Addio a Sonia Rykiel: è scomparsa ad 86 anni la celebre stilista

È morta all’alba di stamane, all’età di 86 anni, Sonia Rykiel, celebre stilista francese fondatrice dell’omonima maison. Con lei se ne va un tassello fondamentale della storia del costume. Soprannominata “la regina del tricot”, fashion trend che consacrò nelle sue collezioni, a lei si deve anche la coniazione del termine “démodé”: correva l’anno 1976 e lei incarnava fedelmente il più autentico stile francese. A dare la notizia della dipartita della designer la primogenita Nathalie: Sonia Rykiel è morta stamattina alle 5 nella sua abitazione di Parigi, a causa delle conseguenze del morbo di Parkinson, da cui era affetta da tanti anni.

Sonia Rykiel (all’anagrafe Sonia Flis), era nata a Parigi il 25 maggio 1930 da padre francese e madre romena. La sua carriera nella moda inizia all’età di 17 anni, come vetrinista in un laboratorio tessile parigino. Ma il suo cuore batte per il design: è il 1962 quando comincia a disegnare i suoi celebri bozzetti. La stilista, all’epoca in dolce attesa, non riusciva a trovare abiti comodi e decise pertanto di disegnarseli da sola.

Il marchio che porta il suo nome fu fondato nel maggio 1968, grazie al sostegno economico del marito Sam Rykiel, sposato nel 1953. I coniugi Rykiel, proprietari di una boutique sita nel quattordicesimo arrondissement, intuirono fin da subito l’immenso potenziale della lana, materiale fino ad allora sottovalutato dalla moda. La prima boutique di Sonia Rykiel venne inaugurata a Rue de Grenelle, nelle Galéries Lafayette. In breve la stilista divenne protagonista indiscussa della Rive Gauche.

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Sonia Rykiel era nata a Parigi il 25 maggio 1930


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Sonia Rykiel all’inaugurazione della prima boutique, al numero 6 di Rue de Grenelle, 1968


Sonia Rykiel ritratta da Dominique Issermann, 1980
Sonia Rykiel ritratta da Dominique Issermann, 1980


Indimenticabile il suo stile, intriso di suggestioni marinière e righe: proprio queste ultime divennero la sua cifra stilistica. Largo anche a volumi oversize e maglie morbide, capaci di esaltare le linee e la femminilità di ogni donna, insieme a pantaloni dal taglio maschile e capi fluidi. L’immancabile basco alla marsigliese, i capelli ricci: androgina e misteriosa, la donna Sonia Rykiel reca in sé l’identità e il carisma della designer.


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Folta chioma rosso fuoco e grinta da vendere, in breve Sonia Rykiel conquista la fama mondiale, dopo che la rivista Elle le dedica la prima di una serie infinita di copertine: posa per Andy Warhol, produce linee per uomo e bambino, accessori, profumi e cosmetici, mentre sfilano e posano per lei le top model più famose. La donna che calca la sua passerella non è la fredda mannequin impassibile a cui la moda ci aveva abituati, ma una donna viva, che sorride, partecipa e vive il défilé. “È la donna che anima l’abito. Non può essere il contrario. La provocazione è la donna, mai quello che indossa”, questa la filosofia della stilista. I suoi capi hanno incantato per decenni. Irriverente, carismatica, la ritroviamo nei primi anni Novanta nel celebre film di Robert Altman “Prêt-à-Porter”, dove la stilista interpreta se stessa.

Nel 2001 la direzione creativa del brand passa alla figlia Nathalie, che ha alle spalle un passato da mannequin. Viene inoltre inaugurata una linea di gioielli e nel 2003 è la volta dei sex toys, venduti da Woman, a Parigi: è così che il brand infrange anche l’ultimo dei tabù. Sempre negli anni Duemila arriva la conquista del mercato americano.

Un modello firmato Sonia Rykiel, 1973
Un modello firmato Sonia Rykiel, 1973. La stilista sdoganò la lana tricot


Sonia Rykiel: sfilata Primavera/Estate 1982
Sfilata Sonia Rykiel Primavera/Estate 1982


Modello Sonia Rykiel, foto di Francoise Huguier per Domino Magazine, 1987
Modello Sonia Rykiel, foto di Francoise Huguier per Domino Magazine, 1987


Dopo aver scritto due libri sul mondo della moda (“Et je la voudrais nue…” e “Paris Sur le pas de Sonia Rykiel”) ed una raccolta di favole per bambini (“Tatiana Acacia”, dedicata alla nipote Tatiana), nel 2012 la stilista dichiarò ai media di essere affetta dal morbo di Parkinson da oltre 15 anni. Arrivò quindi un libro autobiografico dal titolo “N’oubliez pas que je joue” (Non dimenticate che è un gioco), in cui la designer trattava a cuore aperto la tematica della sua malattia, non tralasciando anche i particolari più intimi sulla sua sofferenza. Una donna forte e moderna, Sonia Rykiel, perfetta incarnazione della Parigi bohémienne: poliedrica anche nella sua carriera, che l’ha portata ad abbracciare numerose cause, come la collaborazione al piano di restauro dell’Hotel Crillon e anche un’inedita incursione nel mondo della musica, insieme al cantante Malcolm McLaren. Nel 1985 le viene conferita la Legione d’onore. Lei, che considerava la moda alla stregua di un’amante, è stata ricordata oggi dal Presidente francese François Hollande come «una donna libera, una pioniera che ha saputo tracciare il suo percorso».

Kim Williams in Sonia Rykiel, foto di Arthur Elgort per Vogue, 1984

Kim Williams in Sonia Rykiel, foto di Arthur Elgort per Vogue, 1984


Anne Rohart per Sonia Rykiel, foto di Dominique Issermann, Autunno/Inverno 1983
Anne Rohart per Sonia Rykiel, foto di Dominique Issermann, Autunno/Inverno 1983


Linda Evangelista in passerella per Sonia Rykiel, Parigi, ottobre 1985 (Foto © Pierre Vauthey/Sygma/Corbis)
Linda Evangelista in passerella per Sonia Rykiel, Parigi, ottobre 1985 (Foto © Pierre Vauthey/Sygma/Corbis)

Anjelica Huston spegne 65 candeline

Attrice hollywoodiana, modella, icona: Anjelica Huston festeggia oggi 65 anni. Viso dai lineamenti inconfondibili, charme da vendere, la celebre Morticia Addams è stata anche una modella famosa. Musa di Yves Saint Laurent e Valentino Garavani, nel corso della sua carriera come modella ha posato per Irving Penn, Richard Avedon, David Bailey, Bob Richardson e molti altri.

Figlia del regista John Huston e della ballerina italiana Enrica Soma, nelle sue vene scorre sangue scozzese, irlandese, gallese ed inglese. Nata in California, a Santa Monica, l’8 luglio 1951, trascorre buona parte della sua infanzia in Inghilterra. Dalla fine degli anni Sessanta prende parte ad alcune pellicole con la regia paterna. Successivamente vola a New York, dove inizia una carriera come modella, sfruttando la sua bellezza fuori dai canoni. Nel 1969 inizia una storia d’amore con il fotografo Bob Richardson, di 23 anni più vecchio. La loro relazione durerà 4 anni.

All’inizio degli anni Settanta si trasferisce a Los Angeles, dove nel 1973 si innamora del collega Jack Nicholson. La relazione tra i due tra alti e bassi (e numerosi tradimenti da parte di lui) dura 16 anni, fino al 1990, quando l’attore ha un figlio da un’altra donna. Nel frattempo Anjelica prende parte ad alcune pellicole di successo, come Qualcuno volò sul nido del cuculo e Il postino suona sempre due volte, film in cui è protagonista lo stesso Nicholson. Per la sua interpretazione ne L’onore dei Prizzi (1985), Anjelica Huston riceve l’Oscar come miglior attrice non protagonista. In famiglia è la terza a vincere un Oscar dopo il padre John Huston e il nonno, l’attore Walter Huston. Ha ricevuto altre due candidature agli Oscar come migliore attrice non protagonista per Nemici-Una storia d’amore (1989) e come migliore attrice protagonista (1990) per Rischiose abitudini.

Anjelica Huston, foto di Helmut Newton, 1973
Anjelica Huston, foto di Helmut Newton, 1973


Anjelica Huston in uno scatto di Bob Richardson per Vogue Italia, 1971
Anjelica Huston in uno scatto di Bob Richardson per Vogue Italia, 1971


Anjelica Huston per Valentino, foto di Bob Richardson, Vogue 1972
Anjelica Huston per Valentino, foto di Bob Richardson, Vogue 1972


Anjelica Huston in uno scatto di Richard Avedon, 1970
Anjelica Huston in uno scatto di Richard Avedon, 1970


Musa di Woody Allen, gira con lui Crimini e misfatti (1989) e Misterioso omicidio a Manhattan (1993). Negli anni Novanta è Morticia Addams, celebre interpretazione che vede anche un sequel nel 1993. Per questo ruolo ha ricevuto una nomination ai Golden Globe. Diverse le collaborazioni con il regista Wes Anderson, che la vuole nei film I Tenenbaum (2001), Le avventure acquatiche di Steve Zissou (2004) e Il treno per il Darjeeling (2007). Nel 2005 vince un Golden Globe per il suo ruolo di supporto nel film televisivo Angeli d’acciaio. Inoltre nel corso della sua carriera l’attrice ha ricevuto tre candidature ai Premi Oscar (con una vittoria), otto candidature ai Golden Globe (una vittoria), tre candidature ai BAFTA, tre candidature agli Screen Actors Guild Award e cinque candidature agli Emmy.



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Nel maggio del 1992 Anjelica Huston convola a nozze con lo scultore Robert Graham. La coppia vive insieme in California fino al dicembre 2008, quando Graham muore. La coppia non ha avuto figli. L’attrice ha scritto le sue memorie in un libro di oltre 900 pagine, diviso in due volumi. Attiva in politica, nel 2007 la Huston ha inviato una lettera all’Human Rights Action Center indirizzata al segretario generale delle nazioni unite Ban Ki-moon, con cui ha sostenuto Aung San Suu Kyi durante la sua candidatura al Nobel per la Pace. Inoltre l’attrice ha donato 2,000 dollari per sostenere il liberal-democratico John Kerry e anche Dick Gephardt. Infine, la Huston ha registrato un annuncio per il PETA, contro lo sfruttamento degli animali nelle produzioni Hollywoodiane.

L'attrice in uno scatto di Bob Richardson, 1973
L’attrice in uno scatto di Bob Richardson, 1973


Anjelica Huston, foto di Richard Avedon, 1970
Anjelica Huston, foto di Richard Avedon, 1970


Anjelica Huston in abito Valentino, foto di Gian Paolo Barbieri, 1972
Anjelica Huston in abito Valentino, foto di Gian Paolo Barbieri, 1972


La Huston in uno scatto realizzato da David Bailey per Vogue, 1973
La Huston in uno scatto realizzato da David Bailey per Vogue, 1973


(Foto cover Gian Paolo Barbieri, 1973)


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Auguri a Debbie Harry, icona punk, oggi compie 71 anni

Spegne oggi 71 candeline Debbie Harry, celebre frontwoman dei “Blondie” ed indimenticabile icona di stile. Zigomi alti, capelli biondi, fisico statuario e sex appeal da vendere, la cantante statunitense ha incarnato lo stile degli anni Settanta ed Ottanta, sdoganando in particolare lo stile punk.

Un’infanzia travagliata per Angela Tremble: questo il nome con cui la madre biologica la abbandona; poi la piccola, nata a Miami il primo luglio 1945, viene adottata dai coniugi Richard e Catherine Harry, originari del New Jersey, e viene ribattezzata Deborah Ann Harry.

Appena ventenne, la bellissima Deborah vola a New York, dove lavora come estetista, modella e coniglietta di Playboy. Avvenente e dotata di una notevole estensione vocale, entra nel gruppo “Wind in the Willows” e nelle “Stilettoes”. Tra succinti abiti scuri e croci al collo, diviene antesignana dello stile punk. Nel 1974 insieme al compagno Christopher Stein fonda i “Blondie”. Performer carismatica ed eclettica, Debbie Harry colleziona album di successo insieme alla celebre band newyorkese: indimenticabili le hit “Heart of glass”, “Atomic”, “Call Me”, “Maria”.

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Deborah Ann Harry è nata a Miami il primo luglio 1945


 

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Celebre voce dei Blondie, Debbie Harry è icona di stile e simbolo del punk


 

 


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Caschetto biondo platino e rossetto rosso, Debbie Harry diviene icona della musica e della moda, lavora come attrice e viene immortalata sulle maggiori riviste patinate. Alta appena un metro e sessanta, le curve e il carisma la sdoganano come un sex symbol internazionale. Immortalata da Andy Warhol, diviene musa dello stilista Stephen Sprouse, di cui ha indossato in esclusiva le creazioni. Sono in tanti ad immortalare la sua bellezza, da Robert Mapplethorpe a Richard Avedon.

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Debbie Harry in una polaroid realizzata da Andy Warhol


 

Debbie Harry, New York Apartment with Warhol Portrait, 1988. Photo by Brian Aris
Debbie Harry nel suo appartamento di New York con il ritratto eseguito da Warhol alle sue spalle. Foto di Brian Aris, 1988.


 

Schiva e riservata nella vita privata, di lei si sa davvero poco. Pare sia una grande amante dei gatti. Inoltre la sua vita sentimentale è stata da sempre oggetto del gossip: dopo la fine della sua relazione con Stein, nel 1989, la cantante ha ammesso di avere frequentato anche delle donne. Paladina della battaglia contro la discriminazione sessuale e pioniera della battaglia per i diritti gay, celebre è la sua frase: “Being hot never hurts!”, “Essere sexy non fa mai male”.

(Foto cover Robert Mapplethorpe, 1978)

 

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Lo stile di Kate Middleton

Kate Middleton non è solo la borghese che è riuscita a far capitolare William d’Inghilterra, entrando nei libri di storia e divenendo protagonista indiscussa del gossip: la giovane Duchessa di Cambridge è riuscita negli anni ad imporsi anche come un’icona di stile internazionale. Sofisticata e sempre impeccabile, ha portato a Buckingham Palace una ventata di freschezza sdoganando uno stile giovane.

Borghese eppure aristocratico il suo stile: proverbiali i tailleurini dal piglio classico, come quello rosso firmato Luisa Spagnoli che Kate Middleton ha indossato diverse volte, a partire dalla prima uscita pubblica dopo il fidanzamento ufficiale con William. Eleganza classica si unisce a dettagli country, come gli stivali, che la Duchessa indossa spesso sopra i jeans ma anche su cappottini bon ton.

E la rivoluzione Kate non finisce qui: la giovane ha sfatato tabù e pregiudizi, non solo acquistando spesso e volentieri capi dichiaratamente low cost, aggiudicandosi così i favori della Regina Elisabetta, ma anche indossando più volte la stessa mise, magari rivisitata attraverso accessori diversi. Colori vivaci ma anche toni scuri, che indugiano sul viola, sul blu e sul marrone, negli outfit sfoggiati dalla bella Kate. Spesso il suo stile sembra aver tratto ispirazione dalla indimenticabile figura di Lady Diana.

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Kate Middleton in una delle sue mise più recenti


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(Foto: Glamour)


E se le scarpe a mezzo tacco che la Duchessa di Cambridge sempre prediligere lasciano alquanto a desiderare, la sua passione per i cappellini affascina sempre più: fascinator e hatinator rientrano pienamente nella tradizione british. Da sempre must have incontrastato che i membri della Royal Family indossano durante cerimonie ed eventi ufficiali, ora gli eccentrici cappellini divengono grazie a Kate Middleton un accessorio fashion, magari da indossare sopra un tailleur al posto del classico basco alla francese.


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Bella e caparbia, Kate Middleton appare ancora in forma smagliante anche dopo le due gravidanze. Ultimamente il suo stile ha subito una svolta, forse su consiglio di uno stylist, o solo grazie all’occhio attento della Duchessa, che ha carpito le nuove tendenze fashion: l’abbiamo vista indossare più volte abiti stampati in pieno stile boho-chic. Lunghi chemisier dal piglio etnico accanto a tubini a stampa tapestry. Il nuovo look le dona moltissimo e aggiunge al suo stile un tocco in più che la rende ancora più iconica.

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Kate Middleton in Luisa Spagnoli


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La duchessa di Cambridge in una mise boho-chic



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Sette anni senza Farrah Fawcett

Se ne andava sette anni, il 25 giugno 2009, Farrah Fawcett. Bionda bellezza texana dal fisico atletico e dall’allure inconfondibile, indimenticabile protagonista della serie cult Charlie’s Angels, ma anche icona pop e sex symbol di fama mondiale. La immortalano centinaia di foto, che testimoniano una donna splendida ed un’interprete molto apprezzata anche dalla critica. Simbolo degli anni Settanta, in quel taglio di capelli c’è un pezzo di storia: la storia di quando la bellezza non era plastificata ma si apriva in un sorriso acqua e sapone, che niente aveva dei volti ritoccati e tutti uguali che imperversano oggi.

All’anagrafe Ferrah Leni, l’attrice era nata a Corpus Christi, Texas, il 2 febbraio 1947, da James William Fawcett e Pauline Alice. Dopo il diploma alla W.B. Ray High School frequenta un corso d’arte presso la University of Texas di Austin, dove viene notata da un pubblicista di Hollywood, in occasione di un servizio giornalistico sulle “Dieci studentesse universitarie più belle” dell’Ateneo. Trasferitasi a Los Angeles, posa come modella e appare in tv in alcuni spot pubblicitari.

Il debutto in TV avviene nel telefilm Strega per amore e successivamente in Owen Marshall: Counselor at Law. Nel 1970 le viene offerto un ruolo importante nel film Il caso Myra Breckinridge, tratto da un romanzo satirico di Gore Vidal, accanto a Raquel Welch; ma il film si rivela un flop al botteghino e la sua carriera subisce un arresto.

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Farrah Fawcett nel celebre costume rosso firmato Norma Kamali, 1976


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Farrah Fawcett negli anni Ottanta (Foto © Douglas Kirkland/Corbis)


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Lo stile Seventies sfoggiato dall’attrice (Foto Harper’s Bazaar)


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Farrah Fawcett & Lee Majors in Yves Saint Laurent (Foto di Helmut Newton, 1978)


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Farrah Fawcett in Yves Saint Laurent per Vogue US, aprile 1977 (Foto di Richard Avedon)


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L’attrice ai Golden Globes, 1977


Nel 1973 grazie al neo-sposo, l’attore Lee Majors, viene contattata dal produttore Aaron Spelling, che cerca le protagoniste per una nuova serie, intitolata Charlie’s Angels. Nel 1976, la Pro Arts Inc. propone all’attrice la realizzazione di un poster e viene subito organizzato uno shooting fotografico per promuovere il lancio della nuova serie. Nel poster la bionda Farrah indossa un costume da bagno intero rosso, firmato Norma Kamali. Il resto è storia: la serie Charlie’s Angels diventa in pochi anni un vero e proprio cult televisivo. Il primo episodio viene mandato in onda il 22 settembre 1976: l’attrice interpreta l’agente Jill Munroe, accanto alle avvenenti colleghe interpretate da Jaclyn Smith e Kate Jackson.

Il suo taglio di capelli si impone come un trend internazionale. Lei intanto posa per Richard Avedon, Kirk Douglas ed Helmut Newton (solo per citarne alcuni), diviene una vera icona e compare su Vogue e sulle maggiori riviste patinate. Inoltre grazie alla sua interpretazione nel telefilm si aggiudica un People’s Choice Award. Celebre la sua dichiarazione rispetto alla serie: “Quando Charlie’s Angels incominciò ad avere un primo successo pensai che fosse grazie alla nostra bravura ma, quando ebbe un tale successo internazionale, capii che ciò era dovuto al fatto che nessuna di noi portava il reggiseno”.

Nel frattempo il marito di Farrah, Lee Majors, viene divorato dal tarlo della gelosia, motivo che spinge la Fawcett ad abbandonare lo show dopo appena una stagione. Ma Aaron Spelling non gradisce e le intenta una causa da tredici milioni di dollari, esercitando anche la sua influenza sugli studios televisivi concorrenti affinché non offrissero lavoro all’attrice. Alla fine la Fawcett prese parte ad alcuni episodi della terza e della quarta stagione apparendo in qualità di guest star, sostituita nel telefilm dall’altrettanto bionda ma meno fotogenica Cheryl Ladd, che interpretava il ruolo di Kris Munroe, sorella minore di Jill.



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Dopo aver abbandonato la serie che la rese una star, la carriera di Farrah Fawcett subisce una grave battuta d’arresto. Il riscatto avviene a Broadway, cui segue il ritorno ad Hollywood. Nel 1984 ottiene la prima di tre candidature al premio Emmy Award per il film televisivo Quando una donna (conosciuto anche con il titolo Autopsia di un delitto), cui seguì, due anni dopo, la candidatura al Golden Globe per il film Oltre ogni limite, in cui interpreta il ruolo di una donna che sequestra e tortura il suo stupratore. Nel 1986 interpreta la figura di Beate Klarsfeld nel film per la TV Il coraggio di non dimenticare , ruolo che le vale una nomination al Golden Globe. L’anno seguente interpreta la ricchissima ereditiera Barbara Hutton nella miniserie televisiva Una povera ragazza ricca-La storia di Barbara Hutton, che le vale un’altra nomination ai Golden Globe.

Nel 1989 affianca il compagno di una vita Ryan O’Neal, celebre protagonista della pellicola strappalacrime Love Story, nella miniserie Sacrificio d’amore, per cui si aggiudica nel 1990 la doppia nomination sia agli Emmy Awards che ai Golden Globe come miglior attrice. Nel 1995 posa senza veli per Playboy, esperienza che ripeterà al compimento dei cinquant’anni. Questo sarà il numero più venduto della rivista negli anni Novanta.

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Farrah Fawcett ha incarnato una bellezza atletica e naturale


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Una polaroid di Warhol, 1979


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L’attrice sul set di Charlie’s Angels


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Farrah Fawcett e Ryan O’Neil in uno scatto risalente agli anni Ottanta


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Farrah Fawcett immortalata da Richard Avedon su Vogue, 1981


Nel 2000 è accanto a Richard Gere in Il Dottor T e le donne: inoltre compare come guest star in Ally McBeal. L’ultimo ruolo nel 2004, nel film The Cookout. Nel 2006 le viene diagnosticato un cancro al colon. I suoi ultimi mesi di vita divengono un documentario da lei stessa voluto, andato in onda per la NBC il 15 maggio 2009. Il film, La storia di Farrah Fawcett, riceve la nomination agli Emmy Awards tra i migliori programmi dell’anno. In Italia fu trasmesso da Sky.
Non ce l’ha fatta Farrah, a sposare Ryan O’Neil: secondo rumours americani, la coppia, vedendo l’aggravarsi delle condizioni di salute dell’attrice, sarebbe stata sul punto di convolare a nozze, coronando così un amore lungo una vita intera. Ma la diva si spense il 25 giugno 2009 al Saint John’s Health Center di Santa Monica, prima di poter pronunciare il fatidico sì. Seguirono le polemiche sulla sua eredità. Resta di lei l’immagine di una bellezza autentica che ha incarnato al meglio lo spirito degli anni Settanta/Ottanta.


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Buon compleanno, Isabella Rossellini

Spegne oggi 64 candeline Isabella Rossellini. Attrice, modella, musa per intere generazioni, la bellissima icona ha alle spalle una lunga carriera divisa tra moda, cinema, cultura e stile. Fascino mediterraneo sapientemente smorzato dall’allure svedese di mamma Ingrid, Isabella è figlia d’arte per eccellenza, nata dall’unione (scandalosa per l’epoca) tra la diva svedese Ingrid Bergman e il regista Roberto Rossellini. Isabella ha una sorella gemella, Isotta, e un fratello, Robertino.

Nata a Roma il 18 giugno 1952, la giovane respira fin dall’infanzia le patinate atmosfere del mondo del cinema, grazie ai suoi genitori. Ma i due si separano quando lei ha appena 5 anni. Isabella all’età di 13 anni viene sottoposta ad un delicato intervento chirurgico per la correzione di una scoliosi ed è costretta a portare il busto per oltre un anno, dopo l’operazione. Amante fin da piccola della moda e dei costumi, frequenta l’Accademia di Costume e Moda di Roma e collabora con Marcella de Marchis, prima moglie del padre nonché celebre costumista.

A 19 anni il trasferimento a New York, dove Isabella inizia a lavorare come giornalista per la RAI. L’impressionante fotogenia e la grande espressività la lanciano nel mondo della moda: a 28 anni comincia a lavorare come modella, posando per Bruce Weber, che pubblica le sue foto sull’edizione inglese di Vogue, e per Bill King, che la introduce nell’edizione statunitense dell’omonima testata. Volto perfetto e charme sofisticato, per la giovane non si contano le collaborazioni: Isabella Rossellini ha posato per Richard Avedon, Helmut Newton, Steven Meisel, Herb Ritts, Norman Parkinson, Peter Lindbergh, Francesco Scavullo, Annie Leibovitz e Robert Mapplethorpe, solo per citarne alcuni. Immortalata sulle cover delle maggiori riviste patinate, da Marie Claire ad Harper’s Bazaar, da Vanity Fair ad ELLE, è stata volto storico di Lancôme.

Isabella Rossellini, foto di Terry O’Neill, 1984
Isabella Rossellini, foto di Terry O’Neill, 1984


Isabella Rossellini by Norman Parkinson, 1982
Isabella Rossellini in uno scatto di Norman Parkinson, 1982


Isabella Rossellini e David Lynch immortalati da Helmut Newton, 1988
Isabella Rossellini e David Lynch immortalati in un celebre scatto di Helmut Newton, 1988


Nel 1976 l’esordio al cinema, con un piccolo ruolo accanto alla madre. Nel 1979 il debutto vero e proprio, nel film Il prato. Ma tutti la ricordiamo per la sua apparizione da femme fatale in Velluto blu di David Lynch, che fu anche suo compagno di vita. Nel 1979 l’attrice ha sposato il regista Martin Scorsese, con il quale si è stabilita definitivamente a New York. Nel 1982 è seguito il divorzio e, un anno dopo, le nozze con il modello Jon Wiedemann, dal quale nel 1983 nasce Elettra, oggi affermata modella. Inoltre Isabella Rossellini ha anche adottato un bambimo, di nome Roberto (nato nel 1993).


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Charme innato e personalità da vendere contraddistinguono da sempre Isabella Rossellini, che appare ancora oggi radiosa: piglio intellettuale e volto naturale, l’attrice rivendica con orgoglio i segni del tempo, che non ne scalfiscono in alcun modo la bellezza. Sarà anche per questo che, a distanza di 30 anni, l’attrice è tornata a prestare il volto a Lancôme, firmando un contratto nuovo di zecca come modella, alla veneranda età di 63 anni compiuti.

Isabella Rossellini in uno scatto di Horst P. Horst, 1980
Isabella Rossellini in uno scatto di Horst P. Horst, 1980


Isabella Rossellini per Dolce & Gabbana, foto di Steven Meisel, 1989
Isabella Rossellini per Dolce & Gabbana, foto di Steven Meisel, 1989


Isabella Rossellini a Los Angeles nel 1985, foto di Michael Tweed/AP/dapd
Isabella Rossellini a Los Angeles nel 1985, foto di Michael Tweed/AP/dapd


Isabella Rossellini in uno scatto di Herb Ritts, 1994
Isabella Rossellini in uno scatto di Herb Ritts, 1994


Nel 1987 l’attrice è stata premiata con l’Independent Spirit Awards come migliore attrice protagonista per la sua interpretazione in Velluto blu. La Rossellini è anche autrice di tre libri: nel 1997 è uscita la sua autobiografia, Some of me, nel 2002 Looking at Me, con una raccolta delle sue foto più celebri. Nel 2006 è uscito In the name of the Father, the Daughter and the Holy Spirits: Remembering Roberto Rossellini, tradotto in italiano come Nel nome del padre, della figlia e degli spiriti santi , volume che è stato accompagnato dal cortometraggio di Guy Maddin Mio padre ha 100 anni, in omaggio alla figura del padre. Versatile, curiosa e sperimentatrice, nel 2006 la Rossellini ha iniziato una nuova avventura in televisione, con alcuni documentari dall’eloquente titolo “Green Porno”: qui l’attrice indagava con elegante ironia le dinamiche dell’accoppiamento nel mondo animale.

(Foto copertina: Irving Penn, New York, 1997)


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Grace Jones spegne 68 candeline

Misteriosa, enigmatica, camaleontica: regina della disco-music anni Ottanta e musa di stilisti e fotografi, Grace Jones spegne oggi 68 candeline. Nata a Spanish Town, Giamaica, il 19 maggio 1948, da Marjorie e Robert W. Jones, politico locale e fervente religioso, quando i genitori decidono di trasferirsi sulla East Coast, Grace e il fratello vengono lasciati in custodia ai nonni materni. La piccola cresce sotto la fede pentecostale. Timida e insicura, da bambina viene regolarmente presa in giro dai compagni di scuola per la sua magrezza, ma eccelle negli sport.

Grace e il fratello coltivano un istinto di ribellione nei confronti delle imposizioni paterne, che prevedono una rigida osservazione dei principi religiosi. Trasgredire diventa un modo per affermare la propria identità: Grace inizia ancora giovanissima a truccarsi, a bere e a frequentare locali gay col fratello. Come lei stessa ha dichiarato più volte, durante l’adolescenza comincia anche a consumare LSD.

Nel 1965 si trasferisce negli Stati Uniti, dove inizia la carriera di modella. Alta 1,75 m, un fisico pieno di muscoli e personalità esplosiva, la bella Grace a New York firma un contratto con la Wilhelmina Models. Nel 1970 si trasferisce a Parigi, dove lavora per Yves Saint Laurent, Azzedine Alaïa, Claude Montana e Kenzo Takada.

Grace Jones in un celebre scatto di Jean-Paul Goude, New York, 1982
Grace Jones in un celebre scatto di Jean-Paul Goude, New York, 1982


Grace Jones, foto di Jean-Paul Goude, New York, 1978
Grace Jones, foto di Jean-Paul Goude, New York, 1978


Foto di Chris von Wangenheim, 1977
Foto di Chris von Wangenheim, 1977


Grace Jones, Antonio Lopez
Grace Jones, Antonio Lopez


Grace Jones, foto di Andy Warhol, 1984
Grace Jones, foto di Andy Warhol, 1984


Nella capitale francese divide l’appartamento con Jessica Lange e Jerry Hall e viene immortalata su Elle, Vogue e molti altri magazine patinati. Posa per i fotografi più famosi del mondo, da Helmut Newton a Guy Bourdin, da Hans Feurer a Chris von Wangenheim, da Richard Avedon fino a Jean-Paul Goude, che sarà anche suo compagno nella vita. Quest’ultimo forgerà il personaggio androgino e carismatico che la rese mito iconico degli anni Ottanta. Presenza fissa al Palace e allo Studio 54, fu immortalata anche da Andy Warhol. Tra le sue frequentazioni Giorgio Armani e Karl Lagerlfed.



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Nel 1977 inizia la carriera nella musica: l’artista giamaicana è artefice della fusione tra la disco-music e il reggae. Tra i suoi successi storici anche alcune cover, tra cui la celebre La Vie en Rose di Edith Piaf, rivisitata da Grace Jones nel 1978. Nel 1981 è la volta di I’ve Seen That Face Before, sulle celebri note di Libertango di Astor Piazzolla.
Negli anni Ottanta è stata anche attrice cinematografica: l’abbiamo vista in Conan il distruttore, accanto ad Arnold Schwarzenegger, e in 007-Bersaglio mobile, accanto a Roger Moore.

Grace Jones, foto di Francis Ing per After Dark Magazine, 1977
Grace Jones, foto di Francis Ing per After Dark Magazine, 1977


La diva con Azzedine Alaïa, 1977
La diva con Azzedine Alaïa, 1977


Grace Jones in uno scatto di David Bailey
Grace Jones in uno scatto di David Bailey


Grace Jones in una  foto di Robert Mapplethorpe, 1989
Grace Jones in una foto di Robert Mapplethorpe, 1989


Felina, aggressiva e prorompente, Grace Jones ha incarnato una bellezza unica nel panorama musicale e nel fashion biz. Innumerevoli le copertine e i servizi di moda. L’artista è attiva ancora oggi: nel 2014 ha partecipato alla colonna sonora di Hunger Games: Il canto della rivolta-Parte 1, accanto alla cantante neo-zelandese Lorde.

(Foto cover Jean-Paul Goude, New York, 1982)


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Veruschka, la prima supermodella della storia

Nessuna come lei: un corpo statuario, un volto entrato nella storia ed impresso indelebilmente nella moda del Novecento. Veruschka è considerata la prima supermodella della storia: la nobildonna prussiana ha incarnato infatti una vera e propria rivoluzione, modificando gli standard di bellezza dell’epoca ed aprendo la strada ai canoni attualmente vigenti nel fashion biz.

Celebre top model e attrice, simbolo della moda a cavallo tra anni Sessanta e Settanta e vero e proprio mito vivente: lunghissimi capelli biondi, volto perfetto ed altezza svettante (le fonti dichiarano 184 cm), Veruschka era molto diversa dall’ideale femminile che aveva caratterizzato la moda fino ai primi anni Sessanta. Le donne erano minute e formose. Nulla a che vedere con lei, che faceva fatica anche a trovare le scarpe della sua misura (calzava un 44). Camaleontica, poliedrica, espressiva come poche, Veruschka von Lendorff è entrata nel mito ed ancora oggi la sua stella risplende nella storia della moda mondiale.

All’anagrafe Vera Gottliebe Anna von Lehndorff-Steinort, la modella è nata a Königsberg, nella regione dei laghi Masuri, il 14 maggio 1939. Nelle sue vene scorre sangue blu: la bellissima Veruschka è infatti la secondogenita del conte Heinrich von Lehndorff-Steinort e della contessa Gottliebe von Kalnein, esponenti della nobiltà prussiana. Il padre, ufficiale della riserva, divenne uno degli uomini chiave della resistenza tedesca antinazista. Vera è solo una bambina quando quest’ultimo, accusato di aver fatto parte del complotto del 20 luglio, viene impiccato: è il 4 settembre 1944, e la piccola ha appena 6 anni. La madre, incinta della quarta figlia al momento dell’attentato, viene internata in un campo di lavoro. Vera e le sorelle vengono portate a Bad Sachsa insieme con i figli degli altri congiurati. L’infanzia della futura modella è ricca di traumi e zone grigie: costretta a vagabondare e a chiedere ospitalità a lontani parenti, la giovane nasconde dentro di sé una grande malinconia, la stessa che la porterà, anni dopo, anche a tentare il suicidio.

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Veruschka è nata a Königsberg il 14 maggio 1939


Uno scatto di Richard Avedon, 1967
Uno scatto di Richard Avedon, 1967


Veruschka in Yves Saint Laurent, 1968
Veruschka in Yves Saint Laurent, 1968


Veruschka in Arizona, giugno 1968, foto di Franco Rubartelli
Veruschka in Arizona, giugno 1968, foto di Franco Rubartelli


Veruschka in uno scatto di Johnny Moncada, anni Sessanta
Veruschka in uno scatto di Johnny Moncada, anni Sessanta


Veruschka in Gucci, Roma, 1971, foto di Herny Clarke. Photo by © Condé Nast Archive/Corbis
Veruschka in Gucci, Roma, 1971, foto di Herny Clarke. Photo by © Condé Nast Archive/Corbis


Veruschka nel 1969, foto di Franco Rubartelli
Veruschka nel 1969, foto di Franco Rubartelli


La bellissima Veruschka studiò ad Amburgo e Firenze. Nel 1959 fu fermata per le strade del capoluogo toscano da un giovane fotografo, colpito dall’altezza vertiginosa della ragazza: si trattava di Ugo Mulas. A lui si deve l’inizio di una carriera unica nel panorama della moda. Tante volte la bionda Veruschka tornerà in Italia: dal suo legame sentimentale, sconfinato in proficuo sodalizio artistico con il fotografo Franco Rubartelli, autore degli scatti più belli della modella, fino a Michelangelo Antonioni, che la diresse in Blow up, manifesto della moda negli Swinging Sixties.

Intanto, dopo essere stata scoperta da Mulas, la teutonica modella si trasferisce a Parigi e a New York, nel 1961: qui però non riscuote il successo sperato. Il mondo della moda non sembra pronto a vedere le potenzialità di quella bellezza mastodontica, che incute quasi timore. Tornata a Monaco di Baviera, Vera tenta di trasformare la propria identità e inizia a fingersi russa. Inoltre in questo periodo cambia il proprio nome in Veruschka. Finalmente la moda sembra improvvisamente accorgersi di lei: Veruschka riesce ad affermarsi, collezionando cover e posando per i più grandi, da Richard Avedon a Bert Stern, da Horst P. Horst ad Henry Clarke, da Gian Paolo Barbieri fino a Peter Beard. Ma è in buona parte grazie agli splendidi scatti realizzati dal suo compagno, il fotografo Franco Rubartelli, che la top model entra nel mito. Lui le dedica anche un lungometraggio, intitolato Veruschka, poesia di una donna (1971).



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Indimenticabili i paesaggi esotici che la vedono come una dea pagana, sacerdotessa di un nuovo mondo e di una nuova bellezza: Veruschka è un camaleonte, sempre pronta a modificare la propria immagine per entrare nel ruolo. Arriva anche a svenire per il caldo, nel deserto dell’Arizona, durante la celebre sessione fotografica fortemente voluta da Diana Vreeland, con Rubartelli dietro l’obiettivo fotografico e Giorgio di Sant’Angelo nei panni di uno stylist ante litteram. Come una dea, novella Venere, la vediamo uscire dalle acque anche negli scatti iconici, rimasti a lungo inediti, realizzati da Johnny Moncada. La Vreeland la etichetta come una “diva dallo sguardo freddo e dall’irraggiungibile volto”; gli scatti che vedono protagonista Veruschka sono diversi dalle foto che da decenni comparivano sulle riviste patinate. Per la prima volta nella storia della fotografia, si trattava di scatti d’azione, che ritraevano le modelle in movimento. Insieme a volti come quello di Twiggy, Marisa Berenson, Penelope Tree e Jean Shrimpton, Veruschka diverrà presenza fissa su Vogue e sarà la modella più pagata al mondo.

Veruschka in una foto di Franco Rubartelli, maggio 1970 (Photo by Keystone Features/Getty Images)
Veruschka in una foto di Franco Rubartelli, maggio 1970 (Photo by Keystone Features/Getty Images)


Veruschka in Honduras, 1968. Foto © Condé Nast Archive/Corbis
Veruschka in Honduras, 1968. Foto © Condé Nast Archive/Corbis


Veruschka in "Blow up" (1966)
Veruschka in “Blow up” (1966)


Veruschka in uno scatto di Richard Avedon per Vogue, ottobre 1966
Veruschka in uno scatto di Richard Avedon per Vogue, ottobre 1966


Veruschka in Yves Saint Laurent, Vogue UK 1965, foto di Irving Penn
Veruschka in Yves Saint Laurent, Vogue UK 1965, foto di Irving Penn


Veruschka in Arizona, styling di Giorgio di Sant'Angelo, 1968. Foto © Condé Nast Archive/Corbis
Veruschka in Arizona, styling di Giorgio di Sant’Angelo, 1968. Foto © Condé Nast Archive/Corbis


Veruschka e Hiram Keller vicino una Maserati gialla, foto Franco Rubartelli, 1969
Veruschka e Hiram Keller vicino una Maserati gialla, foto Franco Rubartelli, 1969


Nel 1966 arriva la svolta cinematografica con Blow up di Michelangelo Antonioni e Salomè di Carmelo Bene. Poche attrici possono vantare tale fama con una sola battuta prevista sul copione: la splendida Veruschka ci riesce e la sua danza conturbante davanti alla macchina da presa, nel tentativo di sedurre l’obiettivo fotografico, sdogana la pellicola di Antonioni come un vero manifesto fashion, in cui moda e costume si intersecano mirabilmente, sullo sfondo di una Swinging London psichedelica ed alienante.

Intanto la modella sviluppa una passione per il body painting: e saranno forse stati gli scatti che la vedono protagonista, camaleontica come poche, a farle amare quest’arte, a cui la modella si dedicherà assiduamente, in un rinnovato amore universale che le fa abbracciare una nuova visione del mondo, in cui il connubio con la natura diviene quasi primordiale.

Veruschka, foto di Horst P. Horst, 1966
Veruschka, foto di Horst P. Horst, 1966


Veruschka, foto di Irving Penn
Veruschka, foto di Irving Penn


Veruschka, foto di Franco Rubartelli, Vogue, aprile 1969
Veruschka, foto di Franco Rubartelli, Vogue, aprile 1969


Veruschka in Giorgio di Sant’Angelo, foto di Franco Rubartelli, Deserto Dipinto (Arizona), Vogue, luglio 1968
Veruschka in Giorgio di Sant’Angelo, foto di Franco Rubartelli, Deserto Dipinto (Arizona), Vogue, luglio 1968


Veruschka posa per Genaro de Carvalho, foto di  Franco Rubartelli, 1968
Veruschka posa per Genaro de Carvalho, foto di Franco Rubartelli, 1968


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Veruschka è una nobildonna prussiana, nata in una famiglia di antico lignaggio


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La modella è alta 1,84 m e calza il 44


Veruschka in Balmain, Vogue, gennaio 1968, foto di Franco Rubartelli
Veruschka in Balmain, Vogue, gennaio 1968, foto di Franco Rubartelli


Nel 1975 arriva l’addio alla moda per dedicarsi alla fotografia, alla pittura e al cinema. Un piccolo cameo in Agente 007-Casino Royale, nel 1006, la riporta sul grande schermo. Ancora bellissima, Veruschka si è più volte apertamente schierata contro la chirurgia estetica. In una biografia lunga ben 330 pagine, scritta a quattro mani con Jorn Jacob Rohwer ed edita da Barbès Editore, la modella rivela molti aneddoti della sua brillante esistenza, costellata spesso da luci ed ombre, a partire da un’infanzia solitaria. Inoltre è stato anche realizzato un documentario che la vede protagonista, dal titolo Veruschka, una vita per la macchina fotografica, opera di Böhm e Morrissey.


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Nasceva oggi Audrey Hepburn, intramontabile icona di stile

Occhi da cerbiatto, fisico etereo e un viso che innumerevoli pellicole hanno contribuito ad imprimere in modo permanente nella mente di milioni di persone. Nasceva oggi Audrey Hepburn, mito indimenticabile, icona di stile e di bellezza. All’anagrafe Audrey Kathleen Ruston, la futura diva nacque a Bruxelles il 4 maggio 1929 dall’inglese Joseph Anthony Ruston e dalla sua seconda moglie, la baronessa Ella van Heemstra, un’aristocratica olandese. Non sorprende che in quella figura dal portamento regale e dai modi naturalmente pieni di grazia scorra sangue blu. Il cognome Hepburn fu aggiunto anni dopo dal padre di Audrey. La giovane aveva due fratellastri, Arnoud Robert Alexander e Ian Edgar Bruce, nati dal primo matrimonio della madre, con l’aristocratico olandese Hendrik Gustaaf Adolf Quarles van Ufford. Tra gli avi dell’attrice troviamo personaggi illustri, tra cui Edoardo III d’Inghilterra e James Hepburn, IV conte di Bothwell, quarto Conte di Bothwell, dal quale pare discenda anche Katharine Hepburn.

Il padre di Audrey lavora in una compagnia di assicurazioni britannica ed è costretto a frequenti spostamenti tra Belgio, Paesi Bassi e Regno Unito. Simpatizzante nazista, dopo il divorzio tra lui e la madre di Audrey, avvenuto nel 1935, l’uomo abbandona la famiglia. Per la giovane Audrey è un trauma fortissimo. L’attrice ritroverà più avanti il padre, trasferitosi intanto a Dublino, e lo sosterrà economicamente durante la vecchiaia. Nel 1939 la madre si trasferì insieme ai figli nella città olandese di Arnhem, per cercare di sfuggire agli attacchi nazisti. Qui la piccola Audrey inizia a studiare danza, frequentando il Conservatorio dal 1939 al 1945. Ma nel 1940 Arnhem viene invasa dai tedeschi. Audrey Hepburn durante la guerra cambia il suo nome in Edda van Heemstra, a causa del suono “inglese” del suo vero nome, considerato pericoloso. Nel 1944 la ragazza è divenuta un’étoile e partecipa a spettacoli segreti per raccogliere fondi a favore del movimento di opposizione al nazismo. Nello stesso anno, dopo lo sbarco in Normandia delle forze alleate, i nazisti confiscano le ultime riserve di cibo della popolazione olandese, insieme alle scorte di carburante. Le case sono prive di riscaldamento e le persone continuano a morire per la fame e il freddo. Audrey patisce la fame sulla propria pelle. A causa della malnutrizione sviluppa delle patologie. Il trauma resterà indelebile nella sua memoria e condizionerà le future scelte della diva. Trasferitasi ad Amsterdam, dove continua i suoi studi di danza, nel 1948 parte alla volta di Londra.

Verso il 1944 Audrey era divenuta una ballerina a tutti gli effetti. Partecipava a spettacoli organizzati in segreto per la raccolta fondi a favore del movimento di opposizione al nazismo. Anni dopo disse: «Il miglior pubblico che io abbia mai avuto non faceva il minimo rumore alla fine dello spettacolo[8]». Dopo lo sbarco in Normandia delle forze alleate, la situazione sotto gli occupanti nazisti peggiorò. Durante la carestia dell’inverno 1944, la brutalità crebbe e i nazisti confiscarono le limitate riserve di cibo e carburante della popolazione olandese. Senza riscaldamento nelle case o cibo da mangiare, la popolazione moriva di fame o di freddo nelle strade. Sofferente per la malnutrizione, la Hepburn sviluppò diversi problemi di salute e l’impatto di quei tempi difficili avrebbe condizionato i suoi valori per il resto della vita.

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Audrey Hepburn nacque a Bruxelles il 4 maggio 1929


Audrey Hepburn in "Sabrina" (1954)
Audrey Hepburn in “Sabrina” (1954)


Audrey Hepburn in uno scatto di Mark Shaw, 1953
L’attrice in uno scatto di Mark Shaw, 1953


Audrey Hepburn in una foto di Bud Fraker, 1953
Audrey Hepburn in una foto di Bud Fraker, 1953


(Foto Bud Fraker)
(Foto Bud Fraker)


Dopo un soggiorno di tre anni ad Amsterdam, dove continuò i suoi studi di danza, Audrey Hepburn si trasferì a Londra nel 1948. Qui prese lezioni da Marie Rambert, tra i cui allievi spiccava il famoso ballerino Vaclav Nižinskij. Ma Audrey, troppo alta per gli standard dell’epoca (1 metro e 67) e provata dalla malnutrizione, ha un futuro incerto come étoile. Delusa nel dover accantonare il suo sogno, la ragazza tenta allora la carriera di attrice. Dopo i primi ruoli a teatro, nel 1951 arriva il grande schermo, con il film One Wild Oat. La scrittrice Colette la sceglie per interpretare la protagonista del suo romanzo Gigi, che era stato trasformato in una commedia per Broadway. Grazie a questa interpretazione Audrey Hepburn vince il premio Theatre World Award. Il primo ruolo importante è nel 1952, nel film The Secret People: il ruolo di una ballerina le calza a pennello, in una interpretazione fortemente voluta dalla protagonista del film, Valentina Cortese. Nello stesso anno la Hepburn gira Vacanze romane. Inizialmente il regista Wyler voleva Elizabeth Taylor. Ma qualcosa accadde durante il provino della giovane Audrey Hepburn. La sua innocenza, l’aria buffa e l’espressività del suo volto ammaliano Wyler, che la trova assolutamente perfetta per il ruolo della principessa Anna. Quella giovane attrice, ancora alle prime armi, colpisce anche Gregory Peck, protagonista maschile della pellicola: l’attore chiese che venisse messo in risalto il nome della Hepburn accanto al proprio, dicendosi certo che la giovane avrebbe vinto l’Oscar. E questo fu esattamente quanto accadde di lì a poco. Nel 1954 Audrey Hepburn vinse l’Oscar come migliore attrice protagonista nel suo primo film importante. Inoltre si aggiudicò anche un NTFCC e un BAFTA.


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Il film successivo è Sabrina, di Billy Wilder, accanto a Humphrey Bogart e William Holden. A vestire l’attrice in questo film è Hubert de Givenchy. Sabrina è la storia di una moderna Cenerentola, la parabola di una ragazza semplice che torna da Parigi trasformata in una diva, sofisticata e sicura di sé. La Hepburn riceve una seconda nomination all’Oscar. Non vince ma ormai è nell’Olimpo. Il sodalizio con Givenchy durerà per tutta una vita. Lui, convinto inizialmente di trovarsi davanti Katherine Hepburn, resta affascinato dal fascino della giovane Audrey. Fisico sottile e volto perfetto, Audrey Hepburn incarna una bellezza assolutamente inedita e unica nel panorama degli anni Cinquanta. Non più curve esplosive ma una ventata di freschezza che rivoluziona gli standard dell’epoca. Come la stessa Hepburn dichiarerà, la sua bellezza non è nelle forme ma è nello stile, sofisticato ed iconico. Musa di Givenchy, André Courrèges, Valentino Garavani, viene ritratta dai più grandi, da Richard Avedon all’amico Cecil Beaton, solo per citarne alcuni. Innumerevoli le cover che la immortalano, da Life a Vogue. Nessuna più di lei è entrata nell’immaginario collettivo: dopo tante pellicole, da Cenerentola a Parigi a La storia di una monaca, con cui l’attrice si impone per la sua straordinaria interpretazione, fino a Sciarada, la ritroviamo in tubino nero, filo di perle e coroncina, persa nell’alba newyorkese, che la vede sgranocchiare un croissant sognando davanti alle vetrine di Tiffany. Impossibile immaginare qualcun altro al posto suo per interpretare Holly Golightly: strampalata quanto basta, deliziosamente sopra le righe, ironica ma anche drammatica, vulcanica, semplicemente irresistibile. La classe innata e lo stile che ha fatto storia sono legati indissolubilmente a Colazione da Tiffany, film del 1961 tratto dal romanzo di Truman Capote e diretto da Blake Edwards, che consacra l’attrice come musa di intere generazioni. Presenza fissa dell’International Best Dressed List, Audrey Hepburn è un’icona di stile amata come poche.

Audrey Hepburn ritratta da Bud Fraker, Los Angeles, California,  Aprile 1956
Audrey Hepburn ritratta da Bud Fraker, Los Angeles, California, Aprile 1956


Audrey Hepburn in "Colazione da Tiffany", 1961 (Foto Corbis)
Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany”, 1961 (Foto Corbis)


Audrey Hepburn in uno scatto di Bob Willoughby, 1963
Audrey Hepburn in uno scatto di Bob Willoughby, 1963


Foto di Cecil Beaton, 1964
Foto di Cecil Beaton, 1964


Audrey Hepburn Hepburn In ‘Breakfast at Tiffany’s’ 1961 photo bud fraker
Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany” (1961). Foto di Bud Fraker


Innumerevoli sono intanto i premi e riconoscimenti che riceve, mentre gli attori sgomitano per lavorare con lei. Nel 1964 la sua carriera mette a segno un altro successo, con My Fair Lady. Perfettamente a suo agio nel ruolo di Eliza Doolittle, il film musicale ne consacra la fama. Intanto la vita privata non le riserva la stessa felicità: durante le riprese di Sabrina ha una relazione con William Holden, osteggiata dalla casa di produzione, che vietava agli attori legami affettivi. Nel 1954 l’attrice sposa il collega Mel Ferrer. Dopo diversi aborti spontanei dà alla luce il loro unico figlio, Sean, nato a Lucerna il 17 luglio 1960. Nel 1968 divorzia da Ferrer e si unisce in seconde nozze con Andrea Dotti, psichiatra romano. Una gravidanza difficile la costringe a letto fino alla nascita del secondo figlio, Luca, nato l’8 gennaio 1970. Ma anche questo matrimonio fallisce, a cause dei numerosi tradimenti di Dotti. Altre relazioni con Ben Gazzara e Robert Wolders, con cui visse fino alla morte.

L’ultima apparizione sul grande schermo fu nel film di Steven Spielberg Always-Per sempre, nel 1988, dove la Hepburn interpretava un angelo di nome Hap. Negli ultimi mesi della sua vita lavorò in televisione, presentando il programma Gardens of the World with Audrey Hepburn. La prima puntata andò in onda il giorno successivo alla sua morte. Negli ultimi anni della sua breve vita numerosissimi furono i riconoscimenti speciali, tra cui il Golden Globe nel 1990 e, nel 1992, il SAG e il BAFTA alla carriera.
Nel 1992 le venne diagnosticato un cancro al colon in fase terminale. L’attrice morì ad appena 63 anni, il 20 gennaio 1993 a Tolochenaz (Canton Vaud, Svizzera), dove fu sepolta. Lo stesso anno della sua morte, il figlio Sean fondò l’Audrey Hepburn Children’s Fund per favorire la scolarizzazione nei Paesi africani. La diva aveva dedicato gli ultimi anni della sua vita ad aiutare i bambini africani. Poliglotta e dall’animo nobile, fu nominata ambasciatrice UNICEF. «Chi non crede nei miracoli, non è realista», era solita ripetere. Tante le sue missioni, dall’Etiopia all’America Latina alla Somalia, viaggio che definì apocalittico. Nel 1992 il Presidente degli Stati Uniti, George H. W. Bush, la premiò con uno dei più importanti riconoscimenti attribuibili a un civile statunitense, la Medaglia Presidenziale della Libertà (Presidential Medal of Freedom), per il suo impegno con l’UNICEF. Nel 2011, i figli Sean e Luca hanno promosso in Italia il club di donatori UNICEF Amici di Audrey.


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Nasceva oggi Edie Sedgwick, musa di Andy Warhol

Nasceva oggi Edie Sedgwick, musa storica di Andy Warhol e incarnazione più emblematica dello stile Swinging Sixties. Una vita dai risvolti tragici, segnata da un’infanzia traumatica e dall’abuso di sostanze stupefacenti, l’ereditiera Edie Sedgwick è stata una socialite, modella e attrice statunitense, icona della Pop Art. Viso angelico e bellezza da copertina, grandi occhi da cerbiatto spaurito e fisico esile, Edie Sedgwick era per tutti la It Girl per antonomasia. Diana Vreeland, celebre direttrice di Vogue, coniò per lei il termine “Youthquaker”: e la socialite era effettivamente molto simile ad un terremoto giovanile. Il suo stile, così originale e lontano da ogni schema, ma anche la cifra della sua intera esistenza, vissuta all’insegna dell’edonismo, entrarono profondamente nell’immaginario collettivo di un’epoca.

All’anagrafe Edith Minturn Sedgwick, detta Edie, la giovane nacque a Santa Barbara il 20 aprile 1943 da una famiglia ricchissima. Settima di otto figli, suo padre era Francis Minturn Sedgwick, filantropo e scultore, e sua madre Alice Delano De Forest. Alla piccola venne dato il nome della zia del padre, Lady Edith Minturn, ritratta col marito Isaac Newton Phelps-Stokes in numerosi quadri di John Singer Sargent.

La sua famiglia vantava un impressionante albero genealogico: originari del Massachusetts, uno dei suoi avi era l’anglosassone Robert Sedgwick, primo Generale Maggiore della Massachusetts Bay Colony. Uno dei bisnonni era William Ellery, tra i firmatari della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti. La madre di Edie era figlia di Henry Wheeler de Forest, Presidente del consiglio di amministrazione della Southern Pacific Railroad e diretta discendente di Jessé de Forest, della Compagnia Olandese delle Indie Occidentali. Il nonno paterno di Edie era lo storico Henry Dwight Sedgwick III; sua bisnonna era Susanna Shaw, sorella di Robert Gould Shaw, colonnello della Guerra Civile Americana. Inoltre Edie era cugina prima dell’attrice Kyra Sedgwick.

Edie Sedgwick in una foto di Jerry Schatzberg, 1966
Edie Sedgwick in una foto di Jerry Schatzberg, 1966


Edie Sedgwick nel film postumo Ciao! Manhattan, diretto da John Palmer e David Weisman, 1972
Edie Sedgwick nel film postumo “Ciao! Manhattan”, diretto da John Palmer e David Weisman, 1972


Edie Sedgwick immortalata da Fred Eberstadt per Life, 1965
Edie Sedgwick immortalata da Fred Eberstadt per Life, 1965


Nonostante l’agiatezza della famiglia, i figli dei Sedgwick erano profondamente infelici. Allevati nei numerosi ranch che la famiglia possedeva in California, i ragazzi vennero istruiti privatamente e costretti a vivere sotto il rigido controllo dei genitori, isolati dal resto del mondo. La giovane Edie già durante l’adolescenza sviluppò dei disturbi del comportamento alimentare, tra anoressia e fame nervosa. All’età di 13 anni iniziò a frequentare la Branson School di San Francisco, ma ben presto fu costretta a lasciare la scuola a causa del suo disturbo alimentare. I piccoli di casa Sedgwick avevano rapporti conflittuali con la figura paterna. Il padre era un narcisista maniaco-depressivo ed era solito intrattenere numerose relazioni extraconiugali. Pare che Edie lo abbia anche colto in fragrante, trovandolo a letto con una delle sue amanti. Per tutta risposta lui le disse che doveva aver immaginato tutto e chiamò un medico affinché le somministrasse dei tranquillanti. Secondo diverse fonti la giovane venne anche molestata sessualmente dal padre, come lei stessa ammise nell’ultimo degli undici film che la vedono protagonista, l’autobiografico Ciao! Manhattan. Nel 1958 Edie si iscrisse alla St. Timothy’s School, nel Maryland, ma ben presto dovette lasciare l’istituto a causa dell’anoressia.
Nell’autunno 1962, su insistenza del padre, venne ricoverata nell’ospedale psichiatrico Silver Hill Hospital di New Canaan, Connecticut. Nonostante il ricovero, il suo peso corporeo continuava a scendere drammaticamente. Fu mandata quindi a Bloomingdale, New York, dove la sua anoressia diede finalmente segni di miglioramento. Dimessa dall’ospedale, ebbe una breve relazione con uno studente di Harvard: rimasta incinta, abortì, aiutata dalla madre, motivando il gesto con i problemi psicologici che da tempo la attanagliavano. Nell’autunno 1963 si trasferì a Cambridge, Massachusetts, per studiare scultura, insieme alla cugina, l’artista Lily Saarinen, che disse di lei: “Era molto insicura con gli uomini, sebbene tutti la amassero”. In questo periodo divenne amica di un gruppo di bohémien della scena politica di Harvard, che includeva molti gay.


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Edie conobbe presto la sofferenza, con la prematura scomparsa dei suoi due fratelli maggiori, Francis Jr., detto Minty, e Robert, detto Bobby, che morirono nel giro di 18 mesi l’uno dall’altro. Il primo, alcolizzato già a quindici anni, nel 1964 si suicidò impiccandosi mentre era ricoverato al Silver Hill Hospital. Bobby, anche lui sofferente di problemi di natura psichica, nel 1965 si schiantò contro un autobus con la sua moto, a New York. Ma secondo Edie anche in questo caso dovette trattarsi di suicidio. Poco prima della morte di Francis la ragazza si trasferì nella Grande Mela per tentare la carriera di modella. Iniziò in questo periodo ad assumere sostanze stupefacenti, tra cui LSD. Nel marzo 1965 l’incontro che segnò la sua vita, con l’artista Andy Warhol, che conobbe ad una cena nell’appartamento di Lester Persky. Warhol, rimasto affascinato dallo charme della giovane socialite, la invita nel suo studio, The Factory. In quel periodo l’artista stava girando Vinyl, basato sul romanzo Arancia Meccanica. Sebbene tutto il cast fosse maschile Warhol volle assolutamente inserirvi Edie, che fece un cameo anche in Horse. In breve la ragazza divenne musa di Wahrol e presenza fissa alla Factory e comparve in molti dei suoi film d’avanguardia, a partire da Poor Little Rich Girl, originariamente concepito come una saga di cui Edie doveva essere protagonista. Le riprese iniziarono nel marzo del 1965 nel suo appartamento. Tra le altre pellicole girate che vedevano protagonista la ragazza troviamo Kitchen, del 1965, scritto da Ronald Tavel, Beauty No.2, Outer and Inner Space, Prison, Lupe e Chelsea Girls. I film di Warhol non erano prodotti commerciali e raramente venivano proiettati fuori dalla Factory ma nonostante tutto la fama di Edie crebbe in modo esponenziale, e il suo senso innato per lo stile le permise di imporsi come una delle più grandi icone degli anni Sessanta.

Edie Sedgwick in body e calze Givenchy, foto di Gianni Penati per Vogue, 1966
Edie Sedgwick in body e calze Givenchy, foto di Gianni Penati per Vogue, 1966


1965
Edie Sedgwick nacque a Santa Barbara il 20 aprile 1943


Edie Sedgwick immortalata da Fred Eberstadt per Life, 1965
Edie Sedgwick immortalata da Fred Eberstadt per Life, 1965


Calzamaglia nera, mini abiti a righe, orecchini chandelier, pellicce animalier: questo era uno degli outfit più caratteristici della it girl. Capelli sbarazzini, il bianco e nero optical, il suo stile ha segnato un’epoca. Foto iconiche la immortalano su LIFE nel settembre 1965 e su Vogue nel marzo 1966. Divenuta la Superstar di Warhol, è la Girl of the Year nel 1965. Dal 1965 al 1967 il sodalizio artistico e l’amicizia che la lega a Warhol appaiono inossidabili. I due si assomigliano, l’affinità elettiva che li lega trascende qualsiasi confine, al punto che Warhol sembra essere la controparte maschile di Edie. Tantissime sono le foto che li ritraggono insieme: pose plastiche, tanta ironia, mise eccentriche, sguardi complici e arte allo stato puro. Ma alla fine del 1967 qualcosa si spezzò nel loro rapporto. Edie si trasferì al Chelsea Hotel, dove divenne amica di Bob Dylan. La ragazza prese una sbandata per il cantautore, convinta che si trattasse di un sentimento reciproco, e visse nell’illusione che una meravigliosa storia d’amore stesse per iniziare. Ma Dylan nel novembre 1965 sposò segretamente Sara Lownds. Secondo i rumours la povera Edie venne informata dell’accaduto da Warhol nel febbraio 1966. Per il già precario equilibrio della giovane, questo fu il colpo di grazia. Provò a consolarsi gettandosi in una relazione con Bob Neuwirth, amico di Dylan, e in questo periodo iniziò la sua dipendenza da barbiturici. All’inizio del 1967, incapace di gestire la dipendenza della ragazza, Neuwirth interruppe la relazione.

Figura controversa nel panorama artistico, amata e odiata in egual misura, l’ex stella della Factory ancora giovanissima stava già suo malgrado per avviarsi sul viale del tramonto: tanto per cominciare non riuscì mai a diventare la lead singer dei Velvet Underground, che le preferirono Nico, bellissima cantante di origine tedesca dalla voce roca. Nico spodestò Edie non solo nel mondo musicale, ma anche nel cuore di Warhol. Intanto parlavano di lei personaggi del calibro di John Cage, Truman Capote, Patti Smith, Lou Reed, Allen Ginsberg, Roy Lichtenstein, Gore Vidal.

Successivamente Edie tentò con altrettanta sfortuna la carriera di attrice, facendo dei provini anche per Norman Mailer. Nel marzo 1967 iniziò le riprese di Ciao! Manhattan, un film semi-autobiografico diretto da John Palmer e David Weisman. In questo periodo, presumibilmente in uno stato di coscienza alterato dalla droga, diede accidentalmente fuoco alla sua camera al Chelsea Hotel con una sigaretta e finì in ospedale per le ustioni riportate nel rogo. A causa del peggioramento delle sue condizioni fisiche, dovuto all’abuso di sostanze stupefacenti, le riprese del film furono sospese. Dopo frequenti ricoveri per droga e disturbi psichici, tra il 1968 e il 1969, Edie fece ritorno in California per trascorrere un periodo di riposo con la sua famiglia. Nell’agosto 1969 tuttavia venne nuovamente ricoverata dopo essere stata arrestata per possesso di droga. La vita di Edie Sedgwick, così straordinariamente fuori le righe, vide allora un nuovo colpo di scena: proprio nel nosocomio la bella attrice ebbe un colpo di fulmine per un paziente, Michael Breet Post. Con lui convolerà a nozze il 24 luglio 1971.

Seguì un nuovo ricovero nell’estate del 1970. Dimessa, la giovane era tenuta sotto controllo da uno psichiatra e dalle amorevoli cure del regista John Palmer e di sua moglie Janet. Determinata a finire le riprese di Ciao! Manhattan, in cui racconta se stessa e la sua storia, Edie si spostò a Santa Barbara. Il film venne finalmente terminato all’inizio del 1971 ma non sarà distribuito fino al febbraio dell’anno seguente. Dopo le nozze con Michael Post la ragazza limitò l’abuso di alcol e di droghe. Ma nell’ottobre 1971 cadde nuovamente nella dipendenza da alcol e barbiturici. La notte del 15 novembre 1971 Edie era invitata ad una sfilata di moda al museo di Santa Barbara. Dopo la sfilata seguì un party in cui la ragazza consumò diversi alcolici. Poi telefonò al marito perché la venisse a prendere. La mattina seguente quest’ultimo la trovò senza vita. Il medico legale stabilì che la morte era dovuta a causa indeterminata/incidente/suicidio. Il certificato di morte parla di probabile intossicazione acuta da barbiturici dovuta al mix con l’alcol. La giovane venne sepolta al cimitero di Oak Hill, a Ballard, California. Sua madre Alice fu sepolta accanto a lei nel 1988.

Edie Sedgwick nel film Horse diretto da Andy Warhol, 1965
Edie Sedgwick nel film “Horse” diretto da Andy Warhol, 1965


Edie Sedgwick nel film postumo Ciao! Manhattan, diretto da John Palmer e David Weisman, 1972
Edie Sedgwick nel film postumo “Ciao! Manhattan”, diretto da John Palmer e David Weisman, 1972


Edie Sedgwick in uno scatto di Bob Adelman, 1965
Edie Sedgwick in uno scatto di Bob Adelman, 1965


Edie Sedgwick in uno scatto di Nat Finkelstein
Edie Sedgwick in uno scatto di Nat Finkelstein


Edie Sedgwick continua ad ispirare intere generazioni che in tutte le arti, dal cinema alla musica alla moda, celebrano il suo stile e la sua vita. Il film Factory Girl di George Hickenlooper del 2006 si ispira a lei: nei panni della giovane icona una bravissima Sienna Miller. La pellicola ha destato scalpore a causa delle dichiarazioni rilasciate poco prima dell’uscita del film dal fratello maggiore di Edie Sedgwick, Jonathan, il quale ha affermato che la sorella gli avrebbe confidato di aver abortito un figlio che aspettava da Dylan. Il cantautore dopo la morte della ragazza aveva smentito più volte di aver mai intrattenuto una relazione di tipo sentimentale con lei. Ma secondo i rumours proprio all’eccentrica socialite sarebbero dedicate alcune delle sue canzoni più belle, da “Like a Rolling Stone” a “Just like a woman”. I Velvet Underground scrissero in sua memoria “Femme fatale”. Edie Sedgwick si aggiunge alla lista di giovani belli e dannati, scomparsi troppo presto, da Marilyn Monroe a James Dean, da Jim Morrison a Janis Joplin. Di lei restano le numerosissime foto, che immortalano una ragazza bellissima e fragile.

(Foto cover di Jerry Schatzberg, 1966)


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Lo stile di Iris Apfel

Dimenticate la vecchia massima del “less is more”: e se a dirlo è la più grande icona di stile contemporanea c’è da crederci. Interior designer, businesswoman ed icona fashion, Iris Apfel è l’emblema di come un senso innato per lo stile possa trasformarsi in un elisir di lunga vita. Numerose collaborazioni illustri come fashion designer, una carriera in costante ascesa, la 95enne newyorkese è il nuovo guru della moda internazionale.

Classe 1921, una personalità scoppiettante e una ironia rara che la rende irresistibilmente autentica e a tratti naïf: “Penso sia meglio essere felici che ben vestiti”, saluta così dal suo profilo Instagram l’arzilla 95enne, pasionaria del “more is more”. Impossibile copiare il suo stile: eccentrico, audace, ridondante, a tratti eccessivo, fatto di sovrapposizioni e di geniali accostamenti dal forte impatto scenografico.

L’icona di stile che ha sovvertito ogni regola, facendo piazza pulita di vecchi miti e tabù, in primis quello dell’età, ha dimostrato come per diventare una it girl non sia necessario avere vent’anni. Genuina e schietta, come quando ha candidamente ammesso, nel corso di un’intervista al Guardian, di non avere mai amato particolarmente lo stile Chanel. Autoironica come poche, adora definirsi una “stellina geriatrica” e ha ribadito più volte che se non avesse avuto il suo proverbiale senso dell’umorismo sarebbe già morta.

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Iris Apfel è una delle più grandi icone di stile contemporanee



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La 95enne newyorkese ha alle spalle una carriera da interior designer e collaborazioni illustri come fashion designer



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All’anagrafe Iris Barrel, è nata nel Queens il 29 agosto 1921



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Uno stile eccentrico e audace e una personalità scoppiettante


Occhiali da diva dal fascino un po’ nerd e rossetto rosso lacca, immancabile vezzo che completa ogni suo look iconico: impossibile non riconoscerla. Una passione per i gioielli etnici, meglio se dalle proporzioni over, l’icona di stile è stata scelta come testimonial dello spot per il lancio della nuova Ds3 di Ds Automobiles, premium brand di Peugeot Citroën.

All’anagrafe Iris Barrel, la più agée delle personalità del fashion biz è nata il 29 agosto 1921 nel Queens da padre americano e madre russa. Figlia unica, suo padre Samuel Barrel era un negoziante di vetro, mentre la madre Sadye era proprietaria di una boutique di moda. Iris ha studiato Storia dell’arte alla New York University e alla University of Wisconsin: nel corso dei suoi tantissimi viaggi ha sviluppato la sua personalissima estetica, attingendo da culture e popoli lontani. Nel 1948 ha fondato insieme al marito Carl Apfel (scomparso lo scorso agosto) la Old World Weavers, azienda tessile che ha chiuso i battenti nel 1992, dopo aver arredato la Casa Bianca per i mandati di ben nove presidenti (Truman, Eisenhower, Nixon, Kennedy, Johnson, Carter, Reagan e Clinton), annoverando tra i clienti anche nomi del calibro di Estée Lauder e Greta Garbo.

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Iris Apfel è nata da padre americano e madre russa



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Il suo stile mixa sapientemente capi haute couture a pezzi vintage acquistati nei mercatini delle pulci



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Iris ha studiato Storia dell’arte alla New York University e alla University of Wisconsin



(Foto AD)
(Foto AD)



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Iris Apfel ha una passione per i gioielli etnici, meglio se dalle proporzioni over


Lo stile di Iris Apfel è un sapiente mix di elementi haute couture e capi acquistati nei mercatini delle pulci: un amore per i jeans e per gli accessori, passione, questa, tramandatale dalla madre. Stampe, pellicce, colori accesi sono i pilastri su cui si fonda uno stile unico, che trascende la moda per accostarsi all’arte. Segni particolari: tanta personalità. Per lei stile non è sinonimo di apparenza, ma conoscenza di sé ed introspezione profonda, un viaggio che può richiedere tanti anni.

Curiosa come una bambina, animata da entusiasmo ragazzino, Iris Apfel ha più volte dichiarato di trarre ispirazione da tutto ciò che la circonda. Allergica alle regole, perché “le infrangerebbe tutte”, riconosce le profonde connessioni che la moda ha con la realtà circostante e con il momento storico. Deliziosamente sopra le righe, in una sua frase storica su New York ha dichiarato che «per vivere da vera newyorkese le due cose più importanti per una donna sono un autista e un cappotto foderato di pelliccia».

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L’icona di stile ritratta nel suo appartamento



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Nel corso dei suoi numerosi viaggi l’icona fashion ha sviluppato la sua personalissima estetica



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Particolare del suo appartamento (Foto tratta da Architectural Digest)



Iris Apfel per Bajalia
Iris Apfel per Bajalia



Iris Apfel (Foto tratta dal Times)
Un ritratto di Iris Apfel (Foto tratta dal Times)


Definita “l’uccello raro della moda”, dal titolo della mostra dedicatale dal Met di New York nel 2005, nel 2011 yoox.com ha messo in vendita i gioielli da lei realizzati, ricchi di fascino esotico, mentre Mac Cosmetics le ha dedicato una capsule collection. Inoltre è stata protagonista del documentario Iris di Albert Maysles, nonché di una mostra, intitolata Iris in Paris. E proprio nella capitale francese fino al 16 aprile l’icona di stile è protagonista assoluta delle vetrine di Le Bon Marché. Musa storica di Ari Seth Cohen, il creatore del blog Advanced Style, all’icona fashion hanno dedicato persino un festival, l’Iris lovefest, in cui designer, film-maker e blogger si sono riuniti per omaggiare il suo stile.

(Foto cover tratta da wwd.com)


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