“Non avere pregiudizi” – così recita un vecchio aforisma e così inizia il discorso di Matias Perdomo, chef di Exit Pastificio Urbano, chiamato a interpretare Bluraphsody, la pasta 3d.
Allontanatevi dal piatto più confortevole del mondo, la pasta al pomodoro, quella bollente appena scolata e insaporita da un acceso pomodoro di San Marzano, scardinate i metodi di cottura, le forme della nostra memoria infantile, e provate a sedervi sulla tavola del futuro, è qui che inizia il viaggio di Bluraphsody, dove l’elemento pasta diventa un gioco.
Bluraphsody, brand di 3d Food srl, è la start up del Gruppo Barilla che ha ideato una stampante 3d atta a stratificare, creare, diversificare il concetto di pasta classico. Antonio Gagliardi, Ingegnere che lavora al progetto dal 2017 e alla creazione della stampante unica al mondo, con l’entusiasmo di un bambino racconta le difficili fasi di realizzazione e fattibilità, quelle che servono ad accontentare gli chef creativi come Matias Perdomo, che ama la pasta e su questa fonda un ristorante dedicato, Exit Pastificio Urbano, dove non esistono antipasto e secondo, ma dei pre-pasta e post-pasta. Anche questo è futuro. Perchè nell’immaginario collettivo questo piatto è sinonimo di carboidrati, mentre le semole pregiate sono ricche di proteine, come quelle utilizzate da Bluraphsody, che permette l’acquisto non solo ai grandi chef ma al pubblico attraverso lo shop online, un modo divertente di incantare i propri ospiti e giocare su forme e sapori.
Niente maccheroni rigati nel piatto, Matias Perdomo ha voluto giocare sui contrasti di sapori e ha ideato una conchiglia (la pasta) che racchiude ceviche peruviano su un gazpacho spagnolo, un viaggio intorno al mondo. Splatter l’interpretazione del formato Mussel, che racchiude la protagonista del piatto, la cozza. Sapori di mare e consistenze gommose abbinate a nero di seppia, tendini di vitello, tartare di ostrica, alghe e salsa di peperone verde.
Sapori di casa invece per il formato DNA, che tanto mi ha ricordato il sugo delle braciole della nonna pugliese; e giochi da matrioska per il piatto Geometria, la quadratura del cerchio, dove lo chef nasconde una pasta sferica dentro un cubo di gelatina nervosa con vitello tonnato e un’idea di insalata russa.
Via libera alla fantasia quindi, divertitevi con gli acquisti cari appassionati di Masterchef e tenetevi pronti per la nuova frontiera della pasta, cari gourmet, che questo è solo l’inizio.
MAMÌ PRESENTA “STORIE DI CUCINA ITALIANA”, LA FORZA DELLA REGIONALITA’
Il ristorante Mamì presenta la sua proposta enogastronomica attraverso un tour della penisola italiana, insieme a personaggi di spicco come Stefano Callegari e Corrado Assenza.
I colori rassicuranti dei ’70, i gialli, gli ocra, i caldi arancio, e un design moderno ed elegante al Mamì, il ristorante italiano nel dinamico quartiere di City Life.
“Storie di cucina italiana” è l’offerta gastronomica di Mamì che esalta la tradizione della nostra amata terra, ne valorizza i sapori, ne sottolinea l’importanza e ha l’obiettivo di elevarla e farla tornare una moda, che oggi invece tende verso la cucina fusion, japan ed esotica.
Perchè se per qualcuno il giardino del vicino è sempre più verde, dobbiamo invece ricordare che in casa siamo già vincenti, per materie prime, cultura e tradizione culinaria, allora perchè non proporre un menu che fonda tutti questi valori e li rappresenti sulla tavola? E Mamì si fa promotore con grande professionisti per il lancio del nuovo menù, come la guest Stefano Callegari, ideatore di uno dei format di street food italiani più famosi al mondo, il Trapizzino, che presenterà l’iconico angolo di focaccia in diverse versioni, classica e innovativa, ispirate alla nuova carta del ristorante; o il Maestro Pasticciere Corrado Assenza che porta in Lombardia il dolce che ha reso la pasticceria italiana famosa in ogni angolo del pianeta, sua maestà il Cannolo Siciliano.
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E della regionalità, punto di forza del menu di Mamì, come non parlare della mozzarella di bufala del casaro Biagio Floro, il Casaro Nero, ripiena di orecchiette e cime di rapa o della burrata servita con tartufo e peperone crusco. Ma ancora dalla Toscana il Prosciutto Crudo sì, ma servito con fichi nell’impasto del pane; e dal Piemonte la Battuta di Fassona, resa unica dai fiori di cappero e dalla maionese all’acciuga, una cucina che richiama i colori sgargianti della terra del Sole e i profumi di quelle infinite tavolate imbandite dove il mangiare insieme alla famiglia era il momento più vero e sincero tra uomini che oggi corrono da un appuntamento all’altro e si accontentano di un finger food all’evento più trendy.
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E’ tutta la Penisola a parlare sulla tavola del Mamì, che non è solo il ristorante dell’hotel Melià, ma uno spazio aperto a tutti i clienti che hanno voglia di tornare indietro nel tempo e assaggiare i piatti storici e iconici rivisitati e impreziositi dall’esperienza degli addetti al settore.
“Ogni ricetta racconta una storia, una regione, una città o un posto speciale in qualche angolo d’Italia” ci ha raccontato Nicholas Dileo – Responsabile F&B Meliá Italia. “Obiettivo fortemente legato alla qualità della materia prima che selezioniamo dai migliori produttori d’Italia, punto di partenza per la reinterpretazione di tradizioni gastronomiche antiche e di famiglia che hanno ispirato le nuove ricette contemporanee” continua. Lo studio e la realizzazione del menù sono affidati alle mani di Roberto Picozzi – Executive Chef Meliá Milano – e Pio De Filippo – Mamì Restaurant Chef.
L’esperienza al Mamì è un vero e proprio viaggio nel tempo e nel territorio che unisce tutti a tavola, tra i ricordi d’infanzia e il moderno cucinare. Il menù sarà la riscoperta del nostro dna!
E’ un open space, un recupero industriale che sarebbe lo spazio ideale per un’abitazione in stile industrial, ma chi ci abita è lì per servirvi: in zona Farini apre EDIT.
Eleganti divanetti in velluto grigio, poltrone e sgabelli porpora e purple, sono la zona cocktail per un aperitivo con gli amici; rosso Ferrari le sedie nell’area dinner e protagonista assoluto il bancone in cemento armato con un top in peltro e una carrellata di distillati illuminati pronti per farvi vivere l’esperienza della nuova arte in città, la mixology.
Progettato e curato dallo studio di architettura e design Lamatilde, EDIT è la nuova offerta all’esperienza completa di un locale milanese in stile newyorkese: colazione, pranzo, aperitivo, cena e dopocena sono i cinque momenti di servizio continuo.
Dopo la prima apertura del birrificio urbano a Torino, nel 2017, EDIT conquista in pochi anni dimensioni da vera e propria Craft Brewery nel panorama italiano, grazie a importanti investimenti in tecnologia, personale e macchinari. A distanza di cinque anni, EDIT approda a Milano, un locale inedito e una proposta che rappresenta la qualità del made in Italy: le sue birre sono create con i migliori ingredienti e tecniche all’avanguardia, confezionate in un packaging dal design innovativo, che rompe la tradizione del mondo craft italiano.
In carta troviamo sia le birre di EDIT, la cui produzione è direttamente in casa e in bella vista, sia una selezione di etichette ospiti nazionali ed internazionali.
Consigliamo la birra Liquifade vincitrice del primo premio nella categoria 19 delle birre chiare e ambrate luppolate in aroma di stampo americano e ad alta fermentazione.
A coccolare i clienti ci pensa una proposta gastronomica con specialità piemontesi, golosissima già dagli antipasti, come i bocconcini di salsiccia di Bra e robiola, gli straccetti di pollo grissinati fritti, e i Guao Bao ripieni di pancia di maiale stracotta alla Birra EDIT Brewing e cipollotto brasato, o con guancia di Fassona stracotta al Nebbiolo.
Sui secondi non perdetevi il petto d’anatra alla birra Edit Brewing, arancia e miele, addolcitevi con la torta tradizionale Csenta di Palazzolo Vercellese con zabaione freddo al Moscato d’Asti, e per chiudere in bellezza chiedete del limoncello di loro produzione, più propriamente “liquore di limoni e birra Hoppy Little Sister”, una sorpresa di sapori nuovi freschi e leggermente erbosi.
Una vera rarità trovare un luogo dove il mangiare bene si sposi con il bere bene e soprattutto con un’accoglienza eccellente; EDIT è la soluzione perfetta per chi ama le comodità, si può iniziare con un aperitivo e terminare con un drink post-cena; gli spazi lo consentono, l’eleganza dello stile industrial chic pure.
UAF Family è la rivoluzione generazionale, una bellissima App che unisce Nonni e Nipoti. Questi si incontrano per fare delle attività insieme ed eliminare la terribile malattia della solitudine. Funziona con i match delle tipiche App di incontri, abbiamo intervistato i fondatori di questa nobile iniziativa, Cecilia e Matteo:
Come, quando e perchè è nata l’idea di creare UAF Family?
L’Idea di UAF nasce durante il primo lockdown dove, per la prima volta, ci siamo resi conto di cosa significhi la solitudine e di quanto dolorosa possa essere. Certo, per me e Matteo, fondatori di UAF Family, la situazione era temporanea, ma per molte persone, soprattutto anziane, la solitudine è un problema costante che mina seriamente la qualità della vita e crea un disagio profondo e duraturo. Io e Matteo siamo molto legati alle nostre nonne e non possiamo negare che è stato proprio pensando a loro che abbiamo iniziato ad interrogarci su questo problema così diffuso eppure lontanissimo da noi giovani.
Inizialmente abbiamo cercato servizi che aiutassero gli anziani da questo punto di vista, servizi specializzati nel risolvere il problema legati alla solitudine, servizi che non richiedessero l’utilizzo di badanti o operatori sanitari, ma non abbiamo trovato nulla. Così abbiamo capito che toccava a noi attivarci per trovare una soluzione semplice ma efficace. Ed abbiamo creato UAF, acronimo di You are Family.
Da quante persone è formata la società? Che rapporto avete?
Io e Matteo Fiammetta siamo i due co-founder dell’azienda; siamo amici da moltissimo tempo, dalle scuole elementari. Si può dire che ci conosciamo da tutta la vita e da tutta la vita ci accomunano le differenze. Sembra un ossimoro ma non lo è: guardiamo le cose in modo molto diverso ma complementare e questo ci aiuta sempre, anche nei momenti di tensione.
Cecilia e Matteo, fondatori di UAF Family
Come funziona l’app di UAF Family?
Il cuore di UAF è una piattaforma semplice da usare dove Il Nonno lancia la sua richiesta e I Nipoti registrati in piattaforma si rendono disponibili. A mettere insieme la domanda e l’offerta, però, ci pensa un algoritmo proprietario che, per ogni richiesta, seleziona una rosa di 2 o 3 nipoti in base alle caratteristiche e alle esigenze indicate. Il nostro algoritmo cerca di fare un match perfetto tra Nonni e Nipoti, così da favorire uno scambio più efficace ma, in ogni caso, sarà sempre il nonno ad avere l’ultima parole selezionando il nipote con cui vuole svolgere l’attività.
Una volta avvenuto il match, nonno e nipote potranno incontrarsi sia da remoto che dal vivo (a discrezione del Nonno). Dopo il primo incontro il Nonno potrà decidere se incontrare nuovamente lo stesso Nipote oppure cambiare; insomma, un sistema altamente tecnologico ma semplice da usare, che lascia ai Nonni ampia libertà di scelta. Ovviamente abbiamo pensato anche alle persone meno inclini alla tecnologia rendendo il servizio prenotabile attraverso un Numero Verde gestito dai nostri operatori. Insomma, tutto semplice e utile come gradiscono le nostre nonne, nostre muse ispiratrici.
Un privato (nonno) può contattare UAF Family o gestite i collegamenti solo conaziende convenzionate?
A regime la piattaforma sarà disponibile tanto per i singoli quanto per gli utenti affiliati ad aziende convenzionate; in questa primissima fase i contatti avvengono per lo più attraverso le varie aziende affiliate.
Un “nipote” può proporsi spontaneamente?
Certamente! Ogni aspirante nipote può candidarsi compilando il form che trova all’interno del nostro sito; successivamente fisseremo un colloquio per approfondire la conoscenza e le motivazioni. Superato il primo screening, il nipote potrà accedere alla piattaforma, dove dovrà seguire un percorso con una nostra psicologa, ed infine superare un esame scritto.
E’ una preparazione necessaria alla quale teniamo molto perché vogliamo tutelare tanto i nipoti quanto i nonni. I primi devono sentirsi a loro agio e la preparazione aiuta molto in questo senso; i nonni devono interagire con nipoti preparati e affidabili!
Cosa fa un “nipote” per un “nonno”?
Un nipote per un nonno fa tantissimo! Per darti un esempio, all’interno della piattaforma ci sono più di 30 attività che nonno e nipote possono fare insieme.
Le attività sono le più svariate per lasciare ad ogni utente la possibilità di scegliere ogni volta l’attività che più preferisce in base ai propri interessi.
I nipoti possono accompagnare i nonni a fare la spesa o un bel giro in centro città, possono andare al cinema o a teatro, oppure una semplice partita a carte. Ma non basta! dubbi sulla tecnologia? I nipoti sono insegnanti bravissimi! Vorrei però sottolineare quello che, per noi, è il vero valore di UAF: mentre si svolgono le attività si crea una relazione di ‘scambio’ umano e generazionale che arricchisce tanto gli uni quanto gli altri. Due estremi della società si uniscono, con i ragazzi cerchiamo di far sentire nuovamente i nonni integrati, parte di valore nella società.
Quanti “nipoti” e quanti “nonni” avete oggi sull’app?
Abbiamo moltissimi nipoti e altrettanti nonni. I numeri sono in aggiornamento costante quindi è difficile, oggi, dare una media.
Cosa state facendo per ampliare il volume e la voce di UAF? Quali sono i prossimiobiettivi?
Il nostro obbiettivo adesso è renderlo alla portata di più nonni possibili. Stiamo stringendo partnership con vari tipi di aziende per raggiungere sempre più anziani. Dal punto di vista della comunicazione stiamo creando un brand forte e ben definito, con una veste accattivante e fresca. E poi? Allagheremo gli orizzonti geografici. Molte persone ci scrivono dicendoci che il nostro servizio sarebbe utile anche in altre città, non solo Milano, il prossimo traguardo sarà quello di arrivare in città come Torino e Roma.
Qual è il grande messaggio di UAF Family?
Il grande messaggio di UAF è ridare valore agli over. Non dobbiamo dimenticare le passate generazioni, anzi dobbiamo dar loro voce e ascoltarle, dobbiamo far sentire gli anziani come parte integrante di questa società. Tutto questo con l’aiuto di un’altra generazione: i nipoti. L’integrazione generazionale è la nuova rivoluzione nel modo di invecchiare ma anche di crescere. Perché se i nonni hanno bisogno dei nipoti, i nipoti allargano gli orizzonti grazie ai nonni!
Grande successo per l’undicesima edizione di VILLA D’ESTE STYLE One Lake One Car
Nella splendida cornice dell’Hotel Villa d’Este a Cernobbio si è tenuta ieri l’undicesima edizione di Villa d’Este Style One Lake One Car, l’esclusivo appuntamento ideato per celebrare la leggendaria Alfa Romeo 6C 2500 SS che porta il nome dell’Hotel.
Per l’occasione, l’Alfa Romeo 6C 2500SS “Villa d’Este” Touring del 1951 di proprietà dell’hotel Villa d’Este è stata raggiunta da altri due esemplari di questa rarissima Coupé, il quarto e l’ottavo esemplare dei circa diciotto ancora esistenti. Una di queste, vincitrice del Best of Show al Concorso d’Eleganza di Kyoto del 2018, ha percorso 600 km per raggiungere l’evento, ed altrettanti per tornare a casa, dimostrando che le auto d’epoca non sono sculture inanimate.
Nei giardini dell’Hotel più imponente del Lago di Como, una sfilata di automobili la cui eleganza difficilmente si ritrova tra i modelli contemporanei, che ha ricondotto alla storia delle mitiche Alfa Romeo. Ma tra queste altri gioielli d’epoca hanno animato i cuori degli appassionati, una MG NA da corsa del 1935, la risposta britannica alle Alfa di allora; due Alfa Romeo 1900, il modello successivo alla 6C 2500: una Sprint carrozzata da Touring ed ispirata proprio alla “Villa d’Este”, ed una Sprint Cabriolet Pinin Farina del 1952.
Continuando la presenza delle sportive Alfa di grossa cilindrata, spiccavano due 2600: una Sprint Bertone del 1963 e una Spider del 1962, una delle ultime Alfa a sei cilindri carrozzata da Touring.
Per completare la panoramica di vetture di lusso degli anni ’60, un eccezionale capolavoro di Pinin Farina, la Lancia Florida 1 del 1955, accompagnato dalla sua versione di serie, la Flaminia Coupé Pininfarina del 1962; un rarissimo esemplare dellaprima Lamborghini, la 350 GT Touring del 1965, ed una Maserati Quattroporte prima serie del 1969.
Era esposta infine una nuovissima Alfa Romeo Stelvio 6C Villa d’Este, versione speciale prodotta in edizione limitata, acquistata dall’Hotel per fare compagnia alla Alfa “Villa d’Este” originale.
Special guest dell’edizione, un motoscafo motorizzato Alfa Romeo 6C 2500, nato come progetto militare all’inizio degli anni Quaranta e destinato ad un uso bellico, particolarmente avanzato da un punto di vista tecnologico per l’epoca, grazie alla trasmissione con piede poppiero a doppia elica controrotante realizzata dalla CABI Cattaneo. Fabio Morlacchi, storico automobilistico ed esperto della storia Alfa Romeo, ha analizzato insieme a Marco Makaus, Project Manager delle iniziative Villa d’Este Style, la singolare unicità della storia e della tecnica di questo motoscafo.
“Con Villa d’Este Style One Lake One Car, colonna portante dei boutique events Villa d’Este Style, abbiamo inaugurato nel migliore dei modi la nostra 150esima stagione, in attesa di regalare ai nostri ospiti tanti altri momenti indimenticabili, come il prossimo appuntamento ‘Villa d’Este Style Vintage Yachting’ dedicato alle barche d’epoca, che si terrà il 12 giugno, e ‘Villa d’Este Style Electric Yachting’ dedicato a mobilità elettrica e sostenibilità, che si svolgerà il 17 settembre”, afferma Giuseppe Fontana, Presidente del Gruppo Villa d’Este.
“Anche quest’anno, con la collaborazione di collezionisti che custodiscono automobili eccezionali, abbiamo creato una installazione artistica e storica che per qualche ora ha plasticamente descritto la realtà che ha dato vita ad una automobile specialissima. La presenza di un motoscafo degli anni ’40, dotato di motore marino Alfa Romeo, ha poi rappresentato un ideale collegamento con la tradizione nautica di Villa d’Este e del Lago di Como”, dichiara Marco Makaus, Project Manager delle iniziative Villa d’Este Style.
Da Bella Milano Bistrot l’evento culturale del “Salotto Le Preziose”
E’ una piccola Calabria nel centro di Milano, in via Lazzaro Papi 19, il locale da bere dove la cucina calabra incontra la cucina liquida.
Il concept è molto chiaro, portare la passione, i profumi, i colori delle terre calabresi all’interno di un bistrot che proponga non solo un’affascinante design degno della modaiola Milano, ma anche la cultura tradizionale di una cucina che è condivisione e ha il sapore delle domeniche mattina in cui nonna preparava le passate di pomodoro. E’ da queste esperienze che nascono i cocktail signature di Umberto Oliva, bar manager di Bella Milano, come lo Smoky Mary (vodka infusa al rafano, colatura di alici, ponzu, salamoia di cucunci, pomodoro verde affumicato, pepe), dai ricordi del nonno che pastorizzava le conserve di pomodoro in un bidone colmo di fuliggine, e nell’aria rimaneva quell’odore inconfondibile che la nostra memoria porta con sé, nel tempo.
Ascoltare Umberto Oliva nella spiegazione dei cocktail sorseggiandoli al bancone, è un viaggio sensoriale che certamente avvicinerà anche i meno esperti all’affascinante mondo della mixology, c’è tutto il piacere di un mestiere che ama, c’è l’esperienza di un professionista, c’è il presagio del successo che Bella Milano diventi punto di riferimento della Milano da bere, per chi desidera bere bene sentendosi a casa.
Perchè la forza di Bella Milano sta nelle persone, dettaglio fondamentale che molto spesso passa in secondo piano, e a guidare questa grande famiglia è Giuseppe Surace, CEO di Bella Milano, calabrese doc che nonostante la giovane età possiede uno spirito imprenditoriale capace di guardare lontano e sognare in grande.
Da Bella è la ciam”Bella” la protagonista della cucina: un panino con il buco al centro che tipicamente si farcisce con pesce spada nel comune di Scilla, ma che al bistrot si arricchisce di molti ingredienti “tipici di ggiù”, quelli del pacco carico di nduja, colatura di alici, della salinità del mare.
E sempre aperti ad accogliere tutte le influenze artistiche di una Milano ricca di proposte, Bella Milano ospita il Salotto Le Preziose, gruppo di lettura tutto al femminile il cui nome è un omaggio alle donne parigine del 1659, fanciulle per cui linguaggio, modi, gesti, cultura, erano parte dell’educazione e dell’istruzione.
Il Salotto Le Preziose, a differenza di tutti gli altri salotti esistenti al mondo, è l’unico a possedere una particolarità, le iscritte vestono a tema in base al periodo storico del romanzo del mese. Presso Bella Milano si è tenuta la serata dedicata ai tarocchi, con lettura degli stessi, sul libro “ Il castello dei destini incrociati” di Italo Calvino, con un successo di pubblico interessato a passare una serata che allieti palato e spirito, perchè Umberto Oliva ha ideato una drink list apposita dedicata alle carte dei tarocchi.
Gioco, Gusto, Gioia sono gli ingredienti che non mancano a Bella Milano, il luogo dove sarete accolti con un abbraccio, dove tornerete per nostalgia, e che consiglierete ai vostri amici perchè ogni serata riserva sempre una bellissima sorpresa.
In occasione della 54a edizione di Vinitaly il Tour “Verona Meraviglia”, un itinerario ideato dal brand di Prosecco V8+ alla scoperta delle 7 meraviglie di Verona.
7 ottimi calici di Prosecco V8+ sorseggiati in 7 locali storici di Verona e seguiti dalla scoperta dei 7 monumenti iconici della città.
In occasione di Vinitaly, V8+ – Gli storyteller del Prosecco, propone “Verona Meraviglia“, un esclusivo itinerario alla scoperta della città che ospita la prestigiosa fiera vitivinicola italiana.
Dall’11 al 13 aprile, date dell’evento fieristico dedicato agli appassionati e ai professionisti del wine, si potrà partecipare al percorso ideato da V8+ in cui assaporare 7 calici di bollicine del brand accompagnati da una proposta gastronomica selezionata.
Un viaggio tra le mura della città dell’amore, che promuove bellezza, cultura e storia e i valori di V8+, che con i nomi di persona delle bottiglie, ha dato voce alle infinite sfaccettature del Prosecco, tra i vini italiani più conosciuti ed apprezzati al mondo. E allora con Toni, il Prosecco Valdobbiadene Superiore Cartizze DOCG, dopo un sorso all’Osteria all’Organetto, luogo storico nel cuore di Verona, si passa alle curiosità delle Basilica di San Zeno, dove Romeo e Giulietta si sposarono in gran segreto. Mentre invece Berto, il Prosecco DOC Brut di V8+ gustato da Marie Bistrot, il locale più trendy del veronese, ci racconta gli aneddoti del vicolo S.Marco in foro, dove il pozzo diventa protagonista di baci e di pericolose prove d’amore.
Ogni etichetta V8+ parla del processo di spumantizzazione con il metodo Martinotti, orgogliosamente italiano, dei giorni di fermentazione, del perlage, un modo semplice per avvicinare il consumatore al mondo del Prosecco e rendere la scelta più informata e consapevole.
Buon itinerario!
Qui le 7 meraviglie del percorso:
La Basilica di San Zeno, a pochi passi dall’Osteria all’Organetto.
Il Ponte di Castelvecchio, fatto esplodere nel 1945 dai nazisti e ricostruito completamente, adiacente al Bar Arsenale.
La Bocca delle denunce segrete, nata per accogliere gli esposti rivolti dai cittadini alla magistratura e vicina all’Osteria Caffè Monte Baldo.
Piazza delle Erbe, dove è possibile scorgere un osso di balena appeso all’Arco della Costa e successivamente sorseggiare un altro calice di V8+ presso il Bistrot della Scala.
La Chiesa San Nicolò all’Arena, da cui spostarsi verso l’Osteria Pizzeria La Benedetta.
Vicolo San Marco in Foro, dove nasce la leggenda del Pozzo dell’Amore, nei pressi di Marie Bistrot.
Piazza Bra, dove continuare a brindare nel vicino locale Demos.
Joseph Campbell, storico delle religioni e saggista, indica questo pensiero:
“Credo sia stato Cicerone a dire che, quando entriamo in un grande bosco avvertiamo la presenza di una divinità. Ci sono boschi sacri ovunque. […] Credo che questa sensazione della presenza della creazione sia un sentimento fondamentale dell’uomo.“
E come lui ricordiamo quanto altri grandi pensatori hanno tentato, nei secoli, di spiegare questo legame così forte, impalpabile, radicato, tra uomo e natura, Jung, Tolstoj che ne “La felicità domestica” scrive:
“Ho vissuto molto, e ora credo di aver trovato cosa occorra per essere felici: una vita tranquilla, appartata, in campagna. Con la possibilità di essere utile con le persone che si lasciano aiutare, e che non sono abituate a ricevere. E un lavoro che si spera possa essere di una qualche utilità; e poi riposo, natura, libri, musica, amore per il prossimo. Questa è la mia idea di felicità. E poi, al di sopra di tutto, tu per compagna, e dei figli forse. Cosa può desiderare di più il cuore di un uomo?”
La montagna con i suo paesaggi silenziosi e le vette che si ergono al divino, sembra il luogo dove lo spirito si placa e l’uomo cessa di competere con i suoi simili. E’ qui che vedo solo gentilezza e quella calma che una vita lontana dalla velocità porta alla serenità cui tutti, forse, aspiriamo.
E allora dedichiamo questi piccoli consigli a chi dalla città vuole scappare per ritagliarsi qualche giorno di felicità, un week end lungo dove occhio, cuore e mente si allineano, all’insegna del buon cibo, del buon vino e di lunghe passeggiate in cui ritrovare voi stessi.
GIORNO 1
Santuario di Santa Croce, Alta Badia
Raggiungibile in seggiovia, cabinovia e attraverso un sentiero da percorrere a piedi, il Santuario si trova sotto l’imponente parete rocciosa del Sasso di Santa Croce. Il paesaggio innevato che la circonda sottolinea la sacralità del luogo chiamato La Crusc in lingua ladina. Al suo interno troverete pareti addobbate dai doni lasciati durante i pellegrinaggi, Ex Voto Cuore Sacro e numerose preghiere scritte a punto croce, oltre a diverse reliquie all’interno dell’altare, come quelle dei Santi Leonardo, Ippolito, Virgilio di Salisburgo, Maria Maddalena, Agnese e Barbara. Eretta nel 1484, la cappella è raggiungibile per i più fedeli anche attraverso un percorso battuto, che rende la via crucis una fatica ben ripagata.
Per il ristoro oggi esiste un rifugio con una vista spettacolare, un tempo ospizio per il sacrestano e per i pellegrini, dove padre e figlio si possono riposare dopo una sciata, bevendo un tè del cacciatore (una bevanda calda a base di tè nero e grappa), e dove gli amici non hanno bisogno di riempire lo spazio con le parole, ma possono prendere il sole ed esserci con la loro sola presenza.
Santuario di Santa Croce
Hotel La Perla Ristorante – Corvara, Dolomiti
A conduzione familiare, un hotel con 56 stanze arredate in stile ladino con mobili in legno e rosoni intagliati da mastri artigiani; molti oggetti d’arredo sono stati recuperati negli anni ’60 con la rivoluzione dello stile dècor e inseriti con grande maestria nel contesto elegante della struttura. Il tocco muliebre della signora Annie, moglie del proprietario, lo vediamo nelle grandi composizioni di fiori freschi nella hall e di lavanda e ortensie nei quattro ristoranti dell’Hotel La Perla.
i ristoranti dell’hotel
La cura del dettaglio fa dell’Hotel La Perla un punto di riferimento dell’accoglienza dell’Alto Adige, di cui Michil, seconda generazione, ne è maestro. I clienti sono così legati a questo ambiente che ha l’atmosfera di casa che, al rintocco del Natale, spediscono piatti da collezione Royal Copenaghen, come da tradizione scandinava, pronti ad arredare il muro della stube con i colori bianco e blu dei preziosi oggetti.
sale ristorante
Nel Bistrot La Perla ogni sera un gruppo musicale si esibisce sulle note jazz, il servizio è eccellente, al cocktail bar il personale in camicia bianca e cravatta nera serve uno champagne cocktail con Bruno Paillard. Dal Menu consigliamo les escargot, non troppo agliate per fortuna, e un filetto di cervo con suo foie gras, uvetta, tartufo e salsa Rossini, una delizia per il palato.
Dalla cantina si contano 3000 etichette e 30000 bottiglie, alcune aperte nella zona che un tempo era dedicata agli amici di Ernesto, il proprietario, poi passata ad angolo degustazione e circondata da bottiglie, vuote ça va sans dire, con tanto di dedica sull’etichetta, simbolo di momenti goliardici.
Ernesto, appassionato collezionista, firma le pareti dell’albergo con le sue collezioni di orologi e sveglie, che ama anche aprire, vivisezionare ed aggiustare, oggetti misteriosi che raccontano il passare del tempo, ce lo ricorda bene l’ultima scena de “La migliore offerta” in cui Jeffrey Rush attende invano una visita abbandonando la speranza; e serrature di diverse epoche e grandezze, che rende fortissimo il legame con passato e tradizione.
il Bistrot dell’Hotel La Perla
Simone Cantafio, milanese di nascita, sangue calabrese e 5 anni trascorsi ad Hokkaido in Giappone, è il nuovo executive chef del ristorante La Perla. Ha lavorato nella famiglia più blasonata del Giappone in ambito culinario, 2 stelle Michelin, portando a casa rigore, disciplina, una moglie e una figlia. Oggi, ritornato in patria, “less is more” diventa la sua nuova filosofia, dove l’unica cosa ad abbondare è il gusto. Grande rispetto per le materie prime e per quel che la natura offre senza forzature.
Simone Cantafio ci confida che ad ispirarlo è spesso la musica, colonna sonora delle notti in cui nel silenzio prepara i nuovi piatti. Una composizione di Einaudi, tra i suoi preferiti, ispira il nuovo menu del ristorante La Stüa de Michil – Trasformazione e Perfezione. Ma noi non lo abbiamo ancora provato, vi faremo sapere.
L’hotel ospita inoltre, durante la maratona delle Dolomites di cui Michil è Presidente, una grande esposizione di bike in un’ala che affaccia verso l’esterno.
Dall’esigenza di ridare alla vita ciò che loro hanno avuto la fortuna di ricevere, nasce la Fondazione della famiglia. Ogni progetto ideato sostenuto e realizzato internamente, aiuta nei paesi sottosviluppati la crescita e l’educazione di donne e bambini attraverso l’istruzione e le strutture necessarie. Nella zona accanto alla spa, un corridoio raccoglie delle gocce di legno che rappresentano i nomi dei sostenitori della Fondazione, simbolo di quanto una goccia possa trasformare le cose diventando fiume, poi mare e infine oceano.
GIORNO 2
Rifugio Lee – Badia
Raggiungibile solo con la seggiovia quadriposto S.Croce, il rifugio Lee è una tappa obbligata se venite in Alta Badia. Recentemente ristrutturato, ha il legno più profumato della valle, il Cirmolo, un odore di bosco che anche internamente vi farà sentire in mezzo alla natura. Godersi un pranzo sulla vallata è un’esperienza che difficilmente trova le parole giuste, soprattutto quando la qualità e l’amore per il cibo combacia con la perfezione della natura. E dalla natura il ristorante prende gli ingredienti per creare delle ricette deliziose, come il pino mugo mescolato alla ricotta e spinaci, il ripieno dei ravioli, piatto icona che con la loro amarezza e originalità non si farà dimenticare. Dal menu consigliamo anche il tortellone al formaggio grigio, prodotto acquistato dal contadino locale, e i malfattini risottati con funghi di bosco, formaggio di baita, speck croccante e ristretto di Lagrein dello chef Agostini. Ma sarà lo strudel di mele con crema calda alla vaniglia a farvi venire già nostalgia di questo luogo, un profumo e un sapore di casa cui far seguire un pisolino sulle sdraio di fronte che danno sulla vallata, dove i larici toccano quasi il cielo.
Rifugio Lee
Maso Alfarëi – Badia
Siete pronti per viaggiare indietro nel tempo? Qui non serve la Delorean di Marty McFly, il gioco lo fanno le foto in bianco e nero di un intero albero genealogico, il pendolo che col suo ticchettìo scandisce i secondi, la Underwood accanto ad un vecchio como’ di legno. Questo è il Maso più caratteristico che potrete mai vedere in vita vostra, patrimonio culturale perchè si tratta della più antica casa della vallata, di foggia tardo romanica con stile architettonico medievale, arroccata e isolata, su scalini di pietra attraversati da marmotte imbalsamate e al cui ingresso troviamo simboli di buon auspicio, segno del passaggio dei Re magi.
Da 200 anni l’abitazione passa da una generazione all’altra ed oggi si possono prenotare cene tipiche ladine, in un ambiente accogliente, intimo, a conduzione familiare. Per iniziare una zuppa d’orzo accompagnata da un piatto di Tutres, frittelle ripiene di spinaci e ricotta o crauti, che da tradizione si mangiano con le mani; mezza luna con patate e formaggio, canederli con polenta e gulash, crapfen con marmellata di mirtilli rossi e per concludere una grappa al pino mugo molto amara.
Cosa rimane? La gentilezza discreta dei padroni di casa, che ti faranno sentire non un ospite, ma uno di famiglia; c’è in questa dimora, una carica positiva di energia misteriosa, dove la memoria sembra non avere età, epoche, dove il pensiero più negativo si affievolisce e lascia spazio solo al piacere della condivisione. Tutto è delizioso, come in nessun altro ristorante fatto di stelle e livree, perchè quando si cucina con il cuore, il piatto si fa ricco e gustoso.
Maso Alfarëi
GIORNO 3
Hotel Posta Zirm, Corvara Alta Badia
Dove alloggiare in questi 3 giorni in Alta Badia? L’hotel Posta Zirm è un’ottima soluzione per comodità e qualità. Un tempo rifugio di cocchieri, generali e avventurieri, il Posta Zirm offre una selezione di camere da standard a suites e una spa di 950 mq dove potervi coccolare. La matrimoniale superior deluxe totalmente in legno richiama l’atmosfera tipica ladina e dispone di doppio bagno con vasca e doccia, un angolo arredato con chaise longue e divanetti, ed un balcone ampio con vista verso il paese. Totalmente rinnovate nel 2017, le stanze matrimoniali ospitano quadri che rappresentano le carte da gioco, un dettaglio divertente e colorato che rende l’ambiente più moderno ed originale. Il breakfast offre un’ampia scelta di piatti dolci e salati, dalle omelettes alle torte tipiche, accompagnati da una brochure che viene stampata tutte le mattine, dove trovare consigli d’acquisto, destinazioni vicine, notizie meteo e l’aforisma del giorno; noi ne abbiamo trovato uno perfettamente calzante:
“Quanto monotona sarebbe la faccia della terra senza le montagne” – Immanuel Kant
Hotel Posta Zirm
Rifugio Pralongià – Corvara in Badia
Non si può dire di aver vissuto la montagna, senza averla attraversata a piedi. Per provare la sensazione di libertà e pace che le alte vette offrono, l’escursione per raggiungere la baita è quel che ci vuole, due ore di camminata verso la zona più alta dell’omonimo altopiano, 2109 metri sopra il livello del mare. E’ un deserto bianco la strada battuta da poche impronte, il resto degli sciatori lo raggiunge lungo le piste, tutt’intorno le cime innevate che ti guardano e ti fanno sentire piccolo eppure grande, parte di questo incredibile progetto chiamato Terra. Qui arriva quasi la voglia di perdersi, di lasciare l’inutilità delle cose materiali e di riscoprire quella vita umile e onesta che descrive con profondità Tolstoj.
La fatica del cammino, quasi liberatoria, viene premiata all’arrivo da una ricca degustazione di vini che ospita il Pralongià, la Wine Skisafari, i vini dell’Alto Adige in alta quota dove troviamo il Sauvignon Blanc di St. Quirinus, il Pinot Grigio Riserva Giatl della cantina Peter Zemmer e un avvolgente e intenso Gewurztraminer ” Elyond ” di Laimburg, dal profumo di frutta esotica, una buona freschezza e un sorso persistente che cattura e fa venir voglia di ordinarne una cassa intera.
Piatto stellato dell’evento “Sciare con gusto”, il filetto di cervo marinato nel whisky, topinambur e salsa ai mirtilli rossi e cioccolato fondente dello chef Davide Caranchini del ristorante Materia (1 stella Michelin). Ma la coccola del Pralongià arriva con il dolce tipico ladino, la Kaiserschmarrn, una frittata a base di uova e latte, nata in antichità da un errore dello chef dell’imperatore Francesco Giuseppe d’Austria che aveva dimenticato sul fuoco una crêpe e che per coprire la bruciatura la spolverò con zucchero a velo servendola scomposta accanto a della marmellata. All’imperatore piacque così tanto, che da allora diventò il suo piatto preferito; la ricetta cambia di casa in casa, qui al Rifugio è certamente la migliore assaggiata fino ad ora, ricca di uova, saporita e morbida, ottimo carburante per ritornare a valle e salutare con un “Arrivederci” il rifugio dove un gruppo musicale canta i successi italiani anni ’80 facendo ballare tutte le generazioni.
Nasce come un gioco la serata dedicata al Nero d’Avola organizzata dal “Consorzio di tutela vini Doc Sicilia“, degli assaggi alla cieca per concentrarsi unicamente sul gusto di questo vino icona della regione Sicilia.
Missione del Consorzio è da sempre rafforzare l’identità dei vini siciliani, migliorandone la qualità, l’immagine e il posizionamento sul mercato.
Antonio Rallo, Presidente del Consorzio, sottolinea: “Ogni giorno lavoriamo per comunicare al meglio il sistema ‘Sicilia Doc’ come produttore di eccellenza dei vini contemporanei, a fianco dei nostri produttori e delle nostre aziende così che possano essere sempre più competitive sui mercati di riferimento”.
Giornalisti, critici enogastronomici e addetti al settore hanno degustato 17 diverse varietà siciliane di Nero d’Avola accompagnate ai piatti dello chef Carlo Cracco, che per l’occasione ha ideato un menu vegetariano dove i tranci arrosto erano di verza e gli asparagi venivano esaltati dal tartufo nero.
Valorizzare e conservare la biodiversità dell’isola è importante per tutto il Paese; le varietà autoctone vanno conservate così come l’identità varietale e l’integrità sanitaria, per dare valore e sostegno alla qualità dei vini siciliani.
Se pensiamo che il vigneto siciliano è il più grande d’Italia con quasi 98 mila ettari di terra, e che in Europa ha la stessa estensione del vigneto tedesco, nel mondo misura tre volte il vigneto della Nuova Zelanda, superando addirittura quello sudafricano, significa che oggi la Sicilia è la prima regione in Italia per superficie vitata in biologico.
Ma la sua peculiarità, essendo il crocevia tra Europa, Africa e Medio Oriente, è che i prodotti della Sicilia regalano il gusto della cultura, la nostalgia della storia, un mosaico ricco di sapori e saperi. Ed è nella bottiglia del Nero d’Avola che si sprigionano, basta chiudere gli occhi, aprire i sensi e lasciarsi trasportare dalle note fruttate e balsamiche della zona di Ragusa, dove i terreni sono sabbiosi e calcarei, o da quelle più legnose della zona di Trapani, un viaggio tra castelli normanni e mari ventosi.
Stefano e Chiara, scappati da Milano per inseguire l’amore e il sogno, “Muralia“
La loro storia fa pensare agli inizi di quei film ambientati tra i vigneti toscani, i paesaggi sempre gialli di sole, gli animali in libertà, il calice sempre pieno, dove un’americana infelice scappa dalla sua terra, acquista un casolare tutto da ristrutturare per poi ritrovarsi innamorata e felice.
Per Stefano e Chiara il passaggio è similare, loro però sono due italiani che scappano da Milano, dalla vita frenetica del lavoro competitivo e abitudinario; il casolare è quello del nonno di lei, medico piemontese appassionato di agricoltura, e terreni adibiti all’allevamento di pecore. Stefano e Chiara rivoluzionano la destinazione e creano “Muralia”, azienda vinicola nata nel 2003 che fa di Poggiarello a Roccastrada (GR), territorio etrusco che 3000 anni fa coltivava la vite, il loro sogno!
E proprio “Muralia“, che in lingua latina significa “muro di pietra” e il cui simbolo è una mano, la mano che stringe rapporti, la mano che raccoglie i frutti dalla terra, la mano che accompagna, rappresenta la filosofia dell’azienda, i cui obiettivi non sono solo la produzione di ottimi vini, ma una gestione di cura e amore per la terra, di rispetto verso il prodotto e di sostegno del territorio.
Muralia
Un po’ di numeri e informazioni:
130 ettari, 14 ettari a vigna, 8 a oliveto ed i restanti a vivaio specializzato. Bottiglie prodotte da 65.000 a 90.000. La coltivazione delle viti avviene a diverse altitudini: al Poggiarello, 100 metri sul livello del mare e a Sassofortino, a 350/450 metri, sulla costa orientale del Sassoforte, un antichissimo vulcano spento che la lasciato nel suolo tracce profonde della sua attività.
Tutti i suoli sono caratterizzati da un’elevata presenza di ferro e minerali tipici del territorio ma, mentre i terreni più bassi posano su argille con grande presenza di scheletro, quelli alti posano su terreni molto sciolti e profondi, dove la presenza di gesso puro caratterizza la matrice di origine. I vitigni coltivati a cordone speronato e guyot sono principalmente Sangiovese e Syrah, ed in via residuale Merlot, Cabernet Sauvignon e Viognier.
Mercato: 90% estero: Stati Uniti, Cina, Corea del sud, Europa (ad esclusione di Francia, Spagna, Portogallo e Grecia)
Stefano e Chiara sono soci della Federazione italiana Vignaioli Indipendenti dal 2009.
Stefano, fondatore di Muralia
CERTIFICAZIONE BIO
Muralia dal 2018 ha ottenuto la certificazione Bio.
Intorno all’azienda non ci sono altre proprietà, per cui nessuna contaminazione, il che rende la conduzione biologica delle coltivazioni ancora più efficace e realmente sensata. Negli anni, oltre all’ utilizzo di sovesci e tecniche a zero impatto ambientale, sono stati installati anche pannelli solari e sistemi di depurazione delle acque reflue.
degustazione presso il ristorante Il Liberty di Milano
I PRODOTTI:
Presso il ristorante Il Liberty di Milano, una certezza in casa meneghina, lo chef Andrea Provenzani ha creato un menu in food pairing.
ll primo assaggio proposto, con una focaccia a lievito madre con paleta di pata negra e patata croccante è, in due annate, il
Chiaraluna Viognier Toscana Igp
2020 un bianco invitante dal carattere mediterraneo. Al naso è intenso con note di frutta tropicale. In bocca grintoso, buon volume e spiccata sapidità. 2018 al naso frutta gialla matura, buon volume e persistenza.
Manolibera Toscana Igp
Il secondo assaggio è il vino Manolibera Toscana Igp, nato quasi per scherzo dal “vino di merenda”, Sangiovese 50%, Cabernet 25%, Merlot 25% ha i sapori delle 17.00 quando ancora non è ora di pranzare ma prende quella voglia di abbinamento facile e libero. E allora frutta rossa fresca, e sorso di grande bevibilità. Lo chef lo ha abbinato ad un risotto alla parmigiana, ristretto di Marsala e fave di cacao, una delizia.
Maremma Toscana Rosso Doc “Babone” 2019
65% Sangiovese e 35% Syrah, al naso spezie dolci, sfumature vegetali, acidità matura al contrario dei suoi anni
E infine il
Muralia Toscana IGT nato da uve syrah 50%, cabernet sauvignon 30%, sangiovese 20% rosso rubino con note balsamiche, frutta a bacca scura, ribes, prugna e sentori di liquirizia persistenti, che lo chef ha abbinato ad una Tarte Tatin con scalogno al vino rosso, gorgonzola naturale, noci, maggiorana e pere marinate al Cognac, una sfida di Andrea Provenzani che ha lasciato tutti con penna e taccuino alla mano per segnare la ricetta.
Ma Muralia è soprattutto da visitare, perchè l’azienda agrituristica è aperta tutto l’anno per visite e degustazioni, con la possibilità di acquistare i vini della cantina facendo due chiacchiere con i proprietari, che tengono molto a raccontarveli di persona e aprirvi le porte al loro grande sogno, finalmente realizzato.
Esistono due tipi di persone, chi ha un totale disinteresse nei confronti della bellezza e chi della bellezza ne fa il proprio riflesso. Riki appartiene alla seconda categoria, fa parte di quelle persone i cui nervi si sentono ronzare intorno, alla persona, alle sue cose, alla sua casa.
La sua casa, uno spazio immerso nel bianco e nella luce, un appartamento che sembra scelto dal bisogno di ripulirsi da qualche rumore di sottofondo; ogni oggetto acquistato pare stimolarlo e cercare la sua attenzione, le sue cure; questa totale assenza del colore culla e trasporta, il minimalismo architettonico svuotato da ogni orpello emana un’energia zen.
E’ qui che Riki ricarica le batterie dopo i concerti, in uno stato d’animo calmo e distaccato pronto a cogliere ogni briciola di bellezza.
Maglia manica lunga Alessandro Gilles, giacca bianca e pantalone La Torre, sneakers stampa cocco Hide&Jack
Accoglie il team di SNOB per un servizio fotografico, chiedendo gentilmente di togliere le scarpe e abbandonarle fuori dalla porta, come è d’uso nella tradizione giapponese. Camminiamo scalzi sul pavimento prontamente rivestito di cellophane per accogliere gli abiti di scena, quelli che dovrà indossare nei vari scatti. L’atmosfera è ovattata, quasi eterea, il candore vellutato del tappeto panna accarezza il bianco della poltrona Utrecht di Cassina; di Riki, in total white in questa scena, buca solo il ghiaccio dei suoi occhi, che molto dicono ma molto lontano dal tenero.
Accanto alla poltrona, tre rami intersecati sembrano perdere l’equilibrio da un momento all’altro, sono una delle tante installazioni minimal che Riki ha scelto per scaldare l’arredo, eppure in questa pagina di vita, che è la sua casa, traspare una lettura di equilibri delicatissimi, quasi trasparenti, appunto come i suoi occhi.
giacca grigia Tombolini, camicia a righe e pantalone Out-Fit Italy
Senza peritarsi della cura ossessiva per ogni angolo di loft, il cantante italiano riesce a far sparire la ruga sulla fronte, quando corrucciata trapela l’ansia che qualcosa possa essere spostato anche solo di qualche centimetro, nel momento in cui svela la sua doppia vita, che non è il profilo di Patrick Bateman di American Psycho, ma l’interior designer che c’è in lui. Perchè Riccardo Marcuzzo ha una laurea in Design del prodotto conseguita allo IED di Milano e non ha mai abbandonato il desiderio di professare in questo settore, tant’è vero che a breve potremo acquistare un’innovativa lampada di design che ha ideato in collaborazione con un grande brand.
Riki rivelaci di cosa si parla troppo del tuo lavoro e di cosa troppo poco.
Si è tutti carichi di pregiudizi, la gente fa delle radiografie sui personaggi pubblici, ci vedono come dei privilegiati che macinano soldi, ma nella musica non ci sono più i tempi dei Pooh! A me hanno detto di essere entrato al 92mo, ho venduto molti dischi quando ancora era possibile, ma ora è tutto streaming e non si guadagna niente. Ti vedono come uno stronzo che se la tira, che non lavora, ma ignorano l’impegno che c’è dietro un disco e una canzone. Molti miei colleghi hanno la fortuna di fare una cernita delle canzoni che arrivano, per chi scrive invece è diverso, hai bisogno di storie da raccontare e in tempo di Covid e restrizioni è molto difficile.
Tu per chi scrivi canzoni?
Io scrivo per me stesso, per me è analisi, una valvola di sfogo, la pagina bianca come uno specchio che trova le parole che talvolta non sappiamo dire. E’ un processo molto naturale, come un flusso di coscienza e vorrei le mie canzoni fossero sempreverdi, quando invece oggi la musica è fast food, si ascolta un pezzo e lo si butta via. La musica oggi è come un post su Instagram, diventa vecchio.
trench Avec le Vent
Quali sono i processi di chi per mestiere fa il cantautore?
C’è chi scrive per contratto, e in quel caso si organizzano session in studio con autori e produttori e a fine giornata si è obbligati a tirar fuori qualcosa. Poi ci sono cantautori come me che cercano di vivere la vita il più possibile aizzando le antennine e cercando di scrivere ispirato. Talvolta sono anche gli altri a farmi da “musa”, le loro storie, il fascino delle esperienze, ma il più delle volte le canzoni sono il mio diario.
Scrivi più quando sei triste o quando sei felice?
Scrivo quando sono molto felice o molto triste, non esistono per me le vie di mezzo. Quando sono felice scrivo pezzi che fan venire voglia di ballare, quando sono triste butto fuori il dolore.
La verità è che scrivo i pezzi che vorrei ascoltare in quei momenti.
Durante la giornata quanta musica ascolti?
Pochissima. Quella di oggi non mi piace molto, viviamo su frequenze molto basse e anche la musica ne risente. Del passato amo Battisti e De Gregori.
Vivi quindi l’era fast, lo sei anche nella vita privata?
A momenti. Molti capolavori sono stati scritti in 5 minuti, succede come nella foto perfetta: quando tutte le combinazioni combaciano, il risultato è un capolavoro.
completo Giampaolo, t-shirt panna supima cotton Filippo De laurentiis
Descriviti con 3 aggettivi per vita privata e 3 per vita professionale.
Lavoro: – maniacale – insicuro (fino all’ultimo metto in dubbio tutto, ma sono arrivato alla conclusione che le canzoni più sincere sono le più vere e quelle che arrivano dritto agli ascoltatori) – sognatore (ho molti obiettivi e ci lavoro con calma, quando non li raggiungo non me ne faccio più una colpa)
Privato: – sicuro – diretto – introspettivo (e credo nell’energia delle cose, dei luoghi, delle case)
Quanto è importante un’azione di marketing per un cantante?
La mia è stata bizzarra: ho tolto tutte le foto dai miei social e da quel momento un sosia viveva esattamente la mia vita; si faceva foto con i fan, postava sul mio profilo, rispondeva ai commenti, e tutti scrivevano “ti sei rifatto gli zigomi, hai levigato il naso, hai fatto operazioni agli occhi”. Un cartellone enorme nel centro di Milano creato in partnership con gli Orticanoodles (un duo di street artist che hanno collaborato anche con Banksy) mi ritraeva nudo con la scritta “Rovinami”; le ragazze lasciavano dei cuori e i ragazzi scrivevano “Frocio”. Io nel frattempo stavo in Sud America, volevo fare tutto il contrario di quanto ci si aspetti da un talent che esce da “Amici” di Maria De Filippi; una bella trovata sociale che ti fa capire quanto il successo si trascina dietro l’invidia.
L’ esperienza artistica più importante?
L’ Arena del Messico con davanti 30000 persone; ho dovuto imparare lo spagnolo in pochissimo tempo e fare interviste in una lingua diversa dalla mia, fatica e soddisfazioni.
L’ Auditorium di Buenos Aires, tante collaborazioni andate molto bene, una crescita professionale.
Ma è in Piazza del Duomo a Milano per RadioItalia che avevo più adrenalina in corpo: 80 mila persone ed un sogno che si avvera, cantare davanti al simbolo di Milano.
Nei palazzetti invece ci si sente in famiglia, è una sensazione di pace perchè entri in empatia con il tuo pubblico; mentre Sanremo è politica e non me la sono goduta molto.
Fai il cantante da soli 4 anni e hai raggiunto già molti traguardi, da dove arriva questo rigore?
Dal bello, quando me ne innamoro divento quasi psicopatico e ne porto immenso rispetto.
Nei rapporti hai la stessa ricerca di perfezione? Non permetti a nessuno di sbagliare?
Metto in conto l’errore, sempre, ma sono anche convinto che si possa fare meglio.
“Imagine” di John Lennon, magari con una frase diversa avrebbe potuto essere ancora più bella di quanto già non lo sia. In amore si sbaglia, ma credo nella statistica: è difficile arrivare nel momento perfetto nella vita di una persona. Sono stato con una ragazza, 21enne commessa di un centro commerciale, quando io ne avevo 25, molto dolce e stava con me per quel che sono non per la mia popolarità, ma non eravamo allineati.
“La vita ci rincorre ma ci sbaglia i momenti” lo scrivo in una mia canzone.
giacca pelle Harmont & Baine, jeans white PT Torino, sneakers Hide&Jack
E l’esperienza emotiva più importante?
La nascita di mia sorella, avevo 14 anni. Testarda, riservata, matura. E la nascita del mio studio di design; finita l’università lavoravo alla grafica e al prodotto e con i soldi che guadagnavo pagavo le registrazioni per fare un disco, dovevo avere almeno sei, sette pezzi da presentare ad “Amici”, Maria ha creduto in me e le devo molto. Nella mia vita musica e design vanno di pari passo.
Raccontaci i retroscena della tua esperienza ad “Amici”
In una stanza molto piccola quando si è in tanti l’aria si fa pesante. Nell’andare avanti del programma abbiamo iniziato ad odiarci tutti, un gruppo non ben omologato e i tempi morti in studio non aiutano, men che meno il sottoscritto che pensava di sprecarne troppo a stare con le mani in mano. Ricordo che ero primo in classifica su Itunes e i ragazzi non facevano che criticarmi. Un giorno, esausto, sono scappato, avrei dovuto finire un pezzo ma non potevo, non si scrive schioccando le dita. Design e Musica, come farle combaciare?
Il design parla in una tutta la mia casa santuario, il luogo dove finiti i concerti vengo alla ricerca di tranquillità.
Lo trovo quando siedo sulla De Padova, quando bevo il caffè dalle tazzine Bluside in vetro chimico, nei cucchiaini che ho carteggiato con le mie mani, tra le sculture africane del 1800/1900 AOC (African Oriental Craft), nella luce delle lampade Flos e sul tavolo in legno disegnato dai miei amici del Belgio dove ho spatolato del microcemento perchè mi diverte!
completo grafico azzurro Carlo Pignatelli, t.shirt con logo New Era
Ma chi pulisce la casa?
Fino a due mesi fa io perchè non mi fidavo di nessuno, ho sempre paura si rompa qualcosa, o che si spostino oggetti da dove sono stati collocati al centimetro. Ma impegnava troppo tempo e ho dovuto cercare un aiuto domestico, una ragazza a cui ho fatto del terrorismo psicologico (ridiamo) e che ha le mani così delicate da riuscire a spolverare anche i fiori, che mia madre per farmi un dispetto aveva fatto cadere apposta!
trench Avec le Vent
Obiettivi futuri?
Sto lavorando a nuovi singoli, in uscita in primavera e in estate. In parallelo ho firmato una collaborazione con un grosso brand di design, ho disegnato una lampada “Per 2”, metafora della ricerca dell’anima gemella che, una volta trovati i due pezzi, si uniscono e si accendono.
Tra i miei sogni c’è anche l’idea di recuperare case ridandogli valore e bellezza.