Tante sono le tendenze moda per l’Autunno/Inverno 2016-2017 in fatto di scarpe. Le sfilate ci hanno infatti proposto innumerevoli modelli dalle forme e dai colori più variegati. Largo a tronchetti, stivali stringati, décolléte classiche, ankle boots, flat e chi più ne ha più ne metta, in un caleidoscopio di modelli e trend.
Torna alla ribalta la scarpa a punta, insieme a scarpe flat, declinate in ogni forma e colore. Largo a sabot ultrapiatti perfetti sia per il giorno che per la sera: li abbiamo visti da Alberta Ferretti, che ha proposto un modello in preziosa seta, o ancora tempestate da strass da Cristiano Burani.
Non manca un evergreen come il tacco a stiletto, accanto a francesine dal piglio aristocratico e platform d’ordinanza. Largo anche a stivali total black stringati, come quelli proposti da Prada o Fausto Puglisi. Deliziosa la collezione Gucci, che presenta il sandalo da indossare ton sur ton con le calze.
Marni
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Anteprima
Giorgio Armani
Arthur Arbesser
Blugirl
Cristiano Burani
Costume National
Roberto Cavalli
Diesel Black Gold
Emilio Pucci
Etro
Fausto Puglisi
Fendi
Genny
Giamba
Gucci
Janet & Janet
JF London
Luisa Beccaria
Les Copains
Max Mara
Max Mara
Moschino
Moschino
N.21
Prada
Fausto Puglisi
San Andres
Simonetta Ravizza
Vivetta
Full immersion in morbida pelliccia da Blugirl, mentre i trend per la stagione invernale vogliono ancora in pole position i chelsea boots e le francesine. Se fino ad oggi evitavate i mocassini preferendovi i tacchi, ebbene i tempi son cambiati: ecco in passerella il nuovo mocassino arricchito di plateau, mentre i sabot vengono impreziosite dal tacco stiletto. Tantissime sono le idee che sono state proposte sulle passerelle, tra tocchi vintage e sperimentazione. Per una stagione indimenticabile.
La maison Dior celebra il colore in un libro intitolato “The Art Of Color“, titolo che sottintende una componente artistica dello stesso.
Il libro contiene dodici capitoli nei quali esplorare e ricercare gli artisti di maquillage della maison attraverso parallelismi e correlazioni, tra opere e stili iconici che hanno reso grande il nome della griffe Dior.
Ma tra aneddoti e ricerche varie sul mondo e sul look della maison, si destreggia fiero nelle pagine di Rizzoli il vero protagonista del volume: il colore.
Il libro esplora le tre stagioni creative della maison: da Serge Lutens (1967 – 1980), Tyen (1980 – 2014) a Peter Philips (dal 2014).
Tra le pagine si presenta altisonante l’excursus che evoca la teoria della luce di Isaac Newton del 1672 sino alla collezione Explosion de Couleurs ad opera di Serge Lutens comprensiva di 40 tinte di rossetto differenti.
A fare da cornice, oltre alle pagine da sfogliare, leggere e rileggere, anche due video che raccontano la storia dell’arte di Dior in una commistione di strumenti multimediali che vedono il brand come una vera e propria opera di studio e riflessione.
Il primo video svela e interpreta i look storici e iconici di casa Dior, mentre il secondo è il racconto del “dietro le quinte” con l’attuale direttore creativo della maison e dell’immagine del make up, Peter Philips.
“Perché privare la moda e le donne del fascino e del prestigio del colore?“, si chiedeva Christian Dior.
La risposta è in ogni capitolo, il quale rappresenta ed esplora un colore: bianco, argento, nude, rosa, rosso, porpora, blu, verde, giallo, oro, grigio e nero.
E’ stato inaugurato ieri a Locate Triulzi Scalo Milano, primo “Citystyle” del Made in Italy. La nuova cittadella dello shopping realizzata da Promos e Lonati Group sorge nell’area un tempo occupata da Saiwa. All’inaugurazione presenti le autorità, in primis il sindaco di Milano Beppe Sala.
Ben centotrenta negozi tra moda, design, food e arte alle porte di Milano, per il primo design district d’Italia: un’opera costata oltre 200 milioni di euro che, secondo le stime, dovrebbe creare 1.500 posti di lavoro, tra dipendenti diretti e indiretti. I primi negozi aperti, 130, si stendono su una superficie di 30mila metri quadri, e sono destinati a diventare 300 su 60mila metri quadri.
“Il valore che c’è in questo territorio, nella città metropolitana di Milano, è una valore immenso rispetto al quale abbiamo ottenuto ancora poco ma possiamo ottenere di più”, queste le parole di Sala. Presente anche uno spazio dedicato anche all’arte, con Scalo Arte, che coniuga lo Street art district, con i graffiti firmati da writer nazionali e internazionali e le immagini del fotografo Settimio Benedusi, e Scalo Art Pavillions, due spazi espositivi permanenti in cui, a cadenza semestrale, saranno ospitate le opere dei giovani artisti italiani.
Nuova apertura del primo flagship store Massimo Dutti a Barcellona: il brand sceglie non una location a caso, ma la celebre Casa Ramón Casas, residenza del pittore Ramón Casas, recentemente restaurata dal Gruppo Inditex. Al numero 96 di Paseo de Gracia sorge un nuovo gioiello architettonico dal design futurista, per il primo store del brand spagnolo. Il punto vendita si snoda in oltre 2.000 metri quadri di superficie e propone le collezioni Woman, Men, Boys & Girls, Personal Tailoring e Limited Edition.
Casa Ramón Casas vanta una lunga tradizione legata al design e alla moda: dal 1950 ha ospitato l’atelier haute couture della designer catalana Asunción Bastida e successivamente lo storico negozio di design di Enrique Levi e Hugo Vinçon.
Trionfo di tecnologia e virtuosismi 3.0 per il nuovo store Massimo Dutti, a partire dai camerini interattivi, con uno schermo che proietta le immagini in alta definizione dei capi scelti dal cliente, consentendo, grazie ad un’apparecchiatura touch screen, di trovare outfit in linea con quel look e di ricevere lo stesso capo in un’altra taglia senza muoversi dal camerino. Inoltre, grazie ad una buyable window, sarà possibile acquistare i capi esposti in vetrina, tramite l’applicazione Massimo Dutti per iOS.
Niente più file alla cassa, grazie ad una cassa veloce dotata di dispositivi di rimozione antitaccheggio e pin pad. In alternativa è possibile effettuare il mobile checkout, tramite dispositivi mobili. Uno store che punta non solo alla tecnologia ma con un occhio di riguardo per l’ambiente e alla sostenibilità: i consumi elettrici sono ridotti di circa il 30% e quelli di acqua del 40% rispetto ai punti vendita tradizionali. Il brand vanta già nel mondo oltre 770 store in 73 Paesi, tra Europa, Asia ed America.
Sbarca a Milano Issey Miyake, con il primo store monomarca: il primo flagship store del brand giapponese dovrebbe aprire in Italia nel 2017. La città scelta è Milano, precisamente la prestigiosa location di Palazzo Reina, sito in via Bagutta 12, nel quadrilatero della moda.
Lo storico Palazzo, costruito tra il 1826 e il 1831 dalla famiglia Reina e passato nelle mani del Comune di Milano nel 1921, è stato successivamente acquistato, lo scorso 2014, da una società immobiliare che si è occupata del restauro dell’immobile che diventerà la sede del primo store italiano della maison Miyake. Il progetto di interior dello store sarà curato da Tokujin Yoshioka e l’apertura è prevista per febbraio 2017.
“La vocazione internazionale e la sua reputazione indiscussa nel design hanno reso Milano una scelta naturale per il nostro primo flagship store in Italia. Siamo lieti di inaugurare questo bellissimo spazio”. Il progetto di interior sarà curato da Tokujin Yoshioka e l’apertura prevista per febbraio 2017″, così si è espresso Masakatsu Nagatani, presidente di Issey Miyake.
Un ritratto dello stilista
Lo stilista giapponese, classe 1938, ha sfilato per la prima volta nel 1971 a New York. Le sue collezioni, dalle suggestioni avanguardistiche e minimali, non smettono di raccogliere proseliti in tutto il mondo e la scelta di aprire un nuovo store monomarca nella cornice del quadrilatero della moda milanese appare quantomai importante per il ruolo da sempre svolto nel fashion biz dalla città di Milano, considerata una delle Capitali della moda.
(In copertina outfit della sfilata P/E 2017 Issey Miyake. Foto tratta da Fashionisers).
Giuseppe Zanotti Design, stilista italiano specializzato nella creazione di calzature per donna, decide di aprire nuovi flagship store store a Londra e a Mosca.
Quello di Londra ha avuto la sua cerimonia di apertura il 26 ottobre, mentre quello di Mosca il 24 ottobre.
Sono passati sedici anni dalla prima apertura di un punto vendita a Milano, appunto nel 2000, e da allora sono seguiti altri 50 punti vendita per tutto il mondo.
Ha disegnato scarpe per marchi come Pierre Balmain, Proenza Schouler, Thakoon Panichgul, Christopher Kane, Delfina Delettrez e Vera Wang e è stato nominato Designer of the Year tre volte (2000, 2007, 2009) da Fairchild e ha vinto il Marie Claire Prix d’Excellence de la Mode per la migliore collezione di calzature nel 2010.
Lo store di Londra, situato a 46 di Conduit Street, W1, nei pressi di Bond Street, si circonda di 200 metri quadri per uno spazio di tre piani di un edificio georgiano.
I piani ospitano le collezioni uomo/donna sia per quanto riguarda le calzature, che i gioielli, le borse e il ready to wear.
Inoltre, è presente una sezione dedicata interamente al wedding style e al mondo della sposa e una sezione dedicata alla nuova linea “Giuseppe Junior”, nata a maggio 2016.
Lo store presenta degli interni candidi e puliti che richiamano i primi negozi di Giuseppe Zanotti Design, infatti comprendono una bay window e un giardinetto sul retro.
fonte foto: fashionnetwork.com
Lo store di Mosca è il quarto dopo le prime tre già esistenti.
Anche questo ospita le colleezioni uomo, donna e bambino calzature, borse, ready to wear e bijoux.
L’interno allestito come spazio espositivo, si presenta anche come un vero e proprio salotto composto da pavimenti in marmo, tappeti di color ocra e divani blu cobalto sul quale sedere a prendere un the.
Giuseppe Zanotti non si è sottratto nel commentare l’idea e l’occasione di aprire questi due nuovi store: “Sono molto soddisfatto dell’apertura di questi due nuovi flaghip store in due città che condividono la passione per la moda e per il lusso e che possono vantare una clientela dall’impeccabile senso dello stile e attenzione alla qualità. Gli store già attivi su Londra e Mosca hanno superato di gran lunga le nostre aspettative, rafforzandoci nella convinzione che il brand abbia ancora un grande potenziale da sfruttare nel Regno Unito e in Russia, mercati fondamentali per la Giuseppe Zanotti Design e pronti per un ulteriore sviluppo“.
Ha incarnato lo stile degli anni Settanta, è stata una supermodella dall’allure intramontabile, uno dei volti più belli di Hollywood ma soprattutto un’icona leggendaria: Lauren Hutton, sublime rappresentante dell’American Style, ha vissuto una vita quasi romanzesca.
Anticonformista e naïf quanto basta per non lasciarsi inghiottire dai meccanismi del potere e dai diktat di Hollywood, l’attrice dall’indole ribelle e dalla bellezza acqua e sapone è sempre rimasta con i piedi per terra. Lei, che è stata una delle supermodelle più pagate della storia, non avrebbe mai intrapreso questa strada se non avesse avuto bisogno di denaro. “Se non fossi stata povera non avrei mai fatto la modella”, ha dichiarato in un’intervista a Town & Country, con la spontaneità di chi nonostante la fama e il denaro è rimasto sempre intrinsecamente estraneo al circo mediatico. Lei che al glamour e alle passerelle ha preferito la vita a stretto contatto con le tribù africane, ha dichiarato con una punta di orgoglio di avere calcato il red carpet solo una volta nel corso della sua lunga carriera.
Carnagione dorata, capelli schiariti dal sole e l’inconfondibile sorriso, Lauren Hutton è nata a Charleston, South Carolina, il 17 novembre 1943. All’anagrafe Mary Laurence Hutton, i suoi genitori si lasciano quando lei è ancora in fasce. Lauren non ha mai conosciuto suo padre e questo avrà profonde ripercussioni sul suo rapporto con gli uomini. La madre si risposa quando lei è ancora piccola e le fa assumere il cognome del patrigno, Hall, sebbene la bambina non sia mai stata formalmente adottata da quest’ultimo. Lauren è uno spirito libero e un autentico maschiaccio, che ai giochi con le bambole preferisce la vita all’aria aperta e l’amore per la natura, trasmessole dal patrigno. La giovane cresce libera da ogni cliché e, come lei stessa ha dichiarato, totalmente analfabeta fino agli 11 anni, quasi un Huckleberry Finn in gonnella. Il patrigno le insegna a correre libera per i prati e a catturare i serpenti velenosi.
Lauren Hutton nel 1974 (Photo by Archive Photos/Getty Images)
Lauren Hutton in un caftano di chiffon firmato Halston, Vogue America, aprile 1973, foto di Richard Avedon
All’anagrafe Mary Laurence Hutton, l’attrice è nata a Charleston, South Carolina, il 17 novembre 1943
Lauren Hutton ritratta da Francesco Scavullo, 1975
Dopo aver conseguito il diploma alla Chamberlain High School di Tampa, Florida, nel 1961, la giovane è tra i primi studenti a frequentare la University of South Florida. Di Tampa dirà che per lei era “un posto magico”. Successivamente si trasferisce a New York con il suo compagno, il dj Pat Chamburs, di 19 anni più grande di lei. Nella Grande Mela la bionda Lauren inizia a sognare l’Africa e prova l’LSD. Avvenente e bisognosa di denaro, trova lavoro come cameriera di Playboy, proprio come Gloria Steinem e Debbie Harry. Ma se queste ultime animavano la vita notturna del mitico club come conigliette, lei prestava servizio lì solo all’ora di pranzo, posizione, questa, che veniva riservata alle ragazze tra i diciotto e i vent’anni. Secondo alcuni aneddoti è grazie a Playboy che Mary Laurence cambia il proprio nome in Lauren Hutton, ispirandosi a Lauren Bacall.
In seguito lei e Chamburs si spostano a New Orleans, dove Lauren frequenta il Newcomb College, all’epoca una succursale della Tulane University. Qui nel 1964 si laurea in Lettere. Tornata a New York inizia la sua carriera nella moda. La classe innata della giovane non passa inosservata nel fashion biz, e in breve Lauren Hutton diventa la ragazza copertina più richiesta. Ma la sua carriera -come da lei stessa dichiarato- inizia in realtà in modo quasi picaresco: la giovane si imbatte in un annuncio sul New York Times in cui s cerca una modella per Christian Dior. Ma, come sempre accade, è richiesta previa esperienza nel settore. Un amico del suo fidanzato dell’epoca la esorta ad andare comunque al provino. E quando ella ribatte di non avere alcuna esperienza, lui risponde, con grande nonchalance: “Certo che ce l’hai”. È così che la diva impara la sua prima grande lezione della sua nuova vita nella Grande Mela: mentire.
Lauren ottiene immediatamente il lavoro da Christian Dior, complice anche l’avere accettato una paga inferiore a quella che veniva offerta inizialmente. È la nascita di un mito: nonostante l’altezza non svettante e il sorriso non perfetto, con il caratteristico spazio tra gli incisivi, che da più parti le viene consigliato di nascondere, Lauren Hutton conquista un numero infinito di copertine e diventa la cover girl per antonomasia. Anni dopo la modella rivendicherà orgogliosamente quel piccolo difetto ai denti, asserendo che le conferiva un’aura familiare che mancava alle altre modelle. Lauren Hutton è un riuscito mix dell’intramontabile e sofisticato stile effortlessy-chic degli Hamptons e delle eccentriche stravaganze dello Studio 54, di cui diviene protagonista assoluta.
Incarnazione dell’American Style e icona di stile (Lauren Hutton su Vogue, 1977)
Lauren Hutton in Calvin Klein, foto di Richard Avedon, anni Settanta
Lauren Hutton in uno scatto di Terry O’Neill, anni Ottanta
L’icona in una foto di Jack Robinson, 1972
Quando incontra Diana Vreeland, alla celebre editor di Vogue basta un solo sguardo per capire che la giovane che si trova di fronte avrebbe fatto strada: “Hai una bella presenza”, le dice. E Lauren risponde, “Si signora, anche Lei”. La sua bellezza acqua e sapone e il fisico atletico la rendono la perfetta incarnazione dell’American Style: poco trucco e abbronzatura d’ordinanza, Lauren ai capi haute couture preferisce lo sportswear. “Lei è il meglio d’America”, disse di lei la Vreeland, consacrandola ad icona di stile. Fu la Vreeland a notarne per prima la fotogenia, dopo che Richard Avedon l’aveva scartata per ben tre volte. La sua bellezza a tratti anticonvenzionale ben presto fu immortalata dai più grandi: in primis proprio Avedon, che la ritrasse in alcuni scatti in movimento, divenuti poi celebri, ma anche Irving Penn, Francesco Scavullo, Henry Clarke. La spontaneità con cui Lauren posa davanti all’obiettivo e la joie de vivre che manifesta le conferiscono di diritto lo status di supermodella. Lauren Hutton appare sulla copertina di Vogue per 25 volte, record assoluto, e ottiene innumerevoli contratti come testimonial. È la prima modella a firmare un contratto a sei cifre con un brand di cosmetici: era Revlon e correva l’anno 1973. Hutton guadagna 400.000 dollari e non ha ancora compiuto 31 anni.
SFOGLIA LA GALLERY:
Lauren Hutton nel 1973, foto di Richard Avedon
Lauren Hutton in uno scatto di Richard Avedon, 1973
Lauren Hutton nel 1971
Lauren Hutton negli anni Settanta, foto di Richard Avedon
Foto di R. Avedon, 1973
Ancora uno scatto di Avedon
Foto di Avedon
Foto di nudo firmata Richard Avedon, 1969
Lauren Hutton in uno scatto di Annie Leibovitz, 1981
Lauren Hutton nel 1980
Lauren Hutton nel 1978
Lauren Hutton nel 1971
Lauren Hutton, foto di Milton Greene, 1966
Lauren Hutton in uno scatto di Bill King, 1972
La modella in uno scatto di Gilles-Marie Zimmermann, 2008
Bellezza simbolo anni Settanta
Lauren Hutton nel 1977
Lauren Hutton, foto di Nicolas Wagner, 2000
Foto di Milton Greene, anni Sessanta
Lauren Hutton in uno scatto di Steve Shapiro, 1970
Lauren Hutton nel 1985
Lauren Hutton in una foto di Arthur Elgort, 1975
Uno scatto di Irving Penn
Lauren Hutton nel 1966, foto di Milton Greene
Foto di Helmut Newton, 1972
Lauren Hutton in una foto di Helmut Newton, 1989
Lauren Hutton fotografata da Helmut Newton, 1973
La bellezza acqua e sapone di Lauren Hutton
Foto di Irving Penn, 1980
Lauren Hutton ritratta da Irving Penn, 1980
Lauren Hutton, foto di John Stember, 1980
Lauren Hutton nel 1977
L’icona nel 1969
Uno scatto di Bettina Rheims
Lauren Hutton in uno scatto di Bert Stern, 1964
Foto di Richard Avedon, 1969
La bellissima icona in una foto degli anni Ottanta
Lauren Hutton nel 1975
Nel 1975 ottiene la cover di People. “She’s Got It All” (Lei ha tutto), recita il titolo di quella storica copertina; un brivido corre lungo la sua schiena nel constatare che ce l’ha fatta. Non è più la ragazza povera venuta dal Sud, ma è ormai un mito. Perfetta interprete dello stile Halston e di Basile, che la vestirà in “American Gigolo”, Lauren è ricca di sfaccettature: sublime incarnazione dello stile tomboy e un attimo dopo sirena dallo sguardo enigmatico e dalla sensualità felina, è ben presto chiaro quanto la carriera di modella le stia stretta. Lei sembra nata per recitare.
Nel 1968 il debutto al cinema in “Paper Lion”, a cui segue nel 1974 “The Gambler”. Tante sono le pellicole che la vedono protagonista, ben 44: in “Permette? Rocco Papaleo” di Ettore Scola recita accanto a Mastroianni. Ma il ruolo a cui deve la fama mondiale e che la consacra ad icona di stile è quello di Michelle Stratton, ricca adultera protagonista accanto a Richard Gere di “American Gigolo”. È il 1980 e il film è un tripudio di eleganza: un ancora semisconosciuto Giorgio Armani veste Gere, mentre lei indossa capi Basile, eccezion fatta per l’iconico trench, firmato Armani, che sfoggia con clutch rossa firmata Bottega Veneta.
Lauren Hutton alla 47esima edizione degli Oscar, Los Angeles, 1975
Lauren Hutton ha iniziato la sua carriera come cameriera di Playboy
Lauren Hutton, nel corso della sua carriera nella moda, ha posato per i fotografi più famosi, da Richard Avedon ad Irving Penn
L’icona fotografata da Milton Greene
Viaggiatrice incallita amante dell’avventura e centaura spericolata, nel 2000 l’attrice ha un grave incidente in moto, che per poco non le costa la vita. Dopo essersi unita ad un gruppo di motociclisti (tra cui spiccano Jeremy Irons e Dennis Hopper), per celebrare L’arte della motocicletta con una mostra al museo Hermitage-Guggenheim di Las Vegas, al confine tra l’Arizona e il Nevada la Hutton sbanda e perde il controllo della sua moto, mentre viaggia ad una velocità di 160 chilometri orari. La diva riporta fratture multiple ad una gamba e ad un braccio, fratture alle costole e allo sterno e un polmone perforato. Dopo quasi un anno di convalescenza si getta in una nuova avventura, creando una propria linea di cosmetici pensati per donne mature, “Lauren Hutton’s Good Stuff”, distribuita negli USA, ma anche in Europa e Sud America.
Lauren Hutton in uno scatto di Gianni Penati, 1968
L’attrice in uno scatto di Irving Penn, Vogue, 1968
Foto di Gianni Penati, 1968
Un celebre scatto di Richard Avedon, 1968
Lauren Hutton fotografata da Francesco Scavullo, 1975
La bellezza acqua e sapone di Lauren Hutton immortalata da Fred Seidman, anni Settanta
La vita sentimentale della diva è alquanto turbolenta: nonostante non si sia mai sposata e non abbia avuto figli, Lauren Hutton ha avuto una relazione durata ben 27 anni col il suo manager Bob Williamson, morto nel 1997. Williamson, reo di aver sperperato circa 13 milioni di dollari appartenenti al patrimonio dell’attrice, viene tuttavia ricordato da quest’ultima con sincero affetto. Pare infatti che l’uomo le abbia salvato la vita in cinque diverse occasioni. “Non ho avuto un padre e volevo essere protetta. Non ho mai visto uno strizzacervelli e c’era un disagio psicologico che andava certamente approfondito”, dirà successivamente l’attrice. Nel 1991 l’incontro sul set con Luca Babini, che la definì “una donna coi piedi per terra”. Femminista ante litteram, lo stile per lei coincide con l’essere se stessi. Splendida ancora oggi, ha dichiarato di aborrire il nero dal suo guardaroba. Nel 2013 ha rivelato di essere in procinto di scrivere la sua autobiografia, che secondo i rumours dovrebbe intitolarsi “Smile”, proprio come il suo sorriso, segno distintivo di uno charme senza tempo. Recentemente riportata sulla passerella di Bottega Veneta da Tomas Maier, ha sfilato in trench e clutch rossa, proprio nella mise indossata in American Gigolo, accanto ad una Gigi Hadid che la sovrastava in altezza ma non in stile.
Lo stile iconico di Lauren Hutton (foto di Fred Seidman)
Lauren Hutton nel 1977
Lauren Hutton, foto di Richard Avedon, 1971
Lauren Hutton in American Gigolo (1980), interpretazione che le diede la fama mondiale
Lauren Hutton in passerella per Bottega Veneta, P/E 2017
(Foto cover: Lauren Hutton in Halston, foto di Francesco Scavullo, 1975)
È stata la prima modella asiatica ad apparire sulla cover di Vogue, è stata la musa più amata di Richard Avedon nonché fashion editor di fama mondiale: China Machado ha alle spalle una lunga e sfavillante carriera. Ancora in forma smagliante e piena di entusiasmo alla veneranda età di 87 anni (splendidamente portati e senza alcun aiutino da parte del bisturi), l’icona di stile si lancia in una nuova avventura, aprendo un sito internet e una linea di womenswear da lei ideata.
Si dice una persona coi piedi per terra, China, indipendente e caparbia. Nata a Shanghai e vissuta a Buenos Aires, iniziò la sua carriera come mannequin a Parigi, dove la sua bellezza esotica le aprì le porte del fashion system. Sfilò per Givenchy e per i couturier più famosi del mondo e divenne in breve la modella più pagata in Europa.
Successivamente si trasferì a New York, dove incontrò Richard Avedon, di cui divenne musa storica. Amatissima da Diana Vreeland, lavorò per anni come modella e come fashion editor (qui un pezzo sulla sua biografia).
China Machado è un’ex modella di fama mondiale, musa di Richard Avedon
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China Machado
China Machado
China Machado
Stakanovista e vulcanica, oggi l’icona crea una collezione di capispalla ispirati alla sua vita da globetrotter, ai tanti viaggi in giro per il mondo e al suo innato senso per lo stile. Comfort e linee sofisticate si uniscono, per una moda facile da indossare e pratica: la collezione, intitolata CHEENA, comprende giacche, stole e sciarpe double-face. Pregiati tessuti e stampe animalier dominano, accanto a suggestioni total black. I capi sono realizzati in lana pura, per linee pratiche e chic.
I tessuti double-face totalmente reversibili permettono di cambiare spesso look, trasformando in pochi minuti ogni outfit. Ogni capo è stato disegnato interamente dall’icona, la cui bellezza spicca anche sul logo scelto per il nuovo brand. La classicità si unisce alla qualità made in America: grande attenzione per i dettagli per un nome che è da sempre sinonimo di stile e glamour internazionale. I capi sono disponibili sul sito www.cheenawear.com. La spedizione è gratuita.
Poche donne al mondo possono vantare una vita degna di un romanzo d’appendice: Rosamond Bernier, icona di stile tra le più longeve al mondo, ha vissuto in modo a dir poco avventuroso, forte di uno spirito indomito e di una personalità poliedrica e versatile. Donna dalla smisurata levatura culturale, l’esperta d’arte più glamour del mondo nel corso della sua rocambolesca esistenza ha pilotato aeroplani, domato animali selvatici e rivoluzionato più volte la propria vita, reinventandola secondo il proprio gusto personale, grazie ad una innata capacità di gestire in modo a lei favorevole gli eventi storici e le vicende personali. F. Scott Fitzgerald l’avrebbe adorata, per la proverbiale nonchalance con cui affrontò anche i momenti più difficili, sempre impeccabile, tra fili di perle e capi haute couture. Tra le intellettuali più amate del Dopoguerra, Rosamond Bernier, oggi centenaria, vanta una lunga e sfavillante carriera in perenne bilico tra moda e arte. Tre matrimoni alle spalle e tanti viaggi per l’icona di stile, che ha vissuto ad Acapulco, Parigi e New York.
Rosamond Margaret Rosenbaum è nata a Philadelphia il primo ottobre 1916. Suo padre, il facoltoso avvocato ed ex colonnello dell’esercito Samuel R. Rosenbaum, è figlio di immigrati ebrei ungheresi. La madre, l’inglese Rosamond May Rawlins, muore quando Rosamond ha appena 8 anni. Rosenbaum tiene molto alla formazione della figlia e assume per lei una governante francese che le insegnerà anche la lingua. Rosamond cresce di bell’aspetto, con una figura elegante e uno charme innato. Il glamour fa già parte del suo DNA quando la vediamo suonare come arpista alla Philadelphia Orchestra Association, di cui il padre è vice presidente nonché membro del consiglio di amministrazione dal 1928 al 1967. Qui Rosamond, di indole timida, si trova davanti a personalità illustri, tra cui Leopold Stokowski, Otto Klemperer, Aaron Copland e Leonard Bernstein, che resteranno suoi amici per la vita. Rosamond studia in Francia, in Inghilterra e al Sarah Lawrence College di New York. Ma abbandona ben presto il college per convolare a nozze con Lewis A. Riley Jr., con cui si trasferisce ad Acapulco, in Messico, Paese in cui vivrà per ben dieci anni.
Sono gli anni Quaranta e il Messico è ancora uno scenario incorrotto, tra le baie mozzafiato e la natura lussureggiante. Rosamond possiede uno zoo privato in cui figurano leopardi, scimmie e uccelli tropicali; si ha perfino notizia di un pinguino da lei salvato sulla costa. Numerose sono le foto che la ritraggono in costume da bagno, accanto ai suoi amati animali. Il marito Riley possiede un piccolo aeroplano che le insegna anche a pilotare. Tuttavia l’indomita curiosità di Rosamond non riesce a farle apprezzare pienamente la sua nuova vita da americana espatriata e le atmosfere esotiche non sono sufficienti a placare il suo spirito, alla costante ricerca di novità. Ben presto la giovane inizia ad organizzare mostre ed esposizioni d’arte insieme al marito. Nel suo circolo di amicizie spiccano Malcolm Lowry, Frida Kahlo e Diego Rivera, solo per citarne alcuni.
Un ritratto di Rosamond Bernier, con collier Kenneth Jat Lane (foto di Jill Krementz)
Rosamond Bernier in caftano Zandra Rhodes a New York, durante una lezione d’arte al Metropolitan Museum of Art, 1972
Rosamond Margaret Rosenbaum è nata a Philadelphia il primo ottobre 1916
L’icona di stile predilige Chanel, Yves Saint Laurent, Balenciaga
Di Frida Kahlo dirà: “Il suo vocabolario, sia in inglese che in spagnolo, avrebbe fatto arrossire un camionista”. Fu proprio Rosamond Bernier a notare per prima la bellezza dell’artista, il suo stile iconico e, non ultima, la sofferenza derivante dalle tante infedeltà di Diego Rivera. Nelle sue memorie l’icona ricorderà che un giorno la celebre pittrice la prese da parte e le disse: “Vieni, ti sistemo io”. In pochi minuti Rosamond Bernier si ritrovò truccata e pettinata come la Kahlo, che la vestì secondo il suo stile, con le tipiche gonnellone a stampa patchwork e i gioielli in stile precolombiano.
Ricordando il periodo della sua vita trascorso in Messico, Bernier dirà: “Era un posto in cui sentivi che tutto doveva ancora essere inventato”. Lei ne amò l’architettura, l’arte popolare, i colori, la natura e il fermento culturale che proprio in quegli anni stava sbocciando.
Il matrimonio tra Rosamond e Riley giunge presto al capolinea. I due si lasciano senza serbare alcun rancore: lui si risposa con l’avvenente attrice Dolores Del Rio mentre Rosamond prende in affitto una casa di proprietà di Nada Patcevitch, moglie di uno dei capi di Condé Nast, Iva Patcevitch. Nel 1946 Rosamond si traferisce a New York. La sua formazione classica e l’interesse per le arti costituiscono quasi un unicum nel panorama intellettuale dell’epoca: Rosamond parla correntemente inglese, francese e spagnolo e possiede un amplissimo bagaglio culturale. Un nuovo prestigioso incarico non tarda ad arrivare: ad assumerla è Vogue America, la Bibbia della moda. Ed è proprio Patcevitch a notare per primo le sue qualità, insieme alla editor-in-chief Edna Chase e alla editor Allene Talmey. Dapprima Rosamond diviene fashion editor ma ben presto allarga la sua cerchia di indagine all’arte.
Nel 1947 Vogue la manda a Parigi per documentare la rinascita artistica e culturale della Capitale francese nel Dopoguerra. Qui la vita è difficile: Rosamond soffre il freddo e per la prima volta in vita sua si trova smarrita. “Non avevo idea di cosa dovessi fare”, dichiarerà anni dopo nelle sue memorie. Ma alla giovane non manca lo spirito di iniziativa: mette a punto una linea editoriale ben precisa e decide di partire da Marcel Proust, intervistando luoghi e persone associati al grande scrittore. Ad immortalare i suoi reportage il fotografo Erwin Blumenfeld. Il primo personaggio che intervista è Jean Cocteau. In breve l’editor stringe amicizia con Pablo Picasso, che ne adora l’accento messicano, Henri Matisse, Georges Braque, Fernand Léger, Joan Miró, David Hockney, Jerome Robbins, Max Ernst e Alberto Giacometti. Bernier risiede all’Hôtel de Crillon, dove può usufruire di molti privilegi, a partire dall’acqua calda. Perfettamente a proprio agio nei circoli bohémien, si diletta tra le stravaganze della baronessa Pauline de Rothschild, sua grande amica, che la ospita spesso a Château Mouton Rothschild.
Il secondo conflitto mondiale aveva lasciato cicatrici profonde in seno all’economia francese e l’haute couture stava lentamente riprendendosi. Come dichiarerà la stessa Bernier nella sua autobiografia, “Uno stipendio di Vogue all’epoca poteva nutrire un topolino ma i couturier erano straordinariamente carini con me”. Tra i suoi stilisti prediletti dell’epoca spicca Elsa Schiaparelli. Alexander Liberman, celebre art director di Vogue, si disse stupito, parlando di Rosamond Bernier, di come a volte proprio le persone più timide riescano ad osare di più. “Affascinò mia madre, il che non era impresa facile”, disse l’autrice Francine du Plessix Gray, figlia di Tatiana du Plessix Liberman e figliastra di Alexander Liberman. “Alex notò tutte le qualità che lei possedeva: carisma, intelligenza, sex appeal, preparazione artistica”. Rosamond aveva una grazia naturale ed era gentile con tutti, specie coi bambini, sebbene non divenne mai madre.
SFOGLIA LA GALLERY:
A 16 anni alla Philadelphia Orchestra
A sei anni col pony Teddy, Philadelphia 1922
Ad Acapulco nel 1938, dove Rosamond si trasferì col primo marito Lewis Riley
Col marito John Russell, critico d’arte del New York Times, sposato nel 1975
Il matrimonio fotografato da Richard Avedon
Con Mirò nel sud della Francia, 1979
Rosamond Bernier in abito Schiaparelli con Mirò, Barcelona, 1954
Rosamond Bernier in Oscar de la Renta
In Chanel, 1996
Rosamond Bernier con Karl Lagerfeld, intervistato da lei per Vogue nel 1996
L’icona nel suo appartamento di Manhattan
Tanti furono gli scoop collezionati dalla giovane, come quello sull’opera di Matisse alla Chapelle du Saint-Marie du Rosaire di Vence e i dipinti di Picasso al Castello dei Grimaldi ad Antibes, oggi divenuto il Musée Picasso. Intervistò Miró nella sua nativa Barcelona, con foto realizzate da Brassaï. Tra gli altri artisti intervistati Henry Moore e Fernand Léger. Quest’ultimo, notando la predilezione della Bernier per le sue opere più controverse, le disse: “Sei una brava ragazza, hai uno stomaco forte”. Durante un’intervista ad Henri Matisse, questi le consigliò di indossare una sciarpa gialla sul suo cappotto arancione Balenciaga. Inoltre riuscì anche ad intervistare Gertrude Stein, immortalata in una celebre foto realizzata da Horst P. Horst nel salone di Pierre Balmain. Non era semplice ritagliarsi una fetta di pubblico sullo sfondo del Dopoguerra, periodo storico in cui gli intellettuali europei erano dichiaratamente anti-americani. Eppure lei ci riuscì e la sua nazionalità americana non smetteva di destare sorpresa data anche la sua perfetta padronanza delle lingue europee.
Nella capitale francese Rosamond trovò un nuovo amore nel giornalista Georges Bernier. La loro storia d’amore durerà vent’anni ma il nome di Bernier nelle sue memorie viene menzionato raramente. Resasi conto che Vogue non dava alle sue interviste lo spazio dovuto, nel 1950 maturò la decisione di lasciare il magazine. Con il nuovo marito nel 1955 diede vita a L’Œil, mensile dedicato all’arte, il cui motto era “Tous les arts, tous les pays, tous les temps.” Bernier diresse il magazine dal 1955 al 1970. La sua massima ambizione era vedere leggere la sua nuova creatura sulla metropolitana e vederne la diffusione, dato anche il prezzo, pari ai 50 centesimi di oggi. Intanto lei era diventata a tutti gli effetti un’icona di stile. Dopo la fondazione di L’OEIL, Madame Grès confezionò per lei ben nove outfit. Presenza fissa dell’International Best Dressed List, Rosamond Bernier sfoggiava abiti da diva. Tra le firme del suo leggendario guardaroba spiccano Chanel, Yves Saint Laurent, Bill Blass, Zandra Rhodes e i gioielli di Kenneth Jay Lane.
Rosamond Bernier con Fernand Léger, foto di Robert Doisneau, 1954
Rosamond Bernier ritratta con Henri Matisse in uno scatto di Clifford Coffin, 1948
Ma ben presto anche la vita che si era creata a Parigi con tanto sudore va in frantumi e Rosamond è costretta ancora una volta a reinventarsi una nuova esistenza, quasi come un gatto dalle nove vite. Un bel giorno del 1970, dopo vent’anni di matrimonio, Georges Bernier le comunica che tra loro è tutto finito. Rosamond si ritrova improvvisamente divorziata e senza lavoro. Ma, granitica com’è, non si perde d’animo e decide di trasferirsi a New York. Qui si apre la terza fase della sua vita. La Grande Mela ha in serbo tante belle sorprese per lei: un nuovo lavoro e un nuovo amore. Rosamond diviene docente di arte al Metropolitan Museum of Art. Qui inizia a tenere lezioni su Matisse, Picasso, Léger, Max Ernst. È la nascita di un mito: le sue eccezionali doti oratorie sono chiare fin da subito e ottengono proseliti da tutto il mondo. Leonard Bernstein scrive di lei: “Madame Bernier ha il dono di una comunicazione di una spontaneità tale come raramente mi è capitato di incontrare”. Rosamond Bernier impartisce più di 250 lezioni di arte al Met dal 1971 al 2008. Inoltre tiene conferenze in numerosi musei di Parigi, come il Grand Palais, il Louvre e il Pompidou Center. Invitata a tenere lezioni di arte anche in India ed Israele, ha condotto interviste per la CBS e Canale Thirteen.
A New York Rosamond incontra anche l’amore della sua vita: è il critico d’arte John Russell, che aveva collaborato saltuariamente per L’OEil e che era da tempo innamorato di lei. Non si era perso una sua lezione al Met ed era solito mandarle fiori. Russell, pur di stare al suo fianco, lascia il suo lavoro al Sunday Times di Londra. Trasferitosi a New York, viene assunto dal New York Times. I due convolano a nozze nel 1975 con una cerimonia organizzata a casa del comune amico Philip Johnson. Tra gli invitati Pierre Matisse, Leo Castelli, John Ashbery, Virgil Thomson, Helen Frankethaler, Stephen Spender, Copland e Andy Warhol. Nel 2008 Russell muore e per lei arriva il ritiro dalle scene, dopo oltre 70 anni di carriera. Il 13 marzo 2008 tiene la sua ultima lezione al Met, dedicata alla sua vita nell’haute couture francese.
L’oratrice è anche autrice di libri di successo: numerosi sono gli aneddoti raccontati nelle sue autobiografie. In “Some of My Lives: A Scrapbook Memoir” (edito da Farrar, Straus and Giroux) ricorda Alberto Giacometti e Karl Lagerfeld. A renderla così amata sono state anche doti quali la sua umiltà e la sua eccezionale umanità, l’ironia, la disciplina e l’ottimismo. “Non mi considero in alcun modo eccezionale. Penso di avere avuto una fortuna eccezionale”, ha detto di sé.
La visita di Gertrude Stein al salone di Pierre Balmain, documentata dalle foto di Horst P. Horst. Sullo sfondo compare Rosamond Bernier
Rosamond Bernier (in cappa Yves Saint Laurent) e il terzo marito John Russell immortalati da Bill Cunningham al MET, 1991
Rosamond Bernier in uno scatto di Horst P. Horst (Foto: Vogue)
Numerose anche le onorificenze ricevute per il suo contributo alla cultura: nel 1999 ottiene la Legion d’Onore; nel 1980 le viene conferito il premio Chevalier de L’Ordre des Arts et des Lettres; nel 1999 il re Juan Carlos di Spagna le consegna il Cross of Order di Isabel La Catolica. Nel 1999 viene posizionata nella Hall of Fame dell’International Best Dressed List, grazie al suo stile iconico. Tra le sue pubblicazioni “Matisse, Picasso, Miró — As I Knew Them”, uno splendido volume illustrato edito da Alfred A Knopf, testo tradotto poi in francese, tedesco, spagnolo e italiano.
L’icona di stile, che ha da poco festeggiato il traguardo dei cento anni, abita ancora nell’appartamento sull’Upper East Side che ha condiviso per tanti anni con Russell, impreziosito dall’arredamento francese e dai moltissimi oggetti d’arte, come la scultura della coppia realizzata da Louise Bourgeois.
Una parte del suo guardaroba è stata inoltre da lei donata al Costume Institute del Met: trattasi di 19 outfit vintage dal valore inestimabile. Durante la sua ultima lezione, intitolata -neanche a farlo apposta- “Some of My Lives” (Alcune delle mie vite), sei mannequin indossavano alcuni dei capi a lei appartenuti. “Attraverso i vestiti”, disse l’icona in quell’occasione, “puoi raccontare la storia delle persone e dei tempi”.
La splendida Piazzetta di Capri diviene location di un set fotografico: nasce così la campagna pubblicitaria primavera/estate 2017 di Dolce & Gabbana, intitolata #DGMillennials. Il duo di stilisti torna in Campania dopo la sfilata evento di Napoli, dello scorso luglio, dedicata al mito intramontabile di Sophia Loren, simbolo per antonomasia della bellezza mediterranea.
A posare per l’obiettivo di Franco Pagetti i Millennials, tra cui Cameron Dallas, idolo delle teenager, e Presley Gerber, figlio di Cindy Crawford e Rande Gerber. Un omaggio al Bel Paese, per un tripudio di Italian Style: Dolce & Gabbana si riconfermano amanti dell’Italia, con una campagna pubblicitaria ambientata in uno dei sei naturali più suggestivi al mondo. Ed è così che prende corpo uno shooting suggestivo, tra la magia dei Faraglioni e il glamour della piazzetta. La collezione omaggia anche la cucina italiana, tra stampe di spaghetti, salsa al pomodoro e cuori ex voto.
Tra i volti della nuova campagna pubblicitaria anche Gabriel Kane Day Lewis, Luka Sabbat, Brandon Lee, Rafferty Law, Zendaya Coleman, Hailey Baldwin, Sonia Ben Ammar e Thylane Blondeau. Segni particolari: bellissimi e giovanissimi. Ma anche “figli di”, in quanto quasi tutti vantano genitori famosi.
(Foto: La Repubblica)
«Stefano e Domenico sono fantastici. Sono eccitato per la mia prima volta a Capri», così Cameron Dallas commenta la sua partecipazione alla nuova campagna pubblicitaria di Dolce & Gabbana. La giovane web star, appena ventenne, vanta già oltre 16 milioni di follower su Instagram.
Negli ultimi giorni molto si è detto su di lei: Agnese Landini Renzi, First Lady italiana, è amata e odiata in egual misura. Tanti sono i detrattori che si sono apertamente scagliati contro il suo stile, soprattutto dopo la visita ufficiale alla Casa Bianca di qualche giorno fa. La professoressa si è ritrovata immortalata su tutti i giornali e molte parole sono state spese sui suoi outfit.
Nata a Firenze nel 1976, Agnese Landini Renzi non è una fashion icon ma il suo stile tradisce un amore per la sartorialità italiana e una sobrietà che non guastano. Una predilezione per Ermanno Scervino, la First Lady italiana è stata spesso paparazzata in capi firmati dallo stilista toscano.
Il suo guardaroba non lesina in capi in pizzo macramè dalle trasparenze audaci e in bodycon dresses che ne esaltano la figura sottile. Ed Ermanno Scervino è lo stilista scelto anche pochi giorni fa per la cena alla Casa Bianca: forse il modello indossato dalla Landini per l’occasione, un lungo abito iperfemminile dalle caleidoscopiche trame in pizzo, non esaltava al massimo la sua personalità. Noi la preferiamo in capi dalle linee più sobrie e contemporanee.
Alcuni dei look sfoggiati da Agnese Landini (Foto: Oggi)
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Il Premier e la moglie alla Prima della Scala 2015
Agnese Renzi al Pitti Bimbo in Ermanno Scervino (Foto: Vanity Fair)
(Foto: Vanity Fair)
La First Lady ad Expo 2015 (Foto: Vanity Fair)
Agnese in Renzi in Valentino
Agnese Renzi in Valentino
(Foto: Lapresse)
Agnese Renzi in Ermanno Scervino
La First Lady alla sfilata Ermanno Scervino P/E 2016 (Foto: Vanity Fair)
Lo stile della First Lady
(Foto: Lapresse)
(Foto: Huffington Post)
Abitualmente la First Lady sfoggia abiti dal piglio minimal-chic, perfetti per il ruolo istituzionale da lei ricoperto ma anche idonei per esaltare il suo fisico sottile. Tra i brand prediletti anche Valentino, in un tripudio di made in Italy: ed era firmato proprio Valentino il lungo abito rosa sfoggiato pochi giorni fa durante la visita ufficiale alla Casa Bianca, con una delegazione al seguito, di cui facevano parte alcuni dei nomi che fanno grande l’Italia nel mondo, da Bebe Vio, campionessa paraolimpica, a Roberto Benigni. Gli outfit sfoggiati da Agnese Landini in più occasioni vedono una predilezione assoluta per nuance pastello e minimalismo raffinato. Per uno stile sobrio e garbato.
Agnese Renzi in Ermanno Scervino e Michelle Obama in Atelier Versace (Foto: Vanity Fair)