Veruschka, la prima supermodella della storia

Nessuna come lei: un corpo statuario, un volto entrato nella storia ed impresso indelebilmente nella moda del Novecento. Veruschka è considerata la prima supermodella della storia: la nobildonna prussiana ha incarnato infatti una vera e propria rivoluzione, modificando gli standard di bellezza dell’epoca ed aprendo la strada ai canoni attualmente vigenti nel fashion biz.

Celebre top model e attrice, simbolo della moda a cavallo tra anni Sessanta e Settanta e vero e proprio mito vivente: lunghissimi capelli biondi, volto perfetto ed altezza svettante (le fonti dichiarano 184 cm), Veruschka era molto diversa dall’ideale femminile che aveva caratterizzato la moda fino ai primi anni Sessanta. Le donne erano minute e formose. Nulla a che vedere con lei, che faceva fatica anche a trovare le scarpe della sua misura (calzava un 44). Camaleontica, poliedrica, espressiva come poche, Veruschka von Lendorff è entrata nel mito ed ancora oggi la sua stella risplende nella storia della moda mondiale.

All’anagrafe Vera Gottliebe Anna von Lehndorff-Steinort, la modella è nata a Königsberg, nella regione dei laghi Masuri, il 14 maggio 1939. Nelle sue vene scorre sangue blu: la bellissima Veruschka è infatti la secondogenita del conte Heinrich von Lehndorff-Steinort e della contessa Gottliebe von Kalnein, esponenti della nobiltà prussiana. Il padre, ufficiale della riserva, divenne uno degli uomini chiave della resistenza tedesca antinazista. Vera è solo una bambina quando quest’ultimo, accusato di aver fatto parte del complotto del 20 luglio, viene impiccato: è il 4 settembre 1944, e la piccola ha appena 6 anni. La madre, incinta della quarta figlia al momento dell’attentato, viene internata in un campo di lavoro. Vera e le sorelle vengono portate a Bad Sachsa insieme con i figli degli altri congiurati. L’infanzia della futura modella è ricca di traumi e zone grigie: costretta a vagabondare e a chiedere ospitalità a lontani parenti, la giovane nasconde dentro di sé una grande malinconia, la stessa che la porterà, anni dopo, anche a tentare il suicidio.

veruschka-195940_0x440
Veruschka è nata a Königsberg il 14 maggio 1939


Uno scatto di Richard Avedon, 1967
Uno scatto di Richard Avedon, 1967


Veruschka in Yves Saint Laurent, 1968
Veruschka in Yves Saint Laurent, 1968


Veruschka in Arizona, giugno 1968, foto di Franco Rubartelli
Veruschka in Arizona, giugno 1968, foto di Franco Rubartelli


Veruschka in uno scatto di Johnny Moncada, anni Sessanta
Veruschka in uno scatto di Johnny Moncada, anni Sessanta


Veruschka in Gucci, Roma, 1971, foto di Herny Clarke. Photo by © Condé Nast Archive/Corbis
Veruschka in Gucci, Roma, 1971, foto di Herny Clarke. Photo by © Condé Nast Archive/Corbis


Veruschka nel 1969, foto di Franco Rubartelli
Veruschka nel 1969, foto di Franco Rubartelli


La bellissima Veruschka studiò ad Amburgo e Firenze. Nel 1959 fu fermata per le strade del capoluogo toscano da un giovane fotografo, colpito dall’altezza vertiginosa della ragazza: si trattava di Ugo Mulas. A lui si deve l’inizio di una carriera unica nel panorama della moda. Tante volte la bionda Veruschka tornerà in Italia: dal suo legame sentimentale, sconfinato in proficuo sodalizio artistico con il fotografo Franco Rubartelli, autore degli scatti più belli della modella, fino a Michelangelo Antonioni, che la diresse in Blow up, manifesto della moda negli Swinging Sixties.

Intanto, dopo essere stata scoperta da Mulas, la teutonica modella si trasferisce a Parigi e a New York, nel 1961: qui però non riscuote il successo sperato. Il mondo della moda non sembra pronto a vedere le potenzialità di quella bellezza mastodontica, che incute quasi timore. Tornata a Monaco di Baviera, Vera tenta di trasformare la propria identità e inizia a fingersi russa. Inoltre in questo periodo cambia il proprio nome in Veruschka. Finalmente la moda sembra improvvisamente accorgersi di lei: Veruschka riesce ad affermarsi, collezionando cover e posando per i più grandi, da Richard Avedon a Bert Stern, da Horst P. Horst ad Henry Clarke, da Gian Paolo Barbieri fino a Peter Beard. Ma è in buona parte grazie agli splendidi scatti realizzati dal suo compagno, il fotografo Franco Rubartelli, che la top model entra nel mito. Lui le dedica anche un lungometraggio, intitolato Veruschka, poesia di una donna (1971).



SFOGLIA LA GALLERY:




Indimenticabili i paesaggi esotici che la vedono come una dea pagana, sacerdotessa di un nuovo mondo e di una nuova bellezza: Veruschka è un camaleonte, sempre pronta a modificare la propria immagine per entrare nel ruolo. Arriva anche a svenire per il caldo, nel deserto dell’Arizona, durante la celebre sessione fotografica fortemente voluta da Diana Vreeland, con Rubartelli dietro l’obiettivo fotografico e Giorgio di Sant’Angelo nei panni di uno stylist ante litteram. Come una dea, novella Venere, la vediamo uscire dalle acque anche negli scatti iconici, rimasti a lungo inediti, realizzati da Johnny Moncada. La Vreeland la etichetta come una “diva dallo sguardo freddo e dall’irraggiungibile volto”; gli scatti che vedono protagonista Veruschka sono diversi dalle foto che da decenni comparivano sulle riviste patinate. Per la prima volta nella storia della fotografia, si trattava di scatti d’azione, che ritraevano le modelle in movimento. Insieme a volti come quello di Twiggy, Marisa Berenson, Penelope Tree e Jean Shrimpton, Veruschka diverrà presenza fissa su Vogue e sarà la modella più pagata al mondo.

Veruschka in una foto di Franco Rubartelli, maggio 1970 (Photo by Keystone Features/Getty Images)
Veruschka in una foto di Franco Rubartelli, maggio 1970 (Photo by Keystone Features/Getty Images)


Veruschka in Honduras, 1968. Foto © Condé Nast Archive/Corbis
Veruschka in Honduras, 1968. Foto © Condé Nast Archive/Corbis


Veruschka in "Blow up" (1966)
Veruschka in “Blow up” (1966)


Veruschka in uno scatto di Richard Avedon per Vogue, ottobre 1966
Veruschka in uno scatto di Richard Avedon per Vogue, ottobre 1966


Veruschka in Yves Saint Laurent, Vogue UK 1965, foto di Irving Penn
Veruschka in Yves Saint Laurent, Vogue UK 1965, foto di Irving Penn


Veruschka in Arizona, styling di Giorgio di Sant'Angelo, 1968. Foto © Condé Nast Archive/Corbis
Veruschka in Arizona, styling di Giorgio di Sant’Angelo, 1968. Foto © Condé Nast Archive/Corbis


Veruschka e Hiram Keller vicino una Maserati gialla, foto Franco Rubartelli, 1969
Veruschka e Hiram Keller vicino una Maserati gialla, foto Franco Rubartelli, 1969


Nel 1966 arriva la svolta cinematografica con Blow up di Michelangelo Antonioni e Salomè di Carmelo Bene. Poche attrici possono vantare tale fama con una sola battuta prevista sul copione: la splendida Veruschka ci riesce e la sua danza conturbante davanti alla macchina da presa, nel tentativo di sedurre l’obiettivo fotografico, sdogana la pellicola di Antonioni come un vero manifesto fashion, in cui moda e costume si intersecano mirabilmente, sullo sfondo di una Swinging London psichedelica ed alienante.

Intanto la modella sviluppa una passione per il body painting: e saranno forse stati gli scatti che la vedono protagonista, camaleontica come poche, a farle amare quest’arte, a cui la modella si dedicherà assiduamente, in un rinnovato amore universale che le fa abbracciare una nuova visione del mondo, in cui il connubio con la natura diviene quasi primordiale.

Veruschka, foto di Horst P. Horst, 1966
Veruschka, foto di Horst P. Horst, 1966


Veruschka, foto di Irving Penn
Veruschka, foto di Irving Penn


Veruschka, foto di Franco Rubartelli, Vogue, aprile 1969
Veruschka, foto di Franco Rubartelli, Vogue, aprile 1969


Veruschka in Giorgio di Sant’Angelo, foto di Franco Rubartelli, Deserto Dipinto (Arizona), Vogue, luglio 1968
Veruschka in Giorgio di Sant’Angelo, foto di Franco Rubartelli, Deserto Dipinto (Arizona), Vogue, luglio 1968


Veruschka posa per Genaro de Carvalho, foto di  Franco Rubartelli, 1968
Veruschka posa per Genaro de Carvalho, foto di Franco Rubartelli, 1968


veruschka13
Veruschka è una nobildonna prussiana, nata in una famiglia di antico lignaggio


Venette-Waste_veruschka_cofana
La modella è alta 1,84 m e calza il 44


Veruschka in Balmain, Vogue, gennaio 1968, foto di Franco Rubartelli
Veruschka in Balmain, Vogue, gennaio 1968, foto di Franco Rubartelli


Nel 1975 arriva l’addio alla moda per dedicarsi alla fotografia, alla pittura e al cinema. Un piccolo cameo in Agente 007-Casino Royale, nel 1006, la riporta sul grande schermo. Ancora bellissima, Veruschka si è più volte apertamente schierata contro la chirurgia estetica. In una biografia lunga ben 330 pagine, scritta a quattro mani con Jorn Jacob Rohwer ed edita da Barbès Editore, la modella rivela molti aneddoti della sua brillante esistenza, costellata spesso da luci ed ombre, a partire da un’infanzia solitaria. Inoltre è stato anche realizzato un documentario che la vede protagonista, dal titolo Veruschka, una vita per la macchina fotografica, opera di Böhm e Morrissey.


Potrebbe interessarti anche:
Giorgio di Sant’Angelo, genio della moda

Winter Fashion Trends 2016: il mood è Mod

Abitini a trapezio, stampe optical e pellicce maxi: il trend per l’Autunno/Inverno 2015-2016 ci riporta direttamente negli anni Sessanta. I favolosi Swinging Sixties rivivono in una moda fresca, ironica e colorata.

Icone come Veruschka, Twiggy e Jean Shrimpton e nomi come Pierre Cardin e Mary Quant sembrano riprendere vita nelle passerelle della stagione A/I 2015-2016.

Geometrie optical da Emilio Pucci, in cui tute di suggestione spaziale estremamente Sixties si uniscono a cromie black and white per capi di ricercata raffinatezza.

Il mood è Mod, come la più famosa sottocultura che ha caratterizzato il decennio dei Sessanta: siamo in Inghilterra e un gruppo di giovani appartenenti alla working class auspica l’inizio del Modernismo, vestendosi con capi sartoriali e sfidando il sistema a bordo di Vespe e Lambrette decorate con specchietti e monili. Forse l’unico moto di ribellione interamente basato sulla riscoperta di un concetto di eleganza evergreen, i Mods hanno segnato indelebilmente la moda anni Sessanta: dall’uso del parka al successo di brand come Fred Perry, la moda dei nostri giorni è un continuo omaggio -spesso inconsapevole- a questa subcultura mai dimenticata.

Declinato anche nel suo lato più audace, ispirato a nomi che hanno fatto la storia della moda, come Pierre Cardin e André Courrèges, il trend anni Sessanta propone anche delicati cappottini a trapezio, resi grintosi dalla pelle metalizzata e dai colori fluo, come visto in sfilata da Miu Miu.

6osveruschka
Veruschka indossa una tuta Valentino, foto di Franco Rubartelli per Vogue America, 1 aprile 1969, Roma, piazza San Giorgio al Velabro
Emilio Pucci
Emilio Pucci
mod sixties optical culture_thumb[3]
Le stampe optical furono uno dei maggiori trend degli anni Sessanta
modsweb_2510956b
I Mods, principale subcultura anni Sessanta
MODDDD
Giochi optical e cromie audaci per un modello di shift dress, tipicamente anni Sessanta
60s
Abitini a trapezio, un cult dei Sixties

Miu Miu
Miu Miu


Largo a proporzioni oversize, con pellicce colorate o in bicromia bianco e nero, come proposto da Cristiano Burani ed ancora Pucci, in una collezione-tributo agli anni Sessanta. Elogio della minigonna, citazioni Sixties come nel casco stile equitazione.

Un mood irresistibile per un inverno da vivere all’insegna dello stile di quegli anni: via libera a materiali high-tech che ricordano le suggestioni spaziali proposte in quel periodo ancora da Courrèges e Cardin ma anche da Paco Rabanne.

Materiali come la pelle metalizzata o la vernice si impongono per questa stagione, come anche le righe e le stampe optical e gli ankle boots alternati ai cuissardes, veri must-have A/I.

Cristiano Burani
Cristiano Burani
Jean Shrimpton forografata da David Bailey, 1964
Jean Shrimpton forografata da David Bailey, 1964
Twiggy
Twiggy
Ancora Pucci
Emilio Pucci

Audrey Hepburn in Courrèges, Parigi, 1965, foto di Douglas Kirkland
Audrey Hepburn in Courrèges, Parigi, 1965, foto di Douglas Kirkland


Come un cubo di Rubik, la collezione Au jour le jour interpreta mirabilmente la spensieratezza di quell’epoca. Suggestioni tratte dal Cubismo si mixano al minimalismo proposto invece da Carven, in una collezione che deve molto all’Inghilterra dei Sixties. La sensualità di audaci minigonne viene stemperata dal rigore dei capispalla e dei dolcevita. Massimo Rebecchi propone numerosi shift dresses, i mitici abitini a trapezio, simbolo dei Sessanta, in tweed di lana e decorazioni su un gioco di cromie ton sur ton.

60
Au jour le jour
Carven
Carven
Massimo Rebecchi
Massimo Rebecchi
Pierre Cardin
Pierre Cardin
Raquel Welch in Pierre Cardin
Raquel Welch in Pierre Cardin
Le suggestioni spaziali di Pierre Cardin
Le suggestioni spaziali di Pierre Cardin

Pierre Cardin, collezione del 1967, foto di Giancarlo Botti
Pierre Cardin, collezione del 1967, foto di Giancarlo Botti


Sfacciato l’omaggio ai Sixties visto da Moncler Gamme Rouge: ritorna l’abito a trapezio, unito ad elementi da space oddity, come le cappe che ricordano il mood spaziale proposto da Pierre Cardin nella metà degli anni Sessanta. Tweed di lana per contrastare il rigore invernale ma grande ironia ed eleganza d’altri tempi per una collezione da dieci e lode.

Grintosa la donna proposta da Louis Vuitton, in minigonna e giacca con inserti in montone e decorazioni optical: una vera Modette. Più dolci le note proposte da Prada, che rivisita i Sixties inserendo uno stile più bon ton, tra fiocchi e decorazioni gioiello. L’abitino a trapezio, declinato in colori fluo, diviene quasi un abito da sera, e i lunghissimi guanti completano il look.

Ancora Mod style visto da Giambattista Valli, in una collezione che rende omaggio anche ai Settanta. Ma le pellicce profilate di decorazioni optical e le vivaci cromie dei co-ords ci riportano inequivocabilmente nel decennio precedente. Deliziosi i fur coat proposti da Philosophy by Lorenzo Serafini: una nuvola di azzurro baby per un tocco di romanticismo. Ancora vintage le ispirazioni alla base di Tommy Hilfiger, con cappe a trapezio e capispalla importanti.

Aggressiva la donna di Christian Dior, una valchiria in cuissardes metallizzati e cappottini caratterizzati da audaci giochi optical. DAKS gioca sui colori per un mood che resta sostanzialmente invariato: un ritorno ai favolosi anni Sessanta.

Moncler Gamme Rouge
Moncler Gamme Rouge
Louis Vuitton
Louis Vuitton
Philosophy by Lorenzo Serafini
Philosophy by Lorenzo Serafini
Prada
Prada
Giambattista Valli
Giambattista Valli
Un'latra uscita della sfilata di Giambattista Valli
Un’latra uscita della sfilata di Giambattista Valli
Tommy Hilfiger
Tommy Hilfiger
DAKS
DAKS
Christian Dior
Christian Dior

André Courrèges, Ensemble, foto di Peter Knapp, 1965
André Courrèges, Ensemble, foto di Peter Knapp, 1965



Potrebbe interessarti anche:
Winter fashion trends 2016: ritorno al Puritanesimo

Gli anni Sessanta secondo Henry Clarke

Uno dei maestri della fotografia del Novecento, precursore dell’emancipazione della donna e autore di scatti passati alla storia: tutto questo è stato Henry Clarke, uno tra i fotografi più prolifici e longevi, le cui foto sono state testimoni di quattro decenni, dagli anni Cinquanta fino ai primi anni Ottanta.

Tanti i generi sperimentati dal genio di Clarke: miriadi di scatti di moda e ritratti di personaggi celebri, il fotografo americano è stato arbiter elegantiae della moda italiana, francese e americana.

Nato nel 1918 in California, a Los Angeles, da immigrati irlandesi, Clarke cresce in un periodo attraversato da numerose correnti culturali. L’esperienza della guerra fa da spartiacque tra il vecchio e il nuovo. Il giovane Henry si avvicina alla fotografia di moda nel 1948, dapprima a New York e poi trasferendosi a Parigi.

image
Marina Schiano, 1968


image
Ancora la Schiano, 1968


image
Editha Dussler in Paulina Trige, 1966


L’immaginario collettivo di quegli anni era dominato dai due fotografi di Vogue Cecil Beaton e Horst P. Horst, entrambi fautori di un’estetica quantomai radicata nella tradizione. Ma si avvertiva sempre più l’esigenza di un cambio di prospettiva, che auspicava un ritorno ad una fotografia più radicata nella realtà. Lo stesso Clarke studiò le foto di Beaton, Horst ed Irving Penn, ma familiarizzò con una macchina fotografica più piccola, la Rolleiflex, a suo avviso capace di portare l’auspicato cambiamento di prospettiva.

image
Lauren Hutton in un caftano dorato Thea Porter, Vogue UK, dicembre 1969


image
Simone d’Aillencourt, 1966


image
Wilhelmina Cooper davanti alla dea Maishasur Mardini in un abito Madame Grès, Jodhour, India, dicembre 1964


image
La modella Samantha Jones in un caftano dalle stampe optical Livio de Simone, India, giugno 1967


image
La modella Samantha Jones davanti al tempio dei guerrieri Chichén Itzá, Messico, 1968


image
Modelle davanti le rovine di Xochicalco, fuori da Guernavaca, in abiti che ricordano i pepli greci, 1968


image
Samantha Jones in Emilio Pucci, 1967


Clarke fu allievo del vero rivoluzionario della fotografia di quegli anni, Alexey Brodovitch, presso la New School for Social Research. Fu qui che Clarke imparò forse la lezione più importante: come unire la fantasia che serve alla moda con l’energia tipica del reportage. Nel Dopoguerra imperversava uno stile ancora classico e fortemente radicato nella tradizione. Erano gli anni del New Look di Christian Dior, ma si avvertiva sempre più l’esigenza di dare voce ad un nuovo tipo di donna. Life Magazine aveva tristemente testimoniato il conflitto belli o con drammatici reportage fotografici dalle zone di guerra, ma Vogue continuava a commissionare lavori brillanti a Cecil Beaton, relegando la moda in un mondo che appariva talvolta ovattato e lontano dalla realtà.

image
Fotografie come opere d’arte


image
Henry Clarke viaggiò in moltissime parti del mondo per il suo lavoro, come l’Iran


image
I bellissimi paesaggi dell’Iran ritratti da Henry Clarke in foto suggestive


image
Scatti unici a metà tra moda e reportage


image
Marisa Berenson spicca in una foto scattata in Iran


image
Editha Dussler ritratta come una dea tra le rovine romane di Palmira, Siria


image
Isfahan, Iran, Vogue dicembre 1969


image
Marisa Berenson in un caftano dorato Tina Leser, 1967


image
Ancora la Berenson in caftano Halston, 1969


image
Le meravigliose stampe Emilio Pucci, 1966


image
Editha Dussler, Vogue giugno 1966


image
Veruschka, Vogue 1 Dicembre 1966


image
Editha Dussler su una spiaggia deserta, Vogue 1 Dicembre 1966


image
Sempre la Dussler, Vogue 1 dicembre 1966


image
Veruschka in tunica Pauline Trigére, Marocco 1964


La suggestiva location di Petra, 1965
La suggestiva location di Petra, 1965


image
Isa Stoppi per Vogue UK 1966


Una prima rivoluzione iniziò con Irving Penn e  Richard Avedon, che portarono il reportage all’interno della fotografia di moda. Clarke iniziò a scattare foto per stilisti celebri, tra cui Dior, Fath, Balenciaga e Chanel. Le sue foto degli anni Cinquanta sono state spesso paragonate al lavoro di Irving Penn per quanto concerne il concetto di eleganza femminile; ma in Clarke manca quel particolare rigore formale e tecnico, come sostenne Nancy Hall-Duncan. In quel periodo egli stesso si fece promotore del risveglio culturale e stilistico dell’America e dell’Europa, coi suoi celebri scatti per riviste del calibro di Femina, Harper’s Bazaar e Vogue, e coi suoi ritratti di personaggi celebri, come Anna Magnani, Coco Chanel, Truman Capote, Cary Grant, Monica Vitti e Sophia Loren.

image
Veruschka in Jean Louis, 1965


image
Veruschka posa per Vogue, 2 aprile 1972


image
Barbara Carrera, foto del 1971


image
Castello San Nicola L’Arena, vicino Palermo, Vogue 1 dicembre 1967


image
La modella Barbara Bach fotografata a Villa Trabia, Palermo, in un abito Leslie Fay, Vogue 1 dicembre 1967


image
Veruschka in Valentino, 1 novembre 1966


Dalla metà degli anni Cinquanta firmò per David Libermann un contratto di esclusiva per le edizioni francese, americana e britannica di Vogue e iniziò a fare numerosi viaggi che lo portarono in giro per il mondo: Messico, Brasile, Spagna, Portogallo, Turchia, India, Iran, Siria ed Italia.
Ma è il decennio successivo che lo consacra al mito: grazie a Diana Vreeland, editor di Vogue, in questi anni Clarke ha ritratto magistralmente la donna moderna. Questa è la parte forse più interessante e più sottovalutata del suo lavoro, ossia l’essere riuscito, per primo, a ritrarre e testimoniare la portata storica della rivoluzione dei costumi sessuali che stava per avere luogo in quegli stessi anni.

image
Veruschka in Emilio Pucci in un editoriale voluto da Diana Vreeland, ambientato sulle rive del Tanganica, Tanzania, Vogue 1 gennaio 1965


image
Veruschka in una villa a sud di Roma, con un caftano giallo e una pashmina Ken Scott, novembre 1965


image
Istanbul, Turchia, Vogue dicembre 1966


image
Cherry Nelms in top e gonna Brigance fotografata in Portogallo, Vogue giugno 1952


image
Ancora Sherry “Cherry” Nelms a Olhao, Portogallo, con un bikini Calypso, Vogue giugno 1952


image
Cherry Nelms a Palermo, gennaio 1955


image
Abito in seta Bonnie Cashin, 1952


image
Moyra Swan in total look Anne Klein e cappello Cerruti, Spagna, 1969


image
Abito gipsy di Donald Brooks, Spagna 1969


image
Editha Dussler a Göreme, Turchia, abito di Chester Weinberg, dicembre 1966


image
Viviane, 1974


image
Altro scatto ambientato in Cappadocia, Göreme, Vogue 1 dicembre 1966


Le foto di Clarke degli anni Sessanta hanno per protagonista una donna moderna, che viaggia in tutto il mondo, indipendente, autosufficiente, sicura di sé. Scatti a colori ricchi di suggestioni etniche, con location mozzafiato. La sua donna è una dea indiana vestita di sari e caftani preziosi, una sacerdotessa che danza per raccogliere il favore degli dei. Cosmopolitismo ante litteram nelle sue foto che ritraggono donne gipsy, vestite secondo i costumi e le tradizioni dei singoli Paesi. Styling elaborati per nuove dee del sole, o zingare extra lusso che girano il mondo cavalcando un mulo, o ancora donne dall’eleganza moderna e rivoluzionaria, ritratte in costumi da bagno Emilio Pucci. Amante del barocco siciliano, celebri sono i suoi scatti ambientati a Palermo, Monreale e Bagheria. Su consiglio della contessa Consuelo Crespi, editor di Vogue US, scattò spesso in antichi palazzi della Capitale, come in quello di Cy Twombly. Suggestive le sue foto all’Eur, ad Ostia, ma anche in Turchia, Iran, tra le rovine di Argira, in Messico tra i templi maya ed aztechi e in Portogallo. Foto come reportage etnografici, con una partecipazione talvolta attiva della popolazione locale, come nello scatto con Isa Stoppi tra gli indios. Capolavori di una modernità impensabile per l’epoca.

L’arte azteca e amerindia, suggestioni indios e rovine di templi induisti diventano protagoniste e si rivelano le location più idonee per dar vita ad insuperabili capolavori di stile. In questo periodo Clarke ritrae modelle del calibro di Veruschka, Marisa Berenson, Benedetta Barzini, Marina Schiano, Isa Stoppi, Simone d’Aillencourt. Un cambio generazionale notevole, per un fotografo che aveva iniziato invece negli anni Cinquanta, ritraendo una femminilità assolutamente diversa. Proporzioni, set, outfits e location: tutto è in mirabile equilibrio nei suoi scatti, vere e proprie opere d’arte.

image
La modella Isa Stoppi


image
Marisa Berenson in Sardegna indossa un costume Pucci, 1967


image
Un altro scatto con la Berenson nelle coste della Sardegna, 1967


image
Benedetta Barzini in Emilio Pucci, 1968


image
Veruschka in Givenchy, 1966


image
Marisa Berenson e Benedetta Barzini nella casa romana di Cy Twombly in abiti Valentino, 1968


Nonostante i numerosissimi viaggi, Clarke restò per tutta la vita residente a Parigi, e morì nel sud della Francia nel 1996. Una retrospettiva sul suo lavoro fu allestita al Musée Galliera di Parigi tra l’ottobre 2002 e il marzo del 2003.

Consuelo Crespi, il glamour italiano nel mondo

La contessa Consuelo Crespi è stata una delle personalità che più hanno influenzato la moda italiana ed internazionale negli anni Cinquanta e Sessanta.

Viso dolce incorniciato da riccioli neri, uno stile bon ton e raffinato, Consuelo Pauline O’Brien O’Connor Crespi nacque a New York il 31 maggio 1928. Cresciuta in Nova Scotia, nel 1945 la graziosa Consuelo posa come modella per Look Magazine.

Due anni più tardi segue il suo debutto in società e nello stesso anno, avviene l’incontro con il conte Rodolfo Crespi detto Rudi. Il matrimonio tra i due fu celebrato l’anno seguente, nel 1948, e dall’unione nacquero due figli, Brando e Pilar Crespi.

image
La contessa Consuelo Crespi fu fashion editor di Vogue US e Vogue Italia
image
Consuelo Crespi a Manhattan, 1961

 

Consuelo fu fashion editor di Vogue US e braccio destro della mitica Diana Vreeland. Il suo contributo alla diffusione della moda italiana nel mondo fu enorme.

image
Rudi e Consuelo Crespi

image
Consuelo Crespi in Valentino, 1960


Protagonista del jet set internazionale, mirabile trendsetter e influencer ante litteram, secondo Roberto Capucci Consuelo Crespi fu l’ambasciatrice della moda italiana nel mondo per tutti gli anni Sessanta e Settanta. Dopo aver scoperto Valentino Garavani, i cui abiti indossati dalla sorella gemella di Consuelo affascinarono Jackie Kennedy, notò per le vie della Capitale la bellezza di Benedetta Barzini, mentre a Venezia scoprì Veruschka.

image
La Crespi fu modella e braccio destro di Diana Vreeland a Vogue

image
La contessa in Valentino per Vogue Italia 1963, foto di Leombruno-Bodi


Spinse Irene Galitzine a debuttare alle sfilate di Palazzo Pitti, nel 1959, e sdoganò negli States il marchio Fabiani, indossando una sua gonna nella Grande Mela di ritorno da uno dei suoi viaggi a Roma.

Un riuscito mix di bellezza e glamour, Consuelo Crespi ottenne la cover di Sports Illustrated nel 1956 be fu redattrice di Vogue Italia dal 1964, scelta personalmente da Diana Vreeland, con cui aveva già collaborato a Vogue US.

Presente al leggendario Black and White Ball organizzato da Truman Capote nel 1966, la Crespi si classificò al terzo posto tra le meglio vestite secondo il New York Dress Institute, dopo la duchessa di Windsor e davanti alla Regina Elisabetta II e ad Audrey Hepburn. Ricordata per la sua dolcezza e per le sue incantevoli mise bon ton, fu inclusa nella prestigiosa International Best Dressed List, lodata per il suo stile dall’eleganza naturale priva di ostentazione o stravaganza. PR ante litteram per diversi designer, la contessa Crespi coinvolse anche il marito nei suoi lavori per Vogue Messico e Vogue Brasile.

image
In copertina su Sports Illustrated 26 agosto 1957
image
Consuelo Crespi fu influencer e trendsetter ante litteram

image
Un ritratto della contessa. I coniugi Crespi lasciarono definitivamente Roma nel 1975


Ma gli anni Settanta videro un declino inesorabile di quell’eleganza e di quel bel mondo che aveva invece caratterizzato i decenni precedenti e un’icona come lei, sensibile alla bellezza, soffrì molto per il cambiamento di vita. “In Italia vogliono essere ricchi ma sembrare poveri”, si lamentava Consuelo, fino alla decisione, nel 1975, di lasciare definitamente Roma per trasferirsi col marito a New York, dove ricevettero i Reagan a casa ai tempi della Casa Bianca, evento pressoché unico nella storia della Presidenza americana.

image
La fashion editor fu scopritrice di talenti come Valentino Garavani, Fabiani, Galitzine

image
La contessa con la figlia Pilar Crespi, Costa Smeralda 1968


Amatissima per la sua eleganza e stimata sul lavoro, Consuelo è la regina del jet set internazionale. Nominata Cavaliere del Lavoro negli anni Settanta, per il suo prezioso contributo nell’affermazione della moda italiana nel mondo, la contessa si spense nel 2010 nella sua Manhattan, all’età di 82 anni. Il suo amore per il bello è stato ereditato dalla figlia Pilar, che ha lavorato a lungo come editor di Vogue, mentre la nipote Chloé è fotografa di moda. Buon sangue non mente, ça va sans dire.

Il caftano: must have dell’estate

Suggestioni etniche e charme evergreen contraddistinguono un capo principe del guardaroba estivo (e non solo): il caftano.

Dietro a questa veste c’è una storia antichissima che ha origine nella Mesopotamia intorno al 600 a.C. Da qui il caftano si sarebbe poi diffuso in tutta la Persia.

Ampiamente utilizzato sotto l’Impero ottomano, divenne la veste classica dei sultani.

Presente in diverse culture e tramandato fino ai nostri giorni, il caftano è una lunga tunica, da indossare singolarmente o sopra ad altri capi. Di lunghezza variabile, la versione classica arriva fino ai piedi, ed è caratterizzata da una profonda scollatura e dalle maniche svasate che si aprono a pipistrello.

image
Vogue UK, dicembre 1966
image
Donna Mitchell in una foto di Helmut Newton
image
Il caftano nasce in Persia nel 600 a. C.
image
Caftano Valentino, foto di Henry Clark, Sicilia, 1967

image
Foto di Henry Clarke, 1966


Per tutto l’Ottocento venne considerato un abito di corte, considerata anche l’opulenza di certi modelli, impreziositi da ricami o gioielli, che lo rendono ancora oggi un capo sfarzoso. I colori predominanti con cui veniva confezionata questa veste così particolare erano il rosso, il bordeaux, l’ocra e il viola, colori caldi e dal gusto mediterraneo. Di superba raffinatezza sono le stampe che vengono solitamente utilizzate nella creazione del capo: si tratta di stampe paisley, chiaro retaggio anni Settanta, o stampe floreali o psichedeliche, omaggio dei Sixties.

Inoltre fin dagli albori grande è la varietà dei tessuti usati. Stoffe finemente lavorate, come tessuti damascati, broccato di seta arricchito di inserti preziosi o ancora chiffon di seta, per un effetto fluido e svolazzante. Ma non solo: non di rado oltre al semplice cotone si adoperano cachemire o lana. Un capo fresco e leggero che dona libertà unendo in modo magistrale comfort e stile.

image
Il caftano era usato fin dall’Ottocento
image
Marina Schiano in uno scatto di Gian Paolo Barbieri
image
Penelope Tree, foto di David Bailey, 1969
image
Suggestioni orientali per un capo must have del guardaroba femminile
image
Isa Stoppi per Henry Clarke, Vogue UK 1966
image
Veruschka in un caftano dalle stampe optical, foto di Henry Clarke
image
Caftani Valentino, foto di Barry Lategan, anni Settanta
image
Moyra Swan indossa un caftano Thea Porter, Turchia, Vogue UK 1971, foto di Barry Lategan
image
Talitha Getty, icona hippie chic, col marito Paul, Marrakech, 1969
image
Marisa Berenson fotografata da Henry Clarke, Vogue UK Novembre 1967
image
Jerry Hall, foto di Steve Horn, Vogue Patterns Maggio/Giugno 1975
image
Capo sdoganato da Diana Vreeland, il caftano dona un’allure particolare. Foto del 1969
image
Vogue Italia 1971

image
Vogue settembre 1973, foto di Barry Lategan


È solo a partire dagli anni Cinquanta che il caftano ha fatto la sua comparsa sulle riviste di moda e sulle passerelle. E fu ancora una volta Diana Vreeland, incontrastata regina della moda di quegli anni, la prima a intuirne la sofisticata eleganza. Dopo averlo notato durante un viaggio in Marocco, fu lei a sdoganarlo in Europa e in America, attraverso le pagine di Vogue.

Simbolo del mood boho-chic che ha caratterizzato la seconda metà degli anni Sessanta ed emblema del decennio successivo, questa mise, così antica e pregiata, conferisce un appeal particolare ad ogni donna che lo indossi. La cultura hippie ma anche l’intellighenzia dell’epoca, furono caratterizzate da una massiccia riscoperta dell’Oriente, e fu allora che l’uso di lunghe tuniche divenne un must have del guardaroba, maschile e femminile.

image
Caftano e turbante dorati, Agosto 1969
image
Doris Duke in un caftano damascato
image
Total white per un outfit che profuma d’Oriente

image
Barry Lategan, Vogue Italia ottobre 1973


Numerosissimi furono i designer che si cimentarono con la creazione di caftani, fin dalla metà degli anni Sessanta. Valentino Garavani fu uno dei primi a confezionare splendidi modelli dalle suggestioni optical, in perfetto stile Swinging Sixties; poi fu la volta di Emilio Pucci, che creò dei piccoli capolavori dalle stampe variopinte; e ancora Missoni, Yves Saint Laurent, Lanvin, Ossie Clark, Zandra Rhodes, Thea Porter, Biba e, nei primi anni Settanta, Halston. Oggi il caftano rappresenta un pezzo irrinunciabile delle collezioni di Roberto Cavalli, Issa London e di tanti altri nomi del panorama della moda internazionale.

Da usare per andare in spiaggia, con sandali rasoterra o allacciati alla schiava, o con tacchi o zeppe svettanti per la sera, vincente è l’uso di gioielli etnici, anche importanti. Fantastica è l’unione con il turbante, altro capo dalle seducenti atmosfere etniche, valida alternativa alle acconciature dal mood arabeggiante, con chignon e trecce.

image
Caftano con pantaloni, Biba
image
Lee Radziwill nel suo appartamento londinese, in stile ottomano
image
Fantasie paisley, floreali o optical per il caftano. Foto di Barry Lategan

image
Simone d’Aillencourt posa per Henry Clarke in Emilio Pucci, Udaipur, India, 1967


Tantissime le celebrities che hanno adorato il caftano: da Liz Taylor a Jackie Kennedy, da Joan Baez a Mia Farrow. Talitha Getty, icona hippie chic, ne fece l’emblema del suo stile: celebri sono le sue foto a Marrakech nel 1960, in compagnia del marito Paul, anch’egli in total look boho-chic. Altrettanto suggestive sono le foto che ritraggono la socialite Lee Radziwill nella sua casa londinese arredata in perfetto stile ottomano: nulla è lasciato al caso e il caftano che indossa riprende le suggestive decorazioni delle pareti. Tutto il jet set internazionale di quegli anni si convertì al caftano, dalla designer Diane von Furstenberg all’attrice Jaqueline Bisset, da Marella Agnelli e Donna Allegra Caracciolo di Castagneto: celebri le foto scattate a quest’ultima da Henry Clarke per Vogue del 1965. Bellissimi anche alcuni scatti di Barry Lategan per Valentino.

image
Liz Taylor amava indossare caftano coloratissimi. Qui in posa per Henry Clarke, 1967
Caftano da sera con inserti preziosi
Caftano da sera con inserti preziosi
image
Caftano Nat Kaplan, Vogue US Febbraio 1976
image
Jacqueline Bisset
image
Profumo d’Oriente
Donna Allegra Caracciolo di Castagneto fotografata da Henry Clarke per Vogue Novembre 1965
Donna Allegra Caracciolo di Castagneto fotografata da Henry Clarke per Vogue Novembre 1965

image
Gioielli etnici a completare il look


Oggi questo capo è tornato prepotentemente alla ribalta, grazie anche ad alcuni festival musicali di ispirazione bohémien, come il celebre Coachella Festival, dove si è riscontrato un boom di caftani e capi in stile etnico.

Inoltre il mercato del vintage regna incontrastato: su siti come Etsy, portale web dedicato alla compravendita di capi vintage autentici, si trovano pezzi di brand come Thea Porter, Ossie Clark, Zandra Rhodes e Biba che possono arrivare a costare fino a 5.000€. Ma in questo caso vengono in aiuto i brand low cost, come H&M, che ha proposto una collezione estiva con caftani variopinti, Topshop o ancora Asos, che propone capi ispirati ai Seventies o capi vintage, nella sezione Marketplace.

Il caftano è un evergreen irrinunciabile, anche in tempo di crisi.

image
Caftano corto Asos
Vestito caftano lungo stile anni Settanta, Asos
Vestito caftano lungo stile anni Settanta, Asos
image
Fantasia paisley per Asos
image
Doutzen Kroes indossa un bellissimo modello da spiaggia H&M
Decorazioni laminate da H&M
Decorazioni laminate da H&M
Suggestioni etno-chic da Topshop
Suggestioni etno-chic da Topshop

Giorgio di Sant’Angelo, genio della moda

Ci sono talenti unici, che nascono una sola volta ogni secolo. È certamente il caso di Giorgio di Sant’Angelo, genio della moda a trecentosessanta gradi, che ha fortemente influenzato gli anni Sessanta e Settanta.

Designer poliedrico e progressista, stylist ante litteram, visionario e ribelle, Giorgio aveva una sua personalissima visione della moda, che ancora oggi si pone come un unicum assoluto.

Sangue blu nelle sue vene, il conte Giorgio di Sant’Angelo (nome completo Jorge Alberto Imperatrice di Sant’Angelo e Ratti di Desio) nasce il 5 maggio 1933 a Firenze ma trascorre la sua infanzia nella tenuta del nonno, tra Argentina e Brasile, prima di fare ritorno in Italia all’età di 17 anni.

image
Suggestioni tratte dagli amerindi


image
Jean Shrimpton in Giorgio di Sant’Angelo


image
Ancora la Shrimpton versione gipsy


image
Klimt dress, collezione A/I 1969


Dopo aver conseguito la laurea in Architettura presso l’università di Firenze, studia Design industriale a Barcelona e Storia dell’arte alla Sorbona. Artista poliedrico e dall’instancabile creatività, vince una borsa di studio che gli permette di conoscere Picasso, con cui lavora per sei mesi.

image
L’influenza dei Nativi Americani


image
Ispirazioni tratte dagli indiani Navajo, Eskimo e dalle culture dell’America del Sud


image
Le Ande e il fascino della lana mohair, delle frange e dell’uncinetto


image
Anni Settanta, ispirazione indios


Successivamente il giovane si cimenta anche con l’animazione, sottoponendo un cartoon alla Walt Disney che, fortemente colpita dall’estro del ragazzo, gli offre uno stage. Giorgio parte quindi alla volta di Los Angeles, ma il suo inglese non eccellente lo riporta bruscamente alla realtà e lo costringe ad abbandonare l’esperienza dopo appena 15 giorni. Dopo qualche tempo si trasferisce a New York: a questo periodo risalgono le prime esperienze lavorative, come artista tessile ed interior designer.

Inizia a creare, per puro hobby, gioielli in plastica e lucite, dalle forme geometriche, che impressionano fortemente la fashion editor Catherine Murray di Montezemolo e Diana Vreeland, che lo vuole subito su Vogue. La sagace mente della Vreeland, già scopritrice di molti talenti, fiuta immediatamente il genio che ha davanti e lo assume come stylist freelance. È da questa collaborazione che nacquero perle rimaste ancora insuperate nel panorama della moda mondiale.

image
Il celebre shoot “The Magnificent Mirage”, Veruschka in Giorgio di Sant’Angelo, foto di Franco Rubartelli, Deserto Dipinto (Arizona), Vogue, luglio 1968


image
Un altro scatto dallo stesso fashion shoot, voluto ed ideato dalla fashion editor Diana Vreeland


Nel 1966 Giorgio inizia a lavorare come designer, creando la sua prima linea di prêt-à-porter. Per la sua collezione attinge alle tradizioni culturali di diversi popoli, come quella dei nativi americani, per dar vita a capi dall’impatto fortemente scenografico. Suggestioni tratte dalle Ande, come si evince dalle stampe patchwork e dalla caratteristica lavorazione all’uncinetto. E ancora elementi rubati agli amerindi, come la lana mohair, le piume, le frange e i pellami tipici dei costumi dei nativi americani, stampe tratte dalla cultura azteca ed incas, il jersey, il mix di pattern e fiori ripresi dai costumi dei Navajo e degli Eskimo, l’opulenza di trecce e broccati di ispirazione gipsy, capolavoro indiscusso di styling.

image
Un outfit creato a mano dallo stilista


image
Giorgio di Sant’Angelo fu uno dei primi stylist al mondo


image
Suggestioni andine


Il suo contributo più grande nonché la sua rivoluzione fu bandire le cerniere lampo e progettare per la prima volta materiali stretch, che non costringessero il corpo femminile ma che vi si adattassero perfettamente. Designer pluripremiato, fu insignito del prestigioso Coty Award per ben due volte, la prima nel 1968 e la seconda nel 1970. Nel 1967 eliminò la “di” dal suo cognome e rinunciò al titolo nobiliare. Creò ben presto una linea più economica, denominata Sant’Angelo 4U2, seguita da un’altra più attenta alle tendenze del momento, la Marjer parts.

image
Ancora uno scatto tratto da Vogue, luglio 1968


image
Veruschka in Giorgio di Sant’Angelo, Deserto Dipinto (Arizona), luglio 1968


Le sue creazioni furono apprezzate da Bianca Jagger, Faye Dunaway, Isabella Rossellini, Cher, Diana Ross e Lena Horne. Posarono per lui modelle del calibro di Veruschka, Marina Schiano ed Elsa Peretti. Lo stilista, ricordando quei primi tempi, disse che all’epoca non avevano un soldo e che le ragazze posavano per lui la notte, dopo aver trascorso tutto il giorno a lavorare.

image
Veruschka in Giorgio di Sant’Angelo


image
Gli Indiani d’America nelle creazioni di Giorgio di Sant’Angelo


image
Veruschka in compagnia del designer


Veruschka in Giorgio di Sant’Angelo


image
Lo stilista con Elsa Peretti, foto di Ed Pfizenmaier


Celebre e ancora oggi insuperato esempio di perfezione stilistica, lo shooting del 1968 per Vogue, scattato nel deserto dell’Arizona con Veruschka come modella e con la fotografia di Franco Rubartelli, all’epoca legato sentimentalmente alla modella. Ideato da Diana Vreeland, fashion editor di Vogue, ambientato nella magnifica cornice del Deserto Dipinto, in Arizona, qui il genio di Giorgio vede la consacrazione ufficiale: la fashion editor alla fine concesse ben 8 pagine a quello shooting, in cui esplose la manualità di Giorgio, che dal nulla creò degli splendidi outfits. Lì dove chiunque avrebbe visto solo un mucchio di stoffe, lui vide dei vestiti. “Faceva caldo, terribilmente caldo”, ricorda Veruschka. Ad un certo punto, fasciata dentro un outfit che ricordava una specie di sacco a pelo, la modella perse i sensi.

image
Veruschka indossa una creazione di Giorgio di Sant’Angelo


image
Marisa Berenson, Styling di Giorgio di Sant’Angelo


image
Veruschka indossa una collana di Giorgio di Sant’Angelo, foto di Franco Rubartelli


Lo stilista, genio ribelle ed anticonformista, si spense il 29 agosto 1989 per un cancro ai polmoni, ad appena 56 anni, lasciando però un’eredità immensa, che influenzò designer come John Galliano, Anna Sui e Marc Jacobs. Ammirato da Bill Blass, da Donna Karan per il comfort offerto dai suoi capi, Giorgio amava definirsi “un artista prestato alla moda, un ingegnere del colore e della forma”.

image
Jill Haworth con bracciale ed orecchini Giorgio di Sant’Angelo, Vogue, foto di Bert Stern


image
Twiggy, decorazioni di Giorgio di Sant’Angelo


Genuinamente convinto che moda e arte fossero strettamente correlate, auspicava la nascita di uno studio in cui architetti e creatori di moda lavorassero fianco a fianco, sulla falsariga delle Bauhaus di Vienna di inizio Novecento. Un talento insuperabile che meriterebbe di essere ricordato più spesso dagli addetti ai lavori.

Diana Vreeland. La regina dello stile.

Nasceva oggi il personaggio più eclettico e rivoluzionario della moda. Unica, ironica come nessuna, visionaria, folle. Diana Dalziel poi Vreeland (cognome del marito) nasce a Parigi il 29 luglio del 1903. La madre, la socialite Emily Key Hoffman, vanta una parentela con George Washington e con Pauline de Rothschild.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, la famiglia si trasferisce a New York, dove la giovane Diana fa il suo debutto in società nel 1922, comparendo -quasi una premonizione del suo imminente futuro- su Vogue proprio per l’occasione.
Due anni più tardi, il primo marzo 1924, sposa il banchiere Thomas Reed Vreeland, da cui avrà due figli.


Diana


La coppia si trasferisce per un periodo a Londra. Qui Diana apre una boutique che annovera tra le clienti Wallis Simpson. Frequenti sono i viaggi di Diana a Parigi, dove conosce Coco Chanel, nel 1926. Nel 1935 il lavoro del marito li riporta nella Grande Mela.


Diana


L’anno successivo, il 1936, segna l’inizio del mito di Diana Vreeland. Notata per il suo stile nel vestire da Carmel Snow, lungimirante fashion editor di Harper’s Bazaar, le viene proposta una rubrica all’interno del magazine. Nasce così “Why don’t you…?”, la rubrica che fece conoscere al mondo l’ironica Diana.


Diana


Deliziosamente sopra le righe, in bilico tra l’umorismo più sottile e certa leziosità femminile che mai passerà di moda, Vreeland gioca coi suoi lettori, consigliando loro, tra le altre cose, di “tappezzare le camere da letto dei loro figli di stampe tratte dagli atlanti geografici, affinché essi non crescano con un punto di vista provinciale”, o di “esaltare il biondo naturale dei loro capelli lavandoli con lo champagne”.


Diana


Lasciare carta bianca al suo genio fu certamente mossa vincente per la Snow, che di certo contribuì alla creazione di un mito. Diana Vreeland fu talent scout ante litteram. Innumerevoli sono i volti che scoprì, da Lauren Bacall a Marisa Berenson, da Twiggy a Loulou de la Falaise e ancora Penelope Tree, Jane Shrimpton, Veruschka von Lehndorff, Edie Sedgwick.


Diana


Affiancata come nuova fashion editor di Harper’s Bazaar da fotografi del calibro di Richard Avedon, Louise Dahl-Wolfe, Alexey Brodovitch, nel 1962 passò a Vogue: qui ricoprì l’incarico di editor-in-chief dal 1963 al 1971. Pochi anni, se vogliamo, ma durante i quali avvenne una vera e propria rivoluzione culturale. Diana Vreeland è forse la donna che ha maggiormente influenzato l’arte visiva e la cultura visiva del secolo scorso. Non solo una semplice fashion editor ma la protagonista di una vera e propria rivoluzione che ha interessato il panorama culturale in toto. Addentrarsi negli anni Sessanta, i fatidici Swinging Sixties, il decennio in assoluto più rivoluzionario, con una guida così progressista, era garanzia di successo.


Diana


Sopra le righe, certa che “troppo buon gusto fosse noioso e che un pizzico di cattivo gusto serviva a dare un po’ di sapore”, Diana Vreeland odiava le convenzioni e le vecchie ideologie legate allo stile. Il cognome da nubile, Dalziel, in gaelico antico “Io oso”, è già un programma. Celebri, le sue frasi, che ci aprono nuove prospettive.


Diana


Come quando si espresse sul bikini, che definì “l’invenzione più importante dai tempi della bomba atomica”. Una iron lady della moda, granitica e rivoluzionaria. Nel 1965 veniva annoverata dalla Hall of Fame tra le donne meglio vestite al mondo.


Diana


Clamorosamente licenziata da Vogue (ebbene sì, incredibile ma vero!), nel 1971 le venne affidato l’incarico di curatrice dell’Istituto di Costume del Metropolitan Museum of Art. Nel 1984 ultimò la sua autobiografia, “D.V.” e morì nel 1989 per un attacco cardiaco.


Diana


Nel settembre 2011 venne creato il sito a lei dedicato, mentre il suo impero viene oggi curato dal nipote Alexander Vreeland, che lo scorso anno le ha dedicato delle fragranze. Nel settembre 2011 é uscito invece il documentario The Eye has to Travel, a cura di Lisa Immordino Vreeland, moglie di Alexander.

Peter Beard. Quando la moda è safari.

Talent scout di modelle del calibro di Iman, conoscitore ed amante dell’Africa, scrittore e saggista nonché artista visionario, Peter Beard è uno dei personaggi più affascinanti e carismatici della fotografia di moda.

Nato nel 1938 a New York, laureato presso l’università di Yale, i primi viaggi nel continente africano risalgono al 1955 e al 1960. Innamorato dell’Africa, coi suoi colori e le sue suggestioni, Beard diverrà uno degli artisti più capaci di esaltarne la bellezza. Trasferitosi in Kenya dopo la laurea, divenne amico di Karen Blixen. Grazie alla sua arte fotografica la moda ha iniziato ad esaltare le indescrivibili bellezze offerte dalle location del continente africano.

Firma del calendario Pirelli del 2009, un’edizione unica ambientata in Botswana, i suoi scatti sono un connubio di arte e natura. Immagini forti, che sembrano in movimento e donne ritratte nel loro lato più selvaggio, come feline pronte ad attaccare, indomite ribelli forti della propria sensualità.

image

image

Calendario Pirelli 2009, Botswana. Modella Daria Werbowy

Un occhio ed un gusto unico, capace di esaltare la ricercata eleganza e al contempo la naturale bellezza, celebri sono gli scatti con Veruschka e la stessa Iman. Altre collaborazioni celebri furono con Andy Wahrol, Truman Capote e Francis Bacon.

image

Personaggio chiave della fotografia, i suoi scatti ampliano la mera definizione di fotografia di moda per abbracciare invece un’arte a trecentosessanta gradi.

Immagini come patchwork al confine tra arte visiva e reportage, scorci da cartolina e un occhio che si riconosce anche quando travalica il continente africano. Una personalità capace di ammaliare. Come i suoi diari fotografici, vere perle da custodire gelosamente.

image