ELISABETTA PELLINI: L’EQUILIBRIO DEI SOGNI, TRA CINEMA E REALTA’

Una domenica mattina a Milano, tra la frenesia della MFW ed una pausa caffè al tavolino di un bar, dove incontri per una chiacchierata a tu per tu la bellissima Elisabetta Pellini, volto noto del cinema e della televisione. Sguardo limpido, dolcezza infinita ed una semplicità disarmante per parlare di se, dei suoi lavori in uscita e di alcuni sogni che partono dal profondo per andare lontano, molto lontano..

Elisabetta a Milano per la MFW. Come è andata? 
“Qui ho le mie origini e ogni volta che ritorno è sempre un grande piacere ritrovare le persone care, i luoghi vissuti. Milano è una città che vive di un battito suo e mai come durante la settimana della moda ne senti le pulsazione e l’energia. Sono stata invitata ad alcune sfilate che mi hanno molto colpito per la matrice comune del volere riportare la donna ad una femminilità vera, senza spacchi o scollature ma semplice e pulita, proprio come sono state le proposte di Emporio Armani, Elisabetta Franchi con la sua collezione ispirata ad Evita Peron ed agli anni 40 o Laura Biagiotti che celebra una donna charment, vestita di bianco, rosso o colori tenui”.


Qual è il tuo ideale di femminilità?
“Femminilità va a braccetto con il concetto di eleganza ovvero riuscire ad  essere sensuali pur mantenendo la semplicità. Tradotto in poche parole: non è un abito che fa diventare una donna sexy ma il contrario”. 


In tema di moda anche la tua famiglia era nel settore ma la tua via è stata un’altra…
“Sì, fino a qualche anno fa erano proprietari di una pelleria e da li ho ereditato la mia passione. Ma il mio amore è sempre stato il cinema, fin da piccola. Del resto crescere con papà che ogni minuto ci rendeva protagonisti delle sue foto non ha certo aiutato (sorride..). Scherzi a parte, realmente il ruolo di papà, il suo amore per i viaggi, per la fotografia e soprattutto per il cinema (non a caso realizzò due documentari cult negli anni 70) mi trasmisero un fascino verso questo mondo al quale non ho saputo resistere. Il principio fu la danza classica a 7 anni: l’impegno era massimo e tutto girava intorno al saggio per il quale mi allenavo duramente anche un anno intero. Così fu anche quando entrai nel mondo del cinema, il meccanismo è lo stesso”. 


Ovvero?
“La preparazione per interpretare un personaggio deve essere molto profonda, devi entrare in quel personaggio, lo devi sentire tuo, lo devi analizzare quasi come a creare una sorta di “amico” che in parte ti porterai appresso per tutta la vita”. Allo stesso modo sarà anche molto forte la sensazione dell’abbandono quando il copione si sarà concluso. Per fare tutto questo ovviamente ci vogliono determinazione, preparazione e una grande passione”. 


Piccolo e grande schermo ti hanno vista interpretare tantissimi personaggi. Qual è il ruolo che hai amato di più?
“Tutti perché come dicevo prima diventano quasi degli amici per me. E’ stato così con Laura delle “Tre Rose di Eva” oppure Anna Ronco per “Provaci ancora Prof!” così come una grande empatia l’ho creata con il personaggio del film in uscita i prima di marzo “La mia famiglia a soqquadro” nel quale interpreto una donna che abbandona la sua veste di “casalinga”per una carriera nella moda, diventa magra ed attraente e vi sarà un avvicinamento all’uomo del quale è sempre stata innamorata (interpreto da Marco Cocci) a sua volta sposato e con figli. E da qui “mio figlio” che invidiava le famiglie degli altri compagni in quanto convito di tanti vantaggi nell’aver i genitori divorziati capirà come ciò non corrisponde alla realtà. Un film intelligente, uno spaccato perfetto della società moderna”.


 A tal proposito qual è il tuo pensiero? 
“Io sono stata fortunata perché la mia famiglia era un po’ come quella del mulino bianco, con due genitori che si sono amati tantissimo e che hanno trasmesso a noi figli dei valori fondamentali. Sono però consapevole che non sempre può andare così: capita che due persone si separino, anche per terze persone, ma la cosa più importante è che non scordino mai le loro responsabilità come madre e padre. Non è giusto che due persone stiano insieme per forza, facendo poi ricadere sui figli le loro guerre”. 


Oltre a “La mia famiglia a soqquadro” hai altri lavori in uscita?
“Sì, i primi di marzo arriva nelle sale “Gomorroide”nel quale interpreto l’esilarante parte di una moglie isterica tradita dal marito, una milanese in trasferta a Napoli, autrice di scene esilaranti che sono sicura faranno sorridere. Inoltre a breve vedrete in onda la fiction “Sorelle” di Cinzia Th Torrini, un thriller melo nella quale ho interpreta un ruolo piccolo ma fondamentale per lo svolgersi della trama. Un vero e proprio giallo con sfondo romantico diretto da una grande donna e regista che non lascia nulla al caso ma curando ogni dettaglio crea dei lavori magnifici. Lavorare per lei è stato un vero onore…”. 


Oltre a Cinzia Th Torrini sei stata diretta da molti registi nella tua carriera. Un ricordo tra tutti al quale sei più legata?
“Ve ne sono tantissimi in quanto ogni volta che sono su un set cerco di creare una famiglia, tessendo poi con tutto il cast e la produzione dei legami che permettano di generare la giusta empatia anche per la realizzazione del film. Quindi da Vanzina, a Salvatores, Ozpetek che dopo uno spot girato sotto la sua direzione mi ha voluto in un suo film, con tutti questi grandi Maestri del cinema italiano ho un ricordo speciale. E oltre a loro ho sempre un pensiero per Vincenzo Verdecchi, regista delle “Tre Rose di Eva” che purtroppo ci ha lasciato: una persona gioiosa, che amava la vita, dal quale ho imparato tantissimo”.  


Oltre al cinema nella tua carriera annoveri anche molte esperienze televisive come “Miss Buona Domenica” e altre ancora. Torneresti al piccolo schermo?
“Il mio grande amore è e resterà il cinema ma se dovessi ricevere una proposta potrei valutarla. Presentare è una cosa che ho sempre fatto, ma preferisco allontanarmi da me stessa, recitare piuttosto che presentarmi in prima persona. Se devo essere me stessa preferirlo esserlo con gli amici e con chi mi circonda, accettando le critiche per un’interpretazione più che come persona”.


Un sogno?
“Ne ho tantissimi ma sono superstiziosa per cui preferisco non rivelarli. Dirò quello generale che è di trovare serenità e felicità nei tanti sali e scendi che la vita ci riserva, dettati spesso dalla perdita delle persone care che abbiamo accanto. Questa è una delle cose con il quale sto ancora cercando di trovare il mio equilibrio che contrasti la mia parte più sensibile ed emotiva che quando sei attore serve ma va gestita nel modo migliore. E per gli altri sogni più grandi…incrociamo le dita”.


Sorrento2016_fotoAntonioPane_Elisabetta-Pellini_IDiteloVoi_1H
Il cast di “Gomorroide” in uscita al cinema


elisabetta_pellini_1


IMG_0039

 

Il web sorpassa la tv

Un rapporto pubblicato da eMarketer ritiene che il tempo speso per l’utilizzo dei media digitali tra gli adulti degli Stati Uniti abbia superato il tempo trascorso con la TV in quest’ultimo anno. Una tendenza guidata dalla crescente proliferazione dei dispositivi mobili. 
Nel 2014, il tempo trascorso su smartphone e tablet negli Stati Uniti passa al 23,2%. Sorprendentemente, il mobile è diventato così popolare, che l’uso di media online classici si riduce costantemente dal 2012.

La somma dei dati mobile/computer tradizionali riesce a superare l’utilizzo della televisione come mezzo informativo, complice anche il calo di radio e carta stampata.


Anche l’impegno pubblicitario e gli investimenti nella pubblicità sul web hanno superato qualsiasi altro media, lo si afferma in un altro rapporto, diffuso da ZenithOptimedia e riportato da TechCrunch, che proietta gli investimenti pubblicitari globali per quest’anno in corso, con previsioni che parlano di una cifra record di spesa sul Web pari a 87 miliardi di dollari.

Quella annunciata sembrerebbe una rivoluzione epocale, soprattutto perchè drogata da commenti entusiastici di guru cyber utopisti.
Nelle analisi tuttavia non vengono considerati alcuni fattori importantissimi.
Parlare di web ha sempre seguito una sintassi per cui “un sito vale un sito”, qualsiasi sito fosse. L’idea che tutti siano uguali in rete è un concetto abbandonato tuttavia da tempo.


Facciamo qualche esempio.

Siamo invasi di offerte per aprire siti gratuiti o quasi. Poi si scopre che per avere un blog degno di questo nome si devono spendere alcune centinaia di euro ogni anno. Ma quello slogan iniziale fa si che si crei e alimenti il mercato del web. 
Non parliamo delle offerte “tutto compreso” per un sito di e-commerce. Che dopo che hai rifiutato preventivi onestissimi perchè li consideri alti, ti ritrovi a spendere il triplo facendo peggio e perdendo un sacco di tempo. 
Per non parlare di GoogleAdvert che avrebbe dovuto arrichire tutti i titolari di siti inserendo la pubblicità… senza sforzi. Mi chiedo a quanti sono stati chiusi account senza spiegazioni, senza numeri di telefono da chiamare senza aver visto un dollaro. Divenendo anche quello strumento una macchina “mangia soldi” (degli inserzionisti – che se smettono di fare inserzioni vengono penalizzati nei risultati di ricerca) e al servizio di pochi siti con grandissimo traffico, che spesso intensificano investendo i guadagni da Google su Google stesso!


In realtà il web venduto come “alla portata di tutti” è una rete globale sempre più in mano a pochissimi player sia delle infrastrutture (Google, Veracom, Amazon) sia delle piattaforme (Apple, Microsoft, Facebook) che dei contenuti. 
Si perchè questi sono i tre piani della rete: infrastruttura attraverso cui i dati viaggiano, piattaforme su cui vengono veicolati e grandi contenitori e produttori di contenuti.

Le statistiche che dicono che nel web verranno investiti oltre 90 miliardi di dollari nel 2015 non dicono che i 2/3 di quella cifra vanno in meno di 400 portali intenet. In modo diretto o indiretto. 
E quelle statistiche non dicono nemmeno quanta parte di pubblicità in calo su una televisione o su un giornale in realtà vanno sui relativi siti di informazione online di quella stessa tv e di quello stesso giornale.

Non sono cose da ABS o CNN. Basta leggere i dati di Repubblica.

Nelle sale con “The Martian”, Ridley Scott prepara il sequel di “Prometheus”

Nonostante la sua versatilità, Ridley Scott si è fatto apprezzare soprattutto come regista di film di fantascienza e di film storici dai toni epici. I suoi primi due film di grande successo sono stati Alien (1979) e Blade Runner (1982), mentre quando ha provato a cimentarsi con argomenti storici, a parte Il Gladiatore (2000), non gli è andata benissimo, se si pensa anche all’ultimo, Exodus – Dei e Re (2014), che negli Stati Uniti si è rivelato un flop di incassi, non coprendo nemmeno i costi di produzione (per non parlare, poi, della feroce censura in Egitto e in Marocco per le varie incongruenze storiche e per la scelta – discutibilissima e legata alle politiche di marketing tipicamente hollywoodiane – di far interpretare dei personaggi biblici a degli attori americani, dai tratti occidentali).


Ad ogni modo, il genere in cui il regista ha dimostrato di trovarsi più a suo agio è stata la fantascienza, e il fatto che il 2 ottobre esca nelle sale americane The Martian – Il sopravvissuto (in Italia uscirà il 1° ottobre) e che in cantiere ci sia il sequel di Prometheus (2012) non sorprende affatto. The Martian, tratto dal romanzo di Andy Weir L’uomo di Marte, è una versione futuristica di Robinson Crusoe in cui l’isola deserta è sostituita con il Pianeta Rosso, uno dei luoghi più ricorrenti della fantascienza, tanto da ispirare innumerevoli scrittori e sceneggiatori, affascinati dal mistero che si cela dietro al pianeta del sistema solare più simile e più vicino alla Terra. Uno dei primi a lasciarsi incantare da Marte fu H.G. Wells nel romanzo La guerra dei mondi (1897), da cui sono stati tratti due film, l’ultimo dei quali di Steven Spielberg (2005), in cui i marziani erano esseri superiori ai terrestri dal punto di vista tecnologico ma incapaci di difendersi dai batteri atmosferici. Anche Frank Herbert, nel suo ciclo di Dune (da cui è stato tratto l’omonimo film di David Lynch, basato sul primo romanzo su una serie di sei libri), si è probabilmente ispirato a Marte, visto che il pianeta Arrakis è una vasta landa desertica.


Ossessionato da Marte era Doug Quaid in Atto di forza (1990). Quaid addirittura sogna di visitarlo e per questo si rivolge a una società che si occupa di viaggi mentali, desiderando ottenere la memoria di un agente segreto. Atto di forza, basato su un racconto di Philip K. Dick, ha avuto un remake, Total Recall (2012), non all’altezza però del film di Paul Verhoeven, già buono di per sé. Diversa è stata invece l’interpretazione di Tim Burton, che in Mars Attacks! (1996) ha voluto parodiare i cliché dei film di fantascienza sull’invasione aliena, aggiungendoci quell’umorismo nero tipico dei suoi film, mentre in Mission to Mars (2000) di Brian De Palma, il pianeta rosso diventa la meta di una spedizione di soccorso, che si trova a far fronte all’inspiegabile mistero del volto – o di quello che sembra un volto – che compare sulla superficie marziana.


Un anno dopo Mission to Mars, ecco un altro maestro del cinema che propone la sua interpretazione di Marte: è John Carpenter con il criticatissimo Fantasmi da Marte (2001), con la solita idea della colonizzazione da parte dei terrestri. Un’idea, questa, recuperata da alcuni classici di fantascienza degli anni Cinquanta: ad esempio Cronache Marziane (1950) di Ray Bradbury, a cui si devono meriti letterari che superano abbondantemente i confini della narrativa di genere (si pensi a Fahreneit 451), visto che si sottolinea la somiglianza tra la colonizzazione possibile di Marte e quella del Nuovo Mondo, con critiche nemmeno troppo celate sul comportamento dei colonizzatori nei confronti dei nativi marziani. Altro autore apprezzatissimo è stato Arthur Clarke, che nel romanzo Le sabbie di Marte (1951) ipotizza addirittura una convivenza tra le due razze.


Non poteva mancare Isaac Asimov, autore di numerosi cicli di fantascienza, ma anche di una serie per ragazzi che ha per protagonista Lucky Starr: e il primo romanzo di questa serie, Lucky Starr, il vagabondo dello spazio (1952), è ambientato proprio su Marte. Un decennio dopo, anche Robert A. Heinlein ambienterà su Marte quello che è considerato il suo capolavoro, Straniero in terra straniera (1961), con cui si aggiudicò il Premio Hugo. In questo caso, però, si tratta di un viaggio opposto, ovvero da Marte verso la Terra. In particolare, è il ritorno a casa di un uomo allevato dai marziani, che deve pian piano reintegrarsi tra i terrestri. Infine, tornando ai film ambientati su Marte, l’ultimo in ordine di apparizione è stato il John Carter (2012) targato Disney, basato però sul romanzo di Edgar R. Burroughs Sotto le lune di Marte (1916).


È evidente, quindi, che il tema sia tutt’altro che nuovo e che letteratura e cinema (ma anche i fumetti, ad esempio Nathan Never) vi abbiano attinto in abbondanza, saccheggiando una buona parte delle soluzioni narrative che un contesto simile avrebbe potuto proporre. Quanto a Ridley Scott, il regista non ha dimenticato che gran parte del suo successo lo deve – come si è detto – ad Alien, saga che ha coinvolto registi del calibro di James Cameron (Aliens – Scontro finale), David Fincher (Alien 3) e Jean-Pierre Jeunet (Alien – La clonazione) e che ha portato a una contaminazione (o crossover) con un’altra serie di enorme successo come Predator. In parallelo al sequel di Prometheus, che si intitolerà Alien: Paradise Lost, e che sarà diretto dallo stesso Ridley Scott, si svilupperà Alien 5, diretto stavolta da Neill Blomkamp (District 9, Elysium, Humandroid), di cui il regista del Gladiatore sarà produttore e supervisore. Più che Alien 5, la numerazione effettiva sarebbe 2.5, visto che si colloca, a livello cronologico, tra Aliens – Scontro finale e Alien 3. Nel film di Blomkamp tornerebbe il Caporale Dwayne Hicks, ma ci sarà spazio anche per la protagonista assoluta della saga, Ellen Ripley, interpretata, come sempre, da Sigourney Weaver.


Ridley Scott pensa, invece, a quello che è accaduto prima del suo Alien. Il regista ha ammesso che tra Prometheus e Alien non c’era alcun legame, nonostante la distanza temporale, nella finzione narrativa, sia di una trentina d’anni circa (Prometheus è ambientato nel 2091; Ripley incontra per la prima volta gli xenomorfi nel 2122). Nemmeno nel cosiddetto Prometheus 2 ci saranno collegamenti diretti con Alien, ma bisognerà attendere almeno il terzo o il quarto sequel prima di poter tornare alla franchise del film del 1979. Il titolo, insomma, potrebbe trarre in inganno. Chiaro che non si tratti di una casualità: il richiamo al poema di John Milton permette di dare già una prima chiave di lettura; o meglio, la questione alla base del film l’ha proposta Michael Ellenberg, produttore esecutivo del primo Prometheus: «Cosa accadrebbe se si potesse incontrare Dio, ma questi si rivelasse essere il diavolo?».


Nessuna risposta, perlomeno non prima del 2017: Alien: Paradise Lost dovrebbe entrare in produzione nella primavera del 2016. L’obiettivo dei sequel, secondo Ridley Scott, sarà spiegare come e perché sono stati creati gli xenomorfi. «La domanda più semplice era: “Chi diavolo c’era nella nave trovata in Alien? Chi c’era al suo posto e perché portava quel carico? E dove andava?”», ha detto Ridley Scott. «Ci ho pensato per un po’ ma ero troppo impegnato e non avevo davvero nulla in mente e così, quando ho finalmente archiviato Alien vs Predator ho pensato: “Sai una cosa? Questa sì che è una buona idea”. Più ne parlavo e più pensavo: “Dannazione…” Il film [“Prometheus 2”] stavo per chiamarlo Alien: Paradise Lost perché ho pensato che avesse una connotazione inquietante l’idea, perché prepara la nostra concezione e l’idea di Paradiso, qualcosa suggerito dalla religione, e la religione dice “Dio” e poi Dio, che ci ha creati, e questa è una cosa sicura».


«Se c’è il Paradiso», ha aggiunto Scott, «non può essere quello che si pensi che sia. Il Paradiso ha qualcosa che lo rende estremamente sinistro e inquietante.» La sceneggiatura di Alien: Paradise Lost sarà scritta da Jack Paglen e Michael Green. Nel cast, come in Prometheus, Noomi Rapace e Michael Fassbender.



FONTE: MOVIEPILOT