Tra Pittura e Poesia. L’Arte dei Preraffaelliti in mostra a Milano

Quando si parla di Preraffaelliti, si pensa subito all’Inghilterra vittoriana e a un certo gusto artistico mirante a una rivalutazione del passato in chiave moderna.

Questo è il senso della mostra allestita dal 19 giugno al 6 ottobre 2019 nelle sale del piano terra di Palazzo Reale. Curata da Carol Jacobi e promossa da Comune di Milano e 24Ore Cultura, la mostra presenta circa ottanta opere, provenienti dalla Tate Gallery di Londra, esemplificative di quei diciotto pittori che presero parte alla cosiddetta “Confraternita dei Preraffaelliti”.

Walter Howell Deverell, Un animale domestico, 1853, Londra, Tate Gallery
Walter Howell Deverell, Un animale domestico, 1853, Londra, Tate Gallery


Questi artisti presero le mosse della loro scelta estetica e artistica da un preciso fenomeno storico, che tutti conosciamo attraverso l’anno in cui questo si svolse, ovvero il 1848. Questi dodici mesi furono un susseguirsi di tumulti, moti e ribellioni, borghesi e popolari, contro i potenti ritornati sui loro troni e nei loro palazzi dopo il Congresso di Vienna. Le Cinque Giornate di Milano, i moti a Brescia, nello Stato Pontificio e a Napoli, in Italia, scossero gli animi dei Liberali e di tutti coloro che sognavano la nascita di un Paese unito e indivisibile, come sostenne Mazzini, ma anche nel resto d’Europa questa ventata di novità, purtroppo soffocata nel sangue, mosse le coscienze culturali e artistiche nella volontà di riunificazioni nazionali e di un primo abbozzo di un continente coeso e senza barriere. In Inghilterra la situazione era diversa, ma non meno “agitata”. Al potere c’era una monarca rigida ma amante dell’Arte, Vittoria, e, anche oltremanica, gli operai degli slums descritti da Dickens cominciavano a ribellarsi alle condizioni di vita e lavoro disumane nelle periferie di Londra e di Manchester.

Queste istanze le seppero cogliere diciotto artisti, per lo più figli di classi agiate, ma anche di estrazione popolare, accomunati dagli studi presso la Royal Academy di Londra. Per loro, lo stile e i dettami ancora di fine ‘700, ispirati alla ritrattistica di Gainsborough e al vedutismo di Turner, che l’Accademia proponeva, parevano superate. Come nel resto d’Europa con il movimento romantico, anche in Inghilterra questo gruppo di artisti decise di tornare al Medioevo, ma con un intento meno politico dei loro colleghi italiani, tedeschi e francesi. Gli inglesi, molti dei quali reduci dal Grand Tour italiano tra Roma, Firenze e Napoli, guardavano allo stile, più che al messaggio, e trovarono la risposta alla loro ribellione nella Pittura italiana dal ‘300 all’inizio ‘400, toscana e umbra. In sostanza, tutta quella Pittura italiana prima dell’avvento di colui che cambiò, per sempre, i canoni artistici e stilistici del Rinascimento, Raffaello. Da qui il nome del gruppo: Preraffaelliti.

 

La mostra si muove, dopo un’introduzione biografica dei diciotto artisti, attraverso sezioni tematiche dedicate agli argomenti affrontati da questi ragazzi che, meglio di ogni altro, costituirono la prima vera avanguardia artistica sul territorio britannico. I Preraffaelliti si configurarono, sin da subito, in segno di devozione verso quel periodo di transizione tra Medioevo e Rinascimento, come una confraternita, ma la loro fu sempre una scelta stilistica, e non certo religiosa, vista la laicità totale del Movimento. Erano confratelli come lo erano i loro pilastri artistici e culturali. La loro Arte si può definire come Medioevo Moderno, perché si muove su due binari paralleli: i Preraffaelliti scelsero il Medioevo toscano come principio ispiratore della loro Pittura, con riferimenti che spaziavano da Dante a Petrarca, da Giotto a Simone Martini, ma seppero trasformarlo, calandolo nella realtà inglese di metà XIX secolo, attraverso un sapiente uso di riferimenti letterari e filosofici, ma anche con l’ironia con cui affrontavano i cambiamenti sociali. Seppero essere una forza di cambiamento nella rigida e statica società artistica inglese e, forse, i Preraffaelliti si dimostrarono un po’ come la propaggine inglese del Romanticismo, vista la poliedricità dei loro lavori, anche se definirli “romantici” è una forzatura, in quanto non possedevano molte delle caratteristiche dei colleghi del Continente, a partire dal forte impegno politico. Certo, erano interessati a tematiche sociali, ma la loro direzione fu quella di un nuovo realismo, diverso da quello crudo di matrice francese, più legato a un’aura estetizzante e, per certi versi, già Liberty, che alla denuncia diretta di Courbet e di Millet.

John Everett Millais, Ofelia, 1851-52, Londra, Tate Gallery
John Everett Millais, Ofelia, 1851-52, Londra, Tate Gallery


Il primo nome di punta della Confraternita fu Dante Gabriel Rossetti, figlio di un esule e carbonaro abruzzese. Fu lui a contribuire alla nascita di un’associazione mirante a rivoluzionare l’Arte in Inghilterra, con l’aiuto di altri due sodali, poi divenuti maestri della Pittura Preraffaellita, William Holman Hunt e John Everett Millais. Tutti e tre frequentavano i corsi di Belle Arti della Royal Academy di Londra, dove si dedicavano, per tutto il giorno, a riprodurre, a disegno, opere antiche e medievali italiane. Proprio da questi disegni prende le mosse la prima sezione. Ben presto si unì a loro un nuovo sodale, Ford Madox Brown, grande amante dell’Arte medievale italiana e personaggio ribelle, che, reduce da un viaggio a Firenze, realizzò opere come la bellissima Nostra Signora dei bravi bambini, in cui lo stile ispirato a Beato Angelico e a Melozzo da Forlì si fonde con il realismo evidente nell’aver ritratto, tra i piccoli astanti, anche la figlia e nell’allusione al bagno dei pargoli ogni sabato sera. Quest’opera è emblematica della definizione di Medioevo Moderno: stile antico, tema e personaggi moderni. Nella prima sezione emerge subito anche un grande interesse della Confraternita per la Letteratura, e per drammi personali reinterpretati in chiave teatrale. Capolavoro, in questo senso, è l’Ofelia (1851-52) di Millais, opera ispirata alla vicenda dell’Amleto di Shakespeare, in cui l’artista ritrasse la pittrice Elizabeth Siddal nei panni dell’eroina che si uccise in quanto respinta da Amleto. Per le scelte, Millais lavora su un substrato romantico, ma il naturalismo e le acque nitide del fiume prefigurano il Decadentismo di fine secolo.

William Holman Hunt, Claudio e Isabella, 1850, Londra, Tate Gallery
William Holman Hunt, Claudio e Isabella, 1850, Londra, Tate Gallery


La seconda sezione è dedicata al rapporto, strettissimo, tra Pittura e Poesia nell’estetica preraffaellita: non solo, gli artisti si ispiravano alla Letteratura, ma erano letterati loro stessi, scrittori di prosa o poeti, e, per tale motivo, confrontavano il realismo dei loro soggetti con le fonti privilegiate, Dante, Boccaccio, Chaucer, Shakespeare, ma anche moderni come Browning, in un costante dialogo tra Italia e Inghilterra, quasi a concepire Londra come una seconda Firenze. E qui entra in scena il terzo grande attore della vicenda, l’Amore. Un Amore romantico, certo, mai espressamente carnale e fisico, ma sempre sentimentale, figlio di quell’Amor Cortese dei grandi romanzi del ‘200, ma calato nel contemporaneo. Le storie d’Amore dipinte dai Preraffaelliti erano raffigurazioni di amanti separati dal denaro e dalla cupidigia, piuttosto che dal destino, ma anche di personaggi infedeli, come segno di ribellione nei confronti dell’establishment culturale dell’epoca.

A seguire, una parte è dedicata a quello che era la Fede religiosa, per i Preraffaelliti. La loro era una Fede laica, in grado di attualizzare i testi sacri come la Bibbia, che ritenevano una grande fonte d’ispirazione. Per tale motivo, giunsero a raffigurazioni sacre molto realistiche, che suscitarono critiche per la concreta attualizzazione della scena, come prova la Lavanda dei Piedi di Brown o la Sant’Agnese di Cadogan Cowper, giudicata scandalosa per una modella minorenne nei panni della santa e di un’attrice per l’Angelo che le appare.

Ford Madox Brown, Gesù lava i piedi di Pietro, 1852-6, Londra, Tate Gallery
Ford Madox Brown, Gesù lava i piedi di Pietro, 1852-6, Londra, Tate Gallery


I Preraffaelliti, come già anticipato, seppero calare la vita moderna in una patina di antichità. Anzi, forse, più di altri, furono i cantori della Modern Life inglese, e, per tale motivo, seppero cogliere i profondi cambiamenti sociali e sociologici dell’epoca nei loro dipinti, a partire dal dramma dell’emigrazione, per arrivare a una concezione di amore non convenzionale, che sfocia in una denuncia, velata, nei confronti della mancanza di diritti basilari delle donne, in primis quello di voto. Non a caso, nessun membro dell’associazione ebbe una vita sentimentale stabile, quasi in contrasto con la concezione vittoriana della famiglia. Emblematico è Amore d’aprile di Arthur Hughes (1855-56), opera raffigurante un incontro tra amanti in una Natura lussureggiante, ma anche l’enigmatica Tenete vostro figlio, Signore di Brown e la criticatissima Valle del Riposo di Millais, in cui due suore sono intente a scavare una fossa in un cimitero con un realismo giudicato eccessivo a causa delle braccia muscolose di una delle due religiose. Hunt realizzò un quadro, La nave, di ritorno da un viaggio in Oriente, concependola come “vascello della salvezza”, e come metafora della vita, con una palese allusione all’emigrazione britannica verso Australia e Sudafrica, così come emblematica del dramma dell’espatrio è Un ultimo sguardo all’Inghilterra di Brown, in cui raffigurò un amico con moglie e figlio, diretti nel Nuovo Mondo.

Arthur Hughes, Amore d'aprile, 1855-56, Londra, Tate Gallery
Arthur Hughes, Amore d’aprile, 1855-56, Londra, Tate Gallery


 

Ford Madox Brown, Cattivo soggetto, 1863, Londra, Tate Gallery
Ford Madox Brown, Cattivo soggetto, 1863, Londra, Tate Gallery


La sezione successiva è dedicata al “plein air”. I Preraffaelliti, incoraggiati dal loro primo grande critico, John Ruskin, furono pionieri nell’esporre dipinti eseguiti all’aperto e non in studio, e, in ciò, anticiparono i Macchiaioli toscani, che ne furono influenzati, specie nelle vedute, a causa della loro devozione e fedeltà alla Natura. A Firenze, alcuni artisti Preraffaelliti frequentavano la folta e culturalmente elevata comunità britannica presente in riva all’Arno, come prova la bellissima veduta della città di John Brett.

John Brett, Veduta di Firenze da Bellosguardo, 1863, Londra, Tate Gallery
John Brett, Veduta di Firenze da Bellosguardo, 1863, Londra, Tate Gallery


La Confraternita si sciolse nel 1863. I Preraffaelliti, però, mantenendo uno stile di vita bohemien, continuarono a frequentarsi, approfondendo motivi e scelte stilistiche precedenti, come fece, per esempio, Dante Gabriel Rossetti, che abbandonò il realismo delle prime prove per affinare il suo amore per Dante Alighieri, per la figura di Beatrice, per la Vita Nuova e per i racconti arturiani, tra cui quello inglese di Thomas Malory. Ne uscirono opere ancora di taglio tardogotico, con fondi dorati e iscrizioni arcaiche in caratteri medievali, ma, in cui, la concezione di Amore è quella romantica. Le prove migliori sono la bellissima Paolo e Francesca, in cui campeggia la scritta “o lasso” sopra la testa di Virgilio, o la suggestiva Roman de la Rose, perfetta attualizzazione delle storie cavalleresche cortesi del ‘200.

Dante Gabriel Rossetti, Lucrezia Borgia, 1860-1, Londra, Tate Gallery
Dante Gabriel Rossetti, Lucrezia Borgia, 1860-1, Londra, Tate Gallery


 

Dante Gabriel Rossetti, Roman de la Rose, 1864, Londra, Tate Gallery
Dante Gabriel Rossetti, Roman de la Rose, 1864, Londra, Tate Gallery


 

Dante Gabriel Rossetti, Il sogno di Dante alla morte di Beatrice, 1856, Londra, Tate Gallery
Dante Gabriel Rossetti, Il sogno di Dante alla morte di Beatrice, 1856, Londra, Tate Gallery


La Parte finale della mostra è dedicata alla fase tarda della produzione dei Preraffaelliti, che sperimentarono nuove gamme stilistiche e cromatiche, anche in relazione al nascente design e alle arti applicate, fatte conoscere dalla mente geniale di William Morris, con il suo movimento Arts & Crafts, il vero trait d’union tra Otto e Novecento britannico. Ne emerse anche una nuova raffigurazione della donna, più interiorizzata, ma anche più femme fatale, ormai vicina all’estetica decadentista che cominciava a emergere, anche grazie a un giovane scrittore che promuoveva tale concezione estetizzante della vita: Oscar Wilde. Stilisticamente, Rossetti, da Preraffaellita, divenne Postraffaellita, passando attraverso il filtro del Sanzio per scegliere, nei ritratti, i modelli veneti di Tiziano e Giorgione, con donne in carne e ingioiellate, che identificano, in chiave moderna, divinità antiche, come Monna Pomona e Monna Vanna, ormai modelle simbolo di uno stile di vita e di abbigliamento alla moda; anche la figura di Beatrice divenne icona di stile, e il capolavoro che chiude, ciclicamente opposto all’Ofelia di Millais, la mostra, ne è la prova: Beata Beatrix (1864-70). A concludere l’esposizione, una piccola sezione dedicata all’eredità che i Preraffaelliti lasciarono a due movimenti artistici che, negli anni ’80, iniziavano a nascere: il Simbolismo e l’Impressionismo. Opera emblematica di questo lascito è la fantastica Dama di Shallow di John William Waterhouse, raffigurante un racconto di Alfred Tennyson. La Natura, rigogliosa, sembra già anticipare le pennellate di De Nittis, mentre la figura femminile è una modella in stato di trance, a metà strada tra un’eroina del Decadentismo letterario e una delle figure dipinte da Franz von Stück.

Dante Gabriel Rossetti, Monna Vanna, 1866, Londra, Tate Gallery
Dante Gabriel Rossetti, Monna Vanna, 1866, Londra, Tate Gallery


 

Dante Gabriel Rossetti, Beata Beatrix, 1864-70, Londra, Tate Gallery
Dante Gabriel Rossetti, Beata Beatrix, 1864-70, Londra, Tate Gallery


 

Dante Gabriel Rossetti, Monna Pomona, 1864, Londra, Tate Gallery
Dante Gabriel Rossetti, Monna Pomona, 1864, Londra, Tate Gallery


 

Dante Gabriel Rossetti, Aurelia (L'amante di Fazio), 1863-73, Londra, Tate Gallery
Dante Gabriel Rossetti, Aurelia (L’amante di Fazio), 1863-73, Londra, Tate Gallery


 

John William Waterhouse, La dama di Shallott, 1888, Londra, Tate Gallery
John William Waterhouse, La dama di Shallott, 1888, Londra, Tate Gallery


Preraffaelliti. Amore e Desiderio
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano
Orari: Lunedì 14,30 – 19,30
           Martedì – mercoledì – venerdì – domenica 9,30 – 19,30
           Giovedì e sabato 9,30 – 22,30
Biglietti: Intero € 14,00; Ridotto € 12,00
Info: www.mostrapreraffaelliti.com

Una wunderkammer in mostra nel centro di Milano

La Natura, nella sua magnificenza, è la protagonista della mostra tematica ospitata a Palazzo Reale di Milano.

Dal 13 marzo al 14 luglio 2019, infatti, nella Sala delle Cariatidi e in quelle contigue, di Palazzo Reale, è allestita la mostra Il meraviglioso mondo della Natura. Una favola tra Arte, Mito e Scienza, curata da Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, professori all’Università degli Studi di Milano. La mostra è promossa da Comune di Milano, Palazzo Reale e 24Ore Cultura. Si tratta di un’occasione unica, in quanto, per l’evento, è stata allestita una vera e propria wunderkammer, ovvero uno di quei gabinetti delle meraviglie, con pietre rare, oreficerie, oggetti rari e animali imbalsamati, che caratterizzavano, nel Cinquecento, alcune dimore della nobiltà austriaca e del Nord Italia. Un’ulteriore occasione è fornita dalle celebrazioni per i cinquecento anni dalla morte di Leonardo da Vinci, che, più di ogni altro, seppe analizzare, da scienziato, e rappresentare, sia da artista che da ingegnere, la Natura, adattandola all’uomo e alle sue esigenze.

La mostra è esattamente una panoramica sulla rappresentazione della Natura dal XV al XVII secolo, con particolare attenzione a Milano e al suo scenario, famoso già all’epoca per la perfetta sintonia tra Arte e Scienza, tramite l’analisi della Natura. Punto di partenza sono due opere grafiche: la prima è un foglio di un codice tardogotico lombardo, l’Historia plantarum, custodito a Roma, in cui è rappresentato un gatto, associato, quasi come in un bestiario medievale, a superstizioni legate a varie parti del suo corpo. Il foglio del codice è affiancato da un disegno di Leonardo da Vinci, della Biblioteca Ambrosiana, di analogo soggetto, ma frutto di un’analisi scientifica sul corpo dell’animale. Quindi, Medioevo contro Rinascimento significa Superstizione contro Scienza ed Esperienza diretta.

Bottega di Giovannino de’ Grassi, Gatto arraffa una fetta di cacio, 1395-1400 circa, Roma, Biblioteca Casanatense
Bottega di Giovannino de’ Grassi, Gatto arraffa una fetta di cacio, 1395-1400 circa, Roma, Biblioteca Casanatense


 

Leonardo da Vinci, Studio sull'equivalenza di superfici e disegno di un gatto, 1513-15, Milano, Biblioteca Ambrosiana © Veneranda Biblioteca Ambrosiana / Mondadori Portfolio
Leonardo da Vinci, Studio sull’equivalenza di superfici e disegno di un gatto, 1513-15, Milano, Biblioteca Ambrosiana © Veneranda Biblioteca Ambrosiana / Mondadori Portfolio


Segue un altro bellissimo confronto, tra due dipinti celeberrimi rappresentanti una Natura morta, eseguiti alla fine del ‘500: la Natura morta con pesche di Giovanni Ambrogio Figino e la Canestra di frutta di Caravaggio. La prima, del 1594-95, in collezione privata, è un’opera estremamente realistica, che pare quasi in 3D, se la si guarda da vicino, ma che risente ancora dell’espressività idealizzata del Manierismo, di cui Figino fu uno dei massimi rappresentanti milanesi. La versione di Caravaggio, dell’Ambrosiana, opera giovanile eseguita dal Merisi mentre era ancora allievo di Simone Peterzano, è frutto di un’osservazione diretta, e scientifica, della canestra, condotta tramite una perfetta resa al dettaglio e con l’uso di un fondale chiaro che simula un intonaco, a dare un effetto illusionistico. Sembra vera, nonostante sia un quadro!

Giovanni Ambrogio Figino, Natura morta con pesche, 1594-96, Milano, Collezione Privata
Giovanni Ambrogio Figino, Natura morta con pesche, 1594-96, Milano, Collezione Privata


 

Leonardo da Vinci, Studio sull'equivalenza di superfici e disegno di un gatto, 1513-15, Milano, Biblioteca Ambrosiana © Veneranda Biblioteca Ambrosiana / Mondadori Portfolio
Leonardo da Vinci, Studio sull’equivalenza di superfici e disegno di un gatto, 1513-15, Milano, Biblioteca Ambrosiana © Veneranda Biblioteca Ambrosiana / Mondadori Portfolio


Queste opere sono il prologo al vero fulcro della mostra, ovvero il cosiddetto Ciclo di Orfeo, allestito nella Sala delle Cariatidi. Si tratta di uno dei più riusciti cicli pittorici del ‘600 italiano, che si trovava all’interno di un palazzo, oggi non più esistente, all’angolo tra le vie Monte Napoleone e Pietro Verri. Tra il 1623 e il ’24, tale palazzo venne acquistato da un ramo dei Visconti, a cui apparteneva anche Alessandro, in contatto con i duchi di Toscana e dalla cui corte fece chiamare due pittori, il polacco Pandolfo Reschi e il fiammingo Livio Mehus, per realizzare, nel salone, un ciclo dipinto raffigurante la Natura e il mondo animale, inquadrato nelle vicende mitologiche di Orfeo e di Dioniso. Intorno al 1670, il ciclo, stando ai documenti, doveva essere terminato. Nel Settecento, il palazzo passò dai Visconti ai Lunati e, poi, ai Verri, la famiglia a cui appartennero, tra gli altri, gli illuministi Pietro e Alessandro. Un Verri, Carlo, cercò di restaurare, a un secolo di distanza, le tele di Reschi e Mehus, ma con esiti disastrosi. In questi anni, iniziò a circolare l’errata attribuzione delle tele al genovese Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto, e, per tale motivo, la sala iniziò a essere chiamata in questo modo e, nell’800, venne usata dagli allievi di Brera per studiare composizioni naturalistiche e relative al mondo animale. Nel 1877, i Verri vendettero il palazzo e il ciclo venne smembrato. Nei primi anni del ‘900, le tele vennero rimontate e riallestite in Palazzo Sormani, l’attuale sede dell’omonima biblioteca, da Achille Majnoni d’Intignano che, per sistemarle in un ambiente più piccolo e stretto, le tagliò per poi risistemarle sovvertendo l’ordine narrativo. Nacque, così, quella che, ancora oggi, è la Sala del Grechetto di Palazzo Sormani, dove il ciclo è attualmente ospitato. Il palazzo, nel 1935, passò al Comune, mentre le tele, sfuggite ai bombardamenti del 1943, negli anni ’50, vennero ripristinate nel loro assetto d’anteguerra. L’effetto è scenografico, anche frutto dell’allestimento, delle luci e della pittura illusionistica mirante a ricostruire l’ambiente di Palazzo Verri. Le 23 tele che costituiscono il grandioso ciclo troneggiano per magnificenza nella loro mirabile rappresentazione della Natura e del Mondo animale, del quale sono raffigurati circa duecento esemplari. Tra questi, compaiono anche animali fantastici, come l’unicorno, accanto a esemplari esotici conosciuti dai pittori solo tramite testi illustrati consultati nel Nord Europa e a Firenze. Si tratta di un autentico capolavoro, unico nella Storia dell’Arte lombarda, per varietà tematica e grandiosità, che, grazie a una sapiente ricostruzione, ora si può ammirare quanto più possibile nella sua verosimiglianza all’originario assetto di palazzo Verri.

Anonimo olandese, Pandolfo Reschi (16401696), Livio Mehus (1627-1691) Ciclo di Orfeo (dettaglio) 1675-1680 circa olio su tela Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco (in deposito a Palazzo Sormani, sala del Grechetto e sala dei Putti) © Comune di Milano-Tutti i diritti riservati
Anonimo olandese, Pandolfo Reschi (16401696), Livio Mehus (1627-1691) Ciclo di Orfeo (dettaglio) 1675-1680 circa olio su tela Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco (in deposito a Palazzo Sormani, sala del Grechetto e sala dei Putti) © Comune di Milano-Tutti i diritti riservati


 

Anonimo olandese, Pandolfo Reschi (16401696), Livio Mehus (1627-1691) Ciclo di Orfeo (dettaglio) 1675-1680 circa olio su tela Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco (in deposito a Palazzo Sormani, sala del Grechetto e sala dei Putti) © Comune di Milano-Tutti i diritti riservati
Anonimo olandese, Pandolfo Reschi (16401696), Livio Mehus (1627-1691) Ciclo di Orfeo (dettaglio) 1675-1680 circa olio su tela Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco (in deposito a Palazzo Sormani, sala del Grechetto e sala dei Putti) © Comune di Milano-Tutti i diritti riservati


 

Anonimo olandese, Pandolfo Reschi (16401696), Livio Mehus (1627-1691) Ciclo di Orfeo (dettaglio) 1675-1680 circa olio su tela Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco (in deposito a Palazzo Sormani, sala del Grechetto e sala dei Putti) © Comune di Milano-Tutti i diritti riservati
Anonimo olandese, Pandolfo Reschi (16401696), Livio Mehus (1627-1691) Ciclo di Orfeo (dettaglio) 1675-1680 circa olio su tela Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco (in deposito a Palazzo Sormani, sala del Grechetto e sala dei Putti) © Comune di Milano-Tutti i diritti riservati


 

Anonimo olandese, Pandolfo Reschi (16401696), Livio Mehus (1627-1691) Ciclo di Orfeo (dettaglio) 1675-1680 circa olio su tela Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco (in deposito a Palazzo Sormani, sala del Grechetto e sala dei Putti) © Comune di Milano-Tutti i diritti riservati
Anonimo olandese, Pandolfo Reschi (16401696), Livio Mehus (1627-1691) Ciclo di Orfeo (dettaglio) 1675-1680 circa olio su tela Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco (in deposito a Palazzo Sormani, sala del Grechetto e sala dei Putti) © Comune di Milano-Tutti i diritti riservati


 

Anonimo olandese, Pandolfo Reschi (16401696), Livio Mehus (1627-1691) Ciclo di Orfeo (dettaglio) 1675-1680 circa olio su tela Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco (in deposito a Palazzo Sormani, sala del Grechetto e sala dei Putti) © Comune di Milano-Tutti i diritti riservati
Anonimo olandese, Pandolfo Reschi (16401696), Livio Mehus (1627-1691) Ciclo di Orfeo (dettaglio) 1675-1680 circa olio su tela Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco (in deposito a Palazzo Sormani, sala del Grechetto e sala dei Putti) © Comune di Milano-Tutti i diritti riservati


 

Anonimo olandese, Pandolfo Reschi (16401696), Livio Mehus (1627-1691) Ciclo di Orfeo (dettaglio) 1675-1680 circa olio su tela Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco (in deposito a Palazzo Sormani, sala del Grechetto e sala dei Putti) © Comune di Milano-Tutti i diritti riservati
Anonimo olandese, Pandolfo Reschi (16401696), Livio Mehus (1627-1691) Ciclo di Orfeo (dettaglio) 1675-1680 circa olio su tela Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco (in deposito a Palazzo Sormani, sala del Grechetto e sala dei Putti) © Comune di Milano-Tutti i diritti riservati


A concludere la mostra, un’appendice con una piccola esposizione di animali imbalsamati, circa 160, provenienti dal Museo di Storia Naturale e dall’Acquario di Milano, oltre che dal MUSE di Trento: si tratta degli stessi animali rappresentati da Reschi e Mehus, che paiono prendere vita tramite un sortilegio e che fanno, della rappresentazione della Sala delle Cariatidi, una sorta di wunderkammer contemporanea.

Il meraviglioso mondo della Natura. Una favola tra Arte, Mito e Scienza
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano

Orari: Lunedì 14,30 – 19,30;
           Martedì – mercoledì – venerdì – domenica 9,30 – 19,30
           Giovedì e sabato 9,30 – 22,30
Biglietti: Intero € 14,00, Ridotto € 12,00
Info: www.mostramondonatura.it

Ingres a Milano. Un viaggio tra Neoclassicismo e Romanticismo a Palazzo Reale

La grande stagione del primo ‘800 è la protagonista della nuova mostra ospitata a Palazzo Reale di Milano.

Jean Auguste Dominique Ingres e la vita artistica al tempo di Napoleone è il titolo completo della mostra che si tiene, dal 12 marzo al 23 giugno, nelle sale del piano nobile del Palazzo di Piazza Duomo. Promossa dal Comune di Milano, in collaborazione con Palazzo Reale, Civita Mostre e Musei, l’esposizione è curata da Florence Viguier-Dutheil, direttrice del Museo dedicato all’artista a Montauban, in Occitania, dove l’artista nacque nel 1780. La collaborazione con il museo di Montauban è molto importante, dal momento che Ingres, al momento della sua morte, a Parigi, nel 1867, lasciò un corpus di circa 4500 disegni alla città natale, e così iniziò a formarsi quella che è la collezione permanente, poi arricchitasi di numerosi dipinti di Ingres e dei suoi allievi.

Ingres Jean-Auguste-Dominique (1780-1867). Paris, musée d'Orsay. RF2521.
Ingres Jean-Auguste-Dominique (1780-1867). Paris, musée d’Orsay. RF2521.


La mostra di Palazzo Reale, con i suoi circa 150 pezzi, tra tele, statue e disegni, non è un racconto biografico sulla vita di Ingres ma un percorso all’interno dell’epopea napoleonica nelle Arti e un dialogo, continuo, tra Francia e Italia, sempre legato alla figura di quel Napoleone Bonaparte che, da generale semisconosciuto figlio degli ideali della Rivoluzione, varcò le Alpi per la prima volta nel 1796 per sconfiggere gli Austriaci e instaurare le Repubbliche che si rifacevano all’esperienza politica transalpina, ma anche di quel Napoleone che, nel 1805, già incoronato Re dei Francesi, si fece anche fregiare del titolo di monarca d’Italia nel Duomo di Milano, deludendo le speranze di chi vedeva, in lui, non un imperatore figlio del potere assoluto, ma un liberale in grado di scacciare i vecchi regimi. Non si tratta certo di una mostra sulla figura di Napoleone, ma di un excursus artistico che, sicuramente, ha coinvolto la sua persona, come mecenate e come fonte d’ispirazione.

Jean Auguste Dominique Ingres, Dormeuse, 1820 circa, Londra, Victoria and Albert Museum
Jean Auguste Dominique Ingres, Dormeuse, 1820 circa, Londra, Victoria and Albert Museum


La mostra intende anche essere un nuovo, e più focalizzato, punto di vista sul Neoclassicismo, allontanandolo dalla visione e dal pessimo giudizio critico che il nuovo stile ricevette già in epoca romantica. Il Neoclassicismo venne inteso come qualcosa di totalmente purista, freddo e lontano dalla sensibilità umana, e solo come un fenomeno artistico meramente estetico ed estetizzante, mirante alla celebrazione del Bello ideale, incarnato nella Classicità greco-romana. Da quello che emerge in mostra, invece, è possibile cogliere un’altra sfumatura, ovvero un’anticipazione del nascente Romanticismo, in alcune opere oniriche e notturne, come Il Sogno di Ossian di Ingres, in cui il bardo celtico, già romantico per scelta tematica, vede, nel sonno, le anime dei Morti, un oltretomba virgiliano fatto di eroi e Dee totalmente tratte dalla Classicità, come provano la presenza di armature achee e pose da statue ellenistiche. Il Neoclassicismo, però, seppe anche anticipare l’attenzione romantica al paesaggio e al dato naturale, come provato dai dipinti, quasi cronachisti, di Nicolas Taunay, che raffigurano la traversata delle Alpi da parte di Napoleone, in cui la Natura è avvolta nella sua bellezza sublime.

Il punto di partenza del percorso è Jacques Louis David. Ingres fu il suo allievo più famoso e nel suo atelier parigino giunse nel 1797. Testimonianza base di questa prima fase della sua carriera sono i due Torsi maschili con cui il giovane Ingres  vinse i primi premi, che iniziarono a valergli la fama pittorica. Affiancate alle opere del giovane Ingres e a un uomo di spalle di David, frutto di ricordi romani, degne di nota sono anche quelle di un altro grande distruttore dell’estetica rococò e tardobarocca, ovvero François Xavier Fabre, come prova la sua Susanna e i vecchioni, tema barocco per antonomasia, ma, ora, affrontato con una più spiccata attenzione all’episodio della violenza verso la donna e con una maggiore propensione al sentimento.

Jean Auguste Dominique Ingres, Torso d'uomo, 1799, Montauban, Musee Ingres
Jean Auguste Dominique Ingres, Torso d’uomo, 1799, Montauban, Musee Ingres


 

Jacques Louis David, Nudo detto Patroclo, 1780, Cherbourg, Museo Thomas Henry
Jacques Louis David, Nudo detto Patroclo, 1780, Cherbourg, Museo Thomas Henry


A seguire, una sezione è dedicata al ritratto, in cui Ingres eccelse e iniziò a specializzarsi non appena aprì un suo atelier autonomo. Si tratta di istantanee che colgono lo sguardo del protagonista, ma anche i suoi aspetti più fisiognomici, lontani dal gioco galante del ritratto settecentesco di Boucher e Fragonard. Tra questi, spiccano il ritratto fatto al ventcinquenne Ingres all’opera dalla sua fidanzata di allora, Julie Forestier, ma anche quello, del maestro, di Paul Lemoyne. Compaiono, poi, anche scene di ritrattistica ufficiale, condita, però, di un tocco già trasognato, come prova la Principessa di Lichtenstein di Elisabeth Vigee-Lebrun, che trasforma la nobildonna austriaca in una dea in volo verso la gloria, mescolando elementi neoclassici (il vestito e la trasposizione con la mitologia classica) e romantici (lo “streben” verso l’infinito). Forestier e Vigee-Lebrun sono due nomi importanti perché furono, tra le prime donne della Storia dell’Arte, a essere considerate maestre di Pittura e non più casi isolati in un mondo ancora prevalentemente maschile, come lo erano state, in passato, Artemisia Gentileschi, Lavinia Fontana e Rosalba Carriera.

La sezione successiva è dedicata al rapporto tra i primi temi romantici e il mito classico. La dicotomia segnò anche Ingres prima di entrare in rapporto con Napoleone Bonaparte. In questa sezione, degna di nota è la scena dal Guglielmo Tell dipinta da Vincent, già frutto dello storicismo romantico, affiancata al Sogno di Endimione di un’altra grande pittrice, simbolo di emancipazione, ovvero Anne-Louis Girodet Troison, che dipinse una scena ancora neoclassica ma carica di un erotismo straordinario nel meraviglioso nudo della ragazza, che pare, anch’esso, già romantico.

La figura centrale di Napoleone, è introdotta dal capolavoro del pittore di Montauban, quel Sogno di Ossian dipinto nel 1813 per la camera da letto del Bonaparte. La grandiosa tela si trovava nel soffitto della stanza per esplicita richiesta del generale, che amava i Canti di Ossian, un poema epico gaelico che, nel fervore storicista del primo ‘800, trovò ampio spazio nella Cultura dell’epoca, come prova la traduzione italiana di Cesarotti, e che Napoleone stesso considerava una base per il suo pensiero, tanto da portarsi una copia dell’opera, tradotta in francese, in battaglia. L’attenzione, a questo punto, si sposta prima sulla campagna d’Italia, del 1796, la cui testimonianza sono le raffigurazioni del passaggio alpino del Bonaparte di Taunay, e, poi, sull’arrivo di Napoleone a Milano, con il meraviglioso ritratto eseguito da Andrea Appiani nel 1796-98, in cui sono riassunte tutte le speranze che gli Italiani riponevano in lui in quanto simbolo della liberazione dal giogo austriaco al Nord e spagnolo a Napoli: basti osservare la sua spada, la cui elsa è avvolta da un ramoscello d’ulivo. Il messaggio è molto chiaro: Napoleone porterà, con una campagna bellica, la pace in Italia. Sappiamo tutti che non sarà così, perché Bonaparte avrebbe piazzato sui vari troni d’Italia parenti e generali a lui fedeli, come Murat a Napoli, deludendo le speranze liberali e unitarie degli intellettuali e degli artisti italiani, da Foscolo a Canova e allo stesso Appiani. Nonostante ciò, Milano, con Napoleone re d’Italia, sarebbe divenuta, nei primi anni dell’800, una seconda Parigi, una vera capitale politica e culturale, con personaggi di spicco, come Canova, presenti in città accanto a una generazione d’oro di artisti milanesi, come Appiani e Bossi, e di architetti come Cagnola e Cantoni. Non a caso, dopo essere stato incoronato re dei Francesi a Notre-Dame, Napoleone volle una seconda cerimonia in Duomo a Milano, in cui si proclamò Re d’Italia e Imperatore. Era il 1805, e quel momento Ingres lo seppe cogliere. L’anno successivo il maestro francese realizzò il suo secondo capolavoro, il Napoleone sul trono imperiale. Un’opera lontanissima da quel ritratto liberale che ne face Appiani! Napoleone, sguardo fisso e freddo sull’osservatore, abbigliato di broccati ed ermellino, come un qualsiasi “dux”, siede sul trono mentre regge due scettri, di cui uno è quello imperiale di Carlo Magno. Ai suoi piedi, un tappeto tessuto con il disegno di un’aquila imperiale. Si tratta di simboli di un potere assoluto, e per molti aspetti sacrale, come provato dallo schienale del trono, quasi a forma di aureola. Tra i due estremi temporali, il ritratto di Appiani e quello di Ingres, però, si colloca una grande epopea celebrativa esemplificata dai busti di Canova e Monti, in cui Napoleone è raffigurato come Giulio Cesare, o dalle incisioni di Andrea Appiani che riproducono il fregio da lui dipinto nel salone di Palazzo Reale e distrutto dalle bombe nel 1943, dedicato alle imprese belliche di Napoleone in Italia, in Francia e in Egitto. Degna di nota è anche la figura di Giovanni Battista Sommariva, commerciante di Lodi che, grazie a Napoleone e al suo lavoro a Milano, poté divenire conte e creare, nel suo palazzo, una grandiosa collezione di dipinti dell’epoca, anche di Ingres, di cui ci restano delle riproduzioni in miniatura, simili ai cammei romani, oggi custodite alla Pinacoteca di Brera.

Jean Auguste Dominique Ingres, Il sogno di Ossian, 1813, Montauban, Musee Ingres
Jean Auguste Dominique Ingres, Il sogno di Ossian, 1813, Montauban, Musee Ingres


 

Jean Auguste Dominique Ingres, Napoleone sul trono imperiale, 1806, Parigi, Museo delle Armi
Jean Auguste Dominique Ingres, Napoleone sul trono imperiale, 1806, Parigi, Museo delle Armi


 

Adele Chavasseau d'Haudebert da Andrea Appiani, Venere che accarezza Amore, miniatura, Milano, Pinacoteca di Brera
Adele Chavasseau d’Haudebert da Andrea Appiani, Venere che accarezza Amore, miniatura, Milano, Pinacoteca di Brera


Ingres fu affascinato da Napoleone ma ancora di più da un altro personaggio che fece la Storia: Raffaello. Il pittore francese giunse a Roma nel 1806, per rimanervi vent’anni a inseguire il suo ideale di perfezione legata al mito dell’Urbinate. Lui stesso si definiva quasi figlio artistico di Raffaello e l’ultima parte della mostra ne è la migliore prova. Il suo ideale di bellezza era un canone fisso, come provato dal ritratto che Ingres fece al padre, anch’egli pittore, a cinquant’anni, ma ringiovanendolo secondo i canoni estetici puristi del primo raffaellismo, o quello dello scultore fiorentino Lorenzo Bartolini. Ingres, in Italia, fu anche affascinato dalla bellezza delle ragazze e delle donne della Penisola: in vari disegni ebbe modo di studiare quegli elementi che, delle italiane, affascinarono molti artisti nordici che ebbero modo di effettuare il Grand Tour. Tra questi spicca quello della donna, molto in carne, quasi abbondante ma straordinariamente sensuale, con tre braccia, che sembra riprendere le figure femminili di Tiziano e Veronese. Dipinse, inoltre, in Italia, molte figure femminili nelle fattezze di Odalische, come quella celeberrima per la scarsa verosimiglianza anatomica legata alle tre vertebre in più e al seno troppo a contatto con l’ascella.

Jean Auguste Dominique Ingres, Grande Odalisca, 1830, New York, Metropolitan Museum of Art
Jean Auguste Dominique Ingres, Grande Odalisca, 1830, New York, Metropolitan Museum of Art


 

Jean Auguste Dominique Ingres, Donna con tre braccia Montauban, Musee Ingres
Jean Auguste Dominique Ingres, Donna con tre braccia Montauban, Musee Ingres


 

Jean Auguste Dominique Ingres, Copia dell'autoritratto di Raffaello, 1820-24, Montauban, Musee Ingres
Jean Auguste Dominique Ingres, Copia dell’autoritratto di Raffaello, 1820-24, Montauban, Musee Ingres


Il finale è tutto giocato sull’ammirazione, quasi maniacale, di Ingres per Raffaello. L’ultima sala, infatti, ruota intorno a tale venerazione e ad alcune opere che ne sono testimonianza, da quella simbolica che raffigura il Sanzio con la sua modella preferita, la Fornarina, fino alla Morte di Leonardo da Vinci e all’opera più raffaellesca di Ingres, ovvero la pala d’altare raffigurante Cristo che consegna le chiavi a San Pietro, destinata a una Cappella presso Trinità dei Monti a Roma, eseguita nel 1820, e alla copia del ritratto di Raffaello, che Ingres stesso destinò a Montauban, quasi a dichiarare che il nuovo genio della Pittura francese fosse nato in Occitania.

Jean Auguste Dominique Ingres, Raffaello e la Fornarina, 1848, Columbus Museum of Art
Jean Auguste Dominique Ingres, Raffaello e la Fornarina, 1848, Columbus Museum of Art


 

Jean Auguste Dominique Ingres, La morte di Leonardo da Vinci, 1818, Parigi, Petit Palais
Jean Auguste Dominique Ingres, La morte di Leonardo da Vinci, 1818, Parigi, Petit Palais


Jean Auguste Dominique Ingres e la vita artistica al tempo di Napoleone
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano
Orari: lunedì 14.30 – 19.30
martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 9.30 – 19.30
giovedì e sabato: 9.30 – 22.30
Biglietti: Open 16,00 €, normale 14,00 €, ridotto 12,00 €
Info: https://www.mostraingres.it/

Il genio di Antonello da Messina in mostra a Milano

Il Rinascimento è il protagonista della prima grande mostra della stagione 2019 a Palazzo Reale di Milano.

Il nome è quello di Antonello da Messina, forse uno dei maggiori maestri del nostro Quattrocento, nonché colui che, meglio di ogni altro, fece da tramite tra la tradizione pittorica italiana e quella fiamminga.

Antonello da Messina, Ritratto d'uomo (Ritratto Trivulzio), 1476, Torino, Museo Civico d'Arte Antica
Antonello da Messina, Ritratto d’uomo (Ritratto Trivulzio), 1476, Torino, Museo Civico d’Arte Antica

Dal 21 febbraio al 2 giugno 2019, la mostra, curata dal professor Giovanni Carlo Federico Villa, grande esperto di Rinascimento veneto, e curata da Comune di Milano, Regione Sicilia e Mondomostre Skira, mette in evidenza diciannove opere autografe del maestro, su trentacinque provate, affiancate da disegni e schizzi su queste ultime, eseguite dal conoscitore e Storico dell’Arte che, nell’800, contribuì alla costruzione dei tasselli della sua biografia e alla sua fortuna critica, ovvero il veronese Giovanni Battista Cavalcaselle (1819-97). Fu, infatti, grazie al critico originario di Legnago che Antonello poté diventare quello che è oggi, uno dei padri del Rinascimento internazionale, al pari di Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Botticelli e Dürer.

Antonello da Messina, Ritratto di giovane, 1478, Berlino, Staatliche Museen
Antonello da Messina, Ritratto di giovane, 1478, Berlino, Staatliche Museen

Di Antonello da Messina si sa ancora poco, nonostante lo sforzo di Cavalcaselle. Sicuramente Antonio di Antonio, detto Antonello, nacque a Messina intorno al 1430. La sua città d’origine, già allora, era un porto di passaggio e di transito navale tra Tirreno e Mediterraneo, tanto da ospitare, due volte l’anno, l’attracco delle Mude, i convogli commerciali veneziani che la Serenissima inviava verso il Sud Europa ma anche in direzione di Bruges e Anversa per caricare tessuti preziosi. In questo clima “di transito”, Messina divenne città cosmopolita, anche a livello artistico, con la presenza in città di maestranze catalane e aragonesi. Antonello, in questo contesto, mosse i primi passi, realizzando pale d’altare per chiese della provincia messinese e catanese, ma, visto il suo talento, venne inviato a Napoli, dove svolse apprendistato presso il maggiore pittore partenopeo del Rinascimento, Colantonio. A Napoli, capitale artistica al pari di Roma, Firenze e Venezia, il giovane Antonello ebbe modo di conoscere da vicino la pittura fiamminga e francese, approfondendo il suo stile, che sarebbe divenuto internazionale. Tornato in Sicilia, divenne il ritrattista più richiesto sull’isola, nonché un pittore sacro di grande maestria. Gli anni ’70 del ‘400, per lui, furono occasione per grandi committenze al di fuori della sua Sicilia: nel 1476 è sicuramente documentato a Venezia da Pietro Bon. Qui si trovava per eseguire uno dei suoi più grandi capolavori, ora distrutto, la pala di San Cassiano, per l’omonima chiesa, opera che i critici dell’epoca definivano tra le più belle della Storia dell’Arte. Nello stesso anno, Antonello ricevette dal duca di Milano Galeazzo Maria Sforza una richiesta di trasferirsi in Lombardia, ma questi declinò, per rimanere in Laguna a terminare la pala di San Cassiano, per poi tornare a Messina, dove lo attendevano moglie e figli. Certa è la data della sua morte, nel 1479, perché provata a livello documentario dal testamento che lui stesso redasse.

Antonello da Messina, Ritratto di giovane, 1474, Philadelphia, Philadelphia Museum of Art
Antonello da Messina, Ritratto di giovane, 1474, Philadelphia, Philadelphia Museum of Art

La ricostruzione della vita di Antonello è frutto del lavoro di due archivisti siciliani, Gioacchino Di Marzo e Gaetano La Corte, la cui testimonianza si affianca a quella critica di Cavalcaselle. I tre poterono consultare documenti e testimonianze prima che il più devastante terremoto mai accaduto in Italia radesse al suolo Messina nel 1907, cancellando molte tracce della vicenda biografica e artistica di Antonello. La mostra si pone proprio come un percorso parallelo tra la Pittura di Antonello e la ricostruzione critico-biografica di Cavalcaselle, configurando l’erudito veronese come la nostra guida ideale alle diciannove opere del “pictore ceciliano”, come lo definirono i documenti milanesi di Galeazzo Maria Sforza. La mostra è anche uno spunto di riflessione sull’incuria, la trascuratezza e l’ignoranza della gente, che sempre accompagnò l’opera di Antonello, conducendo alcuni suoi capolavori alla distruzione: basti pensare al polittico di San Gregorio a Messina. La chiesa venne sventrata dal terremoto del 1907 e l’opera, situata nell’unica parte superstite, venne lasciata per tre giorni in balia delle intemperie e delle scosse di assestamento, che la cancellarono per sempre.

Antonello da Messina, Ritratto d'uomo (Ritratto di Michele Vianello?), 1475 ca., Roma, Galleria Borghese
Antonello da Messina, Ritratto d’uomo (Ritratto di Michele Vianello?), 1475 ca., Roma, Galleria Borghese

Tra le opere del maestro siciliano esposte in mostra spiccano i ritratti, in cui Antonello eccelse. Il più significativo è la bellissima Annunciata, del 1475, autentica icona di stile e di un periodo artistico nella sua purezza, semplicità e gestualità, con quella mano appena alzata che pare chiederci “perché proprio a me?”. L’Annunciata non è semplicemente Maria, è una giovane donna siciliana del tempo, bellissima nel suo viso perfettamente ovale, frutto della lezione veneta di Giovanni Bellini e di Mantegna, e nel suo sguardo affascinante. E in questo Antonello fu maestro, come lo sarebbe stato Caravaggio: non scelse mai personaggi ideali, finti ed eterei, ma modelli veri, presi dalla realtà quotidiana. Anche gli altri ritratti esposti evidenziano questa tendenza, a partire da quello di uomo della collezione Mandralisca di Cefalù, (1465 circa), il cui enigmatico sorriso affascinò, tra gli altri, Leonardo Sciascia, che ebbe modo di sostenere la sicilianità manifesta di quest’uomo che pare guardarci un po’ beffardamente, come fanno gli uomini seduti nelle strade di un paese sulle Madonie o sui Nebrodi. Anche un altro ritratto d’uomo, proveniente da Pavia, del 1468 circa, è caratteristico per la sua verve enigmatica e ironica, con lo sguardo corrucciato e pensieroso, ed è tipicamente antonelliano per la struttura, molto simile, nel chiaroscuro della scena, a quello di Cefalù.

Antonello da Messina, Annunciata, 1475 ca., Palermo, Galleria di Palazzo Abatellis
Antonello da Messina, Annunciata, 1475 ca., Palermo, Galleria di Palazzo Abatellis

 

Antonello da Messina, Ritratto d'uomo (Ritratto di ignoto marinaio), 1470 ca., Cefalù, Fondazione Culturale Mandralisca
Antonello da Messina, Ritratto d’uomo (Ritratto di ignoto marinaio), 1470 ca., Cefalù, Fondazione Culturale Mandralisca

Accanto ai ritratti si collocano le scene sacre, che Antonello dipinse per chiese siciliane e per la committenza privata. Spiccano le figure, provenienti da Palazzo Abatellis di Palermo, dei santi facenti parte del Polittico dei Dottori della Chiesa, di inizio anni ’70, che riassumono alla perfezione la lezione appresa a Napoli con Colantonio, dal fondo oro ancora bizantino alle figure, già influenzate dal Rinascimento italiano e ai dettagli, come le aureole punzonate, di matrice franco-borgognona. Degne di nota sono anche la bellissima Crocifissione del Museo di Sibiu (1460 circa), anch’essa frutto della lezione napoletana nella scena naturalistica, in cui si notano alcuni edifici della Messina dell’epoca, e il San Girolamo nello studio, dalla National Gallery di Londra (1474-75), raffinato nei dettagli di fattura fiamminga ma che, nella posa, ricorda i modi veneziani di Bellini e dei Vivarini. Antonello eccelse anche nelle raffigurazioni della Madonna con il Bambino, come quella meravigliosa di Washington, del 1475 circa, in cui Maria, secondo esempi di tradizione veneta (Bellini, Montagna), estremamente umana e poco divina, appare come una madre che coccola il proprio bimbo che, affamato, infila la manina sotto la veste alla ricerca del seno, ma anche nel pathos della vicenda di Cristo, come provato dall’emozionante Ecce Homo del 1473 circa, proveniente da Piacenza, in cui un Christus Patiens, coronato di spine e piangente, ci guarda, con straordinaria umanità, per ricordarci del suo sacrificio, secondo un modello desunto dalla pittura fiamminga e nordeuropea.

Antonello da Messina, San Girolamo nello studio, 1475 circa, Londra, National Gallery
Antonello da Messina, San Girolamo nello studio, 1475 circa, Londra, National Gallery

 

Antonello da Messina, Madonna col Bambino (Madonna Benson), 1475 ca., Washington, National Gallery of Art
Antonello da Messina, Madonna col Bambino (Madonna Benson), 1475 ca., Washington, National Gallery of Art

Accanto a questo corpus di opere, si colloca il lavoro di Cavalcaselle, con fogli disegnati e taccuini pieni di schizzi e appunti, in base ai quali il conoscitore veronese riuscì a risalire all’attribuzione antonelliana dei quadri in mostra e a trasformare l’artista siciliano in un mito della Storia dell’Arte. Si tratta di diciannove esemplari, fogli disegnati e appuntati su recto e verso e taccuini, con cui Cavalcaselle iniziò a tracciare un abbozzo di catalogo del maestro messinese, parallelamente alla ricerca archivistica di La Corte e Di Marzo. Perché, in fondo, senza Cavalcaselle , i suoi schizzi e le sue annotazioni, Antonello da Messina non sarebbe “Antonello”, ma sarebbe rimasto un semplice pittore siciliano, dimenticato dalla critica e privato del ruolo fondamentale che, invece, e giustamente, la Storia dell’Arte gli ha riconosciuto.

Madonna col Bambino e due angeli reggicorona, dal Polittico dei Dottori della Chiesa, 1471-72, Firenze, Galleria degli Uffizi
Madonna col Bambino e due angeli reggicorona, dal Polittico dei Dottori della Chiesa, 1471-72, Firenze, Galleria degli Uffizi

Antonello da Messina
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano
Orari: lunedì 14.30-19.30
martedì-mercoledì-venerdì-domenica 9.30-19.30
giovedì-sabato 9.30-22.30
Biglietti: Intero 14,00 €, ridotto 12,00 €
Info: http://www.palazzorealemilano.it/wps/portal/luogo/palazzoreale/mostre/inCorso/ANTONELLO_DA_MESSINA

Il rapporto tra Picasso e l’antico in mostra a Milano

Tutti sappiamo quanto Pablo Picasso sia stato il più grande sperimentatore della Storia dell’Arte del Novecento e quanti stili pittorici abbia affrontato nelle sue opere, ma il rapporto del genio di Malaga con l’antico è un nuovo elemento d’indagine.

Pablo Picasso, Il Bacio, 1969, Museo Picasso, Parigi
Pablo Picasso, Il Bacio, 1969, Museo Picasso, Parigi


Proprio questo è il tema della mostra milanese dedicata a Picasso, nelle sale di Palazzo Reale. Dal 18 ottobre 2018 al 17 febbraio 2019, l’esposizione ha l’obiettivo di sviluppare l’analisi sul rapporto tra la sua Arte e la mitologia classica, con la curatela di Pascale Picard. La mostra è promossa e prodotta da Comune di Milano e MondoMostre Skira ed è la tappa milanese di un progetto, promosso dal Museo Picasso di Parigi, che prevede il prestito di circa duecento tra opere del maestro andaluso e oggetti di Arte antica provenienti dalle più svariate istituzioni espositive d’Europa. La mostra, inoltre, è l’ultimo omaggio di Milano a Pablo Picasso, dopo l’esposizione di Guernica nel 1953, nella Sala delle Cariatidi, e le monografiche del 2001 e del 2012.

Pablo Picasso, L'abbraccio, 1970, Museo Picasso, Parigi
Pablo Picasso, L’abbraccio, 1970, Museo Picasso, Parigi


Chi si aspetta una mostra interamente dedicata a Picasso rimarrà dubbioso, perché questa esposizione, intitolata Picasso. Metamorfosi non è una mostra in toto sul pittore di Malaga, ma un’indagine, un percorso, all’interno del suo rapporto con l’antico e il mito, in particolare con quello classico, greco, ellenistico e romano. Picasso è, a tutti gli effetti, un genio, nel senso etimologico del termine, colui che crea pensando e plasma a immagine e somiglianza dell’uomo, e una tale figura di artista non può che gettare radici nella classicità, nella filosofia di Platone e nel taumaturgo da lui teorizzato, una mente creatrice universale. Picasso ha sempre visto l’antico come fonte, non solo come semplice riferimento stilistico, per tutta la sua carriera, senza limitarsi a quel periodo di ritorno all’’ordine che contraddistinse tanti artisti del ‘900. L’antichità, quindi, diventa punto di partenza per un’indagine, antropologica e, per certi versi, psicoanalitica, sull’opera del maestro andaluso, che ci fa capire quanto i cambiamenti dell’Arte picassiana, le Metamorfosi del titolo (con riferimento a Ovidio), siano stati dettati dal recupero filologico di queste fonti.

Pablo Picasso, Il Bacio, 1929, Museo Picasso, Parigi
Pablo Picasso, Il Bacio, 1929, Museo Picasso, Parigi


La mostra si sviluppa attraverso sei sezioni, che illustrano il magma creativo di Pablo Picasso in relazione a sculture, mosaici, pitture murali e vasellame antico, per lo più proveniente da Roma, da Pompei o dalle città attiche e custodito tra Parigi, l’Urbe e Napoli. La prima sezione, dedicata al tema romantico del bacio, presenta due meravigliose tele di Picasso, Il bacio e L’abbraccio, affiancate a una scultura di Auguste Rodin, dedicata allo stesso tema, e a un dipinto di Ingres, Paolo e Francesca. Picasso ha sempre sperimentato formule creative dedicate al bacio, attingendo a un repertorio mitologico antico, caricato, però, di pulsione erotica e di passione per l’universo femminile, elementi tipici della sua produzione artistica, e ottenuto con la scomposizione della forma tipica del Cubismo, con l’obiettivo di aumentare la sensualità nelle sue opere.

Pablo Picasso, Il Pittore e la sua modella, 1955, Museo Picasso, Parigi
Pablo Picasso, Il Pittore e la sua modella, 1955, Museo Picasso, Parigi


 

Pablo Picasso, Nudo disteso, 1932, Museo Picasso, Parigi
Pablo Picasso, Nudo disteso, 1932, Museo Picasso, Parigi


La seconda sezione è dedicata al rapporto del pittore spagnolo con figure come Arianna e Minotauro. Punti di partenza sono le sculture ellenistiche come l’Arianna addormentata dei Musei Vaticani e il busto del Minotauro. Picasso fu sempre affascinato dalle figure ibride, metà uomo e metà animale, in quanto elementi che si collocavano a cavallo tra bene e male, tra vita e morte: fauni e Minotauro ne sono la perfetta espressione. I primi, sempre ebbri nei cortei dionisiaci, rappresentano l’atteggiamento tipico di Picasso, ubriaco di vita e di passione umana (incarnata dalla donna e dal suo corpo), come ben rappresentato dalle opere Fauno, cavallo e uccello (1936) e Testa di uomo barbuto (1938), ma anche nell’elemento del Minotauro c’è dell’autobiografico, con rimandi alle origini  dell’artista (il toro inteso come simbolo della Spagna), ma anche all’elemento sensuale e sessuale tipicamente picassiano. In tale direzione, si colloca la figura di Arianna, simbolo di bellezza femminile ma anche della potenza primigenia della donna: le odalische ritratte da Picasso sono palesemente ispirate alla posa dell’Arianna del Vaticano. Arianna è figura erotica, un trionfo di carica sessuale esaltata dalla sua bellezza, alternativa al modello etereo di Afrodite, e, per tale motivo, intorno a essa, il genio di Malaga sviluppa raffigurazioni  come il Minotauro, i fauni e altri esseri ibridi che rimandano all’amore (nel senso dell’Eros), alla guerra e alla passione, elementi tipici della sfera maschile mitologica, viste le molteplici opere raffiguranti Ares e Afrodite. Questi esseri, per Picasso, sono sempre visti come simbolo, oltre che della perpetua ebbrezza per la vita, anche delle pulsioni sessuali, mentre Arianna incarna più sfaccettature della passione amorosa e dell’emozione erotica, fino alle fantasie sul rapimento descritte anche dal mito.

Pablo Picasso, Fauno, cavallo e uccello, 1936, Museo Picasso, Parigi
Pablo Picasso, Fauno, cavallo e uccello, 1936, Museo Picasso, Parigi


 

Pablo Picasso, Testa di uomo barbuto, 1938, Museo Picasso, Parigi
Pablo Picasso, Testa di uomo barbuto, 1938, Museo Picasso, Parigi


Le due sezioni successive sono dedicate al rapporto che Picasso ebbe con il grande museo che, nella sua vita, frequentò maggiormente: il Louvre e, in particolare, le sue collezioni di Arte greca e romana. Picasso, sin da giovane, iniziò ad appassionarsi di Arte classica, approfondendola nel 1917, quando viaggiò tra Roma e Napoli alla scoperta dei tesori archeologici laziali e campani. La sua esperienza cubista fu mitigata dall’ispirazione classica anche grazie alle frequenti visite al grande museo di Parigi, dove trasse spunto per opere come il Piatto spagnolo decorato con donne e tori, palesemente frutto del modello del vasellame arcaico greco, ma anche per alcune figure sedute trattate con la scomposizione cubista che squarcia la canonicità dell’archetipo ellenistico. Picasso non si ferma al modello greco, ma va più indietro, alla ricerca delle origini figurative dell’Arte classica: al Louvre scopre gli etruschi, con le sculture filiformi in legno esposte in mostra, e recupera il repertorio degli Iberi, i primi abitanti della Spagna e del Portogallo, come provano le opere in bronzo ispirate agli antichi ex-voto di questi popoli.

Pablo Picasso, Piatto spagnolo con occhio e tori, 1957, Museo Picasso, Parigi
Pablo Picasso, Piatto spagnolo con occhio e tori, 1957, Museo Picasso, Parigi


La parte successiva è dedicata alla ceramica, che Picasso riscopre e che trasforma da oggetto d’uso a opera d’Arte. Il modello è sempre quello arcaico greco, ma anche il vasellame pompeiano attrae Picasso: il risultato sono splendide decorazioni vascolari, quasi neo-greche, ottenute su frammenti di contenitori da cucina o su terrecotte che riprendono i modelli antichi.

Pablo Picasso, Donna con mantiglia, 1949, Museo Picasso, Parigi
Pablo Picasso, Donna con mantiglia, 1949, Museo Picasso, Parigi


La logica conclusione della mostra è la raffigurazione delle Metamorfosi di Ovidio illustrate da Picasso nel 1931 per il volume edito da Albert Skira, accompagnata dalla scultura in ferro La donna in giardino (1932). La presentazione delle lastre incise ad acquaforte da Picasso mette ben in evidenza la prassi di creazione del libro d’artista ma anche di un’incisione che crea effetti autonomi rispetto al disegno, ma comunque sempre ispirati al vasellame antico. Sono esposti anche alcuni fogli della Suite Vollard, in cui l’artista è raffigurato nello studio con la modella, come un novello Pigmalione: le scene erotiche ricordano molto gli episodi legati al mito di Arianna e dei fauni, con un ritorno ciclico all’origine del percorso della mostra, al bacio e alla pulsione amorosa.

Pablo Picasso, La donna in giardino, 1930 Museo Picasso, Parigi
Pablo Picasso, La donna in giardino, 1930 Museo Picasso, Parigi


Picasso. Metamorfosi
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano
Orari: Lunedì 14.30 – 19.30 (dalle 9.00 alle 14.00 riservato alle Scuole), martedì, mercoledì venerdì e domenica 9.30 – 19.30, giovedì e sabato 9.30 – 22.30
Biglietti: Intero 14,00 €, ridotto 12,00 €
Info: http://www.mostrapicassomilano.it/

Alcantara in mostra a Palazzo Reale

Per il terzo anno consecutivo, Alcantara torna ad essere protagonista delle dieci stanze dell’Appartamento del principe di Palazzo Reale, a Milano: si intitola “Codice di avviamento fantastico. Alcantara e 6 artisti in viaggio nell’appartamento del Principe” il percorso espositivo inaugurato lo scorso 25 marzo: la mostra, curata da Davide Quadrio e Massimo Torrigiani, patrocinata dal Comune di Milano, da Milano Art Week e da Palazzo Reale, esplora le opere di Aki Kondo, Michael Lin, Soundwalk Collective, Georgina Starr, Nanda Vigo e Lorenzo Vitturi: questi i sei artisti chiamati ad interpretare lo stile di Alcantara, sulle orme di Gianni Rodari e dei suoi versi. “Siamo orgogliosi di portare in scena la singolare versatilità del materiale, facendo dialogare ancora una volta Alcantara con arte e design”, così ha commentato Andrea Boragno, presidente e ad dell’azienda. Un progetto ambizioso, che si propone di interpretare in chiave contemporanea uno spazio storico attraverso la sensibilità artistica di sei creativi provenienti da mondi e Paesi diversi: gli artisti hanno così fornito la propria personale visione del celebre tessuto, in un suggestivo percorso immaginario che unisce i colori e le stampe alla Grammatica della Fantasia di Gianni Rodari. E proprio a Rodari si deve il titolo stesso dell’esposizione, contenuto in una novella. In un percorso articolato in una serie di installazioni iconiche si snoda una condivisione di storie e pensieri, in bilico tra suggestioni oniriche e fantascientifiche. La mostra resterà aperta fino al 30 aprile 2017.

alcantara

“Ho visto un re”: la mostra a Palazzo Reale

Dal 20 settembre al 23 ottobre 2016 a Palazzo Reale di Milano si terrà la mostra “Ho visto un re“: un incontro superbo fra quattro arti elitarie come il teatro, moda, arte e musica che vede partorire un progetto intriso di svariate contaminazioni.

Grazie ad  Alcantara® nove artisti internazionali (Maurizio Anzeri, Arthur Arbesser, Paola Besana, Gentucca Bini, Matthew Herbert, Taisuke Koyama, Francesco Simeti e Adrian Wong & Shane Aspegren) interpreteranno l’Appartamento del Principe di Palazzo Reale.

 

Locandina di "Ho visto un re": la mostra a Palazzo Reale di Milano
Locandina di “Ho visto un re”: la mostra a Palazzo Reale di Milano

 

Installazione di Arbesser Arthur (fonte immagine designerblog.it)
Installazione di Arbesser Arthur (fonte immagine designerblog.it)

 

Installazione di Gentucca Bini (fonte immagine designerblog.it)
Installazione di Gentucca Bini (fonte immagine designerblog.it)

 

 

Ogni visione artistica (chiaramente diversa per stile e interpretazione) dovrà legarsi per creare una narrazione coerente; per tal motivo spetterà a Massimo Torrigiani e Davide Quadrio (curatori della mostra) sviluppare un percorso logico.

Andrea Boragno, Presidente e Amministratore delegato di Alcantara® ha così commentato la partecipazione dell’azienda in questa esemplare esposizione: “Siamo soddisfatti di questa nuova collaborazione con Palazzo Reale. Questo progetto esplicita e ribadisce la nostra identità di impresa e la nostra volontà di sostenere la cultura attraverso una serie di commissioni. Alcantara è un materiale unico e la mostra ci permetterà di mettere in luce la sua incredibile versatilità all’interno di un processo di ricerca creativa, dimostrando come un gioco di variazioni sul tema possa trasformarsi in una sfida dalle soluzioni imprevedibili”.

La mostra,  tratta dal celebre brano “Ho visto un re” del cantautore Enzo Jannacci, si pone lo scopo di raccontare ironicamente uno spaccato della nostra società al comando dei potenti.

 

 

Per la cover installazione di Maurizio Anzeri.

Immagine cover designerblog.it

 

Al Palazzo Reale “My Mommy Is Beautiful”, l’opera collettiva di Yoko Ono

Ultimi giorni per visitare La Grande Madre, la mostra a cura di Massimiliano Gioni – ideata e prodotta dalla Fondazione Nicola Trussardi – che rimane aperta al pubblico fino a domenica 15 novembre 2015 nelle sale al piano nobile di Palazzo Reale. E in quest’ultima settimana di apertura, la mostra si è arricchita di una nuova opera: l’installazione My Mommy Is Beautiful di Yoko Ono.  Realizzata per la prima volta dall’artista nel 2004 per la Biennale di Liverpool e inclusa fino a ora all’interno della mostra milanese soltanto come progetto digitale, lanciato lo scorso 10 maggio in occasione della Festa della Mamma.

 

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La celebre artista invita tutti gli spettatori a partecipare a questa sua opera collettiva chiamando i visitatori a raccontare e condividere gli affetti familiari, i legami più speciali e i racconti più personali su un grande muro bianco collocato all’ingresso della mostra a Palazzo Reale, dove sarà possibile lasciare la propria testimonianza, raccontare i propri ricordi, condividere immagini e ritratti della propria madre, creando in questo modo un monumento spontaneo e popolare dedicato alla figura della mamma.

Giottesca Milano

Al rientro dalle vacanze la città apre le porte a una delle più importanti mostre dell’anno


Gli ultimi baluardi delle ferie d’Agosto portano un evento da segnare in agenda “Giotto, l’Italia”. La mostra sarà aperta al pubblico dal 2 settembre 2015 fino al 10 gennaio 2016, in concomitanza con la chiusura dell’Esposizione Universale, presso il Palazzo Reale di Milano.
La celebrazione del fondatore dell’arte figurativa italiana è coordinata da un prestigioso Comitato Scientifico, composto dalle istituzioni che, nel corso degli anni hanno tutelato e alimentato la conoscenza dell’operato giottesco; tra cui tutte le Sovraintendenze, il Ministero dei Beni Culturali e del Turismo, i Musei Vaticani e la Galleria degli Uffizi.
13 le opere inedite per la città, tutte tavole mai esposte prima in sinergia, atte a documentare il viaggio del pellegrino Giotto. Passo dopo passo il pittore fiorentino ci trasporta attraverso i luoghi più belli della Penisola. Partendo dalle opere giovanili, prodotte durante l’attività tra Firenze e Assisi, si arriva alla Cappella degli Scrovegni, dove viene documentato il suo periodo padovano.
Non manca, inoltre, il trionfo del Polittico Stefaneschi, realizzato per l’altar maggiore della Basilica di San Pietro che conduce il visitatore verso la fase finale della carriera rappresentata dal polittico di Bologna e da quello Baroncelli, situato nell’omonima cappella fiorentina.


Polittico Stefaneschi
Polittico Stefaneschi



Polittico di Bologna
Polittico di Bologna



Polittico Baroncelli
Polittico Baroncelli



Arte, scienza e visionarietà si uniscono, dunque, nel segno giottesco per festeggiare le eccellenze italiane che, nel corso dei secoli si confermano punta di diamante per il patrimonio artistico mondiale.