A Milano torna la Vogue Fashion’s Night Out

Alla vigilia della fashion week milanese torna la notte dedicata allo shopping: il 22 settembre a Milano è prevista l’edizione 2015 della Vogue Fashion’s Night Out. La sesta edizione della notte bianca promossa da Vogue Italia coniuga la passione per lo shopping ad eventi charity. Amanti della moda fatevi avanti, con un obiettivo solidale.

Inserita per quest’anno all’interno di “Expoincittà” e patrocinata dal Comune di Milano, la VFNO prevede l’apertura straordinaria fino alle 23 delle boutique e degli store del centro e del quadrilatero della moda: da Brera e Corso Como a Corso Vittorio Emanuele fino a Corso Venezia, Corso Genova e Porta Nuova, con Piazza Gae Aulenti. Un fitto calendario di eventi esclusivi, con un parterre d’eccezione, esponenti del jet set internazionale e celebrities, insieme ad eventi dal vivo.

La notte bianca si inaugura con un cocktail offerto a Palazzo Morando da Martini, partner ufficiale dell’evento. Tra un cocktail e un altro largo a veri e propri percorsi di stile, come quello ispirato alla Belle Époque curato da Elisabetta Invernici che si terrà nella location di Palazzo Castiglioni, in Corso Venezia.

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La Terrazza Martini, punto di incontro per gli amanti della Milano by night, viene celebrata da quattro fotografi selezionati all’interno del progetto di Photo Vogue con un’esposizione dei loro scatti presso il Padiglione Italia di Expo Milano 2015.

A Piazza Meda, nel Salone Centrale della Banca Popolare di Milano, Vogue Talents espone le opere di cinque designer. Per gli amanti del vintage sarà organizzata una sfilata di abiti d’epoca promossa dalla Regione Abruzzo. Un connubio di glamour e charity con un obiettivo solidale: l’intero incasso della notte bianca della moda quest’anno sarà devoluto all’Istituto Monzino per la ricerca sulle malattie cardiovascolari. Tantissime le boutique che hanno aderito all’iniziativa: la lista completa è online sul sito di Vogue Italia. Una serata da non perdere, per fare le ore piccole con stile.

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E dove sono le fucine di talenti creativi Made in Italy?

Alle soglie dell’apertura degli anni accademici e, a seguito di una nazione, l’Inghilterra, nominata al top delle classifiche mondiali per le migliori università di moda, D-Art porta gli aspiranti professionisti alla scoperta dei piani formativi delle realtà italiane.


The Business of Fashion, nella sua top ten annuale riguardante le scuole di moda mondiali, mette ai primi posti le realtà britanniche dei record.
Tra tutte la Central Saint Martins, seguita dalla Kingston, dalla Westminster e dal London College of Fashion.
Un panorama dinamico e eclettico quello della prima scuola di moda al mondo che, da anni, sforna talenti destinati alle luci della ribalta, come Alexander McQueen, John Galliano, Stella McCartney e Riccardo Tisci.
Il suo è un piano formativo variegato e allettante, coadiuvato da costanti iniziative, opportunità e sinergie.
Fashion, Fashion Design With Knitwear, Fashion Design With Marketing, Fashion Design Menswear, Fashion Design Womenswear, Fashion Print, Fashion Communication, Fashion Journalism, Fashion Communication and Promotion sono i corsi di laurea di primo livello che vanno a ampliarsi con due master ad hoc.


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Per i wannabe che non hanno modo di provare con il plus ultra mondiale non resta che virare verso ciò che offre il nostro Paese.
Unico rappresentante nella top five di The Business of Fashion è il Polimoda.
L’istituto fiorentino offre una formazione e una metodologia di lavoro altamente specializzate.
Suddiviso in due dipartimenti, Design & Technology e Business & Communication, il Polimoda forma competenze professionali come il Brand e Communication Manager, il Buyer, o quelle più creative come l’Art/Creative Director, il Fashion Designer, il Fashion Illustrator, il Fashion Stylist, il Footwear & Accessories Designer, senza dimenticare le nuove figure per il web, il Digital Strategy Planner, il Web Content Curator, il Social Media Manager, fino a quelle più vicine alla produzione e allo stile, come il Product Development Manager, il Patternmaker e il Samplemaker.


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Forte del suo primato non può che spianare la strada agli altri istituti italiani che, seppur non menzionati nella classifica, riescono a mantenere alta la qualità formativa, documentata dai placement e dalla soddisfazione degli ex allievi.
Per citarne di storici approdiamo nell’universo dello IED Moda a Roma che, come la Central Saint Martins, vanta ex diplomati di tutto rispetto.
Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli, direttori creativi di Valentino, Giambattista Valli e Marco De Vincenzo, sono solo alcuni degli allievi che hanno elaborato manufatti nelle proprie aule.
Fashion Design, Fashion Stylist E Editor e Designer Del Gioiello, i corsi triennali che vanno a affiancarsi ai master in Comunicazione E Marketing Per La Moda, Luxury Marketing Management, Fashion Design Management, Jewelry Design e ai corsi di formazione avanzata in Costume Design e Stylist Per La Moda.


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Ph. Gaetano Alfano



Un’offerta ampia che troviamo anche presso l’Istituto Marangoni di Milano, un luogo dove da sempre la teoria si affianca alla pratica e dove la creatività viene costantemente nutrita e stimolata.
Nascono così corsi, prevalentemente in inglese, aperti agli studenti di tutto il mondo. Luoghi dove la sinergia e il networking rendono la scuola fiore all’occhiello del patrimonio italiano.
Fashion Design, Fashion Styling, Fashion Business, Fashion Communication E New Media e Accessories Design anticipano i master e le specializzazioni in Fashion Design Womenswear, Fashion Design Menswear, Knitwear Design, Fashion Styling & Portfolio, Fashion Photography & Film, Fashion Promotion, Communication & Media, Fashion & Luxury Brand Management, Fashion Buying, Fashion Product & Production Management, Fashion Retail Management, Fashion & Law, Digital Fashion Design, Luxury Accessories Design & Management, Fashion & Luxury, Business Administration e Fashion Elite.


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Unica università statale presente nell’excursus, con i suoi corsi triennali e magistrali in Design Della Moda e Moda E Arti, è lo IUAV di Venezia.
Quella che più spesso è stata definita come la “piccola Anversa” offre agli studenti costanti e importanti opportunità, non ultima la collaborazione con le manifatture Bonotto e Riopele.
In occasione di Milano Unica, infatti, 4 selezionati neodiplomati, Alessia Beraldin, Giovanni Nordio, Gregorio Nordio e Filippo Soffiati, hanno realizzato installazioni tessili in bilico tra performance e opere d’arte, esposte durante un evento presso Palazzo Durini.


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Come la Central Saint Martins molte delle realtà appena illustrate offrono la possibilità di interagire grazie a corsi brevi. Un modo per orientarsi, approfondire già consolidate esperienze e subire l’imprinting emanato da ognuna di esse.

“CHORIPAN” LA MOSTRA PERSONALE DI MARIANO FRANZETTI

Il 3 settembre 2015 alle 15,00 apre al pubblico presso lo Spazio Sanremo | 5Vie a Milano la mostra Choripan con 20 opere, di cui la maggior parte inedite, realizzate da Mariano Franzetti, a cura di Elisa Ajelli.

Il percorso espositivo propone ai visitatori una visione molto personale dell’autore sui temi dell’Expo relativi alla nutrizione e allo stretto rapporto tra il popolo italiano e argentino, in considerazione del fatto che più della metà delle
persone residenti in Argentina ha origini italiane. Di questa comunione di origini
l’artista Mariano Franzetti è testimone e interprete ideale, avendo vissuto tra Italia e Argentina, stabilendosi poi a Milano, città che ospita l’Esposizione Universale.

Il significato di nutrizione nelle opere dell’autore assume un senso molto lato,
riferendosi anche alla rinascita culturale dell’Argentina dopo le note vicissitudini
socio-economiche e alla stretta similitudine del proprio percorso culturale, pur se con qualche decennio di ritardo, con un’analoga evoluzione del nostro paese.
La nutrizione cui fa riferimento l’artista parte certamente dal fatto che l’Argentina è uno dei più grandi esportatori di prodotti agricoli e zootecnici nel mondo. L’autore tuttavia non prescinde dalla necessità dell’essere umano di alimentare la propria esistenza oltre i bisogni primari: la comunanza di valori, la condivisione dei momenti salienti del quotidiano (come nella serie di opere Iconoclast) ma anche il bisogno di riscatto costituito dall’identificazione con i supereroi contemporanei, che siano essi rappresentati da esponenti del mondo dello sport, dal macho decadente o dagli sgargianti piatti tipici delle tradizioni di entrambi i paesi (da qui il titolo della mostra: Choripan è un piatto tipico argentino consumato per strada) imprescindibili nei luoghi comuni presenti nel quotidiano di ogni argentino o italiano, ritratti con ironia, enfasi e stile neopop nelle opere della serie Groncho.

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Oltre ad opere pittoriche, l’esposizione consta di sculture e installazioni multimediali che propongono una similitudine tra la storia mediatica italiana e argentina e conferiscono, attraverso un’efficace simultaneità, un adeguato parallelismo tra tradizione e modernità espressiva.

La mostra vuole essere una riflessione ora ironica, ora poetica, circa il tentativo
dell’essere umano di trovare nuove strade di affermazione attraverso la condivisione e la coltivazione dei rapporti umani. Queste tematiche non sfuggono all’occhio apparentemente beffardo dell’artista, in realtà profondamente attento e sensibile ai mutamenti socio-culturali dei popoli di cui la sua vita rappresenta una sintesi ineffabile e la ricerca stilistica di un nuovo umanesimo contemporaneo.

La mostra gode del sostegno del Consolato dell’Argentina, della Direzione del padiglione Argentina presso EXPO, di Expoincittà, e dell’Associazione 5Vie di Milano che tutela e promuove la zona più antica della città attraverso la promozione di eventi culturali e artistici.

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Info:

• Dal 3 settembre al 20 settembre 2015
• Apertura al pubblico: 3 settembre dalle 15
• Spazio Sanremo | 5Vie, via Fosse Ardeatine (angolo via Zecca Vecchia) Milano
• Preview per la stampa: 3 settembre dalle 12 alle 15
• A cura di Elisa Ajelli
• Orari: dal lunedi al venerdi 10-19 | sabato e domenica 15-18
• Cocktail e presentazione catalogo 15 settembre dalle 18,30 (su invito)
• Enti sostenitori: Consolato dell’Argentina, Direzione del padiglione Argentina presso EXPO, Expoincittà, Associazione 5Vie Milano.
• Relazioni con la stampa: s2bpress Milano

Francesco Maria Colombo dirige l’orchestra Verdi – è il turno della Svizzera

Spogliatosi del frac, Francesco Maria Colombo alla direzione dell’Orchestra Verdi, il 3 agosto ha inaugurato la serata dedicata alla Svizzera presso l’Auditorium di Milano. La rassegna musicale “Around the world” continua quindi in “vesti estive e casual”, rallegrando gli spiriti dell’accaldato milanese.

Una serata in cui la musica è il comune denominatore tra le 14 nazioni scelte, più di 50 partiture, altrettanti compositori e alcuni famosissimi brani tra cui il “Guglielmo Tell” di Rossini proposto in questa occasione.

Pur non essendo svizzero, il Rossini nazionale ha comunque dedicato il suo estremo capolavoro a questo paese. L’ouverture del Guglielmo Tell, per antitesi, è stata scelta a chiusura del concerto, un finale di grande impatto emozionale, che ha strappato tanti applausi e un’orchestra presente, esilarante, perfettamente accompagnata, per una esecuzione dinamica, senza il minimo accenno di debolezza.

Non da meno, ma sicuramente difficile l’esecuzione raffinata e intellettuale di “Die vier Elemente” dello svizzero-tedesco Frank Martin: uno tra i suoi lavori più riusciti ispirato ai quattro elementi. Aria – acqua – fuoco e terra didatticamente spiegati dal maestro Francesco Maria Colombo attraverso un’analisi live con l’orchestra.

Di Arthur Honegger sono stati eseguiti due brani, entrambi con una precisione ed un meccanismo prettamente svizzeri; il primo – Pacific 231 – è quasi una lettera d’amore alle locomotive – una passione ch’egli paragonava a quella che gli uomini generalmente hanno per le donne; il secondo – Rugby – vuole esprimere i bruschi movimenti degli arti umani impegnati in uno sport estremo.

Entrambi i brani ci ricordano la freddezza tecnica della musica svizzera, che per gli stessi autori doveva essere semplice e assolutamente anti-romantica.

Around the world: Slovenia all’Auditorium di Milano

Lunedì 22 giugno alle ore 20.30 si è tenuto il secondo concerto della rassegna musicale “Around the world” pensata per Expo 2015 da laVerdi.

Presso l’Auditorium di Milano in largo Mahler, l’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, dietro la conduzione del direttore d’orchestra Francesco Maria Colombo, ha eseguito una serie di brani della tradizione musicale slovena.

E’ quindi la Slovenia la nazione scelta per questo appuntamento volto a mostrare come la musica delle culture più lontane abbia una base comune, che renda tutti gli autori presentati “comprensibili” e capaci di coinvolgere la nostra intelligenza.

Le introduzioni ai brani del direttore Francesco Maria Colombo ne sono una prova: collegamenti storico-culturali correlati di fotografie e documenti che tengono viva l’attenzione in sala, un modo nuovo e interattivo di raccontare la musica e introdurre un neofita allo straordinario mondo delle sale da concerto.

Con la “Sinfonia per archi in re maggiore” di Giuseppe Tartini è iniziata la serata, una figura europea che passa la vita a girovagare per l’Italia e noto per aver composto la celeberrima sonata “Trillo del Diavolo”.

Ha seguito la “Seconda Suite per archi” di Marijan Lipovšek, unico fra gli autori in programma ad aver visto realizzarsi la nazione slovena.

Con il “concerto per arpa e orchestra” di Lucijan Marija Škerjanc fa il suo ingresso Elena Piva, la solista che dal 2000 ottiene il posto di Prima Arpa presso laVerdi e si conclude con Blaž Arnič e l’Ouverture a un’opera comica (purtroppo mai realizzata).

INFO E PRENOTAZIONI:

Auditorium di Milano Fondazione Cariplo, largo Mahler, orari apertura: martedì – domenica ore 14.30 – 19, telefono 02.83389401/2/3; biglietteria via Clerici 3 (Cordusio), orari apertura: lunedì – venerdì ore 10 – 19, sabato ore 14 – 19, telefono 02.83389.334; on line www.laverdi.org o www.vivaticket.it.

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“Around the world” il viaggio musicale insieme a Francesco Maria Colombo 

“Around the world”, il viaggio musicale insieme a Francesco Maria Colombo

Around the world” è il programma musicale ideato per Expo 2015: 14 concerti diretti dal maestro Francesco Maria Colombo sul podio dell’Orchestra Verdi.

A partire da sabato 13 giugno alle ore 20.30 presso l’Auditorium di Milano, seguirà un ricco programma di concerti, 14 in tutto, in cui la musica sarà il filo conduttore che unirà culture, tradizioni diverse, in un linguaggio universale: quello della musica.

L’obiettivo sarà cercare di capire come l’identità nazionale influisca, plasmi, dia carattere alla musica prodotta da un paese.

Il primo della serie è dedicato alla Gran Bretagna, una nazione che ha prodotto musica per lo più sconosciuta nelle sale da concerto. A questo proposito il direttore d’orchestra Francesco Maria Colombo ha deciso di dare luce a brani inediti. Sono stati scelti a tal proposito i 4 Interludi Marini di Britten – il poema sinfonico Tintagel, che fa rifermento alla legenda arturiana di Bax e “Pomp and circumstance” di Elgar, brano che chiuderà il concerto.

La Gran Bretagna, così legata al mito della regalità, natura imperiale su cui non tramontava mai il sole, aprirà il ciclo che durerà fino al 24 ottobre con un programma tutto da scoprire.

AUDITORIUM DI MILANO
Largo Mahler 1, Milano
Sabato 13/06/2015 dalle 20:30 alle 23:30

EXPO 2015: Viaggio statistico intorno al cibo

La statistica è una tecnica e un metodo per indagare i fenomeni collettivi o di massa, quelli che si possono misurare in base a molte osservazioni. In modo particolare si usano gli strumenti matematici e il calcolo delle probabilità, per studiare i fenomeni demografici e sociali. Oggi la statistica è una vera scienza che studia, in base a metodi matematici, fenomeni collettivi di carattere variabile.

Lo studio dei fenomeni collettivi mette in luce relazioni, regolarità, leggi che non erano inizialmente previste e forse nemmeno intuite.


La misura dei fenomeni può avere come oggetto: l’intensità di un fenomeno, le relazioni fra le intensità di due o più fenomeni, la distribuzione di un fenomeno su un territorio o su una fascia sociale, le relazioni fra le distribuzioni di due fenomeni, le relazioni fra le singole modalità delle distribuzioni di due fenomeni.

Il campo di applicazione della statistica è enorme. Basti pensare alla statistica demografica, che studia lo stato e il movimento naturale e sociale della popolazione, i censimenti, le cause di mortalità, le malattie sociali, i fenomeni migratori, la nuzialità, la natalità, le dinamiche di una singola popolazione e così via.


Nel campo che qui ci interessa, cioè il rapporto con il cibo, ogni giorno i mass media ci informano di alcune varianti e di alcune costanti nelle statistiche mondiali. Ecco alcuni degli ultimi dati, elaborati dalle Nazioni Unite e in particolare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dal World Food Programme (WFP) e dall’United Nations International Children’s Emergency Fund (UNICEF), osservatorio privilegiato sulla realtà dell’infanzia.

Ogni anno nel mondo muoiono di fame da 5 a 20 milioni di persone, di cui la maggior parte sono bambini. La fame deriva dal fatto di non disporre della quantità sufficiente di generi alimentari per soddisfare i bisogni nutrizionali.


I segni più evidenti della sottoalimentazione sono la perdita di peso negli adulti e la mancanza di sviluppo nei bambini. Oltre ai morti, grandissimo è il numero di persone che si ammalano per l’indebolimento del sistema immunitario: perciò l’organismo colpito non è in grado di reagire a una serie di infezioni.

I dati dell’OMS indicano che circa 1 miliardo e 300 milioni di persone, cioè statisticamente 1/3 della popolazione mondiale, viaggia verso le 1.500 calorie al giorno. Di queste il 30%, cioè 500 milioni, ha meno di 1.500 calorie.

Il problema più grande, però, consiste nel fatto che circa la metà dei cereali prodotti sulla terra vengono consumati in Occidente, non solo come alimento degli uomini ma anche per gli animali. Con la sola quantità di cereali che gli Stati Uniti e la Russia destinano al bestiame, si potrebbero nutrire un miliardo di persone.


Molte sono le cause che ostacolano o impediscono l’accesso di tanti uomini e donne all’alimentazione: il clima non sempre favorevole, l’arretratezza delle tecniche agricole, la squilibrata distribuzione delle risorse naturali nel mondo, l’instabilità politica di tanti paesi. Va notato che, sempre secondo i dati statistici dell’ONU, le carestie e le guerre provocano solo il 10% delle morti rispetto alla fame, anche se non se ne parla molto nei mezzi di comunicazione.

Molti popoli sono ancora colpiti dalla piaga della fame. È soprattutto il continente africano a essere interessato: lì si soffre una povertà praticamente cronica e molte volte gli aiuti inviati dai paesi progrediti non sono riusciti a produrre effetti di lunga durata. Basti pensare che tre anni fa, su quasi 3 milioni di persone morte per AIDS, il 79% erano africani. Il Corno d’Africa è stato definito «il cuore della disperazione», perché l’80% dei suoi abitanti soffre di gravi malattie legate alla malnutrizione e i bambini perdono i capelli, le unghie e anche il primo strato di pelle.


Sono quasi 1 miliardo le persone che soffrono la fame.


Nel 2001 il WFP ha presentato un rapporto in base al quale si afferma che nel mondo c’è cibo a sufficienza per l’intera popolazione del pianeta. Si tratta, dunque, di mettersi con impegno non tanto nella produzione degli alimenti ma nella loro distribuzione. Bisogna, perciò, sviluppare l’agricoltura nelle zone più povere, proteggere l’economie rurali, introdurre tecnologie agricole più moderne, organizzare centri di allevamento di bestiame, liberare i paesi poveri dall’indebitamento, correggere i cattivi effetti della globalizzazione (specialmente la caduta dei prezzi dei prodotti agricoli, la diffusione incontrollata delle colture industriali volute dai gruppi economici più forti).

Come si diceva prima, sono soprattutto i bambini le vittime di questo «sterminio per fame». L’UNICEF ha calcolato che ogni anno 11 milioni di bambini muoiono per cause facilmente prevedibili, mentre molti altri sono colpiti dalla miseria fin dalla nascita e sono costretti a lavorare in condizioni assolutamente disumane: bambini-soldato, vittime di sfruttamento sessuale e forse anche di trapianti abusivi di organi. Oltre 600 milioni, sotto i 5 anni, devono sopravvivere con meno di 1 dollaro al giorno; 200 milioni sono affetti da rachitismo per malnutrizione; 110 milioni non vanno a scuola; 170 milioni sono sottopeso; 2 milioni muoiono per malattie legati al consumo di acqua non potabile; ogni minuto 6 ragazzi sotto i 25 anni vengono infettati dall’HIV.


Più di 1 miliardo di persone continua a non avere accesso all’acqua potabile e 1/3 della popolazione mondiale non dispone di servizi igienici, soprattutto in Cina, Congo, Etiopia, India.


Certamente dei passi avanti sono stati compiuti. Le statistiche ONU, infatti, ci informano che:

· nel 1980 i morti per fame furono 41 milioni;

· nel 1990 furono 35 milioni;

· nel 2000 furono 24 milioni.

Molto, dunque, si potrà e si dovrà fare anche in futuro.

Purtroppo alcune statistiche evidenziano la grande diseguaglianza che continua a regnare nel mondo:

· 9 miliardi di euro: la cifra necessaria per garantire acqua potabile e impianti sanitari in tutto il mondo;

· 11 miliardi di euro: cifra spesa in Europa nel mercato del gelato;

· 13 miliardi di euro: cifra necessaria per garantire condizioni di salute e alimentazione in tutto il mondo;

· 17 miliardi di euro: cifra spesa in Europa e Stati Uniti per gli animali domestici.


Questi dati mettono in risalto che il problema dell’accesso al cibo non è tanto una questione economica ma culturale e politica.

EXPO 2015 Viaggio pedagogico intorno al cibo

I figli dipendono per lungo tempo dai genitori. Ciò influisce sull’educazione alimentare dei piccoli, ma i gusti e le scelte giovanili condizionano anche il mondo degli adulti.

Non tutto ciò che siamo in grado di mangiare viene mangiato. È necessaria la ricerca di un equilibrio.


Anche nell’educazione dei bambini il simbolo del pane è molto importante. Forse oggi lo è un po’ di meno nella società consumistica e sempre più abituata al fast food, ma fino a pochi anni fa si baciava il pezzo di pane che cadeva a terra: era ritenuto un oggetto sacro, fonte di vita. Il semplice fatto che questa abitudine oggi è scomparsa ci fa capire che nella nostra alimentazione i condizionamenti sociali e culturali sono molto importanti. Inoltre c’è una grande massa d’informazioni, non sempre corrette o non sempre adatte a tutti gli organismi, alle quali facciamo ricorso nella speranza di trovare un buon orientamento per la vita.


Oggi esiste una vera e propria scienza dell’alimentazione, formata da tre parti:

a. la fisiologia dell’alimentazione: lo studio dei meccanismi e dei processi mediante i quali i fattori nutritivi dei cibi vengono modificati e usati dall’organismo;

b. la fisiopatologia dell’alimentazione: lo studio delle alterazioni e dei disturbi della nutrizione, le insufficienze caloriche, gli squilibri fra i componenti dell’alimentazione;

c. la dietetica clinica: lo studio delle leggi generali dell’alimentazione dell’uomo malato, indicazioni e controindicazioni.


Prendiamo un esempio frequente nella società occidentale, quello dell’eccesso alimentare: vediamo che si produce una perturbazione metabolica, alla quale fa seguito l’obesità, l’aumento del colesterolo, le alterazioni della glicemia e l’ipertensione arteriosa. Ma sono state identificate molte altre relazioni tra la cattiva alimentazione e la patologia: mancanza di vitamine, comparsa dell’anemia, deficienze di accrescimento e di sviluppo dei bambini, diabete, gotta, epatiti croniche e così via.

L’educazione dovrà concentrarsi soprattutto nella prevenzione. Infatti oggi il cibo, se in molte zone della terra scarseggia, nel mondo occidentale è sovrabbondante rispetto al necessario. In questo ambiente sviluppato, negli ultimi anni si sono manifestate soprattutto due tipi di disturbi legati all’alimentazione: l’anoressia e la bulimia.


La prima si presenta come una perdita di peso dovuta alla volontà e come rifiuto di assumere cibi nella quantità sufficiente. In questa scelta molto importante è l’aspetto psicologico, per cui si evidenzia una distorsione dell’immagine corporea, la paura di ingrassare, la depressione dell’umore, insonnia, aggressività, isolamento sociale, scarsa capacità di concentrazione. Il sottopeso e le conseguenze negative sono immediatamente percepibili. Si può giungere perfino alla morte, qualche volta anche per suicidio: sembra, infatti, che l’anoressia sia la seconda causa di mortalità negli adolescenti dopo la tossicodipendenza.


La bulimia, invece, ha il percorso inverso: il paziente assume una grande quantità di cibo in un tempo molto breve. Ci troviamo in presenza di una totale perdita di autocontrollo, perché il soggetto interessato avverte di non essere capace di fermarsi né di scegliere tra i vari cibi. Egli inoltre prova un senso di vergogna.

Ci sono naturalmente anche altre patologie legate all’alimentazione o alla dieta. Un notevole influsso sembra che venga esercitato dai mass-media, che propongono continuamente modelli non facilmente eguagliabili oppure tipi di diete che promettono benessere immediato e permanente.


È necessario attivare una vera educazione alimentare. Infatti non basta la terapia farmacologia, ma occorre cambiare i nostri comportamenti se essi risultano dannosi per l’organismo. La ricerca di uno stile di vita sano e corretto è la migliore prevenzione e la migliore cura dei disturbi legati all’alimentazione; ma essa richiede una buona motivazione e una certa perseveranza.

La terapia dietetica va regolata sulla massa corporea, sull’entità del soprappeso e su eventuali complicanze che ogni paziente può presentare. Lo scopo fondamentale di ogni dieta è quello di ridurre l’apporto calorico rispetto al fabbisogno quotidiano. Ciò si ottiene con il consumo di latte e yogurt, carni magre, pesce e legumi (che hanno contenuto proteico), cereali e frutta (per i carboidrati), verdure, acqua e fibre; sono da sconsigliarsi le bevande alcoliche e quelle zuccherate, come pure vanno evitate quelle diete che escludono per lunghi periodi alcuni tipi di alimenti, come le diete a base di sola verdura o solo frutta, ecc.


In definitiva, un’alimentazione sana deve essere:

a. varia: orientata a soddisfare tutte le esigenze nutrizionali dell’organismo;

b. moderata: non esagerata nella quantità;

c. completa: soddisfare anche il gusto;

d. nutriente: facilitare l’assimilazione.

Occorre mettere insieme i cibi, abbinandoli tra loro e diversificando le scelte.

Va tenuto presente anche una constatazione elementare: il mangiare non è un’azione staccata dalla vita; perciò va collegata con le altre attività, fra le quali è di grande importanza l’attività motoria, ed è opportuno ripartire il fabbisogno energetico in tutto l’arco della giornata.


Una giusta educazione prende atto dei principali errori alimentari dei ragazzi (e, purtroppo, anche degli adulti, che poi li trasmettono ai ragazzi): c’è un eccesso di calorie rispetto al consumo energetico, molte volte si salta la prima colazione, non si ripartiscono bene i tempi così che ci sono troppi momenti vuoti e altri pieni di eccessi, ci si abitua a consumare disordinatamente merendine e patatine anche senza sentirne il bisogno, si diffonde l’uso di bevande troppo ricche di zuccheri e anche di bevande alcoliche, si svolge una vita troppo sedentaria e lontana da spazi all’aria aperta.

È chiaro che qualsiasi intervento pedagogico non deve essere portatore di ansie e di preoccupazioni, ma deve tendere a un risultato da conseguire in un clima sereno e collaborativo. A tal fine può essere utile coinvolgere i ragazzi nel fare la spesa, nel preparare i cibi e apparecchiare la tavola e così via. La cosa più importante è che i ragazzi non associno l’idea di assunzione del cibo con quella di tensione psicologica.

EXPO 2015 Viaggio psicologico intorno al cibo

holyseeNell’esperienza dell’alimentazione, s’intrecciano diverse esigenze. Tra gli studiosi si notano due tendenze principali.


La prima mette in risalto il fatto che le abitudini alimentari si spiegano non tanto per i loro valori materiali o per le necessità legate alla sopravvivenza, ma per un bisogno di appartenenza a una collettività. Il cibo, in tal modo, è un segno di condivisione della vita che un gruppo sociale mette in moto: in quest’ottica, il grande antropologo Claude Lévi Strauss dice che «il cibo deve essere “buono da pensare” o, meglio, “buono da comunicare” più che “buono da mangiare”». Perciò attraverso il cibo si comunicano valori quali il potere, la ricchezza, la spiritualità, l’incontro con la divinità; oppure, al contrario, miseria, povertà, malattia, solitudine.


La seconda interpretazione vede nelle scelte alimentari anzitutto una motivazione pratica e un’esigenza gustativa. Infatti il riconoscimento del cibo, anche negli animali, avviene mediante i sensi: anzitutto il gusto, poi l’odorato, la vista, il tatto e, in misura minore, l’udito. Ciò accade anche nell’uomo, che, inoltre, vi aggiunge l’importantissima funzione della memoria.


Il sistema alimentare è un complesso sistema di valori, formato da bisogni e da simboli. Un esempio illuminante è il simbolo del pane, come elemento primario che dà nutrimento. “Guadagnarsi il pane” significa svolgere una vita dignitosa.


A tale proposito, va notato lo stretto rapporto tra alimentazione e psicologia. Prendiamo il caso di un ragazzo sovrappeso. Questi, di solito, a tavola assume molte calorie durante i pasti principali, tende a mangiare fuori pasto durante tutto il giorno e assume molte bevande zuccherate e fa poca attività fisica. L’eccessivo apporto calorico non viene smaltito dall’organismo e si accumula sotto forma di grasso.


Bisogna domandarsi anzitutto se il sovrappeso può dipendere da fattori ereditari o da disfunzioni dell’organismo. Ma ci possono essere anche delle cause di natura personale o ambientale che potrebbero influire sul comportamento del ragazzo: per esempio se il ragazzo si sente soddisfatto di sé o presenta delle insicurezze, se ha un buon rapporto con i coetanei, se ama stare in compagnia o preferisce isolarsi, se si sente accolto ben voluto a scuola, se ritiene di essere apprezzato dai professori e dai compagni oppure vive con frustrazione il contesto scolastico, se parla facilmente anche delle cose che lo preoccupano o si chiude in se stesso di fronte al dolore, se le abitudini alimentari della famiglia sono abbastanza corrette, se in casa c’è un clima di cordialità e così via.


Spesso il comportamento dei genitori è all’origine di molte disfunzioni alimentari. Quando ciò accade è perché essi rifiutano di esercitare un controllo sui figli, avendo paura di vederli tristi o temendo di essere percepiti negativamente da loro.


Se le motivazioni sono psicologiche, bisogna agire a livello di psicologia più che di numero di calorie. Si tratta di incoraggiare l’esercizio fisico: spesso i ragazzi in sovrappeso sono più lenti e goffi dei loro coetanei, per questo si rifiutano di gareggiare in competizioni sportive e ciò li conferma ancora di più in uno stile di vita sedentario. Bisogna reagire con calma, invitando il ragazzo ad attività sportive non competitive, come passeggiare in bici o nuotare. Poi indicare degli obiettivi realisticamente raggiungibili, ma in graduale progressione. Il loro superamento non solo farà bene alla forma fisica, ma contribuirà ad aumentare l’autostima, che è un fattore importantissimo per il benessere. Egli deve stare bene con se stesso per poter star bene anche con l’ambiente in cui vive. Si tratta, insomma, di prestare attenzione alla globalità della persona interessata e non solo ai chili in eccesso.


Lo stesso vale per un ragazzo che, al contrario, è troppo magro. Anche in questo caso, molte volte le ragioni di un peso inferiore alla norma sono di tipo psicologico, oltre che fisiologico o ereditario: i disagi legati alla propria immagine corporea possono determinare una profonda frustrazione. I maschi si vedono meno robusti, le ragazze meno attraenti. Le fasi d’inappetenza sono un fenomeno comune nell’età evolutiva, ma diventano preoccupanti quando si trasforma in un rifiuto consistente del cibo. Il non mangiare può diventare un modo di affermare la propria autonomia e sottrarsi almeno momentaneamente a un controllo da parte dei genitori ritenuto esagerato.


Naturalmente anche il temperamento individuale svolge la sua parte nell’assunzione del cibo. Bambini o ragazzi molto vivaci e in movimento possono mangiare di meno rispetto a coetanei placidi e tranquilli. Inoltre la quantità di energia consumata varia molto da persona a persona.


Il cibo ha un grande rapporto con tutta la sfera emozionale dell’uomo. È un’esperienza che facciamo tutti: quando abbiamo un’emozione molto forte, non riusciamo a mangiare o, al contrario, mangiamo in eccesso. Lo cantava Gianni Morandi in una canzone di alcuni anni fa, Belinda. «Bella Belinda innamorata, parla da sola con l’insalata. Non bada al piatto, ma alla finestra, scende una lacrima nella minestra»: Belinda non è attenta al piatto, cioè non riesce a mangiare, perché la sua attenzione è attratta dalla finestra in attesa di guardare il ragazzo che ama e che purtroppo sta ritardando. Durante particolari stati di tensione o di tristezza sentiamo “chiudersi lo stomaco” o, ancora, rifiutiamo certi cibi perché li leghiamo al ricordo di momenti spiacevoli della nostra vita. Altre volte mangiamo perché siamo nervosi o pieni di rabbia, o annoiati e tristi. Molte particolarità alimentari, dunque, si spiegano non solo su base biologica e fisiologica, ma anche per esperienze emotive. Quando un uomo, per motivi diversi, entra nel circolo vizioso dell’uso del cibo per esprimere degli stati emozionali, allora il meccanismo della fame e della sete subisce un forte condizionamento. Bisogna, perciò, imparare a riconoscere i segni che queste situazioni fanno emergere e a gestire con efficacia il rapporto con il cibo.

EXPO 2015: Viaggio storico intorno al cibo

L’importanza del cibo nella storia dell’umanità e delle singole persone è talmente evidente che non ha bisogno di dimostrazioni. Tutta la nostra vita, dalle azioni più banali a quelle più sacre, indica un rapporto costante con il cibo. Tra le azioni banali, quante volte, passeggiando per Roma, notiamo che i nomi delle strade e delle piazze indicano un rapporto speciale con tutto ciò che riguarda l’alimentazione: Via dell’Acqua Acetosa, Via dell’Agnello, Sant’Angelo in Pescheria, Piazza dei Caprettari, Vicolo del Farinone, Via dei Fornari, Vicolo dei Granari, Piazza del Mattatoio, Via della Mole dei Fiorentini, Piazza della Pollarola e potremmo continuare ancora per molto. Stessa “musica gastronomica” si avverte in tante altre città italiane ed estere. Tra le azioni sacre, ricordiamo che tutte le religioni fanno riferimento al cibo, dai sacrifici offerti agli dei fino alla Messa che è un banchetto, dal frutto proibito di Adamo ed Eva alla festa di Pasqua. Anche Gesù ha insegnato a pregare dicendo «dacci oggi il nostro pane quotidiano».


Raccontare una storia del nostro approccio al cibo è praticamente impossibile, perché bisognerebbe raccontare tutta la storia dell’umanità. Tuttavia si possono indicare alcune tappe principali di come è cambiato il nostro comportamento di fronte alla necessità di mangiare.


EXPO 2015: Viaggio storico intorno al cibo


Il primo elemento da tener presente nella storia del cibo è il suo rapporto con il territorio. È chiaro che l’uomo si è servito di ciò che la terra spontaneamente riusciva a fornirgli. Forse in un primo momento i gruppi umani sono stati nomadi o seminomadi, cioè si spostavano di terra in terra ed esercitavano la caccia e la pesca, la raccolta dei frutti, un allevamento piuttosto selvaggio e uno sfruttamento parziale e temporaneo dei campi. Quando, però, essi hanno deciso di fermarsi su una determinata porzione di terra, allora lo sviluppo della civiltà è stato notevole e l’utilizzazione del terreno è progredita sempre di più.


Con uno sguardo panoramico lungo i millenni, possiamo immaginare cosa mangiavano gli uomini primitivi: termiti, cavallette, topi di campagna, qualche uovo di uccello, tuberi, radici ed erbe varie. La caccia aveva un’importanza enorme, com’è documentato anche dalla prima arte delle caverne. Con l’“invenzione” dell’agricoltura le cose cambiarono sensibilmente, anche perché, insieme alle coltivazioni, iniziò a organizzarsi anche l’allevamento degli animali: cereali e carne diventavano sempre più abbondanti, grazie anche alla scoperta del fuoco e alla possibilità di cuocere gli alimenti.


Entrando nella storia, cioè con l’invenzione della scrittura, vediamo le antiche civiltà dell’Egitto e della Mesopotamia. Grazie soprattutto ai celebri fiumi Nilo e Tigri ed Eufrate, si sviluppa un’intensa attività agricola. Di conseguenza il pane di farina o di orzo diventa l’alimento principale, insieme con i pesci, i formaggi, i legumi e la frutta. Non mancava il miele, il vino e una bevanda simile alla birra. I Babilonesi, in Mesopotamia, preferivano la carne lessa, accompagnata da cipolle, porri, aglio e piante aromatiche.


In questo periodo delle prime civiltà storiche appare un prodotto che avrà un grande successo, cioè l’olio. Di esso si parla anche nella letteratura di un altro popolo, gli Ebrei: se si legge qualche pagina della Bibbia, si vedono anche le usanze alimentari dell’epoca, fra cui la proibizione di mangiare carne di maiale, che era ritenuto un animale impuro.


Con la Grecia si entra in una di quelle epoche che fanno registrare un grande progresso alla cultura nel suo insieme. Non può mancare, perciò, anche un riferimento al cibo: l’Iliade e l’Odissea in diversi momenti parlano dell’alimentazione e delle circostanze in cui avvenivano i pasti, per esempio anche in occasione dei funerali. Questa usanza si trova ancora oggi presso molti popoli. Sembra addirittura che in Grecia esistessero settantadue tipi diversi di pane: quello di farina, di orzo, quello senza lievito, un pane scuro, quello fatto con fior di grano, un altro composto di varie farine, ecc. Pesce sotto sale o affumicato, legumi, olive, uva passa, fichi secchi, salsa di erbe aromatiche, ciliegie, fragole, …: di tutto questo narrano i racconti di Omero, le tragedie e i dipinti sui vasi.


Lentamente questi prodotti invadevano i mercati del Mediterraneo, anche grazie ai viaggi dei Fenici e di altre popolazioni.


Naturalmente, man mano che la civiltà si organizzava, si notava anche una certa differenza sociale tra i poveri e i ricchi, così che la tavola dei primi era piuttosto essenziale, mentre i secondi avevano modo di gustare pasti più raffinati. Nell’antica Roma non mancano scrittori e poeti che mettono in risalto queste distinzioni sociali ed economiche, che trovavano nell’alimentazione uno dei simboli più espressivi. Con l’Impero Romano praticamente non manca niente, perché l’estensione territoriale del grande stato abbraccia tutto il bacino del Mediterraneo ed entra in contatto con esperienze africane, asiatiche e nordeuropee.


Con le invasioni barbariche si assiste a un’epoca di grande crisi economica: di conseguenza anche il cibo tende a scarseggiare sia come quantità che come qualità, ma c’è molta selvaggina. Alla fine di questo periodo inizierà il Medio Evo e ci sarà una straordinaria fioritura culturale in tutta Europa. Le campagne torneranno a dare frutti, i contadini avranno di che vivere all’ombra dei castelli, i monasteri organizzeranno i lavori agricoli, verranno costruite le grandi cattedrali: tutto questo è segno di un benessere che tende a diffondersi e di un’alimentazione che incomincia a diventare migliore. Ci sono ancora, però, troppe pestilenze e carestie, oltre che un infinito numero di piccole e grandi guerre che distruggono i raccolti oltre che le persone.


EXPO 2015: Viaggio storico intorno al cibo


Tra le questioni polemiche, che accompagnano fino ai nostri giorni questo periodo, si delineano le crociate e il rapporto con il mondo arabo. Sotto l’aspetto alimentare l’apporto degli Arabi è notevole, sia per quanto la riguarda la preparazione dei cibi sia per le spezie e gli agrumi che essi coltivano e diffondono.


E arriviamo al periodo del Rinascimento. La scoperta dell’America nel 1492 è l’avvenimento che più di tutti gli altri incide per questa svolta che dà origine a una nuova fase della civiltà. Dal nuovo immenso continente arrivano nuovi generi alimentari: riso, mais, asparagi, spinaci, pomodori. Il mais dà origine, soprattutto nel Nord Italia, a quel cibo così tipico che è la polenta. Con il Rinascimento le grandi corti d’Europa fanno a gara ad allestire una mensa sempre più ricca, al punto che perfino i re si dedicano all’arte culinaria: Luigi XIV, il Re Sole, amava molto i liquori, mentre il successore Luigi XV favorì la produzione di alcuni alimenti speciali, quali il consommé, la fricassea di pollo e di piccione, la besciamella e la maionese. I viaggi intercontinentali in questo periodo permettono di introdurre in Europa il caffè, il tè e la cioccolata.


Dall’America erano giunte anche le patate, che nei secoli si dimostreranno come l’alimento che più di tutti contribuì a sconfiggere la fame in Europa.


Nei secoli successivi le tavole si arricchiscono di salumi, salsicce, molti tipi di formaggi e tanti dolci. Nell’Ottocento s’iniziano ad applicare le scoperte scientifiche anche all’agricoltura che, grazie al crescente impiego delle macchine, produce in misura sempre maggiore. In Francia viene impiantata la prima industria di lavorazione della barbabietola: da questo momento lo zucchero diventerà un alimento molto frequente e normale.


Al termine di questa corsa nella storia dell’alimentazione, ci domandiamo: e oggi, com’è il nostro modo di accostarci al cibo? È chiaro che oggi c’è tutto; però molto spesso i nostri pasti si riducono a un mordi e fuggi presso un fast food oppure ad un panino al bar. Naturalmente ci sono anche pasti più ricchi e importanti. E qualche volta anche un po’ troppo ricchi!