Collezione FW24/25 Des_Phemm

La collezione FW24/25 di Des_Phemmes nasce da una lettura trasversale e intimista di una delle personalità più influenti del secolo scorso: Carlo Mollino. Un esteta, un artista visionario e trasformista, che con la costante ricerca del bello e dell’armonia ha sperimentato i più disparati linguaggi artistici, dall’architettura al design, fino alla fotografia.

Il punto di partenza ed aspetto più interessante per il designer Salvo Rizza è però l’osservazione della dicotomia artistica di Mollino, da una parte le opere pubbliche e più celebri, dall’architettura severa e dal design futurista, dall’altra un Mollino più intimo, quasi sconosciuto, surrealista, che si esprime nella progettazione di Casa Mollino e nelle polaroid scoperte dopo la sua morte; ed è proprio su questa parte più intima che Salvo Rizza si concentra ed inizia un percorso di fascinazione.
Pochi conoscono il Mollino fotografo, nelle cui polaroid immortalava donne incontrate sul suo cammino, conosciute o spesso anche sconosciute, a cui era chiesto di posare per lui, donne interessanti, uniche, che lui “imprimeva” su pellicola come fossero opere d’arte. Dal medesimo approccio nasce la collezione di Rizza, pensata per donne diverse ma accumunate da forti tratti e caratteristiche femminili definite.



Casa Mollino, è una villa ottocentesca nel torinese riprogettata dall’artista tra il 1960 e il 1968, uno scrigno d’arte ricco di riferimenti simbolici, che diventa il manifesto della sua visione creativa, in cui elementi opposti, apparentemente, coesistono: un telescopio interiore che vive senza essere vissuta, in cui l’artista mette sé stesso ma non vivrà mai. Un melting pot di stili e colori, i cui arredi e colori diventano ispirazione: i tappeti animalier diventano gonne e mini dress dal motivo zebra in maxi paillettes ricamate a mano nei toni del bianco e del nero, da indossare con polo di lana cashmere riprese dal guardaroba maschile e impreziosite da colli interamente ricamati, cifra stilistica del brand. Allo stesso modo, tappeti di pelle di mucca vengono reinterpretati su capi tailoring in velluto di seta e cotone con stampa fotografica: gonne longuette a portafogli e dettagli ricamati a contrasto o pantaloni con stud splash in abbinamento alla maglieria in lurex.



Così come nella casa spiccano elementi di design in colori forti e decisi, allo stesso modo la palette di collezione nasce da un mix and match perfetto e sbilanciato di nuances e texture all’apparenza contrastanti ma che nell’insieme risultano in armonia, creando un linguaggio nuovo ed eclettico.
Colori che all’apparenza non coesistono diventano l’uno il supporto dell’altro ed è proprio dal loro accostamento insolito che vengono esaltati: verde acido, giallo navone, glicine e rosa ma anche grigio, nero, beige e nude colorano duchesse, cashmere, ecofur, cotone e denim.


Chiari rimandi al guardaroba maschile acquisiscono un nuovo significato attraverso giochi di volumi oversized su silhouette femminili, sottili e delicate: il suiting in grisaglia grigia e beige si indossa con bra e culotte a vita alta in pizzo francese chantilly nelle tonalità pastello, discostandosi dalla sua funzione originale di capo intimo e divenendo parte integrante dei look da voler mostrare. Un richiamo sensuale e mai volgare quello delle culotte in pizzo a vita alta, che cita quei boxer sotto ai jeans tipici dei 90s presentati nelle scorse collezioni, e che oggi nella proposta FW24 si intravede da pantaloni over e gonne longuette interamente ricamate portate con camicie oversized in popeline bastonetto o ancora indossate come shorts con giacche doppiopetto in duchesse brillante dal fit
asciutto e molto corto. Come le giacche anche le gonne si fanno micro, diventano ancor più ricamate e con un accentuata linea ad A e si indossano con mini cardigan che nascondono maxi camicie dal sapore maschile.

La maglieria-body è attillata come una seconda pelle, le coste in lurex seguono le curve del corpo, linee di grande ispirazione per Mollino nei suoi celebri arredi.
I ricami, matrice ed elemento caratteristico del brand, si ispirano alle opere dell’artista torinese, dall’abito da sera in frange ricamate che ricordano il soffitto del Teatro Regio di Torino, alle paillettes ricamate su gonne che riprendono forme e linee futuriste a rose 3D, forgiate a mano che sbocciano su minidress dalla matrice couture e su gonne a matita.
La collezione racconta di una donna che si aggira per gli spazi di Casa Mollino, con ipnotiche movenze e una sensualità semplice ma forte, come se la casa fosse il suo habitat, interpretandola e portandola addosso. Una donna che fa sua questa eclettica e silenziosa sensualità, come quelle donne ritratte nelle famosissime polaroid dell’artista nelle quali, in maniera fortuita, degli ambienti della casa si trovano le uniche incredibili testimonianze dell’epoca.

Panico a Sanremo

Panico a Sanremo

di Damir Ivic

Cosa resterà di questo Sanremo, lo stabiliranno nelle prossime settimane le piattaforme di streaming: unico vero giudice di cui tenere conto nel capire dove e come il Festivalone incida sulle vita di noialtri, quanto davvero si inserisca nelle nostre passioni al di là della “settimana santa” in cui tutto e tutti convergono verso il monoteismo dell’argomento-di-cui-non-puoi-non-parlare. Cosa resterà invece alla Rai e ad Amadeus di questo Sanremo, beh, saranno i dati d’ascolto record: evviva per loro. Ma i dati d’ascolto record nel 2024 valgono molto di meno rispetto al 1984, al 1994, al 2004 – perché sono dati d’ascolto televisivi, e la televisione è solo uno dei tanti elementi nel menù della comunicazione e dell’intrattenimento odierni, non il Moloch dittatoriale che era fino a una decina d’anni fa. I dati record o comunque molto buoni ci sono anche per quanto riguarda il traffico on line, ma lì bisogna fare attenzione. Il marketing e l’analisi dei dati odierne si sono fatte molto più raffinate, e una cosa che conta – nell’ottica degli investitori pubblicitari, che è l’unica cosa che conta: sono loro a far muovere tutto il Carrozzone – è il sentiment.

…ecco, il sentiment. Occhio: perché quello che ha circondato il Sanremone nazionale anno 2024 potrebbe essere, oggi, molto meno salutare e positivo di quello che paiono raccontare i numeri e gli indici, e di quello che gli addetti ai lavori si raccontano a vicenda, per convincere non solo il mondo ma anche se stessi di essere nel giusto, assolutamente nel giusto, che va insomma tutto bene così. Va tutto bene davvero?

Sanremo 2024 è stato, in realtà, un festival bloccato dalla paura. Probabilmente mai come negli ultimi anni (diciamo dal 2018, dall’avvento della direzione artistica Baglioni). Panico a Sanremo, sì: e pure tanto. Un panico che in questa edizione non ha fatto danni, perché appunto i risultati numerici sono stati portati a casa, eccome; ma un panico che potrebbe essere il racconto di una crepa in procinto di allargarsi male, in grado di far ripiombare nell’arco di poco tempo il festival in una nuova fase di declino (sì, Sanremo ne ha avute e potrebbe averne ancora, di fasi di declino: non è una categoria dello spirito al di sopra dei mali dell’umanità e dei cicli della vita, delle mode, delle passioni).

Quel senso di rinnovamento e di risincronizzazione con la realtà, autentico elisir di anni recenti, nel 2024 si è affievolito. Di chi sono le colpe, lo si stabilirà col tempo – quando saranno de-secretati riunioni segrete, discussioni, scelte interne, strategie. Quando capiremo come mai i rapper hanno scelto di rinunciare all’hip hop (con l’eccezione di Geolier nella serata delle cover: e guarda caso ha trionfato). Quando capiremo fino a che punto gli artisti sono liberi di esprimersi e fino a che punto invece sono le grandi case discografiche che controllano, impongono e dispongono tutto anche dal punto di vista creativo, come e più di prima (imponendo cioè autori per testi e musiche, come “cintura di sicurezza”: quanti brani ha firmato Davide Petrella quest’anno?). Quando capiremo perché i momenti non musicali gestiti da Amadeus e Fiorello sono diventati così vecchi, imbarazzanti e sorpassati (diciamolo, su: anche Fiorello si è imbolsito), perché una roba come quella di Travolta e del Ballo del Qua Qua è faccenda da oratorio triste anni ’80 ma non c’è stata solo quello (tra mille esempi possibili, citiamo il mesto coinvolgimento di Carolina Kostner in un siparietto a favore di uno dei principali sponsor dell’evento).

Un’ipotesi ce l’abbiamo: la paura. Si muovono tutti con la paura. E da fuori questa cosa si è iniziata a vedere – quando parliamo di sentiment intendiamo esattamente questo.

La Rai si è mossa con la paura di perdere la sua unica, ultima, vera gallina dalle uova d’oro, e allora finché le cose vanno bene per carità non facciamo colpi di testa. Amadeus con la paura di osare troppo, uscire dal seminato e quindi non raggiungere più risultati da record. Le case discografiche si sono mosse con la paura di non massimizzare la presenza loro e dei loro artisti in queste kermesse che è, tra le altre cose, per loro costosissima. Gli artisti arrivati da contesti più indipendenti (hip hop o indie che siano) si sono mossi con la paura di perdere questa improvvisa, avvolgente e per certi versi sorprendente benedizione del mainstream nazionalpopolare.

Ma la paura, si sa, può facilmente diventare una cattiva consigliera. E non è un buon investimento per il futuro, soprattutto. Sanremo l’hanno guardato e seguito in tantissimi, in questo 2024, certo; ma quella dinamica per cui era percepito come di nuovo decentemente sincronizzato al paese reale, quello dei veri consumatori di musica, si nutre sul medio periodo solo ed unicamente col coraggio e con la voglia di innovare, e quest’anno di questi due non se n’è visto granché. Al loro posto invece un panico sottile che i grandi risultati degli ultimi anni possano intiepidirsi. La paura dei sazi. Il panico di chi non vuole perdere privilegi dati ormai per acquisiti. Non una bellissima cosa. Perché in una società sempre più veloce ed istantanea, i privilegi acquisiti – anche quelli più granitici – si possono perdere quando meno te l’aspetti.

Forte e Chiara, lo spettacolo di Chiara Francini al Teatro Manzoni

di Giulia Perin


“Forte e Chiara” nasce come titolo della rubrica di Chiara Francini per La Stampa, diventa romanzo autobiografico nel 2023, e approda finalmente con il medesimo titolo al teatro Manzoni di Milano dal 1 a 4 febbraio 2024 interpretato da Francini stessa e con la regia di Alessandro Federico. Leziosa, sopra le righe ma anche vulnerabile, Chiara Francini ci porta con simpatia e leggerezza attraverso la storia della sua vita: dalla bambina povera e affamata di attenzioni, all’attrice di successo “arricchita” ed eccessiva che confessa al pubblico di non sapere rinunciare alle lucine dell’albero di Natale accese in casa tutto l’anno, anche a Ferragosto. 

Una vita al contempo straordinaria ma anche semplice, fatta di recite scolastiche a cui i genitori lavoratori facevano fatica ad assistere, di modeste vacanze sull’Adriatico (“il mare dei poveri” in confronto al più vicino Tirreno) e della sfrenata voglia di una sedicenne di ballare vorticosamente sotto la piramide del Cocoricò di Riccione. Poi gli studi, la carriera da attrice, e la corsa al successo, il cui culmine viene esemplificato in scena ricreando l’emozione genuina per l’invito ricevuto da Amadeus e il debutto scintillante come conduttrice al festival di Sanremo nel 2023. 

Non mancano anche note più amare, soprattutto all’avvicinarsi della fine dello spettacolo, quando Francini svela l’odio violento verso l’uomo “filo-leniniano” che ha provato a privarla della sua libertà, per poi scivolare in una sfacciata critica sociale che, pur sempre con ironia, colpisce un po’ tutti a destra e manca, o, come dice lei, “sinistri e mancini.” Lo spettacolo si chiude con una riflessione intima e sentita sulla maternità: messa da parte, desiderata, mancata, rimpianta, Francini mostra il dilemma che ha vissuto, e che continua a vivere, fra realizzazione personale e desiderio di essere madre – nodo cruciale che sussiste nella vita di tutte le donne.

Bene le musiche che tele-trasportano gli spettatori attraverso anni e luoghi diversi, e che aiutano a tenere alto il ritmo dello spettacolo insieme all’energia travolgente della protagonista.
Per una serata a teatro leggera ma con qualche sorpresa. Brava.

Chiara Francini



La scaletta della terza serata di Sanremo 2024

Questa sera ore 20.45 si terrà la terza serata del Festival di Sanremo. A co-condurre con Amadeus, la comica Teresa Mannino.

Qui i nomi dei 15 cantanti in gara che verranno presentati dai loro colleghi concorrenti, in ordine di esibizione:



Il Tre presentato da Loredana Bertè

Maninni presentato da Alfa

BNKR44 presentati da Fred De Palma

I Santi Francesi presentati da Clara

Mr.Rain presentato da Il Volo

Rose Villain presentata da Gazelle

Alessandra Amoroso presentata da Dargen D’Amico

Ricchi e Poveri presentati da BigMama

Angelina Mango presentato da Irama

Diodato presentato da The Kolors

Ghali presentato da Mahamood

Negramaro presentati da Emma

Fiorella Mannoia presentata da Annalisa

Sangiovanni presentato da Renga-Nek

La Sad presentati da Geolier


Ospite più atteso della terza serata di Sanremo 2024, Russell Crowe, e ancora Sabrina Ferilli, Eros Ramazzottiche celebrerà il 40ennale di «Terra promessa» (canzone con cui ha debuttato al Festival) e Stefano Massini con Paolo Jannacci.

A Silent Conversation

Photographer @zak.bance.photography 
Stylist @sara.behbud
Makeup Artist @estellemordantmakeupartist 
Hair stylist @jerome_fendt 
Video @corentin.bhn 
Editor @james.goli 
Models @kristinagrinkiewicz @marioncuicui 
Credits : Jewellery @khaval.bijoux, white organza dress @elsi_couture, blue metallic jacket and trousers suit @annaritan_official, blue sparkling dress with gloves @themusefashion, top & mikado jacquard skirt with organza touches @L’Arabesque, black dress @elsi_couture

NUOVE ACQUISIZIONI PER IL MUSEO DI PALAZZO PRETORIO E IL PALAZZO COMUNALE, IL COLLEZIONISTA FRANCO BERTINI DONA QUATTRO OPERE AL COMUNE DI PRATO

NUOVE ACQUISIZIONI PER IL MUSEO DI PALAZZO PRETORIO E IL PALAZZO COMUNALE, IL COLLEZIONISTA FRANCO BERTINI DONA QUATTRO OPERE AL COMUNE DI PRATO

Quattro opere donate dal collezionista Franco Bertini al Comune di Prato, di cui due saranno visibili nel percorso espositivo del Museo di Palazzo Pretorio e del Palazzo Comunale:La madre, dipinta da Arrigo Del Rigo e L’abbraccio di Gino Signori; le altre opere sono rappresentate da un’incisione della Testa di San Giuseppe dell’artista inglese Thomas Patch e una rielaborazione fotografica del duo di artisti I Miradebora. Presentata oggi la donazione.

Quattro opere d’arte, di cui due andranno ad impreziosire il percorso espositivo del Museo di Palazzo Pretorio e del Palazzo Comunale: è il lascito del collezionista pratese Franco Bertini al Comune di Prato, ufficializzato oggi con un evento al Museo di Palazzo Pretorio. Le opere, presentate dal critico d’arte Attilio Maltinti e della direttrice del Museo di Palazzo Pretorio Rita Iacopino, appartengono ad artisti molto diversi tra loro per influenze artistiche e percorso di vita.
La madre, dipinta dal pittore pratese Arrigo Del Rigo nel 1928, sarà collocata all’ultimo piano del Museo di Palazzo Pretorio, nella sezione dedicata all’arte del Ventesimo Secolo, vicino all’Autoritratto (1926) dello stesso pittore. Definita dal critico Attilio Maltinti «un’opera che racchiude la classicità della tradizione toscana, e al tempo stesso la “grandezza” delle piccole cose», questo olio su tavola emana una dignità senza retorica, priva di teatralità, o forzatura, e rappresenta in pieno l’essenza di Del Rigo: un’anima delicata e inquieta, quella di un artista sbocciato precocemente ma anche prematuramente scomparso, a soli ventiquattro anni.
La collezione del Palazzo Comunale accoglierà invece – al primo piano – l’opera di un altro artista pratese, Gino Signori; chiamata originariamente La grande solitudine, (come si evince dal retro dell’opera, dove la prima denominazione è stata cancellata con un frego nero), la tela, dipinta nel 1973, fu poi rinominata L’abbraccio. Come tante opere di Signori, anche questa gli fu ispirata dall’esperienza della Seconda Guerra Mondiale, e più precisamente dal periodo di internamento presso il campo di concentramento di Sandbostel, nei pressi di Amburgo. Fu proprio a causa degli eventi occorsi durante quel periodo che molti anni dopo, nel 1984, Gino Signori fu designato come Giusto tra le Nazioni dallo Yad Yashem, per l’eroico salvataggio di una ragazzina ebrea sottratta a morte certa e nascosta tra mille pericoli, che poi per un evento fortuito avrebbe riabbracciato molti anni dopo, nel 1964.Molto diverse tra loro le storie delle altre due opere donate da Franco Bertini al Comune di Prato: una è un’incisione della Testa di San Giuseppe, datata 1771-72, dell’artista ingleseThomas Patch, che visse a Firenze gran parte della vita e realizzò nel capoluogo fiorentino un’ampia serie di stampe e dipinti con vedute, tra cui un volume dedicato a Fra’ Bartolomeo, da cui è tratta l’incisione donata da Bertini. L’altra opera, realizzata nel 2022 da I Miradebora (duo di artisti composto da Massimo Biagi, in arte Miradario, e Debora Di Bella) è una rielaborazione fotografica in bianco e nero denominata Dialogo Franco, omaggio a Bertini e alla sua passione per l’arte.«Franco Bertini è un amico del Museo di Palazzo Pretorio ed è un amico della città. Grande collezionista di arte pratese del Novecento, rinsalda con questa donazione una relazione già forte e riconosciuta», dichiara Simone Mangani, Assessore alla Cultura del Comune di Prato.

Franco Bertini
Nato a Prato il 29 gennaio 1943, fin da ragazzo si è appassionato di arte. Dopo il matrimonio, nel 1967, ha iniziato a collezionare opere di artisti di diversa provenienza, fino al 1991, quando ha deciso di dedicarsi esclusivamente alla collezione di opere di artisti pratesi. Ha organizzato circa 500 mostre, dal 1997, anno del suo pensionamento, ad oggi, nella provincia di Prato e Firenze.
Nel 1999 ha organizzato una mostra della sua collezione nella cripta della chiesa di San Giorgio a Colonica. Nel 2009 ha donato 120 opere all’Istituto Santa Rita di Prato, che sono state collocate nella chiesa di Santa Chiara e in altri locali.
Nel 2019 è stato dedicato alla memoria di sua figlia Francesca l’affresco dell’artista Gabriella Furlani, dal titolo Angeli custodi, collocato presso l’Istituto santa Rita ai Cappuccini.

GLI ARTISTI

Arrigo del Rigo (Prato, 14 giugno 1908 – Prato, 26 febbraio 1932). Nacque a Prato il 14 giugno 1908. Nel 1920 la famiglia si trasferì a Corfù, dove rimase sicuramente fino al 1921. Sono di questo periodo le sue prime pitture di paesaggio che rivelano un’acerba sensibilità e una precoce passione per l’arte. Al rientro in Toscana, dopo aver soggiornato brevemente a Venezia, si iscrisse all’Istituto d’Arte di Firenze, dove fu allievo del pittore Giovanni Costetti.
Gli anni dal 1922 al 1925 sono quelli di rigorosa formazione, insieme a compagni di talento come Giorgio Romani e più tardi Bruno Becchi e Mario Maestrelli. In questo periodo si cimentò in paesaggi, dall’accento quasi sognante, avvolti in una luce ovattata e intima. L’attenzione verso la figura umana diventa sempre più presente nella sua opera; comincia a emergere in alcuni ritratti un forte coinvolgimento psicologico, risolto all’interno di un autentico realismo toscano.
Sarà l’amicizia con Ardengo Soffici, che Del Rigo conobbe nel 1927 insieme agli altri giovani artisti della “Scuola di Prato” (Gino Brogi, Oscar Gallo, Quinto Martini, Giulio Pierucci, Leonetto Tintori), a rinforzare l’insegnamento artistico e a segnarne la nascita come pittore. Secondo Alessandro Parronchi, Soffici gli avrebbe aperto la strada verso la “monumentalità” dei ritratti dei familiari e la “infinitesima costruttività” delle nature morte. A questo periodo appartiene il ritratto de La Madre, donato da Franco Bertini, che si aggiunge al nucleo di uguale soggetto conservato nelle collezioni Comunali. Alcuni sono disegni preparatori, altri schizzi veloci per catturare un’espressione o un’ombra dello sguardo, altri ancora sono dipinti che mostrano la madre sempre intenta ai lavori manuali. Sono uno diverso dall’altro, eppure simili e – se accostati – evidenziano cambiamenti nella figura dovuti al passare del tempo oppure a mutamenti stilistici.
Il 1927 segnò la collaborazione di Del Rigo con “Il Selvaggio” di Mino Maccari con un disegno, seguito nel 1928 da cinque disegni e incisioni: da quel momento saranno molteplici le occasioni d’ispirazione artistica per Del Rigo, che rivela un interesse non del tutto scontato per episodi di vita quotidiana, esaltata attraverso la ritualità dei piccoli gesti e la narrazione bonaria. In alcune opere affiora l’attenzione verso l’esistenza umana, che egli valuta con accenti di tenerezza e partecipazione, senza malignità o risentimento, filtrata attraverso gli occhi di un poeta.
Dall’aprile del 1929 il pittore prestò servizio militare nel I Reggimento Granatieri di base a Roma, Riofreddo e Parma: un periodo sereno, in cui non mancarono le soddisfazioni anche sul lavoro. Al suo ritorno a Prato trovò invece un clima di contrarietà e ostilità politica. Nel marzo del 1931 venne accusato di attività sovversiva e incarcerato per pochi mesi. Insieme a lui alcuni amici – Oscar Gallo, Leonetto Tintori, Dino Fiorelli – che si ritrovavano, insieme ad altri, dal sarto Zola Settesoldi per parlare d’arte e di politica.Da quando venne liberato fino alla morte non fu più sereno come un tempo: i sospetti del regime e la preoccupazione per un futuro instabile e incerto logorarono intimamente il giovane pittore, che continuò a lavorare forse con una consapevolezza maggiore, sfociando persino nell’inquietudine. La fine, inaspettata, giunse il 26 febbraio del 1932.
Il Museo di Palazzo Pretorio di Prato conserva la collezione più importante delle opere di Arrigo del Rigo che si è formata attraverso acquisizioni e donazioni: l’ultima in ordine di tempo risale al 2016 e proviene dalla Provincia di Prato. Si tratta del fondo Arrigo del Rigo, donato da Giovacchino, padre del pittore, all’Azienda Autonoma di Turismo alla fine degli anni Settanta e passato alla Provincia di Prato nel 2011. Questo nucleo di dipinti è esposto nel Palazzo Comunale di Prato; i disegni sono conservati nei depositi e si aggiungono a più di 200 tra disegni, acquerelli, litografie e xilografie che il Comune di Prato ha acquistato nel 1963 dalla famiglia. Nel 1991 lo stesso Comune ha acquisito con legato testamentario di Gino Brogi un dipinto e un disegno. Nel 1996 l’Università popolare di Prato ha donato
l’Autoritratto del 1926, esposto al terzo piano del Pretorio, a cui da oggi si affianca La madre, che presentiamo. 

1928, olio su tavola

Gino Signori (Barga-Lucca, 19 aprile del 1912- Figline di Prato, 1 gennaio del 1992)
Nacque nel 1912 a Barga; il padre Luigi, pratese di Tobbiana, lavorava nelle cave di marmo.
In seguito al trasferimento della famiglia a Prato, Signori, da giovanissimo, cominciò a lavorare nei cantieri per la costruzione della linea ferroviaria “direttissima” tra Prato e Bologna e poi al lanificio Cangioli. Richiamato sotto le armi nel 1941, poco dopo essere divenuto padre della figlia Marilena (1939) fu inviato al fronte jugoslavo-albanese – dove fu ferito – e poi all’isola d’Elba: fu in questo periodo che ottenne la qualifica di infermiere specializzato. Da qui venne trasferito all’isola di Capraia e poi di nuovo all’Elba, dove lo colse l’annuncio dell’armistizio. Dopo un lungo combattimento, i soldati dell’esercito italiano, tra i quali Signori, tra il 17 e il 22 settembre furono catturati e trasferiti a Piombino. Per sottrarli al controllo della Croce Rossa e alle garanzie della convenzione di Ginevra, i soldati italiani catturati furono classificati come “internati militari” e Signori e i suoi commilitoni furono reclusi nel campo di Sandbostel, vicino ad Amburgo. Proprio ad Amburgo, dove prestava la sua opera come infermiere specializzato, una sera, nelle vicinanze di un ospedale si imbatté in una colonna di ragazze ebree. Una di queste fu minacciata di morte da un militare delle SS armato di mitra. Gino Signori, sfidando il destino, intervenne con forza chiedendo al soldato di risparmiare la donna in cambio di qualche sigaretta. Dopo quell’episodio nascose la ragazza in un anfratto della stanza che era adibita a infermeria dove lavorava. Quando poi fu costretto a trasferirsi altrove, fece travestire la ragazza da uomo e continuò a nasconderla fino alla fine della guerra.
Questa storia rimase per lungo tempo sconosciuta, viva solo nei ricordi di Gino Signori, che dal ritorno a Prato aveva ripreso il lavoro al Lanificio Cangioli e aveva cominciato a dipingere, divenendo piuttosto conosciuto con mostre in Italia e all’estero. Fino a che nel 1964 ricevette una visita inattesa, quella di un camionista fiorentino: in Cecoslovacchia questi aveva raccolto la richiesta della donna ebrea da lui salvata, Hana Tomesova, di rintracciare il suo salvatore del quale non si era dimenticata. Nel giugno del 1964 Hana e Gino si rincontrarono e ripresero quell’amicizia che, iniziata vent’anni prima in Germania nei campi col filo spinato, durò fino alla morte giunta per Signori nel 1992.
La storia dell’eroico salvataggio fu oggetto di ricerca che portò nel 1984 da parte dell’istituto commemorativo dell’Olocausto, lo Yad Vashem, a conferire a Gino Signori la medaglia di Giusto tra le Nazioni, il titolo che viene riconosciuto ai non ebrei che si sono resi protagonisti di atti di amicizia nei confronti del popolo di Israele. La medaglia gli venne consegnata a Prato il 6 marzo del 1985 in una cerimonia solenne alla presenza del sindaco e del rabbino di Firenze e in cui fu anche letta una missiva inviata da Primo Levi. La medaglia e altri oggetti di Signori sono stati donati dalla famiglia nel 2006 al Museo della Deportazione di Prato, che si trova a proprio a Figline. Il 6 marzo 2020 è stata apposta una targa per ricordare Signori nel giardino dei Giusti della Scuola pratese Pier Cironi. In occasione delle celebrazioni dei 110 anni dalla nascita del pittore, nella piazza Tintori di Figline è stata collocata una panchina dipinta, apposta una targa ed è stato piantato un giovane ulivo.Signori ha lasciato un gran numero di opere, che spesso lui stesso regalava agli amici e ai suoi compaesani. Trascorse quasi tutta la vita a Figline di Prato, dove solo in pochi conoscevano la storia di Hana e della guerra, ma dove tutti sapevano che egli era un pittore. Schivo e poco propenso a parlare di sé, si raccontava con le sue opere, nelle quali riusciva ad esprimere liberamente l’amore per la natura, il bello della vita e il dolore delle ingiustizie e della guerra. Colori forti, stesi quasi sempre senza pennelli con le mani o con gli stracci, composizioni spesso fatte di pochi tratti di materia raggrumata e spessa, soggetti semplici, immagini romantiche come quella del nostro Abbraccio, in cui un vascello in balia delle onde trova la forza di lasciarsi andare, di farsi trascinare da un mare avvolgente, amico, in un abbraccio riparatorio.

1973, olio su tela

I Miradebora
Massimo Biagi (Miradario
) (Marliana/Pistoia, 1949).  Inizia la sua attività artistica negli Anni Sessanta. Nel 2005 scrive il testo MIRADARIO, pubblicato dagli Ori Editori. Nel 2007 firma il Manifesto del Figuratismo. È presente con i libri d’artista al Moma di New York, alla Galleria Maeght di Parigi, alla collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Nel 2017 in occasione di Pistoia capitale della cultura, con il coordinamento di Stefano Veloci, partecipa alla realizzazione di Munus, di Emanuele Bartolomei. Nello stesso anno a Villa di Celle realizza I guardiani del ponte. Attualmente si dedica al Nuovo Archivio del Graficismo e del Figuratismo insieme a Debora Di Bella.
Debora Di Bella (Vinci, 1977). Studia all’Istituto d’arte di Pistoia. Fa esperienze teatrali e lavora con “Il teatro dei Garzoni” diretto da Orlando Forioso. Dal 2016 inizia il sodalizio con Massimo Biagi, in arte Miradario, con il quale realizza pièce teatrali e dà voce al testo del video Munus di Emanuele Bartolomei, inserito nel progetto di San

Desiderio per Pistoia Capitale italiana della cultura 2017.  Dà voce anche al primo video Figuratista dal titolo ABITANTI, di e con Massimo Biagi in collaborazione con Maurizio Pini. Svolge attività artistica fotografica.
Nel 2020 Miradario e Debora Di Bella diventano I Miradebora e realizzano pièce, opere e mostre.
L’opera foto-grafica donata nasce da un “dialogo” con lo stesso Franco Bertini ed è stata realizzata a Ferrara presso il Castello Estense durante un recente viaggio. La luce “assoluta” di quel momento e di quel luogo ha suggerito il tema del doppio ritratto, dove il volto del collezionista si staglia su di un assoluto appena velato in alto da grigiore, che alchemicamente avvolge anche l’iscrizione “Dialogo Franco i Miradebora per Franco Bertini”.

2022, opera fotografica

Thomas Patch ( Exter UK 13 marzo 1725 – Firenze, 30 aprile April 1782)
Thomas Patch è stato un pittore e incisore inglese, la cui carriera artistica si sviluppò in Italia, dove si trasferì nel 1747. Si guadagnava da vivere dipingendo vedute e realizzando un gran numero di caricature che poi avrebbe venduto ai giovani britannici che viaggiavano durante il Grand Tour. La più grande collezione di suoi dipinti e stampe si trova nella Biblioteca Lewis Walpole a Farmington, nel Connecticut.
Patch nacque a Exeter nel 1725. Era figlio di un illustre medico e sarebbe dovuto diventare farmacista. Non aveva ancora completato i suoi studi di medicina quando si recò a Roma nel 1747, dove condusse il suo apprendistato artistico nello studio di Joseph Vernet, noto paesaggista, con cui collaborò creando anche copie delle sue di vedute di Tivoli. A Roma incontrò inoltre il pittore Joshua Reynolds, che alternava il suo studio delle opere d’arte italiane con la realizzazione di caricature dei turisti irlandesi e britannici in viaggio in Italia: ciò ispirò senz’altro la vena satirica di Patch.
Nel 1755 questi fu espulso da Roma sia per accuse di spionaggio antigiacobita, sia per lo scandalo causato dal suo orientamento sessuale. Fuggì nella più aperta Firenze, dove rimase per il resto della sua vita. Strinse amicizia con Sir Horace Mann, importante diplomatico britannico a Firenze e punto di contatto con i turisti della stessa nazionalità che arrivavano in città. Patch produsse qui un’ampia serie di stampe e dipinti con vedute e, come molti altri artisti espatriati, integrava le sue entrate vendendo le proprie creazioni comesouvenir agli stranieri impegnati nel Grand Tour di passaggio a Firenze – ivi comprese le caricature. Morì a causa di un colpo apoplettico nel 1782.Fu tra i primi artisti a studiare approfonditamente l’arte fiorentina dal Medioevo al Rinascimento, pubblicando incisioni che riproducono opere di Giotto, Masaccio, Ghiberti e Fra’ Bartolomeo. Il volume dedicato a Fra’ Bartolomeo, del 1772, fu finanziato dal suo connazionale committente Sir Horace Walpole ed era corredato da 45 stampe. L’incisione donata da Franco Bertini raffigurante una testa di San Giuseppe è una delle tavole suddette.

1771-72, acquaforte su carta

BENTLEY MOTORS PREMIATA COME TOP EMPLOYER MIGLIOR DATORE DI LAVORO

BENTLEY MOTORS PREMIATA COME TOP EMPLOYER MIGLIOR DATORE DI LAVORO

▪ Il Top Employer Institute nomina Bentley nell’elenco d’élite per il tredicesimo anno consecutivo

▪ L’unica casa automobilistica con sede nel Regno Unito a ricevere questo riconoscimento

▪ Il premio evidenzia l’approccio aziendale alla diversità, all’inclusione e al benessere dei dipendenti

▪ Il riconoscimento supporta la strategia Beyond100 di Bentley, che punta a una leadership sostenibile nella mobilità di lusso

Bentley Motors ha conseguito il riconoscimento di Top Employer del Regno Unito da parte (Miglior Datore di Lavoro) del Top Employers Institute, riconosciuto a livello internazionale. Bentley è l’unica casa automobilistica del Regno Unito ad essere inclusa nel celebre elenco che quest’anno segna il tredicesimo anno consecutivo di inclusione di Bentley.

L’Istituto ha elogiato l’approccio del marchio di lusso al benessere, ai valori, all’etica e all’integrità dei dipendenti, oltre all’attenzione di Bentley per la sostenibilità, la digitalizzazione, la diversità e l’inclusione.

Il premio si basa su un’analisi completa dell’azienda che ha evidenziato l’approccio innovativo e convincente di Bentley nei confronti dei suoi dipendenti con quello che viene definito ” Extraordinary Journeys” il percorso che sottolinea le crescenti ambizioni strategiche di Bentley per il futuro.

Commentando il risultato, la dott.ssa Karen Lange, Member of the Board for Human Resources, ha dichiarato:

“I nostri colleghi sono il vero cuore dell’azienda e i nostri successi sono dovuti alla loro granitica dedizione, determinazione e diversità. Siamo orgogliosi di essere classificati come Top Employer e ci impegneremo sempre di più, non solo a valorizzare, ma anche a celebrare ogni prospettiva e contributo, che ci vedrà progredire come squadra dinamica e inclusiva”.

“Abbiamo obiettivi ambiziosi per il futuro, che potranno essere raggiunti solo se ci concentreremo sulla collaborazione e sullo sviluppo delle nostre straordinarie capacità, per guidare il cambiamento e ottenere il meglio dal nostro modo di avorare, puntando a una leadership sostenibile nel settore del lusso.”

La ricerca internazionale annuale – condotta dal Top Employers Institute – riconosce i principali datori di lavoro di tutto il mondo che offrono condizioni di lavoro eccellenti, si impegnano al massimo per migliorare continuamente i processi di assunzione e coltivano e sviluppano i talenti a tutti i livelli dell’azienda.

Nell’ambito della sua strategia Beyond100, Bentley pone una forte enfasi sul divenire un datore di lavoro di eccellenza. Il marchio britannico mira a diventare leader nella mobilità sostenibile di lusso raggiungendo la neutralità delle emissioni end-to-end e creando auto esclusivamente elettriche a batteria entro il 2030.

La Galleria Negropontes partecipa per la prima volta alla fiera NOMAD di St. Moritz, Svizzera

Prima partecipazione a NOMAD St. Moritz
22-25 febbraio 2024

Dal 22 al 25 febbraio 2024, la Galerie Negropontes parteciperà, per la prima volta, a NOMAD St. Moritz, fiera itinerante e internazionale dedicata all’arte contemporanea e al design. Per questa edizione, la Galerie Negropontes ha deciso di presentare un’esposizione che richiama a Mouvements, l’esposizione presentata in parallelo nello spazio di Parigi della galleria dal 20 gennaio al 29 marzo 2024. Mouvements è un inno alla trasformazione artistica e celebra il gesto dell’artista come primo movimento, l’origine di tutta la creazione, dove la materia si trasforma e dà vita all’arte.

Per l’edizione del 2024, la Galerie Negropontes ha scelto delle opere che riflettono lo spirito del movimento, come l’installazione luminosa Pilotis di Éric de Dormael, che si distingue per la leggerezza e la fluidità delle forme, ed è caratterizzata da un sottile gioco di luci e ombre, riflessi e vibrazioni danzanti.

Il ritmo è al centro dei dipinti di Daniel Humair e delle opere scultoree Dune e Arabesque III di Etienne Moyat. Queste opere d’arte e di design, con i loro movimenti interrotti, danno vita a una dinamica visiva che si manifesta nel percorso espositivo.

L’Oval Cremino di Gianluca Pacchioni, che ricorda una ballerina congelata su una nota, cattura un momento di grazia ed equilibrio, mentre il dipinto monumentale di Benjamin Poulanges, grazie al suo stile di pittura innovativo, evoca la fluidità e la continuità del movimento.

Le due opere, Movimento di Mauro Mori e Présence Rubis di Ulrika Liljedahl, utilizzano diversi materiali, come il marmo, il rame e il crine di cavallo, per creare delle forme in movimento che superano i confini dell’arte tradizionale.

Story Board, una scultura realizzata dagli scultori Perrin & Perrin, gioca con le vibranti sfumature di bianco e blu, che creano dei magnifici effetti luminosi e di trasparenze.

Erwan Boulloud conferisce alla materia grezza del gesso un aspetto unico e raffinato, nella sua scultura Traces Anthropo-décadentes, le crepe simboleggiano la bellezza e la ricchezza della trasformazione della materia.

A proposito Galerie Negropontes

Situata tra il Louvre e la Collezione Pinault di Parigi, la Galerie Negropontes occupa una posizione emblematica che unisce l’esperienza del passato alla scoperta del futuro. Il suo obiettivo primario è quello di dare nuova vita alle arti decorative francesi, unito al desiderio di mostrare il lavoro di artisti con esperienze e approcci diversi. Fondata e diretta da Sophie Negropontes, la Galleria si distingue per la scelta accurata di materiali rari e atipici e per la sua capacità di dare risonanza ai principali movimenti artistici del XX secolo. Presenta una quindicina di creatori, tra cui designer, fotografi, pittori e scultori. Questi artisti hanno in comune la capacità di esplorare e di superare i limiti della propria arte, di ricercare la perfezione attraverso un’apparente semplicità o, al contrario, un’esplosione di mezzi artistici. Sotto la guida di Sophie Negropontes, la Galleria pone il dialogo, lo scambio e l’esperienza al centro della sua programmazione. Grazie alla sua decennale esperienza nel settore, la Galerie Negropontes è un santuario dell’estetica e dell’innovazione, dove le opere esposte rispettano tutte degli alti standard di eccellenza. Sono questi gli elementi che hanno reso la Galerie Negropontes una galleria unica nel suo genere e caratterizzata da una forte identità.

10 CORSO COMO IN UNA NUOVA VESTE

10·Corso·Como annuncia dal 21 febbraio l’apertura dei suoi primi spazi ripensati – la Galleria e la Project Room situati al primo piano dell’iconica sede milanese e ridisegnati dall’agenzia interdisciplinare 2050+, secondo la visione di Tiziana Fausti.

Restituito alla città come importante spazio per la diffusione culturale, il piano espositivo svela al pubblico la prima parte del suo programma che intreccia – con un respiro internazionale – arti visive, moda, design e panorama editoriale. Un’esperienza inedita di scoperta e fruizione porta il visitatore ad attraversare gli ambienti in un climax ascendente, dalla Project Room alla Galleria.

Nel cercare un nuovo equilibrio tra passato e presente l’intero primo piano di 10·Corso·Como mantiene il carattere industriale di inizio XX secolo e ripensa i suoi percorsi facendo degli spazi di collegamento i protagonisti del racconto architettonico. Rimuovendo gli elementi non necessari accumulati nel tempo, lo spazio si apre generosamente alla luce e all’aria, consentendo il movimento osmotico attraverso i diversi piani e programmi.

Pensate come un teatro flessibile, capace di cambiare forma e configurazione, la Galleria e la Project Room sono concepite come uno spazio leggero in cui tutto ciò che avviene al suo interno è mobile e componibile. La Project Room è occupata da una serie di grandi tavoli- pantografo, mentre la Galleria da una serie di pareti mobili autoportanti.
Questi elementi consentono infinite configurazioni, fornendo un vasto repertorio di possibilità curatoriali, pronti infine a sparire nell’unica partizione dello spazio. Come un fondale, la nuova scenografia raccoglie e definisce il volto di 10·Corso·Como con un disegno e una materialità riconoscibili.

Nella Galleria, in concomitanza con la Settimana della Moda Donna di febbraio, 10·Corso·Como inaugura Happy Birthday Louise Parker, una mostra personale dell’artista americano Roe Ethridge (Miami, 1969). A cura di Alessandro Rabottini, il progetto espositivo è stato concepito per la Galleria di 10·Corso·Como ed è la prima esposizione in Italia dedicata a una delle voci più personali della fotografia internazionale. Conosciuto per lo stile anticonvenzionale, lirico e provocatorio, Roe Ethridge esplora le potenzialità dell’immagine fotografica al di là delle divisioni tra ricerca artistica e fotografia commerciale, stabilendo un profondo dialogo tra arte e moda, memorie personali e storia della fotografia.

Happy Birthday Louise Parker riunisce opere iconiche degli ultimi 15 anni e lavori inediti, offrendo una visione delle molteplici tematiche e sensibilità che si intrecciano nella pratica artistica di Ethridge. Esuberanti nature morte, servizi di moda frutto di una meticolosa messa in scena, paesaggi malinconici e ritratti intimi. Pur nella diversità dei soggetti, il linguaggio di Ethridge affronta ciascuna immagine con lo stesso, estremo rigore formale, sottoponendo tanto il proprio vissuto quanto l’immaginario della moda a un processo di tensione stilistica e concettuale.

Spazio dinamico, in grado di trasformarsi a seconda dei progetti che accoglie, la Project Room apre al pubblico con una nuova configurazione e direttrici visive e concettuali che passano dall’editoria all’arte e al design. Una selezione di libri rari e “vintage”, accompagnata da riviste di culto, apre il dialogo con l’esposizione di design sviluppata dalla curatrice Domitilla Dardi e dedicata al concetto di “Stanza Alchemica”. Le tipologie scelte includono oggetti decorativi, tableware, complementi d’arredo fino ai piccoli oggetti di interior, accomunati da una grande attenzione al dettaglio e alle storie che il design editoriale e d’autore porta con sé.

Un percorso che va dall’heritage al contemporaneo culmina con la mostra dedicata ad una singolare collezione: il gioiello d’artista. L’esposizione anticipa il focus intorno al senso degli archivi della moda e dell’arte e alla possibilità di renderli accessibili e fruibili.

Pietro Consagra. Ornamenti a cura di Alessio de’Navasques, ricostruisce uno speciale episodio all’interno della pratica scultorea di Pietro Consagra: la collezione di maschere per il viso e ornamenti per il corpo, realizzati nel 1969 in collaborazione con GEM GianCarlo Montebello, laboratorio per la produzione di gioielli d’artista. In un momento di grande fermento sociale e culturale, agli albori del movimento femminista, prima della fondazione nel 1970 di Rivolta femminile, di cui Carla Lonzi, al tempo compagna dell’artista, è una delle iniziatrici, Pietro Consagra (Mazara del Vallo, 1920 – Milano, 2005) realizza gioielli per il viso e il corpo che oltrepassano il fine estetico. Sono maschere che conferiscono una nuova, affascinante, espressività al volto e alludono alla rivolta della donna contro gli stereotipi a lei assegnati dalla società maschile, sul crinale di una provocazione che è anche ludica. Documentano la mostra: schizzi e disegni preparatori, scritti e pubblicazioni provenienti dall’Archivio Pietro Consagra di Milano insieme alle rare foto di Ugo Mulas, dove Benedetta Barzini “veste” i gioielli.

Nella nuova area culturale di 10·Corso·Como ripensato nelle sue architetture da 2050+, la mostra di Roe Ethridge a cura di Alessandro Rabottini rivela la Galleria, mentre la mostra dei gioielli di Pietro Consagra a cura di Alessio de’Navasques apre la Project Room in dialogo con la selezione di design d’autore curata da Domitilla Dardi, i libri rari e le riviste scelte. La prima, inedita versione del teatro flessibile 10·Corso·Como.

Musica Infinita allo Spazio Teatro 89

Musica infinitaCi vuole un fiore

Si è tenuto lo spettacolo del duo Elena Chiavegato e Barbara Massaro presso lo Spazio Teatro 89, una serata all’insegna dei fiori e delle ispirazioni floreali nella musica.

L’ Inari Duo, composto dalle giovani Barbara Massaro, soprano, ed Elena Chiavegato al piano, ha proposto una raffinata scelta di musica vocale da camera che è come un profumatissimo bouquet di suoni, parole ed emozioni, dalle eleganze barocche delle Violette di Alessandro Scarlatti alle efflorescenze novecentesche dei Fleurs di Poulenc, attraverso Lieder e Chansons di epoche e stili diversi, per scoprire o riscoprire che ognuno di noi ha nel cuore un fiore speciale, indissolubilmente legato a ricordi indelebili. Bello è stato riconoscere quel fiore trasformato in suoni dalla magia della musica e dalla sensibilità delle interpreti.

Il programma:

Alessandro Scarlatti (1660-1725):
Le Violette, Aria dall’Opera Pirro e Demetrio testo di Adriano Morselli

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791): Das Veilchen (La violetta), Lied K 476
testo di Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832)

Franz Schubert (1797-1828):
Die Blumensprache (Il linguaggio dei fiori), Lied D 519 testo di Anton Platner (1787-1855)

Felix Mendelssohn (1809-1847):
Der Blumenstrauß (Il mazzo di fiori), Lied op. 47 n. 5 testo di Karl Klingemann (1798-1862)

Robert Schumann (1810-1856):
Blumenstück (Pezzo a forma di fiore) op.19 per pianoforte solo Meine Rose (La mia rosa), Lied op. 90 n. 2
testo di Nikolaus Lenau (1802-1850)
Die Lotosblume (Il fior di loto), Lied op. 25 n. 7
testo di Heinrich Heine (1797-1856)

Richard Strauss (1864-1949): Mädchenblumen (Fanciulle-fiore), 4 Lieder op. 22 testi di Felix Dahn (1834-1912)
1. Kornblumen (I fiordalisi); 2. Mohnblumen (I papaveri); 3. Epheu (L’edera); 4. Wasserrose (La rosa d’acqua)

Claude Debussy (1862-1918):
De fleurs (Dei fiori), n. 3 da Proses Lyriques, testo dell’Autore

Maurice Ravel (1875-1937): Manteau de Fleurs (Manto di fiori) M 39 Testo di Paul Gravollet (1863-1936)

Francis Poulenc (1899-1963):
Fleurs (Fiori), n. 6 da Fiançailles pour rire (Fidanzamento per ridere), FP. 101 Testo di Louise Lévêque de Vilmorin (1902-1969)

Gabriel Fauré (1845-1924):
Le Papillon et la Fleur (La farfalla e il fiore), op. 1 n. 1 testo di Victor Hugo (1802-1885)

Emmanuel Chabrier (1841-1894): Toutes les fleurs! (Tutti i fiori!) Testo di Edmond Rostand (1868-1918)

Elena Chiavegato al piano

La 15ma personale dell’artista Andrea Bianconi, “Invisible dance”, approda a Houston

ANDREA BIANCONI | INVISIBLE DANCE  

BARBARA DAVIS GALLERY, HOUSTON – TEXAS

12 GENNAIO- 2 MARZO 2024 

OPENING VENERDÌ 12 GENNAIO 2024 – 18.00 – 20.30

19.30 PERFORMANCE BY ANDREA BIANCONI & RICHARD HUBSCHER


La Galleria Barbara Davis, prestigioso indirizzo al 4411 Montrose Blvd, Houston, in Texas, presenta “Invisible Dance”, la quindicesima mostra personale di Andrea Bianconi organizzata dalla Galleria per l’artista italiano che si aprirà venerdì 12 gennaio 2024 dalle 18.00 alle 20.30.

Durante l’opening, alle 19.30 si svolgerà la performance di Andrea Bianconi e Richard Hubscher.

In questa mostra, Andrea Bianconi introduce un’irresistibile sfocatura: cosa esiste tra l’anima e il corpo? Dove si allineano il razionale e l’irrazionale? Quando la finzione diventa realtà?

L’artista esamina in modo giocoso il nucleo del suo io, mescolando magistralmente una creatività leggera con idee profondamente introspettive. Per Bianconi, il velo diventa un veicolo ovvio per esplorare i suoi concetti fantastici e allo stesso tempo fondati. Il velo stuzzica la comprensione, dando un’idea di ciò che sta sotto. Oltre alle sue frecce, Andrea Bianconi manipola la trasparenza morbida nei suoi disegni, nelle sculture e nelle performance. Esplora la dissonanza cognitiva creata dal vivere l’esperienza umana e, così facendo, ci permette di sbirciare sotto il suo velo. Seguiamo la sua interminabile linea di interrogazione, perdendoci nelle pieghe delicate e negli strati misteriosi. Il velo stesso presenta una verità nascosta che danza con la fisicità: cos’è che non riusciamo a vedere completamente? Non riusciamo a comprendere appieno? È quella cosa che stiamo inseguendo, come le frecce inquiete di Bianconi.

In un corpo di lavoro veramente contemplativo, Andrea Bianconi decide che questa meraviglia profondamente umana è una storia d’amore elettrica con il proprio mondo. Ad ogni nuova prospettiva, camminando intorno alle sue opere, si scopre un nuovo strato di significato e un nuovo livello di connessione. Con le sue sculture, Bianconi considera la vita e la sua fragilità temporale giustapposta alla celebrazione estetica della vita.

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