STOKTON interpreta con carattere la stagione fredda grazie a una tavolozza cromatica cupa con qualche interferenza cromatica nei toni del blu e del porpora.
L’uso degli elastici e del neoprene è una chiara dichiarazione di identità per un prodotto urban che è sempre più riconoscibile e allineato con le tendenze più avanguardiste. Le suole a cassetta, sempre presenti, lasciano via via spazio a fondi strutturati e lavorati; la suola ruba la scena alla tomaia, diventando ancora una volta protagonista, anche se non più a contrasto ma in tono con la scarpa.
La running si evolve e si traduce nella scelta stilistica di tendenza del prossimo inverno, gioca col colore e gli accostamenti insoliti, sia di materiali che di lavorazioni.
Anche le basket più classiche in pelle bianca abbandonano la lineare pulizia della passata stagione e sposano accessori eccentrici come frange e maxi inserti in pelliccia mohair e shearling; il crackle invernale è a tinte fredde con pennellate metallizzate per un risultato camouflage cangiante.
Focus su materiali sempre più sportivi e underground, nelle varianti bottalate, e più sobri, radical chic, nelle varianti opache e perlate dei pitoni stampati.
Persistono le stampe 3D, come quella a rete, sia per lei che per lui e ritornano i pellami caldi e avvolgenti come i montoni shearling.
La modelleria di STOKTONBlack si amplia con nuove strutture. Gli stivali e stivaletti texani sono una novità assoluta: sia con le frange laterali che con le borchie e gli inserti metallizzati, rappresentano l’evoluzione naturale dei beatles frangiati con fondo a cassetta già presenti in collezione. Ritornano biker e francesine e, questa volta, anche mocassini con nappine che si sviluppano non solo su suole a carroarmato ma anche su fondi lisci, d’impatto più cittadino. Estremamente innovativoil fondo micro extra light che rende biker e anfibi estremamente più leggeri, confortevoli e pratici
La proposta STOKTON FW 2016 appare dunque un concentrato di creatività e artigianalità per un prodotto street dalle forti radici toscane.
La collezione Zerosettanta Studio per la prossima stagione diventa analitica, matematica, numerologica.
Prima di tutto, Ponderare!
Un gioco di equilibri tra sobrietà e stravaganza, tra tradizione ed innovazione regala alla collezione un’ eleganza senza eccessi.
La misura delle cose crea una proposta articolata in capi adatti in ogni momento della giornata.
Lo sguardo è all’ottimismo degli anni ’80 e alla moda che in quel periodo definiva capi icona le giacche da moto e da Safari, e nelle città i Giovani-Leoni macinavano affari nei loro carcoat o nelle giacche deostruite.
È proprio seguendo questo puzzle di costruzione e decostruzione alla Rubik, che le giacche diventano camicia e le tasche si moltiplicano o scompaiono lasciando solo la traccia delle impunture sul petto. Le lunghezze sono agili, dai numeri precisi, che terminano per 3 per 5 ritrovando quelli che erano dettami della moda del passato ma adatti anche a scandire il ritmo veloce di oggi.
Per l’inizio stagione insostituibili must saranno i giubbotti scamosciati in renna, che rievocano lo stile degli Yuppies d’antan, e i trapuntini leggeri, storica tradizione Landi, facilissimi da indossare e abbinare.
Largo a tessuti leggeri, dalle trame effetto jeans ai lini, sempre meno romantici e più moderni,
agli immancabili tessuti tecnici, sperimentati in abbinamento al jersey.
URBAN POETS THAYAHT COLLECTION LA CAPSULE DI FABIO DI NICOLA PER LA P/E 2017 A PITTI UOMO
Dopo il ritorno con una linea a suo nome e la partecipazione a Pitti del gennaio scorso, Fabio Di Nicola sceglie ancora l’importante appuntamento fiorentino, e l’edizione di giugno 2016, per presentare una nuova capsule collection per la primavera/estate 2017.
E lo fa riscoprendo un antico amore: Thayaht.
Da sempre il creativo futurista, che aveva applicato la sua arte alla moda inventando nel 1919 la tuta e collaborando anche con Vionnet, è uno dei riferimenti ispirativi di Fabio Di Nicola, che questa volta compie un passo ulteriore, superando il semplice tributo, perché il designer ha acquisito dagli eredi di Thayaht la licenza esclusiva di utilizzo di tre disegni, che diventano protagonisti di una collezione maschile dalla chiara impronta contemporanea e internazionale.
Elefane ThayahT
Pesce ThayahT
Rana ThayahT
Vestibilità comfy e un’attitudine sportiva per una capsule che ha come protagonista un leitmotiv di Fabio Di Nicola, il suo amore per la maglieria, che trova però un twist attuale e innovativo, sposandosi alla felpa. Jacquard anni ’70 dal gusto vintage si uniscono a felpe trattate in cui sono in evidenza i disegni di Thayaht, un elefante, un pesce ed una rana, utilizzati come singole immagini o ripetuti come in un gioco di specchi e trasformati in veri e propri moduli. A sottolineare una evidente passione dello stilista per il riuso, l’utilizzo di tasconi presi da vecchi pantaloni militari che diventano elementi decorativi sulla felpa. Completano la parte della collezione dedicata al knitwear gilet e cardigan.
Non possono mancare nel guardaroba maschile della p/e 2017 le T-shirt. I moduli di Thayaht sono presenti sulle magliette, anche solo come dettaglio, sotto forma di stampe, ma possono essere evidenziati con ricami metallici, che rendono il capo sicuramente più ‘flamboyant’. Perché la figura del dandy cara da sempre allo stilista, acquisisce in questa collezione un animo più urbano e un carattere estroso, solare.
Altro elemento cardine attorno a cui ruota la p/e 2017 di Fabio Di Nicola è il bermuda. In felpa, trattata al silicone e tinta in color oro, con stampati gli animali di Thayaht, in sequenze ripetute. La forma del pantalone è mutuata da quella delle divise della Thai Boxe, a sottolineare ulteriormente il legame della capsule con il mondo sportivo.
Questo nuovo percorso di Fabio Di Nicola con una linea a suo nome è chiaramente all’insegna della contaminazione fra mondi diversi, come l’incontro con lo sport, ma soprattutto con l’arte. Il connubio fra moda e arte è una nota interessante, capace di regalare una connotazione grintosa, ricercata e interessante alle proposte dello stilista, senza risultare semplice esercizio di stile.
Ermanno Scervino e Peter Lindbergh di nuovo insieme per la campagna pubblicitaria della Maison.
Parigi, Arc de Triomphe, interno d’autore.
La modella Hana Jirickova interpreta il nuovo volto Ermanno Scervino, accompagnata dal modello australiano Jordan Barrett.
Sulle orme di Luchino Visconti, Scervino e Lindbergh guidano i protagonisti attraverso un racconto d’ispirazione cinematografica.
Ogni scena è un ritratto di apparente quotidianità, tra glamour e intimità.
I look preferiti della collezione vestono gli scatti di un eros accennato.
La narrazione di un utopistico dietro le quinte svela pose e sentimenti umani, distratti, riflessivi.
“La personalità prima dell’abito” dichiara Ermanno Scervino, e così le creazioni couture in pizzo plissé, la maglieria ricamata, i completi di taglio maschile, la delicata lingerie, sono delle cornici non casuali dell’umana imperfezione.
“Ho voluto due volti giovani e belli per raccontare una collezione forte e delicata“, prosegue Ermanno Scervino, “Solo il carisma di Peter poteva catturare l’essenza della mia visione estetica. Far parlare gli abiti in modo da valorizzare la personalità di chi li indossa, è l’obiettivo alla base di ogni mia creazione”.
La campagna Ermanno Scervino Autunno Inverno 2016-2017 sarà visibile a partire da Luglio 2016 in tutto il Mondo.
Sabato 11 giugno alle ore 11.00 si inaugura la mostra “Gli ori di Parma. L’industria, il cibo, il lavoro” presso Palazzo Pigorini, una monografica di Francesco Maria Colombo che racconta le eccellenze del territorio (catalogo Skira Editore).
I prodotti parmigiani sono noti in tutto il mondo: il culatello, il parmigiano, il prosciutto di Parma, ma quanti hanno saputo rappresentarli donandogli personalità? Nessuno finora. E’ la fotografia colta di Francesco Maria Colombo che restituisce a delle cose inanimate la giusta dignità.
E’ l’eleganza armoniosa e semplice di un biondo spaghetto, la croccantezza cristallina del sale, la geometria architettonica delle macchine industriali, la sinuosità levigata delle tome di formaggi, oltre ai ritratti veri degli uomini che vi lavorano, la forza della fotografia di Colombo.
Gli Ori di Parma
Abbiamo parlato con lui del progetto e della sua ricerca fotografica:
Come nasce il progetto/mostra “Gli Ori di Parma”?
Nasce da una commissione dell’Università di Parma, che ho accolto con grande piacere. L’idea era quella di un viaggio articolato dentro una realtà che coincide con un mito (Parma come capitale italiana del cibo) e che però è molto più complessa di quanto si creda. La tradizione convive con la ricerca scientifica e con l’aggiornamento dell’industria, altrimenti l’eccellenza è impossibile. E come fotografo ho cercato di costruire una narrazione degli aspetti molteplici di questa realtà fatta di tante cose, la materia che diviene nutrimento, il gesto dell’uomo, il valore iconico della macchina.
Come rendere vivi e interessanti degli oggetti inanimati?
In realtà i soggetti non sono sempre inanimati, perché gran parte del progetto è dedicato alle persone che «producono» gli ori di Parma, e dunque ci sono parecchi ritratti, e parecchie foto in cui viene colto l’aspetto gestuale. L’oggetto inanimato ha una duplice valenza: da un lato rappresenta una forma, una struttura, rapporti di colore e di texture che hanno in sé un portato estetico; dall’altro contiene un senso espressivo che sta al fotografo di far sprigionare. Le cose parlano, bisogna solo stare attenti a capirne il linguaggio segreto.
Gli Ori di Parma
Quanto conta la cultura fotografica per raggiungere tale scopo?
In questo progetto ha contato moltissimo. Credo che fare una narrazione per immagini della realtà industriale senza avere alcuni punti di riferimento in testa, Hein Gorny o Jakob Tuggener per esempio, sia limitativo. Questa mostra è piena di rimandi alle avanguardie informali, in alcuni casi esplicitamente citate.
Parma nei suoi ricordi
Parma è una città che amo moltissimo, è un forziere colmo di arte, figurativa e architettonica innanzitutto, ma anche musicale, poetica e cinematografica (basti pensare a Bertolucci padre e figlio, Attilio e Bernardo). E’ una città dalla quale ho scritto tante volte per il «Corriere della sera» e nella quale ho diretto concerti che ricordo con piacere. Entrare nel mondo della produzione del cibo, che non conoscevo minimamente, è stato un viaggio emozionante.
Qual è il suo genere fotografico preferito e perché?
Mi sento molto libero di seguire i miei interessi, che grazie al cielo sono plurimi (del resto la fotografia è parte della mia vita, ma ci sono anche la scrittura e la direzione d’orchestra!). Nel caso di Parma ho accettato la proposta perché venivo da un libro di ritratti a persone famose («Sguardi privati. Sessanta ritratti italiani», ed. Skira, 2015), e ho voluto cambiare genere completamente, sporcandomi le mani e divertendomi moltissimo. Ma ho già cominciato un progetto completamente diverso, dove l’essere umano sarà del tutto assente.
Copertina ‘Sguardi privati’
Quanto c’è di autobiografico in quello che fotografa?
L’autobiografia del fotografo, soprattutto nel genere del ritratto, è un tema dibattutissimo. Per me la fotografia, che è entrata tardi nella mia attività professionale, dopo la scrittura e la musica, ha significato soprattutto uscire da me stesso, proiettarmi in una realtà che ha qualcosa di indipendente, di oggettivo e di affascinante proprio perché diversa dai miei giri mentali. Ma nello stesso tempo sono io che la vedo così, attraverso una modalità di rappresentazione che contiene certamente una sfumatura autobiografica.
La prima cosa a cui pensa quando sta per scattare una fotografia?
Avrò tolto il tappo dell’obiettivo?
Il tipo di elaborazione che adotta nelle sue foto?
Scatto in digitale e uso varie fotocamere (Hasselblad, Nikon e Leica, secondo i diversi generi di fotografia). Nel digitale l’elaborazione è parte essenziale nella costruzione dell’immagine, pensiamo solo alla gestione del colore o al viraggio in bianco e nero. Cerco di non abusarne, ma se una macchia di colore, in una foto non di reportage ma di fine art, stona col resto, non esito a correggerla.
La sensazione a lavoro finito, dopo una giornata di shooting
Dopo un giorno passato a fotografare cantine e centinaia di culatelli appesi, ti assicuro che ho fame.
Da cosa trae ispirazione per i suoi progetti?
La curiosità verso la vita è una cosa inesauribile dentro di me. Viaggio moltissimo, incontro molte persone, e non ho mai smesso di coltivare quel vizio irresistibile che è lo studio, lo studio della storia dell’arte, della letteratura, della musica, del cinema. E’ facile che nascano idee, quando nulla ti è estraneo.
Ritratto di Francesco Maria Colombo @Monica Silva
Esiste realmente una differenza tra still life e ritratto? O il soggetto è solo un dettaglio su cui far lavorare la luce?
La persona ritratta è autore del ritratto, quanto e forse più che il fotografo. Il ritratto nasce da un’interazione delicatissima che comprende seduzione, sfida, complicità, antagonismo, abbandono. E tutto questo il fotografo da solo non può assolutamente farlo.
Il momento più difficile di una sessione fotografica
Nel caso dei ritratti ho il mio metodo, senza del quale non saprei da che parte cominciare. Ho bisogno di silenzio assoluto, di nessuno intorno, di condividere con la persona ritratta un tempo tutto nostro, che permetta l’emersione dei pensieri segreti e delle emozioni. E ogni volta hai paura di sbagliare, o di fare una cosa ordinaria, perché non sai mai se si stabilirà «quel» contatto che è la sostanza intima di un ritratto riuscito.
Quanto del suo lavoro come direttore d’orchestra ha influenzato il lavoro in qualità di fotografo?
Sono due cose completamente separate e credo che rispondano a due zone del cervello che non si parlano molto fra di loro. Quando lavoro come musicista il fotografo non esiste più, e viceversa. Non ho mai capito perché, ma è così.
La differenza tra dirigere un’orchestra e dirigere un soggetto sul set?
L’elemento comune è semplice: senza un processo di seduzione, che è molto sottile e molto fragile, quasi impalpabile, non riesci a ottenere niente né dall’orchestra, né da chi sta davanti alla fotocamera. Ci sono le resistenze, ovviamente, ed è questione di sapere cosa dire, quando e come, e in che modo (con la parola, con lo sguardo, con un gesto). E quando le resistenze cadono, baby, it’s magic.
Copyright Paolo Dalprato
“Gli ori di Parma. L’industria, il cibo, il lavoro” di Francesco Maria Colombo a cura di Gloria Bianchino ed organizzata dall’Università e dal Comune di Parma
Palazzo Pigorini – Str Della Repubblica 29 A PARMA
sarà aperta dall’11 giugno al 17 luglio
dal 2 al 25 settembre, con ingresso libero
Il catalogo è pubblicato da Skira, 160 pagine, euro 35,00
Anche questa Montecarlo Fashion Week 2016 è giunta al termine; nella location storica del Museo Oceanografico di Montecarlo si sono tenute le sfilate di oltre 30 designer, qui il meglio delle pre-collezioni primavera/estate 2017:
Lolita Shonìdi:
Le origini greche della designer hanno ispirato la collezione Lolita Shonìdi, unita ad un tocco orientale dove i kimono diventano protagonisti. Trasparenze e pizzi, pompons sui cappelli e frange sulle pochette in paglia; la seta è il tessuto prezioso che adorna il viso con orecchini pendenti e scivola sul corpo in un pijama adatto sia per il giorno che per la sera.
Blu elettrico, fucsia, cipria e bianco candido i colori preponderanti, per una donna legata alla sua terra ma attenta alle nuove tendenze.
Eliana Riccio:
Leggerezza e grazia nella donna di Eliana Riccio per questa MCFW 2016.
La natura e i suoi fiori sono elementi di ispirazione della designer italiana, che punta tutto sulla sartorialità e sui giochi di volume: ruches, applicazioni, giacche dal taglio basic.
I materiali utilizzati richiamano il messaggio di un’atmosfera eterea e impalpabile: tulle ricamato, organza, georgette e crêpe.
La palette colori è evanescente e si compone di bianco, glicine, azzurro, rosa, nero.
Elisabeth Wessel:
E’ Tamara de Lempicka la musa della designer Elisabeth Wessel, una moda che ci riporta ai roaring twenties, dove l’eleganza non è mai scontata, dove ogni gesto è adornato dal dettaglio: lunghi guanti come seconda pelle, maxi occhiali da diva, cappelli a falda larga e ampi colli da regina.
Applaudita dal pubblico monegasco e dagli addetti al settore, Elisabeth Wessel ha fatto sognare le donne presenti ricordandoci che il passato è l’ottima base da cui partire per un progetto futuro.
Iuliana Mihai:
Una nuova geisha veste la capsule collection di Iuliana Mihai, intitolata “Hanakotoba”, linguaggio dei fiori.
I capi couture sono realizzati con pizzi ricamati, taffetà e paillettes; le linee seguono le sinuosità del corpo femminile, esaltandone la bellezza e sono impreziositi da applicazioni Swarovski.
Il colore predominante è il nero, che torna anche nei dettagli, a sottolineare lo stile nippo-gotico a cui la designer si ispira.
Christian Luongo:
Innovativo l’approccio stilistico di Christian Luongo che propone alla Montecarlo Fashion Week 2016 una collezione sperimentale e creativa.
La capsule tra ispirazione dai colori utilizzati dall’artista venezuelano Carlos Cruz-Diez, dove le tinte forti sono l’intensificazione delle luci dell’alba: freddi i blu e i verde acqua sfumati dai bianco candido.
I capi si alternano in tessuti leggeri e fascianti, tra pizzi, cristalli, pelli iridescenti e ricchi plissé.
Giovane e dinamico, il designer si propone di portare in scena una moda alternativa, fresca e luminosa.
Sartorialità, maestria ed eleganza, le parole chiave dei couturiers Alessandro Angelozzi e Rhea Costa.
Alessandro Angelozzi presenta una collezione sposa, per una donna moderna che osa il giorno del matrimonio. Lontana dagli abiti ingombranti della tradizione, si veste di sete e pizzi dalle forme morbide e dall’allure sexy – per festeggiare il giorno più bello della vita, anche in riva al mare.
Nella location d’eccezione del Principato di Monaco, la Montecarlo Fashion Week 2016è giunta al termine, tra gloriose premiazioni, sfilate e presentazioni dei brand emergenti.
Dal 2 al 4 giugno 2016 presso le centenarie sale del Museo Oceanografico di Montecarlo, hanno sfilato oltre 30 designer provenienti da tutto il mondo, una vetrina per chi è già affermato nel mondo del lusso e della moda, ma anche un trampolino di lancio per chi cerca di farsi strada in un ambiente di grande competitività.
La Chambre Monégasque de la mode, di cui Federica Nardoni Spinetta è Presidente, ha proposto tra i nomi: Chapurin, Elisabeth Wessel, Grinko, Alessandro Angelozzi Couture, Lolita Shonìdi, Rhea Costa, Christian Luongo, Iuliana Mihai, Eliana Riccio.
Tra gli ospiti d’eccezione lo stilista Philipp Plein , insignito del titolo MCFW International Award come designer creativo che ha saputo affermarsi nel mondo del lusso, non è un caso che a Montecarlo aprì la sua prima boutique, è stato premiato dalla principessa Charlene. La stilista haitiana Stella Jean, che rievoca nelle collezioni la sua eredità unendo vecchio e nuovo e ponendo sempre l’attenzione alla terra d’origine e Giovanni Gastel, presenza molto attesa, fotografo di fama internazionale premiato dall’ambasciatrice della Cambre Monégasque de la mode Irina Goudkova.
A presentare la prima giornata di sfilate, la bellissima Victoria Silvstedt, ironica nelle sue improvvisazioni in passerella; presenza costante tra le poltrone, la supermodella bielorussa Tanya Dzjahileva, l’esempio di una rapida ascesa nel mondo della moda tra le passerelle di Chanel, Prada, Dior e Valentino.
A chiudere la prima giornata di défilé, il party di Philipp Plein presso il locale più rinomato di Montecarlo, il Jimmy’z, dove pare Philipp sia di casa…
La Montecarlo Fashion Week è l’evento di moda organizzato dalla Chambre Monégasque de la Mode con a capo il Presidente Federica Nardone Spinetta e la direzione artistica di Rosanna Trinchese, in partenariato con il Governo Monegasco, la Mairie di Monaco e l’Ufficio del Turismo del Principato di Monaco.
Quest’anno si è tenuto nelle date 2-3-4 giugno 2016 e si è suddiviso in conferenze, presentazioni, sfilate e cocktail party presso le location del Principato di Monaco.
Il primo giorno della MCFW 16 gli accessori del fashion world sono stati i protagonisti, le esposizioni si sono tenute presso il Cafè de Paris dove è stato allestito uno show-room con: JF London, scarpe dello stilista Joshua Fenu – un mondo rock con richiami fetish, oltre ai marchi Nando Muzi, Abibù Bigiù, Deglupta, Ig Jewels & Mello gioielli, Nebu Milano e Tadini Monte-Carlo.
JFLONDON
sfilata di Isabell Kristensen all’Eliporto di Monaco
Un cocktail party alla presenza del Principe Alberto ha inaugurato ufficialmente le sfilate iniziate con Isabell Kristensen presso l’Eliporto di Montecarlo.
Il giorno 2 della moda monegasca trasforma il Museo Oceanografico nel centro dei défilé, aperti dallo stilista russo Sergei Grinko, Chapurin, gli abiti couture di Alessandro Angelozzi, che propone una sposa moderna, sexy, non necessariamente legata alla tradizione di un abito ingombrante, ma leggero, fatto di tessuti preziosi che aderiscono al corpo senza fasciarlo.
Alessandro Angelozzi
In calendario di MCFW 16 Didimara, Beach & Cashmere Monaco, A’Biddikkia e le proposte di Elisabeth Wessel, con una donna elegante e senza tempo; durante la manifestazione sono stati premiati gli stilisti Stella Jean e Philipp Plein e il fotografo Giovanni Gastel.
Philipp Plein, premiato dalla Principessa Charlene riceve il MCFW International Award, riconoscimento quale designer creativo che ha saputo imporsi nel panorama internazionale del lusso.
Molto attesa la presenza del fotografo Giovanni Gastel che lavora nel panorama fotografico internazionale della moda e ha saputo raccontare con il suo stile elegante e classy un background culturale raro e prezioso.
Giovanni Gastel premiato alla MCFW 16
Philipp Plein premiato dalla Principessa Charlene
Stella Jean premiata da Victoria Silvesrtedt e dalla Presidente Federica Nardoni Spinetta
Ogni edizione della MCFW fa da trampolino di lancio a designer emergenti che sfilano con le pre-collezioni o collezioni resort; applauditi in passerella al terzo giorno Eliana Riccio, con abiti bon ton dallo stile romantico, Dress mee, con capi dal taglio fifty e Lolita Shonidi con preziosi kimono e il nuovo must di stagione: il pijama da indossare anche la sera impreziosito da accessori e scarpe col tacco.
Lolita Shonidi
Il pijama proposto da Lolita Shonidi
Lolita Shonidi
Buyers e giornalisti hanno presenziato alle sfilate al Museo Oceanografico per questa edizione della Montecarlo Fashion Week, un progetto in crescita sullo sfondo della città del lusso per eccellenza.
Numerosi i professionisti impegnati nella maratona, tra cui la Renè Olivier Productions e Gabriele Rigon sempre sul set con le modelle per backstage e ritratti.
Si è appena conclusa la Monte-Carlo Fashion Week 2016
La Monte-Carlo Fashion Week, apertasi giovedì 2 giugno con la conferenza “The evolution of global fashion Retailing” ha visto l’ incontro, in partnership con Gruppo Giovani Sistema Moda Italia, tra buyer e giornalisti, per analizzare insieme l’evoluzione del fashion retail, dei nuovi comportamenti dei consumatori e per valutare nuove sfide ed opportunità per i brand fashion.
Nella splendida location Café de Paris, è stato allestito lo showroom dedicato al mondo accessori, dove Nando Muzzi ha presentato la resort collection SS17 con i suoi modelli alla schiava impreziositi da piume, insieme alle splendide creazioni fetish -rock di JF London dello stilista Joshua Menu; Abibù Bigiù, il brand di bijoux di Annarosa Dell’Osso con pezzi unici, realizzati a mano in argento, bronzo giallo e rosso, Deglupta che ha debuttato con il modello Fresia e che consolida il dialogo con l’astrattismo e l’action painting, Ig Jewels & Mello gioielli, Nebu Milano e Tadini Monte-Carlo.
Il programma della seconda giornata ha visto le sfilate di Grinko, Chapurin, Alessandro Angelozzi, Beach&Cashmere Monaco, Didimara, A’Biddikkia, Artramus, Mayra Khachatryan, Elizabeth Wessel e Isituto Marangoni Paris.
Importante momento della giornata è stata la consegna degli MCFW Awards agli stilisti Philipp Plein, Stella Jean e al fotografo italiano Giovanni Gastel.
Ad ogni fine sfilata , i designers escono tra il pubblico per accogliere gli applausi, sempre.
Lei no. Al suo posto, una fila di sarte sorride in passerella. Indossano abiti da lavoro e ringraziano.
Questo è il messaggio della designer di moda Daniela Gregis: la persona viene prima dell’ abito che indossa.
Intervisto Daniela Gregis presso il suo atelier nel centro di Bergamo.
Siamo nel bar storico di Bergamo alta. La piazza è un vociare allegro di ragazzi appena usciti da scuola, siedono sugli scalini accanto ai cafè. Chiacchiero con l’assistente di Daniela Gregis cercando di scoprire qualcosa sul carattere della designer, quando mi appare d’improvviso dietro le sue spalle. Mi venisse un colpo!
Una signora elegante in ambiti semplici, senza un filo di trucco sul viso, con una grande fusciacca al collo e dalla voce sottile mi invita a sedere al tavolino del bar per conversare davanti ad una tazza di tè bollente, che allunga con un poco di spremuta. Magra, capelli castano cenere sulle spalle, ha l’andatura della voce di chi ha il lusso del tempo e mi racconta quand’è nata la passione per la moda:
“Mia zia lavorava all’uncinetto, è da lei che ho imparato e da allora porto avanti la tradizione, più per una questione di rispetto che per una vera e propria scelta di stile”.
Ricorda il suo primo scialle, di un arancio forte e di una lana terribile, sintetica, che si usava per fare delle prove, per i noviziati: lo ricorda con ironia e racconta che ogni momento di inquietudine e solitudine lo passava lavorando alla maglia, era il suo modo per allentare le tensioni.
Da allora non ha mai più smesso.
Piazza Vecchia di Bergamo:
Daniela Gregis è alla sua 38esima collezione, ha iniziato questo mestiere 19 anni fa, quando nel laboratorio di Bergamo c’erano solo 3 persone; oggi in questa città si trovano i suoi 3 atelier che si affacciano sulla Piazza Vecchia. Il primo spazio è utilizzato come sala riunioni e propone pezzi di modernariato, dove il nuovo incontra il passato; oggetti acquistati nei numerosi viaggi around the world. Il secondo atelier, accanto a questo, è il vero negozio che propone la collezione in corso, una piccola boutique che non ha mai subìto restauri o ritocchi dove lavora la stessa signora da anni, da anni. Il terzo atelier è una “lavagna bianca”, dove ogni mese il tema cambia e si gioca con gli abiti e oggetti; in questo periodo è dedicato ai bambini, quindi via libera agli acquerelli, ai giochi in legno e mini clothes.
Mobile in legno intrecciato – atelier Daniela Gregis
oggetti di modernariato nell’atelier di Bergamo
Tra le più grandi passioni di Daniela Gregis c’è la cultura giapponese con le sue tradizioni.
Nel negozio che propone oggetti di modernariato si possono acquistare introvabili borse japan in legno di noce (resistenti più della pelle mi dice), contenitori di legno scandinavo a incastro, kit giapponesi per oggetti rotti: si tratta di una colla color oro che disegna un tratto elegante su un oggetto che sarebbe destinato alla spazzatura. “Perché dire addio ad un oggetto bello o utile che amiamo? Il recupero è un modo per evitare lo spreco”
borsa japan in paglia lavorata a mano
contenitore in legno scandinavo a incastro
Gli atelier di Daniela Gregis nella città di Bergamo:
Nei racconti della stilista Daniela Gregis, che sottolinea “l’eleganza non è eccesso a tutti i costi, trovo sia più elegante un contadino di una signora male agghindata” – si ritrovano l’amore per il proprio lavoro ma soprattutto una filosofia che stimola le scelte che ricadono sulla comunicazione del brand. Lo stesso bizzarro e originale dettaglio di aver fatto sfilare una donna non più giovane come Benedetta Barzini, modella e giornalista.
“Siamo delle maschere e recitiamo sempre una parte, perché mai? Che motivo abbiamo?” si domanda – “siamo così arroganti da credere di essere importanti”: questa la verità che si cela dietro il non apparire di Daniela Gregis, il non voler esporsi, il lasciare piena libertà alle modelle, di sfilare con i loro ritmi, lenti, cadenzati dalla musica, totalmente in contrasto con la frenesia di una fashion week abituale.
La location prediletta per la settimana della moda milanese è un luogo sacro: l’oratorio della Basilica di San Ambrogio, una delle più antiche chiese di Milano.
Le sfilate di Daniela Gregis raccontano una moda senza solennità, colma di spiritualità, come il luogo dove si svolge, un defilé quasi neghittoso, indolente e soprattutto mai autoreferenziale.
Ogni passo della modella libera quel po’ di mistero romantico degli abiti della Gregis, che sono casti ma colorati, moderni ma intrisi di storia – assistervi è come abbandonarsi ad una riscoperta naturalezza.
Il clangore di una grossa campana avvisa che il tempo è finito – una lezione di vita quella di Daniela Gregis: l’essere se stessi, semplicemente.
Dalle atmosfere agresti di una Sicilia color giallo paglia e dai campi imperlati di sole nascono ispirazioni imprenditoriali portate avanti da giovani che intendono raccontare lo stile italiano, ritornando alle radici culturali. Un mix geografico e culturale che riflette la società in cui nasce e la modifica in un’eleganza anarchica che sfida le convenzioni borghesi.
La nuova collezione di borse Tarì rural design ( www.tarifashion.it ) celebra così l’ingegnosa operosità del valore artigiano in un progetto più ampio di rilancio della cultura locale. Valori tradizionali e territoriali informano la nuova mission del fondatore del Brand: Ezio Lauricella, selezionato nel 2014 tra i manager under 35 più promettenti d’Italia, candidato al“Wired Audi Innovation Award 2014”, il prestigioso riconoscimento edito dalla automobilistica tedesca Audi insieme alla rivista statunitense Wired, da sempre sensibili ai valori dell’innovazione e attenti alla promozione delle eccellenze internazionali.
Il trentenne agrigentino, già noto per le sue visioni imprenditoriali riconosciute in Italia e all’estero, non solo ha l’obiettivo di produrre le collezioni Tarì nella sua terra di origine, ma intende ripristinare con essa quel legame ancestrale, fortificato durante l’infanzia trascorsa all’aria aperta, nel vivido ricordo di avi che seminavano campi.
Principessa Sicilia
L’amore per il territorio ha portato il giovane ad intessere uno stretto dialogo con alcune aziende agricole siciliane che hanno ricevuto in dono varie forniture di sacchi di canapa per la raccolta delle olive. Una sensibilità verso i cicli naturali della Sicilia contadina che si è trasformata presto in una vocazione al local fashion: i lavoratori a fine raccolto hanno ridato all’imprenditore i sacchi, utilizzati poi come materiali per la realizzazione della nuova collezione Tarì.
Vucciria Dettagli
Raccolto
Tarì rural design storce il naso al “fast fashion” e diventa il simbolo della morigeratezza propositiva. Tale valore culturale del prodotto ha dato il via al contempo ad un sistema green di ri-utilizzo di materiali e al piano di marketing improntato sulla valorizzazione di elementi glocal. Impreziositi dalla manifattura, nella esuberanza di disegni e colori, le corde, il cuoio e le pelli utilizzati nel passato da butteri e mulattieri sono adesso capaci di raccontare uno stile unitario e specifico, impregnato anche del fascino di contaminazioni con il wax print, “tessuto africano” dalle tinte variopinte. La Sicilia tradizionale allora diventa occasione di incontro tra l’Occidente e quel Continente nero. Un viaggio lungo quel ponte di contatto tra due terre che si guardano specularmente e che vogliono ancora scommettere sulle proprie capacità.
Simbolo di tradizione artigianale e icona dell’handmade italiano, Tarì rappresenta dettagli immancabili di uno stile ricercato e distintivo. “Un linguaggio – dichiara Ezio Lauricella – che si sostituisce alla comunicazione verbale, scrigno del nostro passato e luogo identitario del futuro”.