, con cui aveva già collaborato a Vogue US.

Presente al leggendario Black and White Ball organizzato da Truman Capote nel 1966, la Crespi si classificò al terzo posto tra le meglio vestite secondo il New York Dress Institute, dopo la duchessa di Windsor e davanti alla Regina Elisabetta II e ad Audrey Hepburn. Ricordata per la sua dolcezza e per le sue incantevoli mise bon ton, fu inclusa nella prestigiosa International Best Dressed List, lodata per il suo stile dall’eleganza naturale priva di ostentazione o stravaganza. PR ante litteram per diversi designer, la contessa Crespi coinvolse anche il marito nei suoi lavori per Vogue Messico e Vogue Brasile.

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In copertina su Sports Illustrated 26 agosto 1957
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Consuelo Crespi fu influencer e trendsetter ante litteram

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Un ritratto della contessa. I coniugi Crespi lasciarono definitivamente Roma nel 1975


Ma gli anni Settanta videro un declino inesorabile di quell’eleganza e di quel bel mondo che aveva invece caratterizzato i decenni precedenti e un’icona come lei, sensibile alla bellezza, soffrì molto per il cambiamento di vita. “In Italia vogliono essere ricchi ma sembrare poveri”, si lamentava Consuelo, fino alla decisione, nel 1975, di lasciare definitamente Roma per trasferirsi col marito a New York, dove ricevettero i Reagan a casa ai tempi della Casa Bianca, evento pressoché unico nella storia della Presidenza americana.

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La fashion editor fu scopritrice di talenti come Valentino Garavani, Fabiani, Galitzine

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La contessa con la figlia Pilar Crespi, Costa Smeralda 1968


Amatissima per la sua eleganza e stimata sul lavoro, Consuelo è la regina del jet set internazionale. Nominata Cavaliere del Lavoro negli anni Settanta, per il suo prezioso contributo nell’affermazione della moda italiana nel mondo, la contessa si spense nel 2010 nella sua Manhattan, all’età di 82 anni. Il suo amore per il bello è stato ereditato dalla figlia Pilar, che ha lavorato a lungo come editor di Vogue, mentre la nipote Chloé è fotografa di moda. Buon sangue non mente, ça va sans dire.